28/06/2007: SOLIDARIETA’ ALLO STUDENTE ACCOLTELLATO DAI FASCISTI


I fatti: la notte di sabato 9 giugno, a Melzo, durante un festival musicale patrocinato dal comune, un volontario del servizio civile che è anche studente della nostra facoltà, è stato vilmente accoltellato al volto e all’addome da un gruppetto di neofascisti dell’hinterland.
Casualità o causalità? È evidente che l’escalation di episodi simili non può essere slegata dal contesto in cui sono inseriti e che li alimenta: una società dove la competizione viene assunta come modalità di relazione tra gli individui, dove gli immigrati vengono sbattuti in veri e propri lager o fatti lavorare alle peggiori condizioni, dove l'omosessualità viene definita "contro natura", dove partiti o peggio movimenti che si definiscono "antifascisti" o “pacifisti” legittimano aggressioni come quella al Libano o all’Afghanistan, dove il revisionismo storico e la retorica insopportabile dell’ "italianità" (Ciampi, Napolitano) si combinano con la beatificazione di mercenari e militari senza scrupoli definiti “eroi” o “i nostri ragazzi”, dove i leader della sinistra radicale si presentano a chiacchierare amabilmente alle feste dei giovani di AN...beh, diventa chiaro perché le idee e le pratiche neo-fasciste riescono a trovare un terreno molto fertile e finiscono per rappresentare solo la forma più brutale e "sconveniente" dei valori dominanti.

Quali risposte dunque? In quest’ottica appare imprescindibile unire, teoricamente e concretamente, la lotta antifascista alla critica della società in cui viviamo. La semplice pressione verso le istituzioni, che di questa società sono il cuore (nero o rosso, il colore non ha grossa importanza) è poco efficace. Esempio: se si chiede la messa "fuori legge" di forza nuova e di altri partiti neo-fascisti, il problema è che i neo-fascisti si possono (forse) mettere “fuori legge”, ma non si possono mettere “fuori dalla realtà” (quella sociale prodotta dal capitalismo), e quindi, con quella realtà, con quei coltelli, dobbiamo comunque fare i conti.
Anche se questi gruppi neo-fascisti fossero dichiarati illegali davvero crediamo che ciò basterebbe ad impedir loro di portare avanti certe pratiche infami come l’accoltellamento?
No, ed è chiaro che gli antifascisti hanno il dovere di proteggere la propria incolumità e quella di coloro che sono vittime della violenza neo-fascista, con tutti i mezzi e le risposte concrete che l’ intelligenza individuale e collettiva sapranno individuare.
A tal fine prevenire è meglio che curare: occorre toglier loro agibilità politica, provare a costruire nei quartieri e nelle città quel contesto di presenza e di lotte sociali concrete in base al quale i fascisti ci pensino sù non una, ma cento volte prima di tirare fuori un coltello, affinché l’antifascismo non diventi che l’ultima problemi di fronte a questo tritacarne che è la società capitalistica.
“L’antifascismo non si delega” non deve essere un semplice slogan ma un insegnamento della storia passata e recente in base a cui evitare di ricadere negli stessi errori: troppo spesso i fascisti siano stati protetti dallo stato democratico che li ha usati e li usa come manovalanza da scagliare contro i suoi oppositori politici e sociali.
Dunque, non sarà certo lo stato a mettere fine alle violenze!

“Nella misura in cui quello che conta sono i nostri desideri, noi non chiediamo di batterci, nemmeno un solo giorno. Ma se le circostanze ci costringono a batterci, noi siamo in grado di batterci, fino in fondo” (Mao Tse Tung)

Assemblea di Scienze Politiche

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