04/08/2007: Morti per il lavoro - lettera di vincenzo sisi
Quando degli operai muoiono nei cantieri e nelle officine, in modo violento, non si può fare a meno di parlarne. I sindacati denunciano il fenomeno, le autorità si indignano, i giornalisti pubblicano i dati. I dati che vengono diffusi sono riferiti ai morti in seguito ad incidenti sul lavoro. Nulla viene detto degli operai vittime di gravi malattie mortali, la cui causa è il lavoro. Questi lavoratori uccisi in seguito al contatto con sostanze nocive, per loro, non esistono, vengono fatti sparire dalle statistiche e dalla cronaca. Per questo motivo si deve parlare di morti per il lavoro, sia nel caso essi sono riferiti ad eventi violenti sui posti di lavoro, oppure vittime della violenza sistematica e subdola che uccide lentamente dopo anni di sofferenze. Bisogna dire che l’ente che gestisce i dati è l’INAIL, la quale essendo una assicurazione (di stato) deve stabilire quando la malattia è riconducibile al lavoro, e dovendo quantificare il danno per l’indennizzo, ha tutto l’interesse a non riconoscere molte malattie del lavoro, nascondendo in questo modo il fenomeno diffuso delle malattie e morti fuori dai posti di lavoro. Bisogna considerare che questo tipo di malattie si manifesta dopo diversi anni di lavoro, cosa che rende difficile il collegamento con i luoghi di lavoro e le circostanze lavorative che in parte non esistono più, rendendo quasi impossibile il riconoscimento della malattia da lavoro e il risarcimento del danno, riconoscimento reso difficile perché nel frattempo il reato è andato in prescrizione. Ma quanti sono le morti e le malattie per il lavoro? I dati INAIL dicono che ci sono stati nel 2006 1280 morti sul lavoro, un milione di feriti, diverse decine di migliaia dei quali avranno come conseguenza danni permanenti. Considerando il fatto che in Italia la stragrande maggioranza delle aziende è di piccole dimensioni, che il sistema di appalti e subappalti nei cantieri fa scomparire ogni minima tutela, se si considera la presenza diffusa del lavoro nero e schiavistico, non è facile dedurre che una grande quantità di infortuni non vengono denunciati. Agli infortuni ufficiali e a quelli mai denunciati, bisogna aggiungere le malattie professionali riferite alle gravi patologie riconosciute dall’INAIL, di queste una parte sono mortali. Solo il mesotelioma, tumore che colpisce chi ha respirato fibre di amianto, uccide, secondo i dati ufficiali, 1000 persone l’anno. Questi morti per il lavoro sono in realtà una piccola parte della strage di operai ed operaie che si ammalano e muoiono a causa di questo modo di lavorare. La realtà, accuratamente nascosta riguarda un numero incalcolabile di lavoratori colpiti da gravi malattie, diverse migliaia delle quali mortali. Questa parte nascosta sono le morti e le malattie imputabili al lavoro e non riconosciute come tali, sono tutti quei casi in cui esiste un ragionevole rapporto tra patologia e lavoro. Le malattie di cui si parla sono i tumori ai polmoni, al naso, alla vescica e le leucemie. Questi tumori, sono stati contratti in anni di esposizione a sostanze nocive e cancerogene, i cui effetti si manifestano dopo diversi anni di lavoro e spesso dopo che il lavoratore è andato in pensione. Alcuni studi stimano in 6000 gli operai morti ogni anno per tumori derivanti dall’esposizione a sostanze cancerogene presenti nelle attività lavorative. A queste malattie mortali bisogna aggiungere le malattie gravi, le quali anche se non hanno effetti mortali, provocano danni permanenti. Una di queste è quella che colpisce l’apparato scheletrico. Mani, braccia, schiena, sono queste le parti del corpo dove si evidenzia il grado di violenza che l’intensità dei ritmi di lavoro hanno sul corpo umano. Questa patologia usurante è molto diffusa nel settore manifatturiero ed in particolare in quelle lavorazioni dove esistono fasi di lavoro che implicano movimenti ripetitivi e operazioni gravose. Tra i lavoratori colpiti ci sono in prevalenza donne, per via della quantità di ore lavorate nell’arco della giornata. I danni di questo tipo sono la prima tra le cause di malattia tra i lavoratori, e pur avendo conseguenze invalidanti gravi essa non è riconosciuta come malattia del lavoro. Questo tipo di malattia, e tutte le altre, riferite al lavoro, non essendo riconosciute come tali, non godono del diritto alle cure mediche gratuite, risarcimento del danno e conservazione