05/03/2007: Autodifesa di Marco Martorana all'udienza del 28/02
TORINO 28 febbraio 2007, si è tenuta, presso il tribunale di torino, l'udienza del processo che mi vede come imputato per aggressione aggravata verso un digos, ferito alla testa da una bottiglia durante il corteo del 6/12/2005, corteo in protesta per il brutale sgombero del presidio a venaus no tav.
L'udienza è iniziata con un'ora e mezza di ritardo; il mio avvocato ha dichiarato la mia volontà di leggere un mia dichiarazione spontanea, dichiarazione depositata agli atti, che allego, se qualcuno volesse leggerla per intero. Circa 40 minuti, questo è il tempo che ho impiegato a leggerla.
La dichiarazione l'ho divisa in due parti, nella prima racconto la giornata del 6/12/2005 e nella seconda parte prendo in esame l'accusa evidenziando le contraddizioni e le discrepanze che vengono fuori dai verbali della polizia e dalle loro dichiarazioni durante il processo. Poi concludo dicendo che tutta la ricostruzione degli sbirri è completamente inventata. In realtà fare un riassunto di ciò che ho detto nella mia dichiarazione è per me molto difficile in questo momento, se volete sapere ciò che dice prendetevi un po' di tempo e leggetela, giuro che non ci impiegate 40 minuti... a parte tutto, dopo averla letta fu il turno del pm per pormi domande, ma il pm non aveva domande da farmi perchè nella mia dichiarazione ho dato anche le risposte alle sue possibili domande, l'unica cosa che vorrebbe sapere è il nome dei miei amici che erano con me prima e dopo il corteo e i nomi degli amici ai quali ho prestato i miei indumenti, dato che non ho fornito nella dichiarazione queste informazioni, le ho risposto la mia intenzione di non voler fornire i nomi, anche se essi poi testimonieranno il 22 maggio, data
della prossima udienza, perchè conosco le pratiche intimidatorie della polizia.
Nella conclusione dell'udienza il mio avvocato però ha dovuto fornire al giudice i nomi dei test che verranno a depositare nella prossima udienza, la digos presente in aula si è annotata tali nomi su di un foglietto, come promemoria, per non smentirsi...
Loro costruiscono montature, storielle assurde che mandano in galera le persone libere, portano avanti la repressione senza sosta sperando di farci paura o di farci arretrare, ma questo non succederà mai, perchè non siamo servi, non abbiamo venduto l'anima nè ai padroni nè al denaro... i figli della libertà odiano lo stato e tutti i suoi tentacoli... quindi odiano anche la tav!!!
Prossima udienza presso il palazzo d'ingiustizia a torino il 22 maggio del 2007 ore 9:30 aula 54...
Marco
ECCO L'AUTODIFESA LETTA DAVANTI AL GIUDICE
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Quello che andrò ad esporre qui di seguito sarà in parte una ricostruzione della giornata del 6/12/2005, quello che ho vissuto io, ovviamente, l’altra parte, invece, sarà discutere la falsa ed infondata accusa contro di me.
Ho scritto quello che ho intenzione di dire per chiarezza e completezza.
Questa è la ricostruzione della giornata del 6/12/2005, questa ricostruzione l’ho fatta in carcere, quindi la memoria della giornata era ancora fresca nella mia mente.
Appena mi svegliai guardai il cellulare e da un sms appresi la notizia degli avvenimenti notturni a Venaus, la mia prima reazione fu di preoccupazione e sgomento, pensando alle persone che conoscevo che potevano essere coinvolte e poi conoscendo bene il presidio di Venaus, infatti fu un caso che non ci fossi anch’io, pensai alle persone colte nel sonno in una situazione simile; incominciai a telefonare, ascoltare la radio e mi collegai ad internet per informarmi nei dettagli sull’accaduto. Arrivò la notizia che la polizia aveva fatto posti di blocco sulle strade, impedendo così l’accesso a chiunque avesse voluto portare solidarietà su a Venaus. Constatata l’impossibilità di salire a Venaus la solidarietà fu dimostrata a Torino ed in altre città, da chi ne aveva intenzione, in modo libero. Intanto, la preoccupazione si era tramutata in indignazione in quanto l’aggressione notturna della polizia era stata brutale ed insensata, se il risultato che le forze dell’ordine volevano ottenere era quello di sgomberare il presidio, potevano ottenerlo in 1.000 modi diversi, anche perché quella notte le persone al presidio non erano molte, la maggior parte dormivano e c’erano anche persone anziane e l’unica cosa da superare era una barricata con dietro un paio di persone. Tale barricata è stata sventrata da una gru, mettendo a rischio le persone che stavano dietro essa, con chiara intenzione, perché sulla gru c’era un poliziotto, che dirigeva l’operazione, che urlava frasi del tipo “schiacciateli... ammazziamoli tutti”, dico tutto ciò col fine di spiegare il mio stato d’animo di quel giorno e per arrivare a spiegare come ci si poteva sentire e cosa si poteva pensare, inoltre, dopo