23/05/2007: QUALCHE RIFLESSIONE SUI CONTENUTI DELLA MANIFESTAZIONE DEL 9 GIUGNO CONTRO LA VISITA DI BUSH A ROMA


Di seguito un testo con alcuni spunti di riflessione intorno alla manifestazione del 9 giugno in occasione della visita di Bush in Italia.
Esso vuole essere il contributo costruttivo di alcune realtà politiche a tutto il movimento e sarà distribuito in occasione dell'assemblea di preparazione della manifestazione che si terrà venerdì 18 alle 16,30 presso la Facolta' di Lettere la Sapienza. Naturalmente le altre realtà individuali e collettive che lo condividono sono invitate a far pervenire la propria adesione e ad attivizzarsi per la riuscita della mobilitazione del 9 giugno.

QUALCHE RIFLESSIONE SUI CONTENUTI DELLA MANIFESTAZIONE DEL 9 GIUGNO CONTRO LA VISITA DI BUSH A ROMA
Cari compagni,
nel contribuire alla mobilitazione contro la visita di Bush, avvertiamo il bisogno di sottolineare alcune cose. E' nostra decisa convinzione che vada raccolto quello sdegno particolare che suscita in vasti strati della popolazione la venuta di un personaggio così sfrontato che è arrivato perfino a vantarsi per la strage di Falluja, condotta con le bombe al fosforo, per le torture nel lager di Abu Graib, per il carcere di Guantanamo.
E giustamente anche molti elettori del governo Prodi saranno preoccupati - e forse altrettanto indignati - per l'accoglienza che questo governo, pur presentandosi diverso da quello guidato da Berlusconi, riserva al più evidente fautore della "guerra infinita" contro chi solo accenna a volersi sottrarre allo scambio ineguale, al dominio delle monete forti, alla rapina delle materie prime, al debito usuraio e agli "aggiustamenti" strutturali imposti dal FMI, allo sfruttamento a prezzi stracciati della forza lavoro.
Sarebbe però un grave errore pensare di poter intercettare le simpatie di questo elettorato omettendo di denunciare o attenuando un aspetto - sicuramente sgradevole - del rapporto di Bush con Prodi. Bush è sicuramente la punta di lancia della nuova aggressività imperialista sul mercato mondiale, ma il nostro capitalismo, rappresentato dal governo Prodi, non aderisce a questa aggressività perché subordinato, costretto, come se fosse condizionato da cattive compagnie.
Il suo massimo dissenso consiste nella richiesta di un imperialismo più policentrico, dentro il quale poter meglio ridefinire le quote dei vantaggi.
Stesso discorso è da farsi in relazione all'Europa che collabora competitivamente con gli Usa tentando di costituirsi in polo alternativo in grado di sottrarre in prospettiva la leadership alla potenza imperialista oggi prevalente.
Una tentazione in tal senso prospetta che al corteo del 9 giugno potremmo avere una maggiore partecipazione, occultando o minimizzando che
a) il governo Prodi conferma orgogliosamente la presenza delle "nostre" truppe specializzate in ben 24 paesi;
b) l'Italia è uno dei "7 Grandi", è socio cioè del club esclusivo dei paesi dominanti;
c) l'Italia compartecipa alle basi NATO e mantiene sue costosissime basi militari altrettanto minacciose contro i paesi che intendono sottrarsi alla rapina, nel mentre procede ad un riarmo in proprio che solo dei buontemponi possono ritenere puramente difensivo;
d) il capitalismo italiano gode a tutti gli effetti di manodopera a salari bassissimi nei Balcani, in Cina, in India, in Nigeria, ricatta i "propri" lavoratori con la minaccia costante di trasferire le produzioni in questi paesi, e impone condizioni capestro di lavoro agli immigrati che fuggono da quei veri e propri inferni cui esso abbondantemente contribuisce.

Se per inseguire una maggiore partecipazione all'immediato non si dice che Bush e Prodi sono compagni di merenda!, cioè si evita di dire che un governo come quello di Prodi non è riportabile sulla buona strada con un'opposizione dialettica, ma merita tutta la nostra intransigente opposizione (con le forme di lotta e su obiettivi consigliabili dai rapporti di forza, ma nondimeno opposizione intransigente), dobbiamo essere consapevoli di pagare poi dei prezzi come già è avvenuto.
Il prezzo è quello di incoraggiare per l'ennesima volta l'illusione che, sconfitto l'imperialismo "peggiore" ce ne sia uno "migliore", che aprirebbe i cosiddetti spiragli per le riforme e con cui poter trattare, magari con un interventismo non militare ma "veramente" umanitario.
Il prezzo è quello di vedere di nuovo rifluire le mobilitazioni di protesta, quando - come nel caso della spedizione in Libano - ad essere in primo piano ci sono le nostre missioni militari, che diventano magicamente umanitarie o di pace.
Il prezzo è quello di contribuire a far vedere sempre l'imperialismo in casa altrui, ma mai in casa propria, è quello cioè di non combatterlo nel suo complesso. E' quello di comportarsi come quei cristiani che si illudono di sbarazzarsi della Chiesa alla morte del Papa, ostinandosi ancora a non voler capire che morto un Papa se ne fa un altro.
E' quello di comportarsi come quelli che si battono contro i rifiuti nel loro quartiere addossando la colpa al quartiere vicino.
Viceversa, questa occasione - che attirerà senza dubbio l'attenzione di un gran numero di lavoratori, disoccupati, precari, immigrati - ci fornisce la possibilità in concreto di meglio precisare qual è la reale differenza tra Berlusconi e Prodi, cioè nella sostanza nessuna.
Berlusconi fu orgoglioso di essere stato invitato da Bush a Washington, Prodi è orgoglioso di aver invitato Bush a Roma. Ne è orgoglioso non perché è stupido o gioca a perdere, ma per i motivi strutturali sopra esposti.
Questa precisazione risulterà un po' sgradita agli indecisi, ma aggiungerà, con la forza dell'esempio concreto, un tassello importante per separarsi dall'eterna altalena, sostenuta da un politicismo di sinistra sempre più imbelle e drogato dall'elettoralismo, tra male peggiore e male minore.
Infine è da tener presente che una mobilitazione radicale contro tutti gli imperialismi, a cominciare da quello di casa propria, può rappresentare il miglior sostegno per i proletari dei paesi periferici che resistono armi in pugno contro le aggressioni, in quanto essa segnala che ci sono ben altri alleati oltre una borghesia nazionale che spesso li rinchiude in un vicolo cieco rispetto alla prospettiva di una vera liberazione dal dominio capitalistico.

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