06/01/2008: La resistenza è una risposta al terrorismo


Il 17 gennaio 2008 ad Anversa si terrà il nuovo giudizio d’Appello per “il processo DHKP-C”. Ripercorriamo brevemente le tappe di un processo esemplare della deriva securitaria cui conducono le legislazioni eccezionali applicate e potenziate dopo l’11 settembre.

Il 28 febbraio 2006, il tribunale di Bruges, in Belgio, condanna in prima istanza la maggioranza di 11 imputati sospettati di essere membri del DHKP-C (partito comunista turco inserito nella famigerata lista nera delle organizzazioni terroristiche) a pene detentive pesanti. Si utilizza la nuova legislazione "antiterrorismo" per condannarli con la qualifica di "terroristi", nonostante essi non abbiano commesso alcun atto violento né in Belgio, né in Turchia, né altrove.
Fra questi Asoglu Musa, Kaya Saz e Sukriye Akar sono immediatamente imprigionati nella prigione di Bruges, in isolamento. Mentre Bahar Kimyongur condannato a quattro anni di prigione per aver semplicemente tradotto un comunicato e averlo commentato in occasione di un'intervista televisiva, resta in libertà.

Il 28 aprile 2006 però, in margine al processo, su denuncia della polizia belga e in occasione di un suo viaggio in Olanda egli viene arrestato e rischia l'estradizione verso la Turchia. Illegalmente. Perché il Belgio non può estradare i suoi cittadini e Bahar è di nazionalità belga. Dopo 68 giorni di detenzione, egli viene finalmente scarcerato.

Nel settembre 2006 inizia, a Gand, il processo d’Appello.
Il 7 novembre 2006 il verdetto: le condanne di prima istanza sono mantenute o rafforzate.

- Sukriye Akar: 4 anni (in primo grado: 4)
- Musa Asoglu: 7 anni (6)
- Fehriye Erdal: 4 anni (4)
- Dursun Karatas: 7 anni (5)
- Bahar Kimyongür: 5 anni (4)
- Zerrin Sari: 4 anni (4)
- Kaya Saz: 4 anni (4)

Il 19 aprile 2007 la Corte di Cassazione annulla il verdetto della Corte d'Appello di Gand. Dichiara illegale la composizione del tribunale di primo grado, riconoscendo quindi praticamente che non è stato garantito agli imputati il diritto ad un equo processo.
Rinvia il processo ad un nuovo tribunale d'Appello e i prigionieri sono liberati immediatamente.

A settembre e ottobre 2007 si tengono presso la Corte d'Appello di Anversa una serie di udienze preliminari. Al termine di queste sedute, la data del processo è confermata per l’8 novembre 2007. E in seguito spostata al prossimo 17 gennaio 2007

Traduciamo in allegato l’intervento difensivo di Bahar Kimyongur dinanzi alla Corte d'Appello di Anversa, del 20 novembre 2007.

Ricordiamo inoltre che anche in Italia il 1 aprile 2004 si è proceduto all’arresto di due cittadini turchi Avni Er e Zeynep Kiliç, anch’essi accusati di aver costituito una cellula terroristica, quale articolazione in Europa dell’organizzazione turca DHKP-C e come i militanti sotto processo in Belgio, anch’essi perseguitati in realtà, per il loro impegno a favore dei prigionieri politici turchi in sciopero della fame “fino alla morte” contro il trasferimento nelle prigioni di tipo-F e per la costante opera di denuncia del carattere fascista dello Stato di Ankara.
Coordinata dalla Procura della Repubblica di Perugia, l’operazione giudiziaria del 2004 ha coinvolto, con rogatoria internazionale, l’Autorità giudiziaria olandese, belga e tedesca e greca nonché la stessa magistratura turca che dispose l’arresto di 82 attivisti impegnati nel campo dei diritti umani e dell'informazione.
Ma di tutti i fermati del 2004 (compresi gli oltre ottanta turchi) solo Avni e Zeynep sono stati condannati (senza alcuna prova) e sono tutt’ora in carcere, Avni a Badu é Carros-Nuoro e Zeynep a Rebibbia- Roma.
Il 20 dicembre 2006 infatti, la Corte di Assise di Perugia li ha ritenuti responsabili di partecipazione all’organizzazione DHKP-C, condannandoli rispettivamente alla pena di 7 e 5 anni di reclusione.
Su Avni e Zeynep pende oggi la minaccia di estradizione verso la Turchia in violazione del diritto internazionale che condanna non soltanto i Paesi che ricorrono a tortura e maltrattamenti, ma anche quei governi che rimpatriano persone ben conoscendo il rischio di tortura cui esse vengono così esposte (e il Governo italiano concedendo l’estradizione consegnerà Avni e Zeynep direttamente nelle mani dei loro carnefici)

