11/01/2008: Lettera di Giorgos Voutsis-Vogiatzis


Ora che hanno tutti chiuso le loro bocche, parliamo di scelte.
“...Molti di noi sono morti o sono stati fatti prigionieri lungo la strada; molti altri sono stati feriti e permanentemente tagliati fuori dall’azione; e certi elementi si sono anche lasciati scivolare sullo sfondo a causa della loro mancanza di coraggio; ma io credo di poter dire che la nostra formazione nell’insieme non abbia mai vacillato fino a che si è tuffata nel cuore della distruzione.”

Per attaccare le moderne istituzioni di represione e sfruttamento, occorre - prima di tutto - rifiutare la produzione di massa delle coscienze a cui questo mondo da origine. Autorità non vuol dire più una tecnica di amministrazione privileggiata, imbrigliata saldamente nella rete di un’elite di minoranza. È un rapporto sociale diffuso che trova la sua espressione in ogni aspetto della vita di ogni giorno. La trasformazione dell’antagonismo sociale ha inevitabilmente creato la necessità della rifabbricazione e sofisticazione dei vecchi termini della repressione. Questo processo non è venuto fuori dal cielo, né è stato semplicemente forzato tramite la violenza fisica. Le relazioni sociali sono state modellate nel corso dei decenni trascorsi all’interno della fabbrica sociale; sono pregne di parole chiave proprie. Integrazione, “moralità”, omogeneità, “giusto senso civico”. Questo è il modo in cui i capi hanno confezionato i direttori e i loro supervisori, la moderna classe per colmare le lacune, i quali sono stati nominati sindacalisti, così come, sicuramente, l’obbediente lavoratore che, avendo -finalmente - rotto le catene della produzione di massa, può ora permettersi manette proprie. Hanno creato volontari per erigere la visione della “Grande Grecia”. Persone sottomesse non pagate che hanno nominato la loro servitù volontaria “restituendo alla società”. Gruppi sociali che, lavorando per il mantenimento della repressione e dello sfruttamento esistenti, fanno il ruolo degli assorbitori d’urto contribuendo all’assalto globale dei governanti.
Organizzazioni create dal bisogno della democrazia di mostrare un’immagine pubblica umanitaria. Basate sulla non violenza e sulla carità, stanno alacremente preparando i cimiteri per i caduti di domani sui loro campi di battaglia della democrazia. Queste mantengono i moderni campi di lavoro nei paesi del terzo mondo. Fabbriche di miseria, dove gli schiavi dell’economia costruiscono le finestre di vetro della civilizzazione occidentale, così come il consenso del moderno schizo-proletariato, trasformando la sua coscienza di classe nella coscienza consumistica.
I “cittadini giusti”, gli eroi armati della democrazia greca costituiscono la moderna espressione della legge e dell’ordine. Questi partecipano attivamente con il lavoro volontario nei progetti di sicurezza, informano la polizia sulle figure sospette e attaccano anche loro stessi i delinquenti. Ottengono le loro piccole ricompense dalla polizia per le loro gesta e si sentono orgogliosi. L’esigenza di sicurezza non è più una convenzione imposta. È un istinto sociale. Una diffusa richiesta militarizzata per la spietata difesa della proprietà. I poliziotti non sono solo quelli con l’uniforme. Anche la moralità di questo mondo indossa un’uniforme, esi è arruolata con vigore dalla parte dei capi.