del posto di lavoro. Inoltre, queste malattie causano un peggioramento della qualità della vita, impediscono una normale prestazione lavorativa, costringono il lavoratore a interventi chirurgici e a lunghe assenze dal lavoro. In questo modo, le conseguenze a cui si va in contro sono, licenziamenti per sopraggiunta inidoneità alla mansione, oppure perché le assenze hanno superato il periodo massimo per la conservazione del posto di lavoro. Mentre nelle piccole aziende non serve nessuna motivazione per licenziare. Il danno che questi lavoratori subiscono non sarà mai ripagato, violentati nel fisico e offesi nella loro dignità, utilizzati e poi espulsi dal ciclo produttivo, emarginati e messi nell’ombra come se non fossero mai esistiti. Mentre le morti violente sul lavoro non possono essere nascoste perché diventano cronaca di tutti i giorni, e i lavoratori fanno notizia cadendo dalle impalcature, restando schiacciati, bruciati vivi in qualche fonderia o colpiti da qualche esplosione, Invece, le morti per tumori causati dal lavoro, restano nel silenzio, non fanno notizia, non vengono conteggiate. Queste migliaia di uccisioni che loro chiamano incidenti, morti bianche o disgrazie, per farci, per farci credere che non ci sono responsabili. Sono in realtà delle vere e proprie uccisioni. Come si fa a conciliare la sicurezza in officina e nel cantiere con la riduzione dei costi e agli appalti al massimo ribasso? Per le aziende impegnate nella ricerca costante della riduzione dei costi, la sicurezza e la difesa della salute dei lavoratori diventa un costo, e perciò un ostacolo agli obiettivi d’impresa. Le aziende si muovono sulla base di leggi economiche precise, ispirate dal principio assoluto della ricerca del massimo profitto, da raggiungere a qualsiasi costo. Dunque non c’è da stupirsi se fanno delle stragi di marca terroristica e criminale, con l’aggravante della finalità del bieco motivo economico. E’ per questo che gli operai continuano a morire ed ammalarsi nella totale indifferenza. Quando questi morti sono lì sul selciato, e non possono essere nascoste, scattano le dichiarazioni di indignazione da parte dei capi delle istituzioni borghesi. Si mandano telegrammi alle famiglie delle vittime, per dire loro che i morti sul lavoro sono dei martiri che si sacrificano per il bene di tutti noi, altri mandano i carabinieri nei cantieri. Come esperti di sicurezza a loro non succede mai nulla, e se dovesse succedere qualcosa diventano eroi. Loro, e tutti i militari, quando si ammalano, e hanno 15 anni di servizio, possono andare in pensione anticipata. Qualcuno, per curare la piaga delle morti sul lavoro propone nuove leggi e più ispezioni, ma di fatto le uccisioni continuano e i responsabili restano impuniti. E non possiamo, certo, aspettare giustizia da questo stato borghese, che si fa carico della difesa degli interessi economici che sono all’origine della privazione dei bisogni fondamentali dei lavoratori. Lo stato borghese con le sue istituzioni fatte di politicanti, consulenti, amministratori e parassiti di tutte le forme e colori politici, asserviti alle esigenze degli industriali e dei banchieri, vede gli operai e la povera gente come un pericolo da contenere, una minaccia da controllare e rendere innocua. Figuriamoci cosa gli frega a questa gente di noi operai e delle nostre vite. Nella produzione delle merci, i lavoratori costruiscono, con il loro ingegno e la fatica quotidiana, merci che creano la ricchezza per l’intero paese, in cambio ricevono un salario di sussistenza e nessun rispetto per la propria salute. Il modo di produzione capitalista tratta gli esseri umani come merce per l’accumulo di ricchezza. In questa logica gli operai, in quanto merce facilmente reperibile e a basso costo, perché in abbondanza, diventano carne da macello. Allora perché preoccuparsi se a lasciarci la vita per il lavoro sono in tanti, cosa importa se muoiono cadendo o schiacciati oppure in modo anonimo in una corsia di ospedale, uccisi lentamente da qualche tumore le cui sofferenze durano anni? A chi importa di questi morti invisibili che nessuno conosce e pagherà per loro vite? Perchè preoccuparsi di questo, quando il problema è facilmente risolvibile? Basterà aumentare i flussi d’ingresso di nuova manodopera fresca e disponibile, pronta a farsi spremere per garantire i profitti alle imprese, contribuendo così a mantenere il benessere di quei parassiti sociali di cui