Due date importanti per Avni Er:
Il 23 gennaio prossimo si terrà a Perugia il processo d’Appello, mentre il 7 febbraio la Corte di Cassazione di Sassari si pronuncerà sulla sua estradizione.
Invitiamo tutti ad aderire all’Appello “No all’estradizione di Avni Er e Zeynep Kiliç” mandando una email alla casella elettronica Ass-solid-prol@libero.it (sito web: www.avni-zeynep.net) e a mobilitarsi per impedire che le Autorità italiane procedano oltre nell’attuazione dei loro criminali disegni..

Associazione Solidarietà Proletaria (ASP)
CP 380, 80133 Napoli – Italia

Ass-solid-prol@libero.it

 

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"La resistenza è una risposta al terrorismo"

Difesa alla Corte d'appello - Anversa, 20 novembre 2007

Signori giudici,

come hanno già fatto la Procura federale e la parte civile, anch’io presenterò le mie argomentazioni per la terza volta.

Come nel processo di primo grado a Bruges e presso la Corte d'appello di Gand, sono profondamente scosso dall'interpretazione unilaterale e selettiva degli avvocati dell’accusa che rappresentano rispettivamente lo Stato belga e lo Stato turco.

Il procuratore federale fa di me un dirigente del DHKP-C ritenendo in maniera scorretta "prove inconfutabili" quelle che tutto sommato non sono che parole, guardandosi bene dall’evocare il contesto nel quale esse sono state espresse.

Questo metodo porta un nome: menzogna per omissione.

Ma vi è di più: le mie dichiarazioni riguardanti i fatti che si sono svolti in Turchia e l'interpretazione che il procuratore federale ne dà non sono per niente rappresentative della mia reale personalità e sviliscono la natura della mia attività politica.

Quindi mi accingo a smontare una ad una, le argomentazioni presentate dal procuratore federale.

 

Sulla mia presunta "crescita" nell'organizzazione

Signori giudici, concedetemelo: io non posso essere cresciuto nell'organizzazione perché quando l’ho conosciuta, ero già adulto, maggiorenne e vaccinato.

Contrariamente a miei coimputati, io sono nato a Bruxelles, qui io sono cresciuto, ho studiato, lavorato, militato e mi sono sposato e ormai, a causa del mandato di arresto internazionale emesso dal regime di Ankara e che mi impedisce di spostarmi all'estero, probabilmente, io qui morirò.

Conosco e frequento l'ufficio d'informazione del DHKC di Bruxelles dalla sua apertura nell’estate 1995.

Il 1995 è stato un anno nel quale il numero delle torture, delle esecuzioni extragiudiziarie, degli spopolamenti dei villaggi da parte dell'esercito turco e dei rapimenti da parte dei servizi segreti, fu particolarmente elevato. Il terrore dello Stato turco esercitato contro chiunque non si metteva sull’attenti e non si sottoponeva all’orribile motto di "una sola nazione, una sola lingua, una sola patria, una sola bandiera" mi indignava profondamente.

