03/04/2008: NO Security Expo 2008, Galatina (Le)


Note su sicurezza, controllo e propaganda militarista
L’ordine costituito annebbia la capacità di afferrare la realtà; […] chi ha interesse che la massa così chiusa in se stessa non si svegli, vi spruzza sopra coscientemente gocce di narcotico. (Boris Pahor, Necropoli)

Dal 3 al 6 aprile 2008 si terrà presso il Quartiere Fieristico di Galatina (Lecce), “Security Expo – Esposizione Euromediterranea per la Sicurezza Pubblica e la Difesa”.
Si tratta di un evento di portata nazionale che si svolge per il secondo anno consecutivo, una grande esposizione che “si propone quale luogo di confronto interdisciplinare su tutti gli aspetti legati al fenomeno sicurezza”; in pratica nelle quattro giornate si andrà dalla promozione di tutte le forze armate e di polizia e delle attività da esse svolte – dentro e fuori i confini nazionali –, alla riflessione e discussione su alcune tematiche legate a vario titolo alla sicurezza, all’incontro delle aziende che operano in tale settore con i loro potenziali clienti, passando attraverso un enorme coinvolgimento di tutti gli istituti scolastici che, oltre a poter effettuare visite guidate alla fiera, potranno presentare degli elaborati sul tema “Le forze armate come strumento di pace”.
Proprio a partire da questo aberrante concetto – completato dalla definizione che viene data dello stesso Expo come “School for Peace”, a sottolineare il continuo stupro del linguaggio che oggigiorno accompagna la mistificazione della realtà –, crediamo utile avviare un percorso di opposizione a questa vetrina, quanto meno per ristabilire alcune elementari verità e smascherare il vero ruolo ed operato che eserciti e forze armate svolgono in ogni parte del mondo.
Se una simile fiera si propone di favorire l’incontro tra “la domanda di sicurezza” di enti, amministrazioni pubbliche e singoli cittadini, e “l’offerta” delle aziende, le quali espongono i loro prodotti e progetti, la prima cosa da chiedersi è per quale motivo esista una tale domanda, e se essa sia spontanea o artificialmente indotta nel tessuto sociale. Da anni ormai veniamo bombardati – è proprio il caso di dire! – da ogni parte dai media che ci ricordano che viviamo in un clima di insicurezza. A forza di urlare “al lupo”, finiamo con il crederci realmente e, ormai terrorizzati e in preda al panico per la possibilità di incontrarlo sul nostro cammino, altro non facciamo che chiedere l’intervento del cacciatore di turno che possa proteggerci: lo Stato. Eppure, basterebbe semplicemente guardarsi attorno per rendersi conto che il problema maggiore nella società in cui viviamo non è affatto “il lupo”, anzi… I diretti responsabili delle guerre, delle carestie, delle devastazioni ambientali, dei morti sul lavoro, delle speculazioni finanziarie e di ogni altra sorta di nocività, non sono certamente coloro contro cui ci fanno avvertire il bisogno di essere protetti. Se tutto ciò sì ci rende insicuri lo straniero, il clandestino, il povero, lo spacciatore che abita accanto a noi, lo stupratore o lo scippatore di cui ogni giorno ci parlano i media, sono solo utili capri espiatori verso cui indirizzare le nostre paure e sfogare le proprie frustrazioni. Il nemico è chiunque non per gli atti che realmente compie, ma per ciò che potenzialmente potrebbe decidere di fare; ma se il nemico è chiunque, parlare di una “questione sicurezza” implica la guerra contro tutti da parte dello Stato, compresi i suoi stessi cittadini, e se ciò è vero i meccanismi della guerra saranno anche i meccanismi di controllo utilizzati dallo Stato medesimo. Le guerre fuori dai confini nazionali diventano operazioni di polizia, e le operazioni di polizia interne diventano guerre.