il pestaggio addirittura delle persone che dormivano nelle tende e nella struttura sita all’interno del presidio come cucina/bar, svegliate a manganellate, arrivarono i soccorsi che la polizia non fece passare e solo dopo tempo permisero ad alcuni medici, mi sembra solo due, ma non ricordo con precisione, ovviamente quel giorno erano i racconti verbali della gente a render noto tutto questo. Ricordo comunque che è tutto documentato da filmati e registrazioni. Dopo una lunga attesa la polizia permise ai medici di passare a piedi con una barella! I medici dovettero superare lo schieramento di polizia ed i presidianti riuniti di fronte ad essa, recuperare i feriti e ripercorrere il tragitto fino all’ambulanza, tutto ciò di notte a dicembre in un campo di Venaus. Penso di aver reso abbastanza chiaramente l’idea delle informazioni che avevo appreso quella mattina, quindi può essere più facile capire perché in piazza sono stato visto mentre urlavo, non ci vedo nulla di strano, anche se la digos nei verbali lo vuol far passare come un fatto che rafforza la loro tesi, lo rifarei e se penso all’accaduto non posso che provare un’indignazione profonda. Non dimentichiamo poi che il presidio di venaus era un presidio pacifico, formato in gran parte da abitanti del luogo che si oppongono alla costruzione di una cosiddetta grande opera, nei luoghi dove loro vivono, che andrebbe a danneggiare, non solo il luogo di per se, ma, la stessa salute degli abitanti, in pratica erano lì per difendere le loro vite ad esempio da amianto ed uranio.
Il punto di ritrovo a Torino, nella mattinata del 6 dicembre, si creò in piazza Castello, nello spiazzo di fronte alla prefettura, accanto al monumento. Quindi quella mattina partii da corso sicilia 47, dove risiedo per recarmi in piazza. Ci andai in motorino, unico mezzo di trasporto che possedevo all’epoca, un malaguti 50. Questo spiega il perché dei molteplici strati di vestiti, il freddo era intenso, mi arrangiavo con un motorino, ma non avendo vestiti adatti da motociclista, quindi, per non sentire l’aria gelida mi difendevo con più strati possibili di vestiti; questo fatto è diventato nei verbali della digos una intenzione, da parte mia, di cambiare l’aspetto più volte, in modo da rendere più difficile il mio riconoscimento, questa cosa, non solo la si trova nei verbali che porteranno al mio arresto, più precisamente in un’annotazione di Matteo Bentivoglio, digos che raccolse il materiale d’accusa e che eseguì il mio arresto, ma la si ritroverà negli atti del tribunale del riesame del 10 gennaio 2006 e depositato il 13 gennaio dello stesso anno.
Ecco come sono uscito di casa quella mattina: scarpe da ginnastica, blue jeans, una t-shirt e sopra di essa una maglia di cotone nero, una maglietta a maniche lunghe viola con cappuccio e sopra di essa una felpa nera con cappuccio che si apre come una camicia davanti tramite una cerniera, lo strato successivo era un giubbotto sintetico grigio blu senza cappuccio ed infine un cappotto nero con cappuccio, intorno al collo portavo una sciarpa indiana, quella sotto sequestro, mentre sulla testa portavo un berretto di lana nero che diventa un passamontagna. Tutto questo vestiario lo usavo quotidianamente per viaggiare in motorino. Inoltre avevo un casco nero, non integrale, in pratica aperto, estivo.
In piazza Castello si attese l’arrivo delle persone in continuo crescendo. Tutto quello che ho detto fin’ora ha una valenza esplicita o meno ai fini di questo processo, cioè spiega e chiarisce alcuni punti che si ritroveranno la sera o che sono stati usati nell’accusa contro di me. Quello che avvenne nella mattinata e nel pomeriggio non ha nulla a che vedere con la sera, momento che interessa questo processo, essendo inutile raccontare, in questa sede, il mio vissuto degli spostamenti e dei fatti che precedono di molto la sera, espongo solo una breve sintesi. Si decise di fare un corteo; sfilammo per le vie del centro di Torino per informare la popolazione dell’accaduto. Si arrivò a porta nuova e si entrò nella stazione bloccando l’accesso e l’uscita dei treni. Dopo un’ora circa tornammo in piazza Castello, anche perché era inutile restare a porta nuova, tutti i treni erano stati deviati a porta Susa. Il corteo sfilò poi in via Po, fino in piazza Vittorio poi girò a sinistra prima del ponte e successivamente alla seconda a sinistra, trovandosi così in corso San Maurizio, sfilò di fronte a Palazzo Nuovo, e poi tornò in piazza Castello passando prima di fronte alla r.a.i. per prendere poi via Po. Li il corteo si sciolse dando appuntamento a tutti alla sera alle otto e mezza, 20:30, sempre in piazza Castello. Sottolineo solo che sia la mattina che il pomeriggio i numeri dei manifestanti erano di gran lunga superiori rispetto alla polizia schierata, perché quest’ultima era stata mobilitata a Venaus.