Che dire, signori giudici, se non che non occorre avere realmente visto, inteso e sentito il militarismo, lo sciovinismo ed il revanscismo che dominano e schiacciano la società turca per comprendere le ragioni del mio impegno per i diritti dell'uomo e la democrazia. Il trauma suscitato dalla militarizzazione delle menti instillato dal potere ha spinto milioni di cittadini turchi a militare nei movimenti di sinistra.

Io, ho cominciato di mia spontanea volontà a tradurre notizie concernenti la repressione in Turchia presso l'ufficio d'informazione del DHKC senza per questo aver dovuto sottopormi in alcun modo alla gerarchia di questo movimento.

Gli anni tra il 1997-1999, quelli del periodo incriminato che ci interessa, sono precisamente gli anni in cui il DHKP-C ha incoraggiato la creazione di assemblee popolari pluralistiche (Halk Meclisi) e la promozione di una Costituzione popolare (Halk Anayasasi) stampata in circa mezzo milione di copie; una Costituzione applaudita o almeno apprezzata dalla maggior parte delle forze democratiche del paese.

In questi anni, io ho tradotto principalmente notizie riguardanti questo tipo di iniziative democratiche e legali.

Nell'aprile 1997, ho redatto un rapporto sulla Turchia intitolato: "Le minacce ai Diritti dell'Uomo in Turchia (1996)" pubblicato dall'ufficio d'informazione del DHKC che all'epoca, si trovava in Chaussée de Louvain. Con lo sviluppo di Internet, il mio giornalismo di tipo tradizionale si è poco a poco trasformato in giornalismo elettronico.

Durante oltre dieci anni di attivismo mediatico, io non ho mai suscitato non solo la disapprovazione, ma neanche l'attenzione di una qualsiasi autorità pubblica. La mia attività d’informazione era in relazione con una militanza di buona qualità e questo, fino al 2004, anno in cui il regime di Ankara ha moltiplicato le sue pressioni diplomatiche e due giornalisti mi hanno sottoposto ad un interrogatorio di cui la Procura federale si è servita per trascinarmi in giudizio.

Fino al 2004, la stessa signora Onkelinx, ministro di giustizia, aveva dichiarato che l'attività di questo ufficio d'informazione era legale e garantita dalla Costituzione belga.

Dal 2000 al 2007, non ho mai cessato di adoperarmi nella mediazione tra il ministero turco della giustizia e i prigionieri del DHKP-C in sciopero della fame contro il regime d'isolamento cui erano sottoposti.

Anche durante la mia detenzione nella prigione di Gand, io ho dato seguito a questa opera di mediazione come dimostra la posta a me indirizzata dalla signora Onkelinx nella quale essa si impegna, su mia richiesta, a contattare il Sign. De Gucht "per chiarire il problema" (quello delle atrocità nelle prigioni turche di tipo F, Cf N réf: LO/LB/SW/jl/2007-3/4072).

Dopo il mio trasferimento nella prigione di Nivelles, è stata pubblicata nell'edizione del 10 aprile 2007 del quotidiano De Standaard la mia risposta al sig. Filip Verhoest per un articolo infamante che egli ha scritto contro di me.

Alla mia scarcerazione, ho anche inviato, rispettando le regole della buona educazione, una lettera aperta all'attenzione del sig. Fuat Tanlay, ambasciatore della Turchia in Belgio, rappresentante del regime che denuncio da quasi dodici anni.

Penso che questi esempi bastino a dimostrare che la mia militanza come la mia condotta non hanno nulla di sovversivo né di terrorista.

D'altra parte, contrariamente a ciò che afferma il Procuratore federale sulla base di un verbale redatto da un agente di quartiere, io non ho mai risieduto presso l'ufficio d'informazione del DHKC. Nessun contratto d'affitto mi lega a questo ufficio e se ho dichiarato di vivervi, è soltanto per proteggere la mia vita privata e la mia intimità da possibili accanimenti polizieschi.