La guerra è pace.
Prioritario diventa allora smascherare i vari aspetti e soggetti che alimentano il militarismo e la lunga scia di morte e devastazione che si lascia dietro. Oltre a tutti gli eserciti, le forze armate e le aziende coinvolte nella produzione di armamenti quindi, anche espositori della fiera come il Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione dell’Università di Lecce. Il suo laboratorio di Nanotecnologie è uno dei maggiori e più avanzati centri di ricerca a livello mondiale; osannato come fiore all’occhiello di questo territorio e simbolo di riscatto del meridione, presentato come opportunità lavorativa per decine di “cervelli nostrani” di cui è possibile evitare la fuga all’estero, centro su cui convergono decine di milioni di euro di finanziamenti privati e pubblici (Stato, Regione e Provincia), esso è direttamente implicato con la progettazione di materiale bellico di avanguardia.
Oppure enti come la Croce Rossa, istituzione paramilitare al servizio dei potenti. All’estero affianca gli eserciti per legittimare le guerre, rappresentando di fatto la faccia dolce del militarismo; in Italia si arricchisce con il business dei clandestini, gestendo numerosi Centri di Permanenza Temporanea. Dovunque ci sia una guerra essa è presente per fornire assistenza medica ai militari feriti degli eserciti invasori e per gestire emergenze sanitarie e campi profughi, sempre nell’ottica di scoraggiare la ribellione delle popolazioni civili, non denunciando mai, per evidente complicità, le cause reali delle sofferenze che è pagata per lenire. Accanto alla Croce Rossa, organismi come la Protezione Civile, che in stretta simbiosi con la prima e con tutte le forze di polizia, è stata recentemente protagonista delle cosiddette “esercitazioni antiterrorismo”, vere e proprie messinscene effettuate con lo scopo di abituarci all’idea che la guerra è ormai ovunque, e che in qualunque momento potremmo saltare in aria. Il fine è ben chiaro: rendere normale la paura, insinuandola nella vita e nella quotidianità di ognuno.
Tra i patrocinatori della fiera figurano istituzioni quali la Regione Puglia, la Provincia di Lecce e il Comune di Galatina, tutte rette da amministrazioni di centro sinistra a capo delle quali ci sono personaggi che amano avvolgersi nella bandiera della pace ed ergersi a paladini della libertà. L’esempio più eclatante è dato da Nichi Vendola, governatore di Puglia. Di quella stessa Puglia che è stata definita, nella giornata nazionale contro le mafie tenutasi a Bari, Arca di pace, ma che di fatto rappresenta una delle regioni più militarizzate a livello nazionale; zona di frontiera funzionale a gestire il flusso di profughi o immigrati in fuga, attraverso i molti Centri di detenzione presenti, e sfruttata nei vari conflitti passati e in atto (Balcani, Afghanistan, Iraq e Medio Oriente) come base logistica da cui far partire navi e aerei militari, e per l’utilizzo del sistema radaristico e di intercettazione satellitare presente in vari punti della Regione. Come esempi, basta accennare all’aeroporto di Gioia del Colle (Ba) avamposto – anche di tipo nucleare – dello schieramento militare Nato in ambito sud europeo; o alle maggiori strutture dell’Aeronautica e della Marina Militare di Taranto e provincia, inserite nell’assetto operativo Nato e Usa, come sedi di sistemi di “Controllo Comando” in continuo aggiornamento. O ancora, l’aeroporto militare di Brindisi, sede della più grande Base Logistica ONU al mondo, con depositi del PAM (Programma Alimentare Mondiale).
Nel contesto di tale scenario è da inquadrare il progetto di allargamento della base radar di Otranto (Le), nel capo di Punta Palascìa dove, tuttavia, il vincolo paesaggistico pare non consenta mano libera in tal senso. A livello nazionale invece, nell’ambito delle guerre di conquista sempre più presenti nei progetti degli Stati occidentali, è da citare l’ampliamento della base militare di Vicenza per renderla la più grande base Usa al di fuori dei confini statunitensi.

Una pace terrificante.
Quella di coinvolgere gli istituti scolastici, rendendoli partecipi secondo l’erroneo convincimento democratico che “partecipazione è libertà”, è una mossa che si inserisce all’interno di un percorso battuto ormai da anni nel Salento, che vede una enorme campagna propagandistica di tutte le forze armate mirata a spingere i giovani all’arruolamento; una campagna che non lascia scampo neanche durante le vacanze estive, perseguitando i ragazzi fin sulle spiagge assolate. Le divise di ogni colore trovano da sempre terreno fertile nel mezzogiorno d’Italia, in virtù di una crisi occupazionale sempre consistente e del fatto che, all’interno di un contesto di arretratezza culturale congenita, “posto fisso” e “divisa” continuano ad essere, agli occhi di molti, il simbolo del raggiungimento di un certo status sociale. Instillare il concetto di “forze armate come strumento di pace” è funzionale a mistificare la realtà agli occhi di tutti e a dare l’idea ai giovani studenti che, arruolandosi, si adempie al dovere di “bravi cittadini” al servizio del proprio Paese e si aiuta il prossimo, quel prossimo che gli stessi hanno bombardato in precedenza o che le economie hanno depredato. In soccorso a questo concetto negli ultimi anni abbiamo assistito ad un crescendo della retorica patriottarda: basti pensare al prepotente ritorno dell’inno nazionale in vari ambiti del vissuto.