Tutto il tragitto che ho appena descritto l’ho percorso portandomi dietro, quindi in mano, il casco, come risulta da alcuni verbali. Cosa importante, tutte le foto ed i filmati del 6/12/2005 sono riferite a questi momenti, in pieno giorno con una buona visibilità.
Recuperato il motorino andai con alcuni amici, mangiammo qualcosa in giro per le vie del centro. Poi, verso le 20:30, ci avviammo in piazza Castello. Assicurai il motorino con una catena alle transenne di ferro verdi in piazza castello, quelle che si trovano in mezzo alla strada di fronte al teatro regio e di fronte al monumento dirimpetto alla prefettura, questa volta posai il casco lasciandolo dentro la sella del motorino. In poco tempo si raduneranno all’incirca 500 persone. Poco dopo il corteo si muoverà. Prima che il corteo si metta in movimento, un amico mi disse di avere molto freddo, io, avendo addosso tanti vestiti per ripararmi dal freddo in motorino, gli offrii il mio cappotto, quello nero col cappuccio, rimanendo così col giubbotto sintetico grigio blu, ben lontano da essere scambiato per nero, anche da lontano di sera, chiaramente l’amico in questione può testimoniare quanto sto dichiarando. Il corteo si avviò cosi da piazza castello a piazza Solferino, in quest’ultima piazza un’altra mia amica mi disse che aveva freddo e le cedetti la sciarpa indiana, anch’essa può testimoniare questo fatto. Rimango senza sciarpa, solo con il cappello di lana, che ricordo è un passamontagna ed il giubbotto sintetico che si chiude con una cerniera e sotto di esso una felpa nera anch’essa con cerniera, con il collo a v. Spesso ero alla testa del corteo. Quello che ho visto erano pochi poliziotti in divisa a distanza considerevole, non saprei quantificarla, ma rispetto a qualsiasi corteo erano a molto più del doppio delle normali distanze, rimaneva sempre il fatto che erano pochi uomini ed il corteo era di 500 persone. Il corteo poi svolterà in corso Matteotti, in quel frangente non ricordo dov’ero con esattezza, mi muovevo tra la testa del corteo e le parti centrali, diciamo subito dietro la testa del corteo, ho visto alcune corse partire dalla testa del corteo, corse comunque di pochi metri, senza fini bellicosi. Data l’enorme distanza tra i manifestanti e la polizia, se le corse avessero avuto altri fini, non si sarebbero immediatamente interrotte dopo pochi metri, infatti nei cortei spesso avvengono queste corse e la polizia sa bene che vengono fatte dai manifestanti con l’unico scopo di tenerli lontani. Poi non ho visto altro, ho sentito poi raccontare, nel corso del corteo, che si avviava nuovamente in piazza Castello, di alcuni lanci di oggetti verso la polizia, lanci avvenuti probabilmente durante una di queste corse, saprò solo dopo che fu in questi lanci che venne colpito un digos. Rientrati in piazza Castello il corteo si sciolse ed io restai fino all’ultimo nei pressi del fuoco acceso all’inizio di via Po, la ragazza che aveva la sciarpa me la restituì prima di andarsene. Poi rimasti in meno di 10 persone esortai per sicurezza, onde evitare eventuali rappresaglie, i rimasti ad andarsene tutti assieme e mi avviai con due miei amici, uno dei quali aveva ancora il mio cappotto nero. Ma non potei andarmene subito perché avevo il motorino lì in piazza e dovevo tornare a casa presto perché ero senza chiavi e quindi dovevo farmi aprire; andai a prendere il motorino da solo sotto il vicino sguardo della polizia schierata davanti alla prefettura ed alla digos, perché come ho detto prima il motorino l’avevo legato proprio lì, però in un momento dove la piazza era piena di manifestanti, mentre quando lo presi ero solo, con a molti metri di distanza due amici, completamente sotto l’attento sguardo di digos e polizia! Questo lo possono dire i miei due amici, ma non solo, lo potrebbe dire anche la telecamera di piazza castello angolo via Po, mascherata da lampione, peccato che è stato già dichiarato che essa col buio da immagini impossibili da vedere, che “caso”, perché essa potrebbe anche confermare come ero vestito prima che parta il corteo e alla fine di esso. Ovviamente le telecamere servono solo per incriminare. Comunque recuperato il motorino raggiunsi i miei amici e ci avviammo verso via Garibaldi, dove loro vivevano, poi recuperato il mio cappotto mi separai da loro in via xx Settembre. Tornato a casa mi aprì Riccardo, persona con cui vivevo, lui si trovava di fronte al computer penso a lavorare, scambiammo 2 chiacchiere sul corteo e poi lo lasciai ai suoi affari e andai a dormire, passando davanti alla camera di Laura, altra persona con cui vivevo, che mi salutò chiedendomi come stavo ed io risposi che andava tutto bene e che andavo a dormire, anche loro due possono testimoniare quanto ho detto. Solo il giorno dopo seppi del ferimento di un poliziotto, che poi scoprì essere un digos e pensai appunto a quei lanci durante le corse, dato che si trattava di una ferita procurata da una bottiglia di vetro.