siamo circondati. A se il tasso di sfruttamento in Italia non risulta soddisfacente, allora si possono chiudere le aziende e buttare per strada la gente, trasferendo le produzioni nei paesi dove gli operai sono più a buon mercato. In quei paesi privi di regole che fanno la felicità e gli utili dei padroni di tutto il mondo, che in questo modo possono gareggiare a chi spreme di più gli operai. Oggi più che mai si sta svolgendo una competizione mondiale, sempre più aspra, per il controllo dei mercati, è in atto una guerra per l’appropriazione delle materie prima. Un’altra guerra si sta svolgendo in tutti i luoghi di lavoro nei quattro angoli del mondo, questa guerra, per alzare al massimo i profitti e spingere la produttività a livelli bestiali, utilizza gli operai come truppa d’assalto, mandati al massacro, giorno per giorno, nei cantieri, nelle fabbriche e in tutti i posti dove la violenza del lavoro si manifesta nelle sue diverse forme. In Italia, e morti sul lavoro fanno parte del più generale attacco alle condizioni di lavoro e di vita della nostra gente. Questo attacco si concretizza con la ricerca di estorcere sempre più la ricchezza dal lavoro operaio, attraverso l’aumento della produttività, la riduzione del costo del lavoro e limitando gli spazi d’organizzazione e di lotta, In questo modo si cerca di ridurre la classe operaia a strumento d’arricchimento versatile e ubbidiente alle nuove esigenze del capitale. Questa offensiva, trova complici le direzioni delle vecchie organizzazioni operaie. Questi, partiti e sindacati, si sono completamente asserviti agli interessi generali dell’economia borghese e dello stato antipopolare. Questi sinistri capi, hanno utilizzato la forza operaia per costruirsi una condizione sociale più elevata. Hanno fatto ingresso a pieno titolo nei circoli imperialisti, partecipando alle occupazioni militari e al finanziamento delle guerre. In questo modo rivelano la loro vera natura di difensori dell’economia borghese, infiltrati nella classe operaia. Questo inganno non può durare a lungo. Infatti, è sempre più largo e diffuso il discredito nei loro confronti, altrettanto diffuso è il malessere causato dalle gravi disuguaglianze ed ingiustizie sociali prodotte dalla crisi del sistema. Possiamo, noi lavoratori, pensare di cambiare tutto questo con qualche riforma? Fino a quando possiamo delegare la difesa dei nostri interessi a burocrati e politicanti di mestiere? Pensate che ci sia qualcuno disposto a rimettere in discussione, con le buone maniere, i suoi privilegi a nostro favore? Noi pensiamo di no! Con l’accentuarsi della crisi del modo di produzione capitalista e con il definitivo crollo di qualsiasi ipotesi di riforma e di trasformazione per via pacifica della società, si apre per il proletariato l’orizzonte possibile della rivoluzione popolare. Tenendo fermo questo orizzonte, la strada da percorrere è ancora molta, e non mancheranno gli ostacoli e le difficoltà. Dobbiamo tracciare un percorso che sappia tenere insieme l’orizzonte del cambiamento sociale con la lotta quotidiana per i bisogni immediati. I comunisti ed i sinceri rivoluzionari devono unirsi alle masse, per riconvertire ed orientare in senso classista la grande energia presente tra i lavoratori e le masse popolari nel nostro paese. Per contrastare la violenza dello sfruttamento che porta alla morte di migliaia di lavoratori e lavoratrici è necessario integrare la lotta di difesa con l’attacco. Bisogna dare prospettiva alle avanguardie coscienti per liberarli dalle logiche aziendaliste e dalla cultura riformista. Occorre favorire la capacità autonoma di rappresentare la propria condizione sociale, incanalando la lotta economica nel fiume della lotta di classe per il potere. Il mezzo che useremo per questo cammino sarà il partito della classe operaia, il partito comunista. Questo partito, non può che essere indipendente e svincolato da qualsiasi legame e condizionamento con le istituzioni borghesi. Libero di agire nelle forme e nei modi che la situazione richiede. La sua forma attuale è quella dell’internità con le masse e clandestinità nei confronti dei nemici della classe operaia. La sua libertà d’azione e d’organizzazione che sfocia nella rivoluzione, vede nell’armamento il discrimine tra cambiamento e conservazione, tra rivoluzione e opportunismo.
Vincenso Sisi
Militante per la costituzione del Partito Comunista Politico-Militare
http://www.autprol.org/