03/10/2007: Informiamo e denuciamo


Il 27 agosto si è chiusa l’inchiesta che ha portato in carcere 16 compagni, nostri parenti e amici, per reato associativo (associazione sovversiva e banda armata). Oggi cinque di essi si trovano agli arresti domiciliari, Alfredo Davanzo è ancora tenuto in isolamento mentre gli altri sono stati dispersi nelle carceri più distanti fino all'Ucciardone.
Dopo il clamore dei mass media, durato settimane, teso a sostenere le tesi dell'accusa e la pericolosità degli indagati, oggi solo qualche riga per comunicare laconicamente le notizie sulla concessione dei domiciliari e assolutamente nulla per dare informazione sulle condizioni in cui gli arrestati si trovano.
Denunciamo a gran voce questo silenzio!
Un silenzio complice anche della evidente negazione del diritto alla difesa attuato con la dispersione degli indagati.
I compagni sono tutti molto lontani dalle loro famiglie oltre che dagli avvocati e ciò comporta pesanti problemi sia economici che di tempo per poterli incontrare.

Sugli arresti domiciliari
I cinque compagni in questa condizione subiscono vessazioni assurde, divieto di comunicare con chiunque e di scrivere e ricevere posta cosa in carcere invece era permessa, allontanamento dalla propria abitazione e in alcuni casi dalla città in cui abitualmente vivevano per evitare la vicinanza al contesto “solidale”. Si è toccato poi il ridicolo con l’arresto/provocazione per “evasione” di uno degli imputati, reo di essersi messo a studiare nel giardino di pertinenza della casa.

Sulla detenzione e sul regime di EIV (Elevato Indice di Vigilanza)
I nostri familiari (dopo sei mesi di isolamento) sono tutti sottoposti a questo regime di sorveglianza speciale, su cui la corte di Strasburgo ha in passato espresso una sentenza di condanna formale. Questo regime non ha regole precise, non ha una durata prestabilita e può quindi essere disposto a piacimento.
La metodologia di applicazione varia da carcere a carcere, a seconda della struttura e delle decisioni del/della direttore/direttrice. Capita così che alcuni facciano solo due ore d’aria al giorno, e con un numero ristretto di detenuti, altri siano tenuti in isolamento totale (e illegale), altri facciano aria e socialità. In generale, tutti i nostri cari, essendo considerati dei “pericolosi terroristi”, subiscono le misure più restrittive. E' un regime in cui l'arbitrarietà e la regola.
Inoltre ogni altro "diritto" previsto dall'ordinamento penitenziario è solo sulla carta.
Dal regolamento recante le norme sull’ordinamento penitenziario, approvato dal Consiglio dei ministri il 16/6/2000
Sulla carta: art.1 “Il trattamento degli imputati sottoposti a misure privative della libertà consiste nell’offerta di interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali”.
Nella realtà: i nostri familiari e molti loro compagni di detenzione sono sottoposti a un regime di carcere duro che impedisce di accedere a corsi di studio attivati presso il carcere o al lavoro. In molte carceri i corsi sono del tutto assenti e l’intervento degli educatori è finalizzato alla mera attività di “osservazione” del detenuto e dei suoi comportamenti.
Sulla carta: Art 7 “Servizi igienici. [...] I vani in cui sono collocati... sono dotati di lavabo, doccia...”
Nella realtà: In quasi nessun carcere esiste la doccia nella cella. In molte carceri, l’accesso alle docce comuni viene limitato a una o due volte a settimana.
Sulla carta: Art. 37 “Colloqui. I colloqui avvengono in locali interni senza mezzi divisori...”
Nella realtà: In molte carceri, soprattutto al sud, i “banconi” di legno o di marmo sono tuttora presenti nelle sale colloquio, rendendo impossibile un contatto fisico che non si limiti alle strette di mano. In alcuni casi (Poggioreale, Na), se le sale sono piene, alcuni detenuti hanno dovuto fare il colloquio nella sala riservata ai colloqui in 41 bis, munite di vetri divisori. I regolamenti interni di molte carceri rendono molto difficoltoso l’accesso al colloquio per i familiari, soprattutto se vengono da fuori città; le direzioni degli istituti inoltre si permettono di sindacare sulle autorizzazioni ai colloqui concesse dal magistrato titolare dell’inchiesta e unici titolati a decidere per i reclusi in attesa di giudizio.
Sulla carta: Art 44 “Studi universitari. I detenuti... che risultano iscritti a corsi di studio universitari... sono agevolati per il compimento degli studi”
Nella realtà: Tale diritto viene continuamente violato e sta alla buona volontà del direttore del singolo carcere disporre una condizione che permetta agli studenti reclusi di fare gli esami. Il trasferimento dei prigionieri, nel caso dei nostri cari a centinaia di chilometri dalla città in cui erano residenti e studiavano, rende ancora più difficoltoso il proseguimento degli studi. E’ inoltre assurdo che si spendano montagne soldi pubblici per costosi spostamenti in giornata dei detenuti per svolgere gli esami, quando sarebbe più sensato evitare di trasferirli lontano dal luogo di residenza.

I compagni, come succede anche a tutti gli altri prigionieri, quindi vivono nelle carceri italiane in una situazione di totale arbitrarietà. Le carceri dove lo stato rinchiude persone accusate di aver infranto la legge sono luoghi in cui tale legge è continuamente violata. Quella che viene chiamata "democrazia" viola palesemente ciò che dice di tutelare. Non è un paradosso ma siamo difronte ad una mistificazione. Le legge non è uguale per tutti!
Pensiamo che questi trattamenti arbitrari, al limite della stessa legalità borghese, non siano casuali o riservati unicamente ai nostri cari. Sono stati applicati, ad esempio, in modo massiccio anche ai prigionieri islamici nel silenzio generale e con l'apparente consenso dell’opinione pubblica, anche in quel caso con la scusa della “lotta al terrorismo”. Lo schema è quello consueto di far passare norme restrittive e peggiorative per tutti colpendo prima gli “indifendibili” o presunti tali. Questa logica va contrastata.
Non abbiamo più fiducia nella bontà e sincerità della cosiddetta “giustizia” e del sistema penitenziario che dovrebbe punire i “cattivi”. Se così fosse, le galere sarebbero piene di padroni che mandano a morire i lavoratori nei cantieri insicuri o in fabbrica, e invece di loro non ce n'è alcuno, perché per la morte di un operaio al massimo si rischia una multa.

Associazione di Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12/2/2007

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