Solo per cronaca, il giorno dopo era il mio compleanno e mi ero ritrovato con amici in via garibaldi, quella sera la digos ci ha fermato e chiesto i documenti, i miei non li hanno visionati dato che conoscevano bene le mie generalità.
L’otto dicembre dello stesso anno, invece, ci sarà la “riconquista” dei cantieri a Venaus, dove ero presente anch’io, tale giornata risulta una “vittoria” per gli abitanti della Val Susa, è evidente che forse per qualcuno invece risulta una sconfitta.
Il 22 dicembre, di fronte al tribunale dove ora ci troviamo, ebbe luogo un presidio in solidarietà con gli arrestati per i cpt, centri di permanenza temporanea e per gli arrestati del 18 giugno del 2005, durante un corteo, caricato dalla polizia, indetto per gli accoltellamenti dei fascisti nei confronti di due abitanti di una casa occupata. Il presidio era una colazione musicale in strada, era molto partecipato e quindi finirono presto cibo e bevande. Mi recai a comprare un paio di birre al vicino chiosco, attesi il mio turno e dopo che pagai, presi in mano le due bottiglie dal bancone, che ancora adesso sono sotto sequestro come fossero armi, solo in quel momento mi sentii chiamare alle mie spalle, voltandomi vidi un digos di mia conoscenza che mi pose una domanda al quanto strana, mi voltai dirigendomi verso l’uscita e fui fermato da altri digos che mi tolsero le birre di mano e mi caricarono in macchina. Fui portato in questura e poi in carcere. In questura restai parecchio in una stanza controllato a vista, devo dire che fui trattato bene, tranne due spiacevoli momenti: in uno venni solamente deriso e nell’altro un digos entrò nella stanza spegnendo la luce e chiudendo la porta, con chiare intenzioni, fortunatamente entrò un altro digos che lo esortò a lasciarmi in pace. In quel frangente ero particolarmente attento a tutto ciò che sentivo attorno a me, anche perché all’inizio tutto era poco chiaro, non mi dissero subito la ragione del mio fermo, poi, dopo, quando dovevano trasferirmi in carcere sentii una comunicazione telefonica, al cellulare, dove sentii che qualcuno chiedeva di aspettare prima di trasferirmi in carcere perché voleva vedermi, ciò fu ripreso in un discorso fra due digos, tutto ciò ovviamente sempre fuori dalla stanza dove stavo io, uno di essi domandava all’altro quando dovevano portarmi in carcere e l’altro rispose: “lui” lo vuole vedere prima dobbiamo aspettare, non riuscivo a capire di chi si trattasse, immaginavo qualche digos, ma non riuscivo a capire chi e perché, finche non entrò dopo un uomo che non conoscevo, che potevo aver visto in qualche corteo, ma che non conoscevo bene come invece conosco il viso di molti altri digos, ci guardammo e lui ridacchiò e se ne andò, fu un altro digos, che vedendomi disorientato, mi chiese se sapevo chi fosse l’uomo che era entrato, risposi di no e mi fu detto è Catalano. Appresi solo in quel momento, avevo poco prima letto i verbali e collegai.
Adesso vorrei, come avevo detto all’inizio parlare dell’accusa, mi sono limitato, fin’ora, a raccontare i fatti senza creare collegamenti alle accuse mosse contro di me. Affronterò i vari punti in modo non cronologico rispetto la giornata in questione, dato che ogni cosa può essere ben collocata nella suddetta ricostruzione.
Prima di tutto vorrei citare alcuni punti dei verbali della polizia, che anche se non sono agli atti del processo, sono pur sempre verbali ufficiali scritti da poliziotti che mi accusano.
Da un’annotazione della questura di Torino, intestata il 7 dicembre, firmata da filippo catalano, datata alla fine 8 dicembre: ...Dei tre manifestanti, lo scrivente dichiara di avere riconosciuto senza ombra di dubbio il Martorana in quanto a quest’ultimo, presumibilmente a causa della corsa, si era abbassata la kefia che precedentemente aveva tenuto sul volto per travisarsi. Nel frangente, il Martorana indossava pantaloni neri, felpa con cappuccio di colore scuro, mentre al collo aveva una kefia in cotone. Inoltre emanava un forte odore di alcol. Poco dopo nella stessa annotazione scrive - nel frangente, Martorana, dopo aver alzato nuovamente la kefia sul volto, ha estratto da sotto la felpa una bottiglia vuota di colore marrone...
