02/11/2007: Torino: Chiesti 5 anni e 5 mesi per gli antifascisti accusati di devastazione e saccheggio


Oggi si è svolta una nuova puntata della telenovela “Un coglione in procura” in cui il boia Marcello Tatangelo, noto alle cronache – assieme al compare Maurizio Laudi – come principale responsabile della morte di Edoardo Massari e Soledad Rosas, ha tenuto banco per 5 ore annoiando i presenti in aula con le sue deliranti cazzate.
Cerchiamo di fare un riassunto delle tesi accusatorie.
Il PM esordisce con i fatti accaduti davanti al Cpt di corso Brunelleschi nel maggio 2005, per i quali sono accusati Marco Giovanni e Fabio, quest’ultimo è imputato anche per il corteo antifascista del 18 giugno.
Giovanni e Fabio si erano arrampicati sul muro del cpt incitando i detenuti alla rivolta “creando una situazione di forte tensione”, tale da favorire “la fuoriuscita dei clandestini”. Tutti i testimoni (cioè gli sbirri) concordano che l’aggressione è partita dai manifestanti che hanno usato il furgone come “base operativa” per mascherarsi e procurarsi vari oggetti contundenti con cui hanno intrapreso “un vero tiro al bersaglio contro i poliziotti”.
Giovanni e Fabio erano stati individuati tra i più violenti perché due sbirri avevano concentrato la propria attenzione su di loro e li hanno visti mascherarsi e tirare pietre.
Secondo un altro poliziotto anche Marco si era mascherato ed aveva tirato pietre più volte.
Ovviamente “le testimonianze sono assolutamente affidabili” perché i vari Digos hanno “focalizzato l’attenzione su quelli che conoscevano e sono assolutamente credibili” perché “la malafede, la deliberata calunnia in danno degli imputati è del tutto inconcepibile”. A riprova del fatto che i testi sono “del tutto sinceri e affidabili” vi è che hanno individuato solo gli imputati e non altri.
Il fatto che non vi siano riprese dei fatti contestati non significa che non si siano verificati perché l’operatore della polizia non ha ripreso tutto ma solo una parte di ciò che è successo.
Fabio e Giovanni non sono stati immortalati mentre si mascheravano perché in quel momento venivano ripresi quelli che spaccavano il muro con un piccone, ma sono stati riconosciuti nei fotogrammi successivi anche se erano “tanto mascherati” perché gli sbirri hanno l’occhio allenato a riconoscere la gente. Ergo, se uno sbirro dice che quella persona mascherata è tizio, anche se non vi sono elementi identificativi, è verità assoluta perché loro sono gli unici ad avere l’esperienza giusta.
Marco nega di essere la persona indicata dagli sbirri ma tale persona ha la stessa sua corporatura.
Gli imputati hanno tenuto una “condotta unitaria comune condivisa e preordinata”. Era “volontà comune di procurare lesioni ai poliziotti per impedirgli di compiere il proprio dovere” perché era “inevitabile l’epilogo violento essendo impossibile che la polizia permettesse ai manifestanti di colpire il muro del cpt con un piccone”.
A questo punto il PM assassino versa qualche lacrima sui poveri agenti costretti e fare da bersaglio per soli 1.200 euro al mese sbottando “non c’è niente da ridere!” rivolto agli imputati.
Conclude dicendo che è stata un’azione vigliacca in quanto i manifestanti erano in maggior numero.
E’ noto a tutti infatti che gli sbirri quando ti pestano ti sfidano cavallerescamente a duello, e si battono sempre uno contro uno, e ad armi pari.
Finito il cpt, passa al corteo antifascista.
Anche in questo caso il Pm è “profondamente convinto che i testimoni (sempre gli sbirri) siano sinceri e rispettino il giuramento”.
Le testimonianze, pur nelle difficoltà di descrivere i fatti, sono concordi che a dare il via agli scontri è stato Tobia. Ovviamente anche queste “attendibili perché è da escludere che si siano messi d’accordo” anche se “nello sforzo di verità sono possibili errori in buona fede, confusioni e contraddizioni”. In piazza “la Digos ha un’ottica diversa, perché sa che ci sarà un processo, quindi cerca la posizione migliore per vedere. E’ una professionalità diversa da quella del poliziotto della mobile”. Tatangelo deve giustificare il fatto che i dirigenti della mobile non hanno dato la stessa versione dei Digos sul ruolo di Tobia e lo risolve con la pretesa diversa professionalità.
Secondo lui non contano nulla le motivazioni che stanno alla base della manifestazione, cioè l’antifascismo e la vile aggressione ai ragazzi del Barocchio. “Si possono avere le migliori ragioni del mondo ma se si usa la violenza si passa automaticamente dalla parte del torto. Nemmeno è in discussione il diritto a manifestare ma bisogna tutelare la maggioranza della gente che non vuole manifestazioni in centro dove portano i figli a mangiare il gelato”.
