01/07/2008: Aggiornamenti dal movimento antirazzista torinese
29 giugno. Una trentina di antirazzisti occupa, nel primissimo pomeriggio, l'atrio del Museo Egizio di Torino. All'entrata viene appeso un grosso strisicione verde-lega con su scritto «Gli egiziani li volete solo schiavi, o morti». Sul momento, la guardia giurata e alcuni impiegati del museo danno in escandescenze, provando a rimuovere lo striscione e poi, addirittura, a chiudere il portone.
Tentativi falliti entrambi. Col megafono, gli antirazzisti raccontano ai turisti basiti la storia di Said, egiziano ucciso a colpi di pistola la settimana passata per aver osato dar manforte al fratello mentre questi chiedeva al suo padrone italiano il pagamento degli ultimi stipendi. Poi ricordano le mille storie dei tanti che a Torino sono ridotti ad una vita di schiavitù perché senza documenti ed eternamente ricattati dalla possibilità concreta di finire espulsi, o incarcerati o uccisi. E poi ancora fischietti, volantini e battiture. E poi ancora discorsi. Quasi un'ora e poi via tutti.
(Inutile dire che neanche questa volta i segugi del vicequestore Petronzi sono riusciti ad arrivare per tempo)
In allegato
- Il volantino distribuito ai turisti
- "Gli ha puntato la pistola sul cuore e l'ha ammazzato", un articolo
sulla storia di Said
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GLI EGIZIANI O LI VOLETE SCHIAVI O LI VOLETE MORTI
Gentili visitatrici, gentili visitatori che state per entrare nel Museo Egizio di Torino, ci permettiamo di interrompere il normale flusso della fila per dirvi due parole. Data la necessità e l’urgenza di quanto vogliamo comunicarvi, siamo certi che comprenderete l’eccezionalità del metodo impiegato per attirare la vostra attenzione.
Molti anni sono passati ormai da quando le mummie che state per vedere arrivarono qui dal lontano Egitto, e non è dato sapere se siano entrate in territorio italiano in modo regolare, o clandestinamente.
Abbiamo il fondato sospetto che siano state trafugate in modo truffaldino, assieme ai tesori di intestibabile valore che sempre qui troverete. Ma in fondo poco importa, perché queste mummie sono arrivate a Torino letteralmente già morte e sepolte da un pezzo.
Capita ovviamente anche al giorno d’oggi che degli stranieri approdino sulle coste italiane, in genere più morti che vivi. E non certo morti per una lunga e ricca vecchiaia, ma affogati durante il naufragio della nave che doveva portarli via dalla loro miseria, come accade di continuo ogni estate, come è accaduto solo qualche giorno fa, con una nave che trasportava decine di disperati provenienti, tra laltro, proprio dall’Egitto.
Quelli che hanno la fortuna di sopravvivere al viaggio, rischiano poi incrociare sulla loro strada un poliziotto, e rimanere uccisi durante un "normale controllo di polizia" o di rimanere intrappolati nella tremenda macchina delle espulsioni, per finire in un Cpt in attesa di deportazione. E anche lì rischiano di morire, come è successo un mese fa a Fathi "Hassan" Nejl, morto di polmonite nel lager di corso Brunelleschi, lasciato senza cure dai volontari della Croce Rossa che gestiscono il centro.
Quelli che sulla loro strada hanno la fortuna di trovare un padrone disposto ad assumerli, preferibilemente in nero, rischiano (più degli italiani, le statistiche parlano chiaro) di morire per un incidente sul lavoro. Per rimanere in tema, qualche settimana fa in provincia di Milano due clandestini egiziani morirono cadendo dall’impalcatura di un cantiere.
E quelli che hanno la fortuna di non morire di lavoro, rischiano comunque di morire per mano del padrone in persona, o di suo figlio, come è successo a Said, che era andato ad accompagnare suo fratello a riscuotere due mesi di stipendio arretrato dal padrone di una ditta in quel di Gerenzano, nel produttivo hinterland milanese.
