09/01/2008: Di ritorno dalla Palestina, un primo bilancio, il lavoro futuro


Tre giorni fa la delegazione di solidarietà con Gaza assediata è rientrata in Italia.
E’ quindi il momento di un primo bilancio dell’attività svolta, di quel che abbiamo fatto nei giorni scorsi in Palestina e del lavoro svolto dalla fine di settembre quando abbiamo lanciato l’appello "Gaza vivrà – appello per la fine di un embargo genocida".

Da settembre ad oggi
In questi mesi un risultato lo abbiamo raggiunto: rompere l’assordante silenzio attorno all’embargo. Non era un risultato scontato. Non solo il governo e le forze politiche in generale non hanno alcun interesse a discutere della reale situazione a Gaza, dato che emergerebbe per intero la loro responsabilità in un crimine contro l’umanità, non solo i mezzi di (dis)informazione ampiamente sionistizzati oscurano e distorcono quel che è sotto gli occhi di tutti, ma anche nel campo degli amici della Palestina tante sono state le prudenze, i distinguo, le paure islamofobe.
Ci siamo dunque mossi controcorrente, raccogliendo tante ed importanti adesioni da scatenare (vedi l’attacco di Magdi Allam) la reazione del blocco filosionista.
Il silenzio in qualche modo è stato rotto, mentre la situazione sul campo ha confermato l’analisi sulla centralità di Gaza nell’attuale contesto.
Con il vertice di Annapolis (fine novembre) e la più recente "conferenza dei donatori" di Parigi si è confermata la pressione su Gaza. Gaza deve essere annientata perché essa è il simbolo della resistenza all’oppressione.
Miliardi di euro ad Abu Mazen mentre nella Striscia si fa la fame con le quotidiane incursioni israeliane a fare il resto.
Potevamo rimanere insensibili?
Potevamo rimanere con le mani in mano, in attesa di tempi migliori?
Non potevamo, ed abbiamo cercato di costruire una risposta. Non lo abbiamo fatto velleitariamente da soli, lo abbiamo fatto in costante contatto ed accordo con le legittime autorità di Gaza.

La delegazione di solidarietà
E’ così che è nata la delegazione di solidarietà politica ed umanitaria con Gaza.
Solidarietà umanitaria perché la denuncia della gravità della situazione umanitaria lì presente non potrà mai essere sufficiente, solidarietà politica perché il governo di Gaza è per noi quello legittimo, frutto di elezioni democratiche come riconosciuto da tutti gli osservatori. Ma solidarietà politica anche perché Gaza rappresenta oggi la resistenza all’occupazione.
E’ stata dunque costituita una delegazione rappresentativa dell’insieme dei firmatari dell’appello che si è posta l’obiettivo di entrare a Gaza. Che ha dichiarato apertamente questo suo obiettivo ed il suo programma.
Abbiamo cioè scelto, in accordo con i nostri fratelli palestinesi, un profilo aperto e non opportunista per denunciare con forza la natura di un embargo ancora più barbaro e disumano di quelli imposti alla Jugoslavia ed all’Iraq. In quei paesi se non altro i contatti umani non erano impediti, a Gaza sì.
Qualcuno ci ha criticato per aver assimilato la condizione del milione e mezzo di persone che vivono nella Striscia a quella dei campi di concentramento nazisti. In realtà la situazione vista sul posto e le notizie che ci arrivano dall’interno ci dicono che questo paragone (che come tutti i paragoni mette in conto le ovvie differenze storiche e di contesto) non è affatto fuori luogo.
Dal valico di Eretz abbiamo scritto che quel che stava davanti a noi era peggio di una prigione, perché nelle prigioni sono ammessi almeno i colloqui mentre a Gaza no.