Alla luce di queste indicazioni, posso formalmente affermare che il mio lavoro di traduzione di comunicati relativi all'azione armata del DHKP-C costituisce soltanto un dettaglio trascurabile della mia militanza e soprattutto che non "sono cresciuto" né sono "stato promosso di grado" all’interno del DHKP-C poiché sono sempre stato al mio posto e ho sempre portato avanti la stessa missione, una missione che non mi hanno affidato, ma di cui mi sono spontaneamente investito secondo le mie attitudini. Nessuno mi ha incaricato di questo compito. Nessuno mi ha ricompensato né remunerato per questa funzione.

Non posso essere un membro del Partito DHKP, poiché non agisco nella clandestinità, né esercito alcuna autorità sui militanti di questo movimento. Ricordo che tradurre e diffondere un comunicato per Internet non richiede il possesso di "gradi". Grazie alla tecnologia della comunicazione, qualunque persona che si ponga davanti al proprio computer può portare avanti la mia stessa attività informativa senza che ciò richieda l'avallo di un qualunque comitato centrale.

Inoltre io non posso essere un membro del Fronte DHKC, poiché non ho né il modus vivendi, né il coraggio dei militanti del DHKC. Come ha accennato il Procuratore federale, non è facile divenirne membro. Di conseguenza, non occorre essere un letterato per capire che non aderisco al DHKP, né al DHKC. Io mi considero un simpatizzante.

 

Sul mio presunto ruolo di dirigente di un campo giovanile

Se nel 1997, io ero soltanto un politico alle prime armi, come avrei potuto dirigere un campo giovanile, se all'epoca, parlavo appena la lingua turca? Potevo al massimo tradurre scritti e non senza difficoltà. Essendo la mia lingua materna l'arabo ed essendo io stato istruito sempre in francese, ero all'epoca incapace di tenere un discorso in Turco. Nel 1997, io non parlavo che un Turco approssimativo, un Turco insufficiente per "dirigere un campo di formazione per giovani rivoluzionari", come pretende la Procura federale.

A meno che il Procuratore federale voglia parlare di un campo di vacanze dove si coltiva lo scautismo di sinistra con chitarra e farandole come sembra mostrare anche una fotografia del campo pubblicata su " Le Soir " del 30 aprile 2007. Il famoso campo di vacanze dove ho incontrato la giovane donna che doveva diventare mia moglie. Ma quand’anche io fossi stato l’animatore principale di questo campo di vacanze, questo non costituisce di per sé e in alcun modo un reato.

 

Sul mio presunto carattere violento

Nel dossier, non compare da nessuna parte un solo momento della mia esistenza in cui io sia ricorso alla violenza per imporre le mie idee. Non mi dilungherò sull'aggiunta all’interno del faldone penale di una fotografia dove io compaio nell’atto di mettermi sulle spalle un bazooka all’interno di un campo palestinese in Libano in occasione di una commemorazione ufficiale del 20esimo anniversario del massacro di Sabra e Chatila. Il ricorso a questo tipo di manipolazioni rivela quanto l’accusa della Procura federale sia povera di elementi e ridicola. Riguardo a questa manipolazione, ho già risposto il 15 settembre scorso, attraverso alcuni quotidiani fiamminghi (in particolare il De Morgen) e francofoni (in particolare Le Soir).

Come militante politico, ho sempre riconosciuto l'importanza del dibattito, della polemica, del confronto delle idee e ho sempre rifiutato il confronto fisico.

Naturalmente, ciò non vuol dire che condanno ogni violenza da parte degli oppressi. Sul modello del Mahatma Gandhi, in una situazione d'oppressione estrema, "se occorresse fare una scelta tra la codardia e la violenza, io sceglierei la violenza". Questa violenza, è "resistenza", una nozione secondo me incompatibile con il termine "terrorismo". La resistenza è precisamente una risposta al terrorismo, nella fattispecie, al terrorismo dello Stato turco.

La distinzione tra "terrorismo" e "resistenza" è un’antinomia al pari della distinzione tra "violenza" e "contro-violenza".