In questa parte dell’annotazione si nota una descrizione abbastanza dettagliata del vestiario, non particolareggiata, ma vengono presi in considerazione gli indumenti più visibili, quelli, diciamo, più ampi. Se Catalano avesse visto me in quel frangente dovrebbe ricordare un giubbotto grigio blu, molto ampio e più lungo della felpa sottostante e con gli interni verdi, mi si potrebbe ribattere che poteva esser chiuso così da poter sembrare o essere scambiato per una felpa, assolutamente no, risponderei, essendo di un colore chiaro rispetto al nero e avendo un grosso colletto come quello di una camicia, molto diverso da quello di una felpa. Poi fatico a capire la dinamica in questa ricostruzione, mi sarei avvicinato di corsa alla Caparello, durante questa corsa mi sarebbe caduta la sciarpa dal volto, ma invece di rialzarla mi sarei avvicinato comunque? e solo prima di estrarre la fantomatica bottiglia avrei rialzato la sciarpa sul volto per occultarlo? correvo quindi con le mani libere, perché poi dice che estraggo la bottiglia dopo da sotto la felpa, mi chiedo perché le mie mani libere non avrebbero rialzato la sciarpa, poi è sicuramente difficile e scomodo correre tenendo una bottiglia nei pantaloni, unico posto dove si potrebbe nascondere una bottiglia sotto una felpa. Sottolineo inoltre con quanta sicurezza parla della sciarpa che avevo attorno al collo, lasciando perdere che la chiama ripetutamente kefia, lui dichiara comunque che avevo attorno al collo un indumento.
Quello che lui descrive è me nelle foto del giorno, dove con il cappotto nero ero tutto nero tranne per il cappuccio viola della maglietta che portavo sotto, in quelle foto avevo ancora cappotto e sciarpa. Qui non parla del cappello, è evidente, sarebbe difficile spiegare come mai non ho usato il passamontagna che sarebbe stato più sicuro per occultare il volto. Poi dice che ero ubriaco, basterà chiedere ai miei amici con cui ho passato la giornata prima e dopo la manifestazione ed a chi mi ha parlato al mio rientro a casa, per vedere che non è vero.
Da un’annotazione della questura di Torino del 7 dicembre firmata da raffaella fontana: ...si è fin dal principio evidenziato per la veemenza e aggressività palesata nei confronti dei colleghi e della sottoscritta.
La fontana in questa annotazione fa intendere un mio comportamento esagitato, dove sarei riuscito a farmi notare ad una distanza considerevole tra molte persone per la mia veemenza e aggressività, mi chiedo cosa intenda, dato che ero in un corteo dove tutti urlavano e cantavano slogan, io sarei spiccato in mezzo a tutti? dice poi che questi comportamenti si sarebbero palesati in particolare verso di lei, ma non dice come, strano, no?
In una relazione di servizio all’ufficio del gabinetto della questura di Torino, divisione di polizia amministrativa e sociale, ,datata 7 dicembre 2005 francesca caparello scrive: ...dopo essersi travisato con una “kefia”. Colpiva… etc…etc…
Anch’essa come catalano parla di kefia, strano che entrambi commettano lo stesso equivoco, usando questo termine in modo, come verrà detto successivamente al tribunale del riesame, improprio.
Dall’annotazione della questura di Torino sezione informativa della digos del 22 dicembre 2005 firmata da matteo bentivoglio: lo scrivente ha proceduto al sequestro tipo kefia...
Sembra che nessuno della digos conosca il significato politico e simbolico della kefia, indumento usato largamente da comunisti, ma non da anarchici, eppure seguono tutti per lavoro aree di sinistra ed anarchiche di cui ben conoscono le differenze, in particolare catalano, che segue le aree universitarie come da lui dichiarato in questo processo, composte per la maggior parte da giovani, quindi ancor più legati ad una certa simbologia.
Nella stessa annotazione, alla fine scrive: Martorana Marco è stato notato bere continuamente lattine e bottiglie di birra...
Ricordo che si sta parlando della data del mio arresto. Il fatto che in una colazione sia dolce che salata abbia bevuto assieme ad altri, oltretutto passandoci la lattina o la bottiglia che significato ha? poi è strano, nota che bevo, ma non che mangio, che parlo o le altre cose che ho fatto, parla di lattine e bottiglie che avrei bevuto continuamente, forse, dato che ci passavamo continuamente le bevande dopo aver fatto un sorso, avrà pensato che ogni volta era una diversa? e poi, se ho bevuto come dice, come mai dopo nessuno dichiarerà una mia ubriachezza, nè in questura nè in carcere? Eppure il 6/12/2005 senza avermi mai visto bere, viene detto nei verbali che ero ubriaco sia da Catalano, sia dalla Caparello che dalla fontana, i quali poi mi avrebbero visto solo per pochi secondi, secondo le loro dichiarazioni. Eppure ore ed ore in questura, mentre prima bevevo continuamente, sempre secondo i verbali e nessuno che parla di odore d’alcol o di ubriachezza? neanche catalano che il 6/12/2005 era in un momento sicuramente di agitazione, secondo lui mi avrebbe avuto di fronte per una manciata di secondi, mentre in questura era tranquillo davanti a me per qualche minuto.”