Era prevedibile l’uso della violenza da parte di una “componente aggressiva dei manifestanti capitanata da Tobia”. Il corteo voleva andare in centro per sensibilizzare ma “se sei un violento, il momento di sensibilizzazione è manifestare la violenza”.
Può darsi che se la polizia li avesse fatti passare non ci sarebbero stati gli scontri ma è impensabile che la polizia li avrebbe fatti passare. Per questo volevano andare in centro che si sapeva non sarebbe stato concesso.
Non è credibile che i bastoni e altri oggetti contundenti servissero per difendersi da eventuali aggressioni fasciste perché “la Digos non aveva avuto notizia di aggressioni al corteo”.
Sin dall’inizio “vi era la volontà di praticare lo scontro in pieno centro per avere maggiori visibilità”, questo spiega perché non si erano verificati incidenti precedentemente. “E’ del tutto comprensibile visto il vero obiettivo”.
A questo punto passa alla devastazione e saccheggio.
E’ un reato controverso e lui ne è consapevole. Prima di questi fatti non sapeva neanche cos’era. Poi lo ha studiato con passione. “E’ indubbio che ha avuto una scarsissima applicazione. E che anche nel significato letterale evoca scenari apocalittici. Ma non è così”.
Dice che è stato usato negli anni 70 per reati di piazza ma non conosce i precedenti (gli unici che cita sono quelli relativi alle tifoserie del Lecce e dell’Avellino nei primi anni 2000). Non è la prima volta che viene contestato a Torino, venne usato per i danni al palazzo di giustizia nella manifestazione dopo la morte di Baleno ma è stato in seguito derubricato dalla stessa procura. Ciò non crea a Tatangelo “alcun imbarazzo anche se i danni erano maggiori, perché il tribunale era in una zona residenziale poco frequentata mentre in via Po vi era il massimo affollamento”.
Ha letto sui giornali che tale reato è contestato a Genova per i fatti del G8 dove vi sono stati sicuramente dei danni enormi, ma a Milano, dove i manifestanti sono stati condannati con rito abbreviato per questo reato, non è stato un “evento apocalittico”. Vi sono stati danni “in un certo senso più gravi di quanto accaduto a Torino, ma neanche poi tanto. Gli scontri sono avvenuti in corso Buenos Aires e non in piazza Duomo. E via Po non è certo via Buenos Aires”.
Si sa che Tatangelo, già dai tempi del processo a Silvano Pelissero, è sempre stato un innovatore nel campo del diritto. Per lui quindi la devastazione e saccheggio non dipende dall’entità di ciò che avviene ma dal luogo in cui avviene. Secondo questa logica un gruppo di nazisti che invadesse un campo di zingari in periferia mettendolo completamente a ferro e fuoco non sarebbe passibile di questa accusa, al contrario di minimi danneggiamenti procurati nel centro cittadino. Non importa quindi ciò che fai ma dove lo fai.
“Non è elemento costitutivo del reato di devastazione l’entità del danno prodotto. La nozione di ampiezza è soggettiva. Il danno non è stato di grande entità, non un grosso danno” ma “non è importante l’entità purché sia turbato l’ordine pubblico, perché è quest’ultimo il bene tutelato. Il discrimine con i danneggiamenti non è nell’entità dei danni. La lesione dell’ordine pubblico è data dal luogo e dal comportamento e non dai danni. Anche la durata, nel nostro caso una mezz’ora, non è importante perché vi è stata una lesione dell’ordine pubblico. Non è importante nemmeno che gli imputati abbiano commesso danneggiamenti”.
Poi passa alle singole posizioni degli accusati.
Tobia “ha svolto un ruolo direttivo delle prime file e dà il via agli scontri gettandosi contro il cordone di polizia. Di fatto dà il via a quella che definiamo devastazione e saccheggio”.
Mauro Manu Andrea Roberto e Darco facevano parte del cordone armato di bastoni in prima fila. Mauro era viso scoperto. Gli altri sono stati riconosciuti dai digos “perché li conoscono da anni”.
Fabio è stato riconosciuto in una foto vicino alla barricata. Lui nega ma “esercita il suo diritto a difendersi mentendo”. E’ stato visto prima degli scontri vicino a Tobia, non è stato visto partecipare ma “è assolutamente ovvio che anche lui vi ci sia buttato perché è in linea con la sua personalità”.
Anche Sacha non ha testimoni che lo accusano ma è stato riconosciuto dai fotogrammi mentre lancia una sedia (di plastica) che “non si sa chi abbia colpito ma serviva a fermare la polizia e impedire il ripristino dell’ordine pubblico”.
