31/05/2008: Nucleare Atomo, affari e militari


"Stiamo costruendo know how attorno al nucleare. Vogliamo essere protagonisti della ricerca della nuova generazione". Lo ha detto Pier Luigi Bersani, ministro dello Sviluppo economico nel governo Prodi, commentando la notizia che Edison sta studiando con i soci francesi il rilancio del nucleare e la costruzione di alcune centrali in Italia.
Prima di lui era stata la volta di Massimo D'Alema, nel suo discorso di chiusura del World energy council: "L'argomento è delicato, ma questo governo è impegnato a recuperare il tempo perduto e intende rilanciare la ricerca sul nucleare".
Poi il governo è stato sfiduciato, ma il tema del rilancio del nucleare "italiano" è ormai in ogni dove, accompagnato da miti e leggende come si confà quando si tratta di dare l'avvio ad una poderosa impresa economica in sintonia con il pressing a livello mondiale sull'atomo. A tale proposito l'Agenzia Internazionale per l'Energia ci comunica che tra il 1992 ed il 2005 il nucleare da fissione - quello più costoso ed inquinante - ha usufruito del 46% degli investimenti di ricerca e di sviluppo, quello da fusione del 12%, mentre alle rinnovabili è andato solo l'11%.
Le centrali di quarta generazione "a sicurezza intrinseca" – tanto sbandierate dai politici – sono ancora alla fase di studio e progettazione e potrebbero essere pronte, in teoria, solo tra una ventina d'anni, e pur riducendo notevolmente i pericoli di impianti simili a quello di Chernobyl, non risolverebbero il problema delle scorie e del loro smaltimento, per lasciare un'eredità pesantissima sulle spalle delle generazioni future: quale opera umana può ragionevolmente pensare di sfidare l'usura del tempo per garantire il mantenimento delle condizioni di sicurezza richieste da rifiuti radioattivi che mantengono la loro capacità di contaminazione per migliaia di anni?
Nonostante questa banale constatazione, arricchita dall'esperienza acquisita in Campania con la vicenda dei rifiuti e delle discariche che dimostra la voracità di un sistema politico-affaristico che manovra le emergenze a proprio esclusivo vantaggio, la locomotiva nucleare si è rimessa in movimento. Approfittando dell'aumento del prezzo del petrolio, dei cambiamenti climatici indotti dall'uso forsennato dei combustibili fossili, il partito nucleare ha ripreso quota: negli Stati Uniti, dopo che per trent'anni non si è completata alcuna nuova centrale e gli investimenti si sono concentrati sul ripotenziamento di vecchi impianti, nel 2005 si è introdotto un incentivo economico - ben più alto rispetto alle fonti convenzionali - affinché gli investitori privati tornino a costruire centrali nucleari; i risultati al momento sono modesti (forse una o due nuove centrali entro il 2015) a causa dei costi effettivi di investimento, ancora troppo alti e poco competitivi. È bene rammentare che lo sviluppo passato del nucleare civile è dovuto al suo stretto legame con il nucleare militare e agli investimenti "pubblici" di cui ha potuto usufruire. Molte delle tecnologie indispensabili per il nucleare civile sono utilizzabili da quello militare: dall'arricchimento del combustibile per ricavare Uranio 235 (utilizzato nella bomba di Hiroshima) al riprocessamento del combustibile esaurito per ricavare Plutonio (presente nella bomba di Nagasaki). L'opposizione statunitense alla costruzione della centrale atomica iraniana la dice lunga a proposito.
Anche l'uranio impoverito è un sottoprodotto del ciclo del combustibile nucleare civile ed è disponibile in grandi quantità e a costi bassissimi: le sue proprietà lo rendono particolarmente adatto alle esigenze militari nonostante i rischi che comporta.
Il legame con il militare è poi evidente se si considera la questione "sicurezza". In Francia i treni speciali che trasportano scorie nucleari sono scortati da mezzi dell'esercito e l'itinerario del treno cambia in continuazione; ovunque il controllo e la militarizzazione del territorio accompagnano l'insediamento delle centrali per evitare sabotaggi che avrebbero effetti devastanti o furti di materiale radioattivo. Tra l'altro il passare ai reattori autofertilizzanti vuol dire passare al plutonio, ad una sostanza cioè particolarmente idonea ad un uso militar terroristico.
Nonostante tutto "business is business" (gli affari sono affari) ed ecco che l'ENEL sta investendo pesantemente nel settore; non in Italia è ovvio, ma in Slovacchia dove sta completando due unità nucleari di vecchia generazione adottando criteri di sicurezza assolutamente inadeguati: non c'è alcun sistema di protezione da eventi esterni tipo la caduta di un aereo.
Per concludere, dopo oltre 60 anni il nucleare civile è ancora di fronte ai problemi di sempre: lo smaltimento delle scorie, la proliferazione delle armi atomiche, la limitatezza della risorsa Uranio stimata attualmente in circa 60 anni, il mito della "sicurezza intrinseca". Che non sia il caso di cambiare strada?

max.var.
Gio, 22/05/2008
Da http://lombardia.indymedia.org/?q=node/6619

http://www.autprol.org/