Sapevamo delle difficoltà
Naturalmente, sapevamo delle difficoltà che avremmo incontrato.
Sapevamo che entrare a Gaza non sarebbe stato facile. Proprio per questo avevamo deciso nell’assemblea di Firenze di intraprendere un’iniziativa politica nei confronti del governo italiano.
Due settimane prima della partenza alcuni rappresentanti della delegazione hanno incontrato il viceministro degli Esteri Ugo Intini, al quale abbiamo chiesto che il governo italiano muovesse i necessari passi diplomatici nei confronti di Israele affinché non venissero posti intralci alla nostra visita.
Il governo, in quell’occasione ed in altri successivi contatti, dichiarò che avrebbe fatto il necessario per consentire la nostra missione.
Ovviamente non siamo così ingenui da non conoscere le posizioni politiche del governo Prodi.
L’Italia partecipa all’embargo, ma dichiara di non considerare Gaza “entità ostile”; il ministro degli esteri ha più volte dichiarato che con Hamas non si tratta, ma si può parlare. La scelta è stata dunque quella di “andare a vedere”, di portare allo scoperto il governo.
Ai rappresentanti dell’esecutivo abbiamo detto: conosciamo la vostra posizione, tant’è che con l’appello ne abbiamo richiesto il ribaltamento; quello che vi chiediamo ora è di attivarvi per consentire il buon esito di una missione che rappresenta il sentire di una larga fetta della popolazione italiana.
Proprio perché la delegazione aveva degli scopi politici ed umanitari ben precisi abbiamo deciso di giocare ogni carta, facendo in modo che ognuno dovesse assumersi le proprie responsabilità.

Un governo complice, un paese a sovranità limitata
Sappiamo com’è andata. L’ingresso nella Striscia ci è stato impedito.
Prima, nella settimana precedente alla partenza, il governo italiano ha cercato di fermarci con ripetuti inviti a non partire per “ragioni di sicurezza”, poi dopo il no politico affermato a chiare lettere dall’esercito e dal governo israeliano le autorità italiane si sono rifugiate in un “non possiamo far niente” che non ha bisogno di commenti.
Dopo il primo no ad Eretz, siamo andati al consolato di Gerusalemme per protestare fermamente. Abbiamo chiesto che da Roma ci venissero date risposte precise. Dopo circa tre ore di presidio all’interno del consolato è sembrato che uno spiraglio si aprisse con la possibilità di far entrare almeno una parte della delegazione.
Questa possibilità si è di nuovo chiusa la mattina successiva quando ci è stato comunicato che la nuova richiesta sarebbe stata esaminata dal comando centrale di Tsahal, preludio al definitivo no politico comunicatoci il giorno seguente mentre stavamo manifestando di nuovo al valico di Eretz.
Questi i fatti. Fatti dai quali emerge in modo cristallino il ruolo complice del governo italiano che mostra ancora una volta la realtà di un paese a sovranità limitata nei confronti degli Usa e, conseguentemente, di Israele.
Certo, niente di nuovo sotto il sole!, ma perlomeno un elemento chiaro in più per chi vuol riflettere su questo orrendo presente.

Non siamo entrati, ma....
Sapevamo dunque delle difficoltà, ma sapevamo anche che non potevamo rinviare il nostro tentativo.
Dopo Annapolis la situazione sta peggiorando. Un’offensiva su larga scala contro Gaza sembra alle porte, anche se è difficile stabilirne la data. Non potevamo dunque aspettare.
Ci eravamo assegnati il compito di portare in ogni modo un segnale di solidarietà, di fraternità, di impegno per una lotta che continua.
Abbiamo raggiunti questi obiettivi? Sì, li abbiamo raggiunti.
Non siamo entrati nella Striscia, ma l’impatto della nostra azione, gli incontri svolti, i contatti presi, il raccordo costante con Gaza ci hanno comunque consentito di raggiungere questo risultato. Un risultato che non enfatizziamo, perché è certo poca cosa rispetto alla drammaticità della situazione, ma un risultato concreto che ci aiuterà non poco a continuare la campagna per Gaza.
I media arabi e palestinesi non hanno fatto come quelli italiani. La notizia del blocco della delegazione è passata ampiamente, a partire da al Jazeera. E numerose sono state le interviste alle emittenti radiotelevisive di Gaza e della Cisgiordania.
Per quello che abbiamo potuto abbiamo portato la nostra protesta anche in luoghi altamente simbolici. Così è stato la sera del 24 dicembre nella piazza antistante la Chiesa della natività a Betlemme.