Alla prima udienza di questo processo Michele Viola, digos di Biella che quel giorno prestava servizio a Torino, ha dichiarato, tra le altre cose, che l’aggressione in questione sarebbe avvenuta durante la seconda corsa, la distanza tra i manifestanti e la polizia era più o meno di 40 metri, vede un gruppo di circa 30 o 40 persone e vede tre persone di questo gruppo che si staccano ulteriormente e si avvicinano a catalano, viola si gira per scappare quando essi si trovano ad una distanza di circa un metro e mezzo da Catalano, egli si trova a tre o quattro metri da Catalano, il gruppo dei 30 o 40 dista dai tre manifestanti 4 o 5 metri. Appena si volta passa tra lui e la fontana una bottiglia che si infrangerà metri dopo, la fontana guarda verso il corteo, quindi verso Catalano Viola continua dicendo che scappando prende la fontana praticamente di peso e la porta via, questa cosa la ripete due volte, poi dopo una ventina di secondi li raggiunge Catalano ferito, sorretto ed aiutato da un digos, probabilmente, dichiara, Pino Renato.
Nella stessa udienza, subito dopo, testimoniava Raffaella Fontana, dichiarando tra le altre cose che la distanza, durante il corteo tra i manifestanti e la polizia, era tra i 100 ed i 200 metri. Il gruppo che si stacca, lei parla di 40 o 50 persone, correndo verso la polizia lancia oggetti come bottiglie e sassi, da questo gruppo si staccano ulteriormente i tre. Qui viene già da chiedersi come possano aver percorso 100 o 200 metri lanciando oggetti senza che la polizia riuscisse a scappare prima di essere raggiunta come avevano fatto in precedenza da loro dichiarazione unanime. Inoltre quando i tre si avvicinano alla Caparello, quest’ultima, secondo la Fontana che era a due metri da lei, sarebbe di spalle in comunicazione con l’apparato radio, è incredibile, sotto il tiro di oggetti e rincorsi da 50 manifestanti lei è ferma a comunicare via radio dando le spalle al corteo ed i colleghi, a lei vicini, come Catalano, Fontana, Viola che nelle loro dichiarazioni percepiscono tutti il pericolo prima e sono inoltre tutti nel raggio di pochi metri, la Fontana addirittura ad un metro o due dalla collega Caparello, eppure nessuno si è preoccupato di avvertirla? Mi sembra inverosimile. Come sembra inverosimile la dichiarazione che fa sul mio riconoscimento, conosce bene la mia faccia e per accusarmi deve dichiarare ovviamente di vederla, ma dire che dopo una corsa di molti metri assieme a 50 persone, mi stacco praticamente da solo, con altri due, quindi mi rendo visibile a volto scoperto e solo prima di colpire Catalano mi coprirei il volto è completamente assurdo. Ricordo sempre che avevo un passamontagna in testa e che non avevo più, in corso re umberto, la sciarpa.
Altra cosa strana, la Fontana dichiara che la bottiglia che passa tra lei e viola viene scagliata subito dopo l’aggressione di catalano e che poi lei e viola scappano, oltre al fatto che la fontana nega di essere stata portata via da viola, come è possibile? viola dichiara che la bottiglia arriva nell’attimo dopo che si volta, dando quindi le spalle al corteo e mentre è voltato che avviene l’aggressione che infatti lui non vede. Il punto sta nel fatto che la fontana dichiara di scappare proprio perché si sente minacciata dalla bottiglia scagliata verso di lei, dichiarazione agli atti del processo, viola però fino all’attimo prima è voltato verso il corteo e osserva la scena dei tre manifestanti che si dirigono verso catalano, infatti descrive tale scena.
La fontana poi dichiara che catalano li raggiunge in neanche un secondo, cito testualmente le sue parole “una frazione di secondo”, dice che non è stato soccorso da nessuno perché è scappato con loro, insieme con lei e gli altri, contrariamente a quanto asserisce viola, che non solo dice che arriverà dopo, parla di una ventina di secondi, ma arriverà soccorso da un collega, l’unica cosa certa e che viola e la fontana fuggono assieme, non si capisce il motivo di queste enormi discrepanze nei loro racconti. È evidente che se ci fosse stato un collega uomo accanto a catalano, non si spiegherebbe come mai catalano, un collega suo, forse pino renato, viola, la caparello e la fontana, tutti armati non abbiano respinto tre persone armate di bottiglie, la fontana aggiunge che li con loro c’era anche Bevivino non solo, dichiara che li accanto a loro c’erano una decina di uomini in divisa. Infine la fontana dichiara anche e con certezza, che la caparello sia stata accerchiata dai tre manifestanti.
Nella seconda udienza di questo processo testimonia Francesca Caparello, nella sua dichiarazione tra le altre cose dirà che già prima dell’aggressione in questione durante le corse effettuate dai manifestanti verso la polizia, vengono effettuati lanci di oggetti verso di lei e i suoi colleghi, sente cadere oggetti vicino alla sua persona e il rompersi di vetri, infatti arretra in modo veloce per sottrarsi al pericolo, mantenendo una distanza di 20 metri circa. La parte interessante della dichiarazione della Caparello la riporto fedelmente come è scritta sul verbale del processo, dice testualmente: “ho guardato con attenzione la testa del corteo e ho notato che alcune figure, penso tre si stavano staccando in particolare verso la mia direzione, allora ho ancora fatto un altro passo come per allontanarmi. Nel frattempo però mi sono vista queste figure alle spalle e ho inteso che questa era un’aggressione alla mia persona, mi stavano venendo addosso”.