Al contrario delle affermazioni del procuratore federale, io credo che il DHKP-C non pratichi la violenza ma la contro-violenza. Non occorre certamente essere un marxista-leninista dichiarato per comprendere che l'esistenza di un tale movimento in Turchia è soltanto il risultato del terrorismo dello Stato turco. In un paese in cui il comunismo è stato legalmente vietato fin dalla fondazione della repubblica della Turchia (cf articolo 141 e 142 del codice penale turco sostituito nel 1991 dalla legge antiterrorismo), in cui l'ideologia ufficiale ha eliminato ogni espressione nazionale, filosofica, culturale e religiosa minoritaria e soprattutto socialista e comunista, sarebbe estremamente ingenuo pensare che l’affermazione e la combattività della sinistra rivoluzionaria siano accidentali.

Prendiamo gli anni ’20. Quindici dirigenti del Partito comunista della Turchia (TKP), il cui segretario generale era Mustafa Suphi, che aderirono alla lotta di liberazione nazionale su appello di Atatürk, sono stati massacrati dagli scagnozzi di quest'ultimo la notte tra il 20 e il 21 gennaio 1921 sulla loro imbarcazione prima ancora di poter raggiungere le rive dell'Anatolia. Nel 1925, la Grande assemblea nazionale vota la Legge sul mantenimento dell'ordine (takrir-i sükun) che assegna al governo il potere di perseguire e interdire ogni organismo giudicato reazionario. E su questa scia, il primo ministro Ismet Inönü installa due Tribunali d'Indipendenza (Istiklal Mahkemeleri) uno ad Ankara e l'altro nelle regioni kurde, teatro di insurrezioni a carattere religioso: 48 dirigenti kurdi sono condannati a morte e giustiziati. Con l’accusa pretestuosa di difendere e incoraggiare la ribellione kurda, i partiti e la stampa di sinistra sono anch’essi implacabilmente perseguitati. Questo clima di terrore costringe i militanti socialisti e comunisti a entrare in clandestinità. Nei decenni seguenti, questo maccartismo ante litteram continuerà e si rafforzerà.

Prendiamo il periodo del colpo di stato del 1980 condotto su ordine degli Stati Uniti: militanti sono stati fucilati, impiccati, torturati a morte. Migliaia di prigionieri sono stati costretti a cantare inni militari, a recitare discorsi nazionalistici, sono stati violentati o obbligati a mangiare escrementi umani e anche vomito. In un inferno simile, è così stupefacente che dei cittadini turchi si impegnino a migliaia all’interno di movimenti rivoluzionari?

Prendiamo la Turchia attuale. Il 13 novembre scorso si è aperto in Turchia il processo contro 89 militanti che hanno legittimamente lottato contro la violenza della mafia e dei trafficanti di droga nel loro quartiere. Questi militanti imprigionati da 11 mesi e sospettati di appartenere al DHKP-C rischiano una condanna complessiva a oltre 10.000 anni di prigione. E nel contesto di questo processo sono minacciate di chiusura 17 associazioni e una federazione che pure sono democratiche e legali. Inoltre, la maggioranza dei prigionieri politici e dei giornalisti imprigionati è pro- kurdi o di sinistra. Le sole manifestazioni pacifiche in cui le forze di sicurezza utilizzano la violenza sono manifestazioni pro- kurde o di sinistra. Le sole associazioni saccheggiate e chiuse dalle autorità sono pro- kurde o di sinistra. La maggioranza dei casi di tortura riguarda attivisti pro- kurdi o di sinistra.

Potrei enumerare migliaia di ragioni che chiariscono la contro-violenza come atto di autodifesa, di difesa legittima in Turchia. Ciò non lo fa di me un violento, una persona pericolosa, infrequentabile o condannabile.

 

Sulle mie presunte rivendicazioni trasmesse per televisione.