Silvio (arrestato assieme a Massimiliano durante il corteo) ha lanciato un giunto metallico contro i poliziotti. Sul giunto sequestrato non vi sono impronte perché “l’oggetto è stato raccolto senza alcuna precauzione. Uno scontro di piazza non è una scena del crimine e non si chiedono i RIS”.
Un digos lo ha notato con l’oggetto che gli fuoriusciva dalla tasca e lo visto mentre lo lanciava. Un altro ragazzo, con handicap motori, ha testimoniato che Silvio, pur non conoscendolo, si era attardato per aiutarlo a fuggire ed erano stati arrestati insieme; quindi non poteva aver partecipato allo scontro. Secondo il PM “o mentono loro o mente la Digos, ma i poliziotti sono sotto giuramento mentre gli altri esercitano il diritto a mentire senza conseguenze penali per difendersi”. Inoltre il testimone potrebbe avere motivi di risentimento per le botte dategli dagli sbirri.
Massimiliano è stato individuato nelle foto mentre porta una bandiera legata ad un tubo di “cui non è possibile stabilire la natura” (si tratta in realtà di un tubo di plastica da elettricista che si vede benissimo flettere sotto il peso della stoffa).
Secondo la testimonianza di due sbirri avrebbe colpito più volte con un tubo di ferro e sarebbe stato arrestato mentre lo aveva ancora in mano. Per la mancanza di impronte valgono le stesse considerazioni espresse per il giunto affibbiato a Silvio.
Massimiliano ha dichiarato (concordemente ad Agnese arrestata con lui) che all’atto dell’arresto si è avvicinato un celerino con il tubo in questione dicendogli “questo è tuo”.
Secondo Tatangelo “o mentono i poliziotti e hanno falsificato le prove o mentono Massimilano e Agnese. E’ impossibile che due poliziotti di due reparti diversi si siano messi d’accordo per danneggiarlo. Non hanno interesse a mentire. Anche Agnese potrebbe avere motivi di risentimento per le botte datele dagli sbirri”. Ma secondo il Pm accusando la polizia di fabbricare prove false sono andati oltre il diritto alla difesa e quindi lui aprirà un procedimento nei loro confronti per calunnia.
La meschinità di questo essere immondo non ha limiti. Non pago di quanto ha messo in piedi contro persone ree solo di aver manifestato contro un’aggressione fascista, si attacca con livore ad ogni piccolo appiglio pur di far condannare dei compagni. Un miserabile servo di Stato.
Si avvia alla conclusione. Essendo la devastazione e saccheggio un reato di massa è “evidente che ogni imputato ha compiuto solo una piccola parte del reato, un segmento, perché il singolo da solo non può devastare. La giurisprudenza richiede la moltitudine, da parte del singolo è chiesta la consapevolezza di partecipare al reato comune. E’ un reato frutto di una partecipazione collettiva, non è necessario che vi sia la prova da parte del singolo imputato ai fatti di danneggiamento. Non è richiesto dal reato. Se un manifestante aggredisce la polizia, se si rifiuta di sgomberare, se presidia una barricata questo manifestante concorre al reato di devastazione anche se non ha commesso danneggiamenti perché concorre a un processo di consensualità al reato. Non importa se gli imputati non hanno fatto danneggiamenti, che sono il substrato del reato. E’ indubitabile che tutti gli imputati hanno contribuito alla determinazione degli eventi che si sono determinati. Resistendo alla polizia hanno compiuto la prima fase del reato dando il via a tutto quello accaduto. Sono coautori del reato e ne rispondono a pieno titolo come gli altri, individuati e no, dei danneggiamenti. E’ ovvio che fra tutti i manifestanti non vi fosse una reale unità d’intenti, ma vi era un piano concreto di realizzare quello che è accaduto tra i gruppi violenti che fanno capo ad alcuni centri sociali”.
Ora è il momento della richiesta di pena. Ovviamente l’entità dei danni a questo punto ha il suo peso, poiché la legge stabilisce un minimo e un massimo il pm chiederà il minimo. Come un bottegaio disonesto che decuplica i prezzi per poi applicare lo sconto del cinquanta per cento. “Mi rendo conto che è assurdo chiedere tanti anni per un lancio di pietre ma questa è la legge”.
Chiede 1 anno e 4 mesi per Giovanni e 2 anni per Marco relativi agli incidenti davanti al cpt, reati che altri imputati con rito abbreviato hanno risolto con condanne da 6 mesi a 1 anno e 2 mesi.
Chiede 5 anni e 5 mesi per gli imputati di devastazione saccheggio, ad esclusione di Fabio – imputato anche per il cpt – per cui chiede 5 anni 7 mesi.
Ingiustizia è fatta.

Mer, 31/10/2007 – 14:31
fonte http://www.autistici.org/fenix
da http://www.informa-azione.info/torino_resoconto_antifascisti_torinesi_da_parte_di_un_imputato

http://www.autprol.org/