Il 3/10/2007 ho rapinato la banca ETE in via Gyzi. Durante la mia fuga, circa un minuto e mezzo dopo la rapina e una volta in sella alla mia bicicletta, ho notato un passante attraversare via Ragkavi non lontano da dove ero io (una strada parallela a quella dove ero), il quale si dirigeva verso di me. Dopo un breve dialogo e mentre ero ancora sulla mia bici, questo passante si è trasformato in un “eroe” e ha dato un calcio alla mia bicicletta provocandone lo scontro con un’auto che passava e la mia caduta sul selciato. Da quel momento in avanti gli allarmi delle sirene stavano esplodendo tutti intorno a me...
La mia scelta di rapinare una banca costituisce una tappa nel mio percorso verso la negazione. Attacchi di guerriglia alle ricchezze del nemico tramite azioni di espropriazione affermano una costante scelta di attacco, storicamente coerente con la storia della negazione. La coerenza si deve muovere con un passo militare tra il pensare e l’agire. Rivoltosi, rapinatori, incendiari, sono tutti detonatori per far esplodere la stessa guerra. La negazione del lavoro è una parziale negazione dell’economia e del suo mondo. Il lavoro salariato è un processo alienato che produce disuguaglianze, basato sullo sfruttamento di qualcuno da parte di qualcun altro. È la commercializzazione del naturale impulso dell’umanità per la creazione e la sua integrazione nella fabbrica sociale di relazioni alienate. Il lavoro alienato ha la sua etica di sottomissione. La legalità, il modello del capo, la carriera.
Dove lavori? Quanto guadagni? Quando hai un giorno di riposo? Domande per informarsi sul ceto sociale del soggetto. Il lavoro alienato amministra e organizza anche il tempo libero, che è ugualmente modificato secondo lo status del lavoro che lo assoggetta (weekend, vacanze, giorni di riposo). In realtà il lavoro alienato definisce l’intera nostra esistenza. Le nostre chichiere di ogni giorno: come è andata al lavoro? Quando prendi lo stipendio? Il nostro stato d’animo: sono stanco morto oggi, non sono in vena di fare nulla, mi devo svegliare presto domattina. Possiamo dunque vedere come il significato profondo di temposia in gran parte modellato sul mondo del lavoro e sui bisogni dell’economia. La dimenzione immateriale del tempo assume un’espressione materiale modificata dalle tabelle della nostra schiavitù quotidiana. Rapinare un meccanismo economico di schiavitù non è l’unica scelta per realizzare la negazione del lavoro. Ma anche gli attacchi contro obiettivi economici costituiscono una proposta radicale di organizzazione e lotta che dia una spinta iniziale per la distruzione del lavoro.
Lo dirò di nuovo: la negazione del lavoro costituisce una parziale negazione dell’economia e del suo mondo. Per esempio: l’espropriazione di merci (dalle librerie, dai supermercati) costituisce un tipo di negazione del consumo, sebbene non un attacco totale all’economia. Rapinare una banca è un modo di negare il lavoro, ma non è un attacco totale al capitalismo. Se il fine giustifica qualche cosa, questa non risiede nel mezzo, ma nelle scelte sviluppate per l’azione. Il mezzo è una conseguenza della decisione di agire. Essi sono dialetticamente connessi al progetto. Sono formati in esso, ma non lo formano. La mia decisione di rapinare la banca ETE a Gyzi non è stata una vendicativa, fortuita operazione basata sulle armi che possedevo, ma una tappa mel mio percorso verso una totale negazione di questo mondo. Un percorso senza alcuna destinazione finale, ma con molte tappe intermedie. Tante quante le pistole che un rivoluzionario possiede nel suo arsenale. Così se c’è qualcosa che abbiamo bisogno di riprendere, è la coscenza personale. Oppure, ogni cosa massificata e collettiva è destinata a riprodurre la simultanea sconfitta della nostra coscenza, che si trasformerà nelle nuove masse sconfitte della nostra era.
Le ostilità continuano.

Giorgos

Invece di un P.S.: l’identità di una persona non è definita dal suo cognome,ma dal percorso e dalle scelte che le sono proprie. Sappiamo comunque che quando le telecamere vengono distrutte e gli informatori di bugie vengono picchiati senza pietà un timer comincia a ticchettare, misurando una realtà rovesciata. Questi che hanno calunniato e depredato i miei “dati personali” presto mi avranno di fronte. In ogni azione di solidarietà, desidero che sia menzionato per intero il mio nome includendo entrambi i miei cognomi.

Giorgos Voutsis-Vogiatzis è stato arrestato in seguito ad una rapina ad una banca ad Atene, Grecia, nell’Ottobre 2007

Cassa anarchica di solidarietà anticarceraria via dei messapi 51 latina

agitazione@hotmail.com

http://www.autprol.org/