27/06/2008: Mauro Rossetti Busa - Questa è la mia storia (Parte V)


Questa volta ritorno indietro di molti anni, precisamente nel 1978.
Più volte venivo trasferito nei manicomi criminali se non altro per questioni di autolesionismo, per la aggressività che avevo contro la custodia e per i danneggiamenti delle celle. Nel 1978 avevo venti anni.
Il primo manicomio criminale dove andai fu Montelupo Fiorentino, quì venivo collocato in un camerine con altri fuori di testa. Al primo approccio ebbi paura non dei matti, o di chi piangeva, ma di coloro che soffrivano di attacchi paranoici. Di notte era impossibile dormire perché c’era chi camminava su e giù dentro la cella, chi scalzo e chi nudo, chi piangeva implorando la mamma e chi rideva. Dovevo garantirmi la mia incolumità personale e quindi dormivo sempre con un occhio chiuso e l’altro aperto per evitare brutte sorprese. Qualcuno di loro mi chiedeva delle sigarette e, mentre mi fumavo qualche sigaretta sdraiato sul letto, guardavo fissamente il comportamento di quei poveri cristi abbandonati a se stessi e senza futuro. Dopo quindici giorni mi spostarono dal camerine ad una cella singola, mi rilassai un po’. Una mattina bisticciai con una guardia e subito venni portato in una cella dove fui legato al letto di detenzione tramite grosse fasce di stoffa a polsi e caviglie oltre ad essere privato degli indumenti.
Il materasso aveva un grosso buco che serviva ai bisogni fisiologici ma il più delle volte diventava un problema anche urinare al punto da arrivare a farsela addosso. Per mangiare c’era una gavetta di ferro sul letto ed un altro fuori di testa, che per fortuna era calmo, ti imboccava. Lo stesso prigioniero era anche incaricato di pulirti il sedere e il resto ed anche il buco adibito a contenitore di bisogni fisiologici. Io stetti legato per una settimana ma c’era chi lo era da più tempo. Al posto di riportarmi in cella mi portarono in una cella a forma di gabbia, senza tv tavoli o stipetti, al pieno terra. In compenso c’era un piccolo bagno tutto sporco e nell’evenienza di sottopormi a visite mediche sarei stato scortato da due guardie perché per loro ero un soggetto pericoloso. In effetti non avevano tutti i torti dopo quello che avevo combinato dopo essere uscito dall’isolamento. Facevo scoppiare le bombolette del gas dentro la sezione oppure le buttavo dalla finestra della cella in direzione del muro di cinta della guardia. Ero molto arrabbiato. Alcuni prigionieri, quando sentivano forti boati all’interno della sezione, andavano in escandescenza mentre altri si incuriosivano. Poi c’erano i finti matti. Feci amicizia con un prigioniero che doveva scontare venti anni perché aveva ucciso il padre e la madre. Insieme ad altri due prigionieri decidemmo di mettere in piedi una rivolta nel manicomio sequestrando due guardie dei due reparti e, una volta venuti in possesso delle chiavi delle celle, aprire così le celle degli altri prigionieri cercando di coinvolgerli nello smembramento delle celle fino ad appiccare degli incendi. Poi ci fu un cambio di programma. Non si fece più nulla. Dopo due giorni venivo trasferito al manicomio criminale di Napoli.
Dopo una settimana mi venne dato un lavoro, il mio compito era di imboccare alcuni prigionieri collocati nel reparto di infermeria e legati sul letto di detenzione.
Un pomeriggio, un prigioniero che era legato al letto andò in escandescenza e sopraggiunsero due guardie graduate come appuntati e una di queste si levò la cintura e cominciò a picchiare il prigioniero. La mia reazione fu istintiva e presi a calci e a pugni una delle due ferendogli gravemente la retina dell’occhio destro. Era come se fossi impazzito, cercai di agguantare la seconda guardia che riuscì a barricarsi in infermeria. Venni braccato da diverse guardie e preso a calci e a pugni, poi venni legato sul letto di detenzioni e ci rimasi per venti giorni. Ero pieno di lividi e dolori. Questo fa parte di chi non ha mai voluto farsi domare e che ancora continua a non abbassare la testa. Questo è un altro pezzo della mia storia che mi vede portato nei manicomi esclusivamente con l’obiettivo di mettermi fuori combattimento. Questo è quanto non sono riusciti a fare perché io sono ancora vivo e spero di rimanerlo ancora per molto tempo nella mente dei compagni e delle compagne.

Lun, 23/06/2008
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