06/01/2008: Da una lettera dal carcere di Bologna


Come già saprete, insieme ai miei compagni al maschile, abbiamo aderito ai vari scioperi della fame, in solidarietà agli ergastolani e ai prigionieri turchi detenuti nei blocchi F. Per continuare questa lotta insieme, ne inizieremo un’altra a metà gennaio di 1-2 settimane (di preciso ancora i giorni non li so perché la corrispondenza è un po’ lunga, tra una sezione e l’altra ci vogliono 5-7 giorni) per non abbandonare i detenuti con il “fine pena mai”, molti dei quali non hanno ancora mollato (go!) dal 1° dicembre.
Io, che sono entrata da poco, come da non molto mi è stato applicato l’EIV, il vivere queste giornate circondata dalle solite 4 mura, con vista deviata da sbarre e grate, con le solite procedure di annientamento psicofisico (perché se la mente soffre, il corpo degenera con essa), dove il tempo, scandito non più dall’orologio ma dal regolamento, si ferma e ogni giornata seguita, studiata, gestita e organizzata non più da se stessi, sembra un mese (soprattutto se sei isolata) mi convince sempre di più quanto sia logorante per una persona il sapere che un termine a tutto questo stillicidio non c’è, se non con la morte stessa!
La così detta “morte bevuta a sorsi”, l’ergastolo, è un negare la vita o meglio il far accettare la non-vita... vivere morendo giorno per giorno… lo stato, creato dall’essere umano, nega, al suo stesso creatore, la scelta di decidere se la propria vita va vissuta o meno!
Io non sono per il tramutamento dell’ergastolo in un’altra pena, sono per la sua completa abolizione, che può avvenire solo con l’annientamento della punizione carceraria; ed essendo il carcere una riproduzione, in maniera più tattile, di quello che si è costretti a (non) vivere fuori, non si potrà mai avere il suo totale abbattimento senza la distruzione del sistema sociale che l’ha generato e tutt’ora lo tiene in piedi.
Ma queste cose son già dette e ridette, in ogni caso non fa mai male ribadirle (non si sa mai in nuovi risvegli eheheh)... e se anche non si otterrà l’abolizione di questa condanna, per me, i legami che si sono creati e stanno continuando a nascere, danno voce a persone che spesso non riescono o non gli viene concesso di averne, sono una grande conquista.
Mi dà molta gioia l’unione che stan dimostrando gli ergastolani perché, per me, è un esempio lampante di riconquista della vita: la loro vita ce l’hanno ancora in mano, attraverso la lotta, lo spirito continua essendo impossibile da catturare e rinchiudere! Ed è per questo che il mio appoggio ora, come per sempre, va a chi da dentro, come da fuori, continua a lottare per la vita e le passioni libere!