Secondo quanto dice lei non era ferma di spalle rispetto al corteo, vede chiaramente i tre arrivare e cosa importante non sta comunicando via radio, come dichiarato da altri test, più precisamente dalla fontana e da catalano. Dichiara poi che i tre colpiscono catalano che le era venuto in soccorso e che egli cade a terra, ricapitolando la situazione, lei si trova attaccata da tre persone armate di oggetti contundenti, catalano viene colpito e finisce al suolo, nel frattempo sappiamo che il resto della digos sta fuggendo, perché così hanno dichiarato tutti, allora mi chiedo come mai i tre non abbiano aggredito anche lei, dato che non erano minacciati da nessuno? In fondo secondo quanto detto i tre avevano come intenzione aggredire la caparello e dopo aver aggredito catalano non capisco cosa li abbia trattenuti dall’aggredire anche la caparello, oppure perché non abbiano infierito su catalano al suolo. L’unica ipotesi che posso dedurre e che catalano sia stato colpita da una bottiglia lanciata da una certa distanza, cosa che poi spiegherebbe tutta la questione.
Interessante è anche questa frase sempre della caparello, che cito testualmente: “…oltre il braccio anche una gamba, come proprio per saltarmi addosso alle spalle. Poi come una figura, non so, giovanile, giovane, di pelle chiara.” Qui sta parlando dell’aggressione a catalano, cioè dell’atto della bottigliata e non si capisce bene cosa intenda dire, pensa che l’aggressore gli voglia poi saltare addosso e poi non lo fa? Perché? Poi subito dopo parla della kefia, sciarpone che uscirebbe da sotto il giubbotto, questo fa presumere che il giubbotto fosse chiuso, ma se così fosse stato e se avessero visto me, non avrebbero potuto vedere un giubbotto nero, né tantomeno una felpa nera, il giubbotto che è grigio blu è un giubbotto molto ampio e, chiuso, copriva completamente gli indumenti sottostanti, inoltre ha enormi tasconi laterali che sarebbero stati più consoni per occultare una bottiglia, ricordo che invece è stato detto che l’avrei tirata fuori da sotto la felpa da più digos.
Poi le viene domandato, sempre alla caparello, se la persona che aggredisce catalano era travisata, ella risponde che nel momento in cui la persona alza il braccio no, cioè durante il gesto della bottigliata, dove lei era affianco all’aggressore, questo è il momento dove riconosce il volto, dice che nella corsa era travisato. Problema: quindi, secondo lei, la sciarpa nel momento dell’aggressione era giù, mentre secondo gli altri l’avrei tirata su prima dell’aggressione. È facilmente intuibile il perché, la caparello non mi conosce e non potrebbe dichiarare con certezza che sono io se non dicendo di avermi visto da molto vicino, mentre gli altri che ben conoscono il mio volto non avevano bisogno di dire una cosa così assurda, perché sarebbe stato ben strano che una persona conosciuta dalla digos aggredisca quest’ultima, in un simile frangente, senza coprirsi il volto durante l’atto.
Sottolineo che la caparello dichiara di aver detto alla fontana di aver riconosciuto l’aggressore e che anche la fontana dichiara di avermi riconosciuto immediatamente, allora perché in piazza castello quando rimasi solo di fronte alla digos ed alla polizia, per recuperare lo scooter non mi fermarono? non c’erano rischi, la manifestazione si era già sciolta e non c’era praticamente più nessuno. Ancora una volta la spiegazione può essere una sola, cioè che in quel momento non ero ancora il presunto colpevole.
Per quanto riguarda la deposizione della caparello, ricordo ancora, l’altalena quasi comica sulla differenza tra la kefia e la sciarpa, una situazione che mi ha ricordato un bambino che mente palesemente ai genitori e cerca di trovare scuse assurde per uscirne.
