15/02/2008: Siano da morire!


Da oltre quattro mesi, nel carcere di Siano-Catanzaro, è stata aperta una nuova struttura detentiva denominata ad EIV (Elevato Indice di Vigilanza). In questa struttura, sottoposti allo stesso regime carcerario, sono rinchiusi sia i detenuti provenienti dal carcere di Palmi che, in una delle sezioni, 8 detenuti politici, di cui 3 delle inchieste sui movimenti islamici, 3 compagni dell’inchiesta PCC e 1 militante delle BR-Walter Alasia. Inoltre, per un breve periodo, altri 11 compagni dell’inchiesta del 12 febbraio (PCPM), hanno condiviso la stessa esperienza.
L’apertura di questa nuova sezione, e la tipologia della stessa, pone alcune riflessioni che pensiamo sia importante condividere e denunciare pubblicamente.

Ci sembra di poter cogliere da parte del Ministero due fondamentali intenzioni:
- la prima, che riguarda prevalentemente i prigionieri politici, crediamo la si possa definire politica di deportazione [1] e isolamento. E’ da metà anni 80 che non veniva ripresa, almeno in questa forma (inizialmente 20 prigionieri tutti insieme!), la prassi di portare a più di 1.000 km di distanza dal luogo dei loro affetti e rapporti i compagni incarcerati (alcuni da oltre 25 anni!). Deportazione ed isolamento aggravato da condizioni impossibili di colloquio con familiari ed amici. I colloqui [2], infatti sono previsti un unico giorno settimanale e lavorativo. Viene impedito, nei fatti, alla faccia delle 6 ore formalmente consentite, la possibilità di usufruirne: le difficoltà oggettive (economiche, di lavoro), permettono al massimo un colloquio al mese.
- la seconda è quella di “blindare” questa sezione, di chiuderla e separarla da tutto il resto. Ciò risulta evidente sia dall’inchiodatura e oscuramento delle finestre della sezione e fino a poco tempo fa, della saletta, sia dal progetto, confermato dallo stesso direttore del carcere, di montare alle finestre delle celle le famigerate “bocche di lupo”, ribattezzate per l’occasione “gelosie”! [3]; ovvero, l’applicazione di barriere alle finestre per impedire l’accesso di aria e luce, oscurare qualsiasi possibile contatto visivo ed uditivo.
Questa blindatura è confermata dal divieto di rapporti anche solo “visivi” con prigionieri delle altre sezioni di EIV, che si sostanzia soprattutto nell’assurda alternativa tra “passeggio” e medico e nell’impossibilità di risalire dall’aria prima di due ore, affinché non si realizzi nessun possibile contatto.

A questi due intenti se ne aggiunge un altro, solo apparentemente prodotto della gestione “locale”: la rigidità/chiusura che investe ogni aspetto delle condizioni di prigionia in questo carcere. Una serie di cose formalmente o informalmente garantite fino a qualche anno fa, vengono eliminate: si va dalla socialità, alla situazione sanitaria, alla domandina (con conseguente impossibilità, per chi non ce l’ha già, di avere cose essenziali quali orologio, musica, cancelleria…), alla restrizione dei giornali da acquistare, alla riduzione della possibilità di fare entrare viveri per pacco e della loro quantità (in barba ai 20 Kg. mensili formalmente garantiti!). Inoltre, nel contesto di questa ed altre restrizioni, si vorrebbe imporre un rapporto individualizzato tra prigioniero e direzione del carcere affinché, ogni espressione, ogni richiesta non assuma valore collettivo, si svilisca nel rapporto tra individuo e apparato così da poter consentire ogni pressione ed esercitare tutto il potere ricattatorio di cui questo dispositivo può disporre.

L’impronta data a questa nuova sezione manifesta l’intenzione di trasformare il circuito di EIV [4] in un ulteriore strumento di deterrenza che si affianca al regime di 41 bis. Questo nel contesto della più generale politica degli ultimi anni contro ogni espressione di ripresa di iniziative contro lo “stato di cose presenti”. Stato di cose che è contrassegnato da un’acuta crisi economico-sociale del sistema capitalistico, che si manifesta soprattutto con la guerra e la accentuazione dello sfruttamento (precarizzazione, crisi). Questo contesto spinge sempre più lo Stato a gettare la maschera del diritto, ad agire preventivamente con la violenza contro ogni istanza di trasformazione o chiunque esprima un principio di resistenza sia all’interno dei propri confini che all’esterno. Non è una scelta legata ad una corrente o a schieramenti politici, ma scelte inerenti la natura stessa dello Stato borghese e ricorda, almeno per quanto riguarda l’Italia, quella che fu praticata in risposta alle lotte del '68/'69, con le stragi e le denuncie di massa di operai e studenti. Solo che allora era il movimento di classe ad essere forte… oggi forse è il capitale ad essere troppo “debole”, almeno strutturalmente, per sopportare anche il sentore di una resistenza.
Già i fatti di Genova (precedenti l’11 settembre!), hanno dimostrato la volontà di prevenire con ogni mezzo la ripresa di un movimento non rituale anticapitalista. Ma quello fu solo un primo segnale. Gli anni che seguirono sono stati quelli della instaurazione di una legislazione speciale cosiddetta “antiterroristica” che ha avuto l’unico scopo di dare mano libera agli apparati polizieschi contro ogni forma di resistenza. In Italia abbiamo visto i vari 270 bis, ter, ecc, in molti processi sommari, gli ultimi sono il caso di Genova, Cosenza, Firenze… ma non vanno dimenticati i tanti contro anarchici, compagni vari, quelli dell’11 marzo, musulmani… E la legalizzazione delle espulsioni di stranieri in stati dove si tortura e quando ciò non è possibile o non si ritiene opportuno, si provvede ad appaltare a servizi “paralleli” o stranieri il sequestro di persone, sempre con lo scopo di avere mano libera e poter liberamente torturare nei paesi dove questa prassi è la norma. Ma con Guantanamo e gli altri carceri più o meno segreti gestiti dalla Cia o da altri servizi occidentali, è caduto anche questo ultimo tabù (tortura), che gli Stati “democratici” vantano avere.