Certo, osserverete ora voi, anche se un morto è un morto e tutti i morti sono uguali, a differenza dei moderni clandestini, i faraoni che state per ammirare avevano dalla loro parte il potere religioso ed economico, e a ben guardare le loro salme ricordano più il cadavere del penultimo papa o quello del penultimo padrone della Fiat. Siamo d’accordo. Infatti anche questi ultimi, come i faraoni di ogni epoca, hanno avuto il privilegio di un addio da parte di lunghe e ordinate file di visitatori.
Ma tutti gli stranieri morti in questi anni rischiano di non avere la stessa fortuna. L'ultimo pericolo che essi ancora corrono è quello di essere presto dimenticati, e forse mai vendicati. Questo, di sicuro, dipende anche da noi.
Alcuni antirazzisti torinesi
F.i.p. v.s.ottavio, 20 - Torino. Giugno 20
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“Gli ha puntato la pistola sul cuore e l’ha ammazzato”
“Ho lavorato per loro sei mesi poi mi sono licenziato cinque giorni fa, perchè ho trovato un altro padrone che mi paga di più. Ma il vecchio padrone mi deve ancora dare lo stipendio di maggio e ho bisogno di soldi: così ho chiesto a mio fratello di venire a incontrare Edoardo Fioramonte, per farmi pagare, capito?”. Il titolare della Katon, ieri alle 14, non c’era, ma il racconto di Abdul Abdel Halim, 27 anni, spiega perché un gruppetto egiziani sia andato a chiedere dei soldi nella ditta di edilizia di Gerenzano, dove il figlio del titolare, Antonio Fioramonte di 19 anni, ha fatto fuoco uccidendo Said Abdel Halim, 29 anni.
“Volevo solo i soldi, questo è tutto. Il 15 del mese – spiega ancora – è sempre il giorno di paga, ma era domenica, mi hanno dato appuntamento a martedì.
Quando sono arrivato, il titolare non c’era, così – continua l’egiziano – sono tornato con mio fratello, due amici, e mia moglie”.
Quest’ultima è italiana, dice di chiamarsi Gaetana, ed è l’ultima persona che ha parlato con la vittima prima che morisse: “Dovevamo andare a fare la spesa – racconta – ma prima abbiamo accompagnato Abdul e Said a parlare con Edoardo Fioramonte. Il figlio ha sparato dappertutto, Said aveva il petto pieno di sangue, io gli ho tenuto la ferita, seduta in ginocchio, pensavo l’avesse colpito di striscio e invece mi è praticamente morto tra le braccia».
Il fratello della vittima, appena uscito dalla caserma dei carabinieri di Cislago, è sconvolto. Era nervoso, per quello stipendio che, dice, gli dovevano: “Avevo paura che non lo avrei più recuperato”. Una rabbia cieca, ce l’ha avuta di certo il ragazzino di 19 anni che ha sparato 14 colpi, dappertutto, spaccando vetri, lasciando sangue a terra. Ma il colpo mortale sarebbe stato sparato a bruciapelo: “Gli ha puntato la pistola sul cuore e.... pum, ha sparato, così, come se avesse preso coraggio dopo aver colpito a casaccio” dice Abdul, che ha già testimoniato.
Antonio si è costituto dopo una fuga con la sua Peugeot nera, durata solo tre ore. I carabinieri gli hanno fatto terra bruciata intorno e i familiari lo hanno convinto a tornare sui suoi passi. Lui e il padre sono stati denunciati perché la pistola era senza permesso. L'interrogatorio è durato fino a tarda sera, il ragazzo ha confessato.
Il delitto è accaduto in una ditta specializzata in pietre autobloccanti per l’edilizia, dove ufficio e ditta sono nello stesso cortile, nel centro del paese. Ogni quindici del mese gli operai (spesso artigiani in proprio) passano per farsi fare la ricevuta e prendere i soldi, non di rado qualcuno urla e protesta. Secondo un artigiano siciliano, che metterebbe la mano sul fuoco sul signor Fioramonte, è colpa della testa calda degli stranieri. Gli egiziani, invece, dicono che c'è solo una spiegazione: vengono pagati poco.
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