La sicurezza come negazione della libertà.
È quantomeno curioso che i convegni che si terranno all’interno di Security Expo riguardino temi quali “Sicurezza sociale”, mentre proprio coloro che ne parlano sono i responsabili della precarizzazione delle nostre esistenze, o che si tocchino temi come “Sicurezza sui luoghi di lavoro” quando ogni anno, anche grazie ad un continuo attacco e smantellamento delle conquiste ottenute con anni di lotta, in Italia muoiono di lavoro 1300 persone e molte altre migliaia restano ferite o invalide. E ancora, altri temi su cui si discuterà saranno “La tutela ambientale”, ad opera degli stessi criminali che hanno portato il pianeta sul baratro del collasso ecologico, o “La sicurezza dei mari”, che nel Salento e in Puglia ha significato pattugliamenti costanti per garantire una blindatura delle coste contro le migliaia di disperati che tentano di sfuggire alle guerre e alla fame, con vere e proprie operazioni militari quando ce ne fosse bisogno, come ci ricorda l’affondamento della Kater I Rades, nave carica di albanesi, nel marzo 1997. Senza tralasciare le tante morti per naufragio di quei migranti che hanno sfidato il mare con mezzi di fortuna: più di 1000 annegati nel 2007, 1500 nel 2006, nel più generale tentativo di raggiungere la Fortezza Europa. Più sensato è invece che i responsabili diretti dello sfacelo in cui versano le nostre vite discutano di “Gestione delle emergenze”, in quanto è proprio sulla continua creazione di emergenze che reggono il loro dominio, o di “Sicurezza e privacy nell’espropriazione forzata” dal momento che, oltre ad espropriarci delle nostre esistenze, sempre più spesso saremo costretti a vederci espropriati anche delle nostre abitazioni, per acquistare le quali cadiamo alla mercé di banche e strozzini vari, o a guardare passivamente espropriazioni di terreni ed edifici, funzionali alla costruzione di progetti di devastazione ambientale e sociale: TAV, autostrade, discariche, inceneritori, rigassificatori…
Eppure tutto questo affannarsi a “promuovere prodotti e modelli di intervento in grado di accrescere nei cittadini il senso e il valore della sicurezza” lo fanno in nostro nome, per garantire ad ognuno – ci dicono – il “diritto alla sicurezza”. Ma su che cosa si fonda questo “diritto”? Innanzitutto sulla soppressione di altri “diritti” ma soprattutto, ed è questo il punto fondamentale, su una restrizione sempre maggiore delle libertà individuali e collettive, una restrizione che permea ogni aspetto del vissuto quotidiano. Per quanto si impegnino a far passare l’equazione “Più sicurezza uguale maggiore libertà”, non c’è dubbio alcuno che tale assioma sia palesemente falso: la sicurezza non è garanzia di libertà, bensì la sua negazione preventiva.

Una macchina da inceppare.
Parlare di opposizione al militarismo, quindi, non può significare un semplice “si alla pace”, ma un preciso “no alla guerra” e alle sue ramificazioni; a quella guerreggiata che distrugge interi territori, affama le popolazioni e le impoverisce, rapinando le sue risorse. A quella fatta di uomini, mezzi e strutture, assi portanti della prima e più vicine a noi rispetto ad essa, al fine di smascherarne il ruolo e incepparne la funzione.
Poiché infine si è detto che guerra e sicurezza sono due facce della stessa medaglia, allora è necessario opporsi a questa guerra non dichiarata, che riduce sempre più gli spazi di libertà, in ogni ambito della nostra vita, dalla scuola alla fabbrica, dalla strada fino alle mura di un carcere, sempre utile spauracchio per chi non si rassegna. La consapevolezza è il primo passo, l’autorganizzazione è quello successivo perché si possa mettere in discussione dalle fondamenta l’ideologia dell’economia, del profitto e del dominio che è realmente alla base di questo secolare sfacelo.
Ribadiamo allora un profondo NO verso il Security Expo 2008 di Galatina (Le) e lanciamo una proposta di mobilitazione da ora fino alle quattro giornate della vetrina, una mobilitazione che non necessariamente deve essere praticata sul territorio salentino, considerando che come più volte è stato ribadito “guerra e controllo sociale sono ovunque”, e tenendo anche conto che, tra i patrocinatori dell’evento, ci sono tutte le province dell’area adriatica di seguito elencate: Teramo, Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno, Pescara, Chieti, Campobasso, Foggia, Bari, Brindisi, Lecce, Taranto, nonché l’Università di Perugia e tantissimi altri enti e istituzioni, il cui elenco completo si può consultare sul sito ufficiale dell’expo: www.securityexpo.it.

Disertori del controllo sociale

Calendario di alcune iniziative in programma:
- Giovedì 3 aprile, ore 9.30: presidio informativo e mostra su guerre e controllo sociale presso il mercato di Galatina (Le);
- Sabato 5 aprile, ore 18, proiezione di due documentari su guerra e mercenari e discussione, presso lo Spazio Libertario in via Ottavio Scalfo, 44, Galatina (Le);
- Domenica 6 aprile, ore 10, presidio informativo e mostra su guerre e controllo sociale, p.za San Pietro, Galatina (Le).

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