Voglio raccontarvi alcune cose sulla realtà della sezione femminile della Dozza, che è piuttosto negativa (il carcere non è mai positivo) non solo per quanto riguarda la gestione, ma soprattutto per i rapporti che si instaurano tra detenute.
Nella sezione siamo solo in due a scioperare il 1° dicembre (per l’abolizione dell’ergastolo). A tutte le altre non gliene poteva fregare di meno! Questo perché qua, contrariamente al maschile, la solidarietà è praticamente nulla, cosa alquanto pesante dal momento che, in una situazione dove l’odio per quelle maledette sbarre ci accomuna, l’appoggio reciproco dovrebbe essere necessario e fondamentale.
Il costante stress dovuto alla battitura mattutina (la sveglia!), seguita da altre due giornaliere, le continue perquisizioni (4-5 celle al giorno, per due volte la settimana), il controllo facilitato per la sbirraglia, dovuto alla nostra bassa quantità numerica, il timore di vedersi privare di cose, di essere trattate bruscamente per chi non segue anche le minime funzioni imposte dal regolamento carcerario, quindi la sottomissione nei confronti di chi possiede le chiavi per l’uscita, è causa di un clima che tende a creare divisioni tra le detenute. Molte, pensando di ottenere vantaggi, come quello della scarcerazione preventiva, fanno le infami, altre van d’amore e d’accordo con le stesse maledette che ogni fottuto istante aprono e chiudono la porta della cella in cui sono costrette a marcire. E c’è persino chi non si fa scrupoli – anche per ignoranza – a condannare chi, come loro stesse è stata condannata (un esempio: è il caso di due mesi fa, quando diverse detenute ebbero il coraggio di raccogliere firme per mandare un’altra detenuta all’OPG (ospedale psichiatrico giudiziario)!, dove l’individuo viene annullato totalmente! Terribile. Condannate che condannano a morte! Pur sapendo come ci si sente nell’essere giudicate, han voluto fare la parte del giudice-carceriere!
Il vedere la mancanza di solidarietà mi ha molto turbata, ritenendola una delle principali fonti di rafforzamento giornaliero essenziale in posti del genere per non farsi sopraffare dallo sconforto. Questa mancanza è anche causa del cattivo impatto per le “nuove giunte” (da quel che ho visto in questi due mesi) che si tramuta in: “Io penso a me e chi se ne frega di quel che capita alle altre”.
Un’altra cosa che ci tenevo a dirvi sono i diversi fatti che capitano per via della malsana assistenza sanitaria che, a quanto pare, sembra comune in quasi tutte le carceri.
Gli infermieri (il medico sbuca fuori una volta ogni tanto, ma comunque non cambia in quanto a incapacità) sono solo capaci di prescrivere e imbottire dio farmaci e psicofarmaci, non curandosi in nessun modo di quello che prova e/o dice la “paziente”.
La scorsa settimana una ragazza si è messa a urlare (all’ennesimo richiamo non preso in considerazione) contro uno dei fantasmi in camice bianco per essere mandata in ospedale a fare la schermografia che confermasse il fatto che era in cinta, cosa risultata negativa dai test. Tuttora aspetta conferma dal medico per essere portata in ospedale per abortire, dal momento che sa, per la sua situazione e per quello che le è stato somministrato dai medici (tra antidolorifici e tranquillanti) che il bimbo, se nascerà vivrà male.
Un’altra mia ex compagna di braccio l’han resa incapace a mangiare per il continuo cambiamento di punture dovute alla trombosi (mi ha detto che molte gliele hanno lasciate fare da sola per via della loro incompetenza... pensate!). In molte continuano a dirle, io per lettera, che se continua così, la situazione degenera e per il suo bene sarebbe meglio il ricovero. Un’altra detenuta per via delle svariate circostanze, sempre dovute al menefreghismo del personale sanitario, ha dovuto abortire! Cavie! Cavie fuori, cavie dentro solo coi puntini sulle i. Tanto che importanza ha per la comunità una persona bollata con il timbro di “errore sociale”? Se sei recuperabile e rientri negli schemi del gioco avrai comunque per sempre quel marchio, magari potrai anche addossarlo a qualcun altro, se invece non lo sei, devi essere annientato, diventi niente, su di te potrà essere inflitto qualsiasi sopruso!... Di fronte alla legge, al codice, sparisce ogni sensibilità umana, chi la esercita priva e si priva di sensibilità umana...
Mi torna alla mente una storia di poco tempo fa che mi raccontava una compagna di braccio: qui partorì una ragazza rumena che, per evitare di non vedere più il bimbo con il darlo in affidamento, lo tenne con sé per tutto il periodo di detenzione, il quale durò 3 anni. Dopodiché il bimbo, una delle poche cose che imparò, in italiano, mettendosi di fronte alla porta blindata, fu: “agente, aria”... agghiacciante... L’essere umano è stato capace di rendersi insensibile anche di fronte alle scene più orribili...
Nati cresciuti, allevati in una gabbia, dove per respirare un pochino bisogna chiedere il permesso... e se anche ti viene concesso sarà comunque un respirare soffocato, perché contornato da mura ma chi non si accontenta di questo finto respirare, ha capito che per poterlo fare veramente, totalmente, liberamente, non si deve chiedere, è inutile, bisogna conquistarlo lottando con fatica ma per quello che si otterrà nel raggiungere lo scopo dato, o anche solo il tentare di farlo, ne varrà la pena!
Queste cose che vi ho raccontato, per mettere nuovamente in luce il fatto che vivi in un mondo malato a cui non si può scampare... ma è solo da affrontare !
Queste, per me, sono varie situazioni all’interno della sezione femminile che rendono la vita più difficile ma comunque affrontabile a testa alta grazie a quell’odio profondo nei confronti di chi opprime che, aumentato dalla solidarietà esterna, continua e non finirà mai di animarci.

31 dicembre 2007
Calore Maddalena

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