08/04/2008: Lettera di un guerrigliero dalle carceri-tomba di Uribe


La voce degli altri ostaggi: sono più numerosi e soffrono di più, ma il loro dramma non ha ripercussione mediatica.
Siamo venuti a conoscenza di alcune notizie relative alla liberazione di Clara Rojas e Consulelo Gonzalez, decisa unilateralmente dalla nostra organizzazione, e nello stesso tempo abbiamo percepito il senso della campagna mediatica, soprattutto quella dei mezzi di comunicazione dell'oligarchia colombiana e della destra venezuelana, tesa a deformarle. Dato che il mio soggiorno in prigione è cominciato recentemente, ho avuto anche modo di conoscere l'obiettività e l'imparzialità con cui alcuni mezzi di comunicazione venezuelani e l'ABP (Agenzia Bolivariana della Stampa) informano sui temi del conflitto colombiano ed in particolare dello scambio umanitario. Vorrei esporre alcune considerazioni con l'intenzione di contribuire ad una visione più giusta ed equilibrata della situazione dei prigionieri nel conflitto colombiano.

1. Anche noi siamo prigionieri e molti di noi sono arrivati qui in conseguenza di arresti che violano i procedimenti giudiziari dello stesso stato borghese. Perchè di noi non si dice che siamo stati sequestrati?

2. Una grande quantità, pur imprecisata, di detenuti nelle prigioni colombiane è vittima della cosidetta "sicurezza democratica". Si tratta di persone che sono state arrestate nelle tristemente note retate di massa e che oggi subiscono l'oppressione del venale e corrotto sistema penale colombiano. Molti dirigenti popolari sono stati imprigionati con l'accusa di essere guerriglieri e terroristi.

3. Chi si preoccupa dei prigionieri, o sequestrati, detenuti nelle luride, strapiene e repressive prigioni dello stato colombiano?

4. Perchè coloro che sono nella mani delle Farc-Ep sono considerati dei sequestrati e non dei prigionieri? Allora noi cosa siamo?

5. Ci definiscono terroristi, non ci riconoscono come prigionieri politici e concedono la libertà solo a coloro che ricorrono al tradimento e alla delazione, attraverso una farsa che chiamano reinserimento o l'esilio in un remoto paese di oltremare.

6. Le nostre famiglie non hanno il diritto di farsi sentire per reclamare la nostra libertà come fanno i parenti dei prigionieri della nostra organizzazione. Color che sollecitano un gesto di pace alla guerriglia dovrebbero chiedere la nostra liberazione con la stessa forza con cui lo fanno per coloro che sono prigionieri sulle montagne. Che differenza c'è tra loro e noi? Che differenza c'è tra Mendieta e gli altri militari detenuti nella selva e noi, che non godiamo nemmeno dell'aria di montagna? Che differenza c'è tra la rispettabile Ingrid e la nostra cara compagna Sonia, o una delle tante dirigenti del nostro partito [il PCCC, Partito Comunista Colombiano Clandestino, NdR]?

7. Non mi dilungo oltre, sò che ciò che fa la differenza tra le due categorie dei prigionieri è il loro carattere di classe. So che l'oligarchia e il suo esercito, appoggiati dall'impero stanno da una parte, e noi, col nostro sogno bolivariano, da quello opposto. Ma color che non vogliono mantenersi neutrali, non prendere partito, o semplicemente informare con equilibrio o, molto meglio, contribuire alla pace, informino sull'esistenza di una guerra, sulla perversione del terrorismo di stato che ci ha obbligato alla resistenza armata, sulla necessità della libertà per tutti i prigionieri, noi compresi, e del ritorno dei compagni che sono stati estradati in modo infame. Apriamo cammini di pace con sensatezza.

Fraternamente,
Miguel

P.s.: Scusatemi l'uso di uno pesudonimo, ma credo di avere il diritto a non rendere più dura l'esistenza della mia famiglia e la mia permanenza in questa prigione.

(Diretta all'Agenzia Bolivariana della Stampa)

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