Il muro di isolamento e di blindatura che vorrebbero erigere intorno a questo carcere ed in particolar modo intorno a questa sezione, non risponde a presunte esigenze di sicurezza, ma solo al tentativo di chiudere ulteriori spazi di vivibilità, socialità e salute (in barba anche alle loro stesse leggi e normative!), nel tentativo di recidere ogni rapporto di solidarietà, affetto, umanità sia all’interno che all’esterno di queste mura. Risponde al tentativo di piegare l’identità politica dei prigionieri e spezzarne la resistenza, impedire ogni spazio di riflessione autonoma non assoggettabile.
Ogni spazio che si chiude all’interno delle carceri è uno spazio che si chiude, sempre più, intorno ad ognuno di noi; ogni silenzio è una rinuncia alla possibilità di pensare e credere che sia possibile e giusto lottare contro ogni sopruso, vessazione, sfruttamento, miseria, guerra, razzismo.
Ogni conquista che ci viene espropriata è una parte della nostra condizione di vita e di lavoro che peggiora.

Per questo e per molto altro ancora, continueremo a lavorare per denunciare quanto succede in questo carcere, a denunciare i piani in corso di attuazione. [5]
Lavoreremo per un confronto e un incontro con tutte le realtà interessate affinché si sviluppi un’attenzione sul carcere anche su questo territorio, quale condizione imprescindibile della difesa delle condizioni psico/fisiche di tutti i detenuti e l’identità dei rivoluzionari prigionieri. Lavoreremo per la nostra stessa possibilità di esprimere, come lavoratori e sfruttati, un’alterità a questo stato di cose.

Amici e familiari dei prigionieri rivoluzionari
Per contatti: unlibroinpiu@libero.it


Note:

[1] Politica di deportazione utilizzata, probabilmente, anche come atto punitivo nei confronti di compagni da 26 anni in galera a seguito della campagna “Un libro in più di Castelli”, che aveva fatto maturare una bella mobilitazione sotto il carcere di Biella che aveva visto impegnate insieme forme ed esperienze diverse contro le politiche carcerarie.

[2] Recentemente una compagna che ha, da oltre 20 anni, colloqui in qualità di tutrice con un prigioniero, è stata convocata, sotto richiesta di informativa da parte della direzione del carcere di Siano, dalla P.S. per informazioni sulla natura dei suoi permessi. Ci sembra che questo atto, apparentemente innocuo, sia solo in funzione di creare maggiore pressione ed intimidazione nei confronti di chi (familiari o amici), ha rapporti con prigionieri.

[3] Il carattere sfacciatamente afflittivo di queste barriere insieme alla censura sui giornali, furono alcuni degli elementi che determinò, negli anni ’70, un vasto movimento di prigionieri (e non solo), che portò alla loro abrogazione con la riforma penitenziaria del ’75.

[4] I prigionieri sottoposti ad EIV si trovano sempre più spesso a subire le stesse privazioni, se non addirittura peggiori, di quelle previste dall’art. 41 bis o.p., specialmente per quanto riguarda l’isolamento e la censura. A differenza del 41 bis, però l’EIV è un regime detentivo molto più arbitrario in quanto ad applicabilità e specifiche condizioni a cui si è sottoposti. Negli ultimi anni, il suo ampio utilizzo, specialmente nei confronti di detenuti politici, rende evidente la volontà statale di estendere le condizioni di trattamento previste dal 41 bis, come preannunciato sia dal ministro Castelli che da Mastella, senza tuttavia incorrere in critiche di incostituzionalità, di violazione dei diritti umani, per l’utilizzo di questa forma di tortura, propria del 41 bis. La situazione delle carceri italiane ha meritato l'attenzione del Commissario per i diritti umani di Strasburgo (2005); l'Italia è stata condannata, per l'introduzione e la disciplina dei reparti EIV (Elevato Indice di Vigilanza) dalla stessa Corte Europea per i Diritti dell'Uomo nel 2005; ed il recente provvedimento finale (Concluding Observations) di maggio 2007 del Comitato Contro la Tortura sulla situazione italiana rileva come nelle maglie del nostro ordinamento si annidino rischi di involuzione della politica sui diritti umani verso l'abbassamento delle garanzie di tutela e ciò in quanto l'innalzamento delle condizioni di sicurezza compromette e, in alcuni casi pregiudica, l'effettività del divieto di pratiche degradanti la dignità umana.

[5] E’ previsto che questo carcere diventi uno dei 4 carceri più grandi del meridione dopo Poggioreale, l’Ucciardone, Lecce. Questo comporterà, più di quanto già non comporti, un ulteriore peggioramento nella vita di ognuno in termini di controllo, di presenza militare, di condizioni economiche, di spesa pubblica, di ristrutturazione del territorio, di agibilità politica e possibilità di espressione delle lotte.

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