Gli incontri
A Ramallah, la delegazione ha avuto modo di effettuare approfonditi incontri sia con esponenti di Hamas che con il Fronte Popolare per Liberazione della Palestina (FPLP). Altri incontri li abbiamo avuti in Galilea con le principali organizzazioni politiche dei palestinesi con cittadinanza israeliana (Assemblea Democratica Nazionale, Movimento Islamico, Abna el Balad).
Da tutti questi incontri sono emerse valutazioni concordanti sulle elezioni del 2006, sulla politica imperialista di divisione del fronte palestinese, sulla maturità dell’obbiettivo di un unico Stato democratico sull’intero territorio della Palestina storica. Maturità certificata dalla morte della linea “due popoli, due Stati” che niente ha prodotto se non l’estensione dell’oppressione israeliana.
Particolarmente toccante è stato l’incontro con un esponente di Hamas che ha appena finito di scontare 5 anni nelle carceri israeliane dopo aver perso l’intera famiglia (moglie e tre figli) in un attentato “mirato” dell’esercito israeliano nel 2002.
In questi incontri, oltre che della situazione generale, si è discusso di alcuni aspetti particolarmente significativi dell’attuale situazione palestinese. Si è parlato della repressione, dei 47 parlamentari detenuti nelle carceri israeliane, una mostruosità che in occidente non sembra smuovere più di tanto; della campagna per la liberazione di Ahmed Saadat, segretario del FPLP, degli altri 11.000 palestinesi detenuti dagli israeliani.
In questi incontri sono state affrontate anche questioni di carattere più generale, dal ruolo di resistenza all’imperialismo dei movimenti islamici, alla spinta del sionismo verso nuove e più devastanti aggressioni (Iran).
Ai nostri interlocutori abbiamo espresso il nostro sostegno, manifestando la convinzione che la stessa lotta di liberazione del popolo palestinese potrà giungere finalmente ad una svolta solo nel quadro di una sconfitta generale dell’imperialismo. Da qui l’importanza del ruolo delle resistenze e la necessità della loro unità.

I messaggi da Gaza
I messaggi ed i comunicati che ci sono pervenuti da Gaza ci hanno fatto veramente capire quanto il nostro segnale, benché modesto ed insufficiente, sia stato colto nel suo significato di profonda solidarietà.
Ai ringraziamenti del Primo ministro Haniye si è aggiunto un comunicato ufficiale del governo nel quale si legge tra l’altro: "Consideriamo il rifiuto israeliano di permettere l’ingresso di questa delegazione come un loro tentativo di nascondere all’opinione pubblica europea i fatti terribili causati dalle sanzioni illegali e dai crimini e gli omicidi compiuti quotidianamente da Israele. Inoltre, l’aver impedito il loro ingresso indica chiaramente che gli israeliani non vogliono permettere alcun tipo di solidarietà verso il popolo di Gaza.
Siamo molto grati alla delegazione italiana per i tentativi che ha fatto di renderci visita, e invitiamo tutte le ONG internazionali ad inviare delegazioni per vedere come i palestinesi stiano soffrendo per un’occupazione illegale, e a convincere i propri governi a fare pressione sugli occupanti affinché mettano fine ai loro comportamenti vergognosi e criminali che non fanno differenza tra bambini, donne e anziani".
Un uguale ringraziamento ci è giunto dal Gruppo parlamentare di Hamas e da Ahmad Bahar, presidente con delega del Consiglio Legislativo Palestinese, che – dice il comunicato -"ha lodato l’iniziativa della delegazione italiana in visita in Palestina, che sta compiendo degli sforzi per sciogliere l’assedio imposto al popolo palestinese. Bahar ha definito la delegazione italiana come la “coscienza umana viva” che vuole combattere contro l’ingiustizia e le aggressioni praticate dall’occupazione israeliana nel terribile silenzio internazionale".
Questi messaggi ci dicono con chiarezza quanto sia importante, nella situazione data, ogni gesto di solidarietà internazionale. Abbiamo risposto ai nostri amici e fratelli di Gaza che il loro calore sarà per noi un forte incoraggiamento ad andare avanti, a continuare ed allargare la mobilitazione, a renderla più ampia ed incisiva.

Le prossime tappe
Ed è questo il punto dal quale occorre adesso partire.
Nei prossimi giorni convocheremo un incontro nazionale per fare il punto e passare ad una nuova fase della campagna contro l’embargo.
Le idee non mancano, quel che serve adesso è la passione e l’intelligenza di tutti quelli che sentono l’insopportabilità di quanto sta avvenendo.
A tutti un invito ad unirsi alla campagna per Gaza.
Quel che abbiamo fatto in questi mesi e nei giorni passati in Palestina è poca cosa rispetto all’enorme macchina dell’oppressione israeliana. Le nostre voci sono poca cosa rispetto alla canea addestrata dell’informazione a senso unico.
Eppure qualcosa si è mosso, alcuni passi sono stati compiuti. Passi piccoli ma preziosi per andare avanti. Passi che ci dicono che non è vero che non si può fare niente.
A Gaza si soffre, a Gaza si muore.
La lotta continua e Gaza vivrà.

1 gennaio 2008
GAZA VIVRA’, Campagna per la fine di un embargo genocida

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