Nella stessa udienza parlerà dopo filippo catalano che tra le altre cose dichiarerà: sul foulard tipo kefia, come lui chiama la mia sciarpa, gli verranno mostrate i due reperti, la sciarpa indiana e la kefia e riconosce la sciarpa come indumento da me indossato durante il corteo, poi quando il pm gli chiede se aveva rivisto la sciarpa dopo il 6/12/2005 lui risponde di no, forse può averla vista nelle fotografie, il pm poi gli chiederà se era a conoscenza delle circostanze del mio arresto e catalano risponde che gli sono state riferite informalmente perché era in malattia, era a casa, appunto per la bottigliata. Il pm non si sofferma più sulla cosa, ma qui catalano mente, perché come ho già detto, ha voluto vedermi e sul tavolo della stanza dov’ero c’era la mia sciarpa. In un’annotazione della questura di Torino della digos da lui firmata del 22/12/2005 scrive che mi ha incrociato casualmente nei corridoi, mentre entravo in questura, altra bugia, è entrato nella stanza dove mi tenevano costretto poco prima di portarmi in carcere. La questione verrà poi ripresa dal mio avvocato nel contro interrogatorio, dove alla medesima domanda risponde inizialmente la medesima cosa, anzi sottolineando che non volevano che mi vedesse. Poi l’avvocato gli legge l’annotazione che ho citato e dichiara che se n’era dimenticato, cosa strana, dato che poco prima racconta bene il fatto che aveva saputo in modo informale del mio arresto, perché lui era a casa in malattia per la ferita lacero contusa.
Catalano poi dichiara che la caparello stava parlando alla radio, dice che avvicinava la radio alla testa, parlando ovviamente del momento immediatamente precedente l’aggressione. Anche lui parla di un accerchiamento dei tre attorno alla caparello. Catalano dichiara inoltre di essersi messo in salvo da solo e quando gli viene chiesto dov’era pino renato non lo sa collocare, non sa nemmeno se era alla testa o in fondo al corteo. Ricordo, che secondo viola, pino renato l’ha soccorso, comunque sicuramente pino renato era nel gruppo dei 10 digos in testa al corteo, cioè assieme a catalano.
Nella deposizione di albino bevivino viene fuori poco, solo che prima che il corteo serale partisse ero vestito come nelle foto, cosa vera, ricorda di avermi notato anche nel pomeriggio, ma non ricorda com’ero vestito, strano veramente.
Viene fuori, da tutto questo, una cosa sola a mio parere, tutta questa accusa è stata costruita a tavolino, basandosi su elementi come le foto del pomeriggio, il che spiegherebbe le discrepanze sul vestiario, dato che nessun digos può aver notato me quella sera in mezzo a 500 persone o almeno non può aver notato da lontano i cambiamenti di vestiario. Inoltre, per un’accusa solida, bisogna fare in modo che il mio riconoscimento fosse certo e per farlo dovevano collocarmi vicino a loro, coperti dalla certezza dell’assenza di giornalisti, quindi di foto, in quel frangente e dal fatto che nessuno del gruppo dei manifestanti, che correvano in testa al corteo, potrebbe testimoniare senza incorrere in accuse gravi, senza dimenticare che le testimonianze dei partecipanti al corteo, soprattutto di anarchici, hanno ben poco peso essendo miei compagni. Questo disegno permetteva di non curarsi dei particolari, non c’era bisogno di spiegare il perché non ho usato il passamontagna nella loro ricostruzione, assodato che avevo mille vestiti potevo essermene liberato proprio per non farmi riconoscere, mai sentito cosa più assurda. Il fatto, poi, che la sciarpa cade accidentalmente, rende possibile il mio riconoscimento, ricordano, tutti, molto bene mille particolari, ma è incredibile che i più vicini non siano d’accordo sul momento in cui cade la sciarpa. La caparello, quella che doveva essere la vittima dell’aggressione, ovviamente una donna, disegnata come indifesa perché era di spalle alla radio, cosa che oltretutto lei non conferma, anzi lei scappa perché si accorge dei tre, ma viene raggiunta a quel punto interviene catalano per difenderla, ma i cattivi lo stendono con una bottigliata, però strani questi cattivi, non infieriscono su di lui a terra e lasciano in pace lei, anche se tutta la digos sta fuggendo. La ricostruzione qui si fa sempre più buia, non si capisce come catalano e la caparello fuggano dai tre che poi ricordo, secondo quanto dichiarato avevano alle spalle, a distanza di 3 o 4 metri altre 30 o 40 persone in corsa che sarebbero quindi, per logica, arrivate sul luogo dell’aggressione in neanche un secondo, tempo insufficiente per permettere la fuga di un uomo non più giovane e sicuramente non atletico inoltre a terra ferito e di una donna circondati entrambi da tre persone armate di oggetti contundenti.
Ricapitolando: erano certi dell’assenza totale di possibili smentite, avevano una persona ferita al capo, ferita causata da una bottiglia scagliata in lontananza, un arresto era utile sul piano politico e mediatico, infatti i giornali non si sono risparmiati nel descrivermi uno squatter, no tav, violento e pericoloso, scrivendo, oltre a tutti i miei dati, una serie di aneddoti che la polizia ha fornito ai giornalisti. Non potevano però arrestare una persona dicendo che aveva scagliato una bottiglia centrando un poliziotto, sarebbe risultato strano un riconoscimento certo. Non sto a dire quali sono i motivi politici e mediatici che secondo me stanno dietro alla ragione del mio arresto, non avrebbe senso, come non ha un senso logico la ricostruzione dell’accaduto, la ragione non può che essere una sola, la ricostruzione è assurda perché del tutto inventata, nessuno ha aggredito e circondato la caparello, le ragioni le ