13/06/2007: TRASFORMARE LA REPRESSIONE IN NUOVA DETERMINAZIONE


Un 19 giugno ben particolare questo. Almeno, per alcuni/e di noi, abituati/e a parteciparvi in assemblea, e ora dall’altra parte del muro.
E poi per il clima creatosi appunto attorno ai nostri arresti.
Forse si può dire che pure una “sconfitta” può essere trasformata in qualcosa di positivo, seppur su un piano diverso rispetto a quello dove si è data la “sconfitta”. Essa può essere rovesciata, almeno in parte, in estensione-approfondimento di battaglia politica.
Quello che colpisce è questa “reazione d’istinto” tra le fila proletarie nel difendere, nel solidarizzarsi con chi ha cercato di impugnare la bandiera e le armi del percorso rivoluzionario. Quel percorso che si è accreditato in precise forme nella storia di classe italiana. Pur con tutti i limiti e difetti del caso. Ma c’è sempre una bella differenza tra l’assumersi queste responsabilità, o meno.
Riconoscenza proletaria istigata pure, per contrasto, dalla virulenza sproposita da parte dello stato. Un tale impegno repressivo-politico-mediatico non può che significare tutto il timore di stato e classe dominante per una via che ha dimostrato di poter concretizzare la prospettiva rivoluzionaria.
Certo, non bisogna perdere la misura delle cose.
Da qualche parte ho letto “le masse ci sostengono”. Non esageriamo!
Che ci sia un strato importante di simpatia e riconoscimento per questo percorso storico, nel campo proletario, è vero.
Però, per ora, è molto latente. E questo proprio perché da tanti anni non si è data sufficiente ricostruzione dell’istanza rivoluzionaria, nei necessari termini politico-militari, in grado di far emergere questo potenziale latente.
Quello che vediamo sono dei bei segni, ma che provengono ancora da ampi settori militanti e dagli ambienti proletari contigui agli arrestati/e.
Evitiamo esagerazioni, confusioni. “La verità, sempre la verità” (Lenin).
Diciamo che si è aperto comunque uno spazio politico nuovo, delle nuove possibilità, che bisognerà saper praticare. Così pure vanno evitate le posture persecuzioniste-vittimiste.
Dico questo in generale, non in riferimento alla nostra vicenda.
In quanto comunisti/e impegnati/e a costruire le condizioni soggettive per l’avvio del processo rivoluzionario, bisogna dare un messaggio chiaro alla classe: la tendenza è allo scontro aperto, perciò la costruzione non può che essere in termini politico-militari. Bisogna imparare a combattere.
Quindi, la difesa contro la repressione va coniugata (per così dire) ad una strategia tendenziale di attacco. La difesa contro la repressione non può essere quell’ambiguità che porta immancabilmente sulla linea garantista – legalista, perché ciò snatura il contenuto della nostra lotta (d’altra parte è precisamente questo l’obiettivo principale della repressione, cioè gettare indietro il movimento rivoluzionario). Soluzioni tattiche si possono talvolta trovare, ma non devono diventare l’asse politico portante.
Come si può proporre alla classe un percorso verso la “guerra popolare prolungata”, per la quale la costituzione del Partito armato è il fatto fondamentale, e allo stesso tempo gridare alla persecuzione?! Una cosa esclude l’altra, questa importanza “ambigua” implica il confronto con lo stato sul rispetto di regole e spazi democratici, complementare alla deriva elettoralista.
Gruppi che, lungi dal porsi sul terreno politico-militare (salvo abusare delle guerre popolari altrui, e lontane da qui..), si sono pure pretenziosamente proclamati partito, con l’unico risultato di creare confusione e discredito.
Certo non è facile, compagni/e, porre coerentemente la via rivoluzionaria. Innestare gli elementi strategici nel percorso di costruzione, nella dialettica con il potenziale interno alla classe, è operazione delicata. I colpi della repressione ne fanno parte e bisogna sforzarsi ad assumerli dentro questo percorso di scontro, costruzione e avanzamento della via rivoluzionaria.
Questo è il “messaggio” da passare al proletariato, alle forze di classe emergenti: la repressione fa parte del “gioco” e va affrontato dentro lo sviluppo del percorso rivoluzionario. La credibilità di cui esso beneficia ancora in Italia è dovuta alla ricca esperienza sviluppatasi sulla base dell’unità politico-militare, al grande apporto di adeguamento dell’unità teoria-prassi qui nelle metropoli imperialiste.
L’unità del movimento attorno ai prigionieri/e è un atto indispensabile per la saldezza e la fermezza della costruzione rivoluzionaria (come, in negativo, mostra l’offensiva sistematica dello stato per estorcere resa e dissociazione). Nel mentre si pratica solidarietà, si fanno vivere le ragioni e la sostanza della lotta rivoluzionaria. Perciò la solidarietà non è mai a senso unico, è reciprocità.
Come dice giustamente la Commissione – SRI: “Differentemente dagli organismi umanitari e apolitici, per i quali tale questione è secondaria, il SRI considera che primo dovere di solidarietà con i prigionieri politici è di permettere loro di restare dei soggetti politici, di continuare a servire la causa della liberazione dei popoli.
La mobilitazione contro diverse forme di soprusi carcerari è essenziale ma, in ultima analisi, se il problema fosse veramente evitare i soprusi, i/le compagni/e non avrebbero preso il rischio dell’impegno rivoluzionario. No, il più importante per i prigionieri/e è il continuare ad essere soggetti della trasformazione rivoluzionaria della società”. (dal volantino per il Primo Maggio 07)
Nella nostra area geo-politica sono molti i segnale interessanti: in Turchia, il conseguimento di alcuni obiettivi sulla socialità nelle carceri speciali, e la conclusione di questa durissima lotta; la grande forza dimostrata ancora una volta dal movimento di liberazione basco e dal movimento di resistenza antifascista in Spagna, nel sostenere un alto livello di scontro e nel perseguire una strategia coerente e obiettivi tattici, tra cui quelli riguardanti la prigionia; la significativa azione politico-militare dei rivoluzionari in Grecia, a colpire un covo degli imperialisti USA, in modo efficace e brillante; i livelli di mobilitazione militante e di massa che stanno crescendo in Francia, Svizzera, Germania, Belgio, Danimarca, con questa significativa presenza delle reti antirepressione e di solidarietà con i/le prigionieri/e.
Tutto ciò può, quanto meno, favorire il lavoro in rete, lo sviluppo delle connessioni e di un terreno comune di lotta che, pur non affrontando il piano strategico – ciò, che non sempre è possibile e per cui non si possono forzare più di tanto condizioni non mature – costituisce prezioso alimento per il futuro.
Oggi, come sempre, la resistenza dei/e prigionieri/e si situa in questa rete, come contributo e apporto allo sviluppo della prospettiva.
Lo sguardo rivolto in particolare al rapporto tra le punte avanzate della Rivoluzione Proletaria e delle Guerre di Liberazione Anti-imperialista nel Tricontinente, e gli embrioni del processo rivoluzionario nei centri imperialisti.
Con le parole di Georges: “Lottiamo insieme, compagni/e, e insieme vinceremo.”

Alfredo Davanzo, militante per la costituzione del Partito Comunista Politico-Militare
Giugno 2007

http://www.autprol.org/