Il Procuratore federale afferma, col sostegno delle immagini che io avrei giustificato azioni violente attribuite al DHKP-C in occasione del programma "In nome della legge" del gennaio 2001 trasmesso sul canale televisivo pubblico RTBF. Piccolo, ma importante dettaglio: era, la prima intervista della mia vita che davo a partire dall’inizio della mia attività presso l’ufficio d'informazione e a proposito del conflitto in Turchia. Con la sua insistenza e le sue domande inquisitorie, il giornalista Michel Hucorne mi ha incontestabilmente spinto a compiere degli errori. Pensavo che il sig. Hucorne volesse chiedermi solamente delle precisazioni sulla situazione nelle prigioni turche. Non fu così. Registrata il 19 dicembre 2000, questa intervista coincideva con l'assalto dell'esercito a venti prigioni turche, assalto che costò la vita a 28 prigionieri politici. Mentre rispondevo alle domande del giornalista, numerosi amici, amici come non ne avevo mai conosciuti, amici dotati di straordinaria umanità, agonizzavano sotto i tiri e le bombe dell'esercito turco. E io stesso ero fatto oggetto di una intensa campagna di linciaggio mediatico da parte della stampa turca per avere contestato in maniera non violenta nel Parlamento europeo, il 28 novembre 2000, il ministro turco degli affari esteri. Inoltre mi trovavo al mio 46esimo giorno di sciopero della fame. Così, privo di forze, nauseato dalla meschinità e dalla barbarie del governo turco che aveva promesso se non un regolamento pacifico almeno di tener in conto il problema delle prigioni, in tali condizioni bastava veramente poco per irritarmi...

In ogni caso, le mie opinioni di allora non possono essere prese in considerazione contro me a causa del loro essere antecedenti alla legge antiterrorismo del 19 dicembre 2003. Inoltre, esse devono essere riportate nel contesto, di straordinaria emozione, in cui furono pronunciate.

Per quanto riguarda le mie dichiarazioni televisive del 28 giugno 2004 su RTL, non mi si può accusare di avere rivendicato un attentato perchè tra l’altro si trattò di un'esplosione accidentale, come disse anche il capo della polizia di Istanbul, Celalettin Cerrah.

Il comunicato ufficiale che ha  fatto seguito a quest'esplosione accidentale è un comunicato di scuse alla popolazione. Questo comunicato ufficiale è stato inviato anticipatamente alla stampa turca che lo ha immediatamente pubblicato. Se io stesso ho tradotto e commentato questo comunicato, ciò non vuole affatto dire che io lo abbia redatto. Ancora una volta, devo ricordare che sono un traduttore di Bruxelles che ha spiegato un evento che ha incontestabilmente avuto luogo e che occorreva far conoscere al pubblico, quand’anche ciò potesse risultare dannoso per la causa o l'immagine del DHKC. Il mio lavoro è quello di traduttore e non quello di membro dell'apparato militare di questa organizzazione.

 

Sulla conferenza stampa del 28 giugno 2004

La stessa mattina in cui sono stato intervistato da RTL, ho organizzato una conferenza stampa in nome della coalizione "Resistanbul 2004" che raccoglie numerose associazioni di sinistra, in margine al vertice della NATO che contemporaneamente si svolgeva ad Istanbul.

Tuttavia, in occasione di questa conferenza stampa organizzata presso "New Hotel Charlemagne" nel quartiere europeo di Bruxelles, non si è mai parlato dell'esplosione provocata accidentalmente dalla militante Semiran Polat né si sono distribuiti comunicati del DHKC relativi a questo evento.

Questa conferenza stampa riguardava strettamente l’illegale militarizzazione della città di Istanbul a causa dell'arrivo di Georges W. Bush e di altri capi di stato. Alcuni provocatori della stampa turca, presenti a questa conferenza, hanno provato ad intrappolare Asoglu Musa portando la discussione su questo tema, ma quest’ultimo ha cortesemente evaso la questione per centrare il dibattito sul vero obiettivo, ovvero il vertice della NATO ad Istanbul e le contro-manifestazioni che esso suscitava. È ciò che mostrano chiaramente le immagini della conferenza stampa ripresa dall'agenzia turca Ihlas Haber Ajansi (IHA). Vi consegno in allegato il comunicato ufficiale di Resistanbul 2004, il solo che è stato letto a questa conferenza stampa organizzata la mattina del 28 giugno 2004 presso il "New Hotel Charlemagne".

 

Le fotocopie dei miei documenti d'identità trovati a Knokke

Permettetemi signori giudici, di spiegarmi su questo punto ancora una volta: un giorno del 1999, mi si è chiesto di prestare la mia identità per salvare una persona perseguitata dal regime in Turchia.

Ispirato dai "Giusti" che alloggiarono gli ebrei presso di loro durante la seconda guerra mondiale, ho immediatamente accettato di prestare il mio nome all'uno o l'altro perseguitato, senza la minima esitazione e per uno scopo puramente umanitario. Ho pensato che questo "reato di solidarietà" che andava a vantaggio di una persona in pericolo non era fondamentalmente diverso dall'appoggio morale e materiale che portavo a prigionieri politici.

E come il procuratore federale ha effettivamente mostrato, ho affidato alla persona che me li ha chiesti, uno schizzo della mia firma con le indicazioni che permettevano di falsificarla insieme alle fotocopie dei miei documenti d'identità.

Non rinnego in alcun modo i fatti.

Tuttavia, non posso accettare che il mio impegno politico pacifico ed inoffensivo, quando anche comprenda questo gesto di solidarietà, sia assimilato al terrorismo. Io considero questa accusa come il peggiore degli insulti.

 

Conclusioni

In questi ultimi anni, nonostante il mio attivismo tragga fondamento dalla libertà d'espressione che è garantita dall'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, io sono stato vittima di ripetute pressioni, intimidazioni, privazioni ed altre punizioni carcerarie.

A cominciare dai linciaggi mediatici della stampa turca.

Ho poi rischiato di essere consegnato ai miei torturatori di Ankara in seguito ad una operazione di polizia nei Paesi Bassi orchestrata dal procuratore federale, come attesta il PV della riunione dei 24 alti funzionari dello Stato organizzata il 26 aprile 2006, su iniziativa del Gabinetto del Ministro della Giustizia. Ho dovuto passare 68 giorni in una cella nei Paesi Bassi, anticamera della sala di tortura che mi attendeva in Turchia.

Le mie numerose richieste indirizzate al consolato belga per un rimpatrio in Belgio sulla base della inconsistenza dei fatti che mi erano rimproverati da Ankara sono rimaste lettera morta.

Di ritorno in Belgio dopo il mio proscioglimento da parte della Corte dell'Aia, sono stato imprigionato per quasi sei mesi nella prigione di Gand e quindi a Nivelles fino alla sentenza della Corte di Cassazione che, il 19 aprile 2007, mi ha permesso di recuperare la libertà. Il mio arresto immediato era stato reso possibile dalle provocazioni della Procura federale, che sosteneva il pericolo di fuga, cosa cui io non ho mai pensato. E del resto io non sono mai stato assente a nessuna delle quasi 30 udienze che hanno avuto luogo a Bruges, Gand e Bruxelles.

L’accanimento e la repressione hanno investito anche la mia famiglia. Infatti, mia moglie si è vista rifiutare la cittadinanza belga per ragioni politiche analoghe. E le avevano appena confiscato il suo passaporto al Consolato turco.

Io ho perso anche il diritto a viaggiare a causa del mandato Interpol lanciato dalle autorità giudiziarie turche.

Non riesco a trovare un impiego a causa delle mie dispute giudiziarie e della reputazione pesante che mi sono ritagliato in seguito alla campagna di criminalizzazione condotta dalla Procura federale.

Così, signori giudici, a riparazione di tutti i danni che ho subito da parte delle autorità turche e belghe e in nome della libertà d'espressione, della democrazia e della giustizia che rappresentate, chiedo il mio proscioglimento.

Vi ringrazio per la vostra pazienza e attenzione.

 

Bahar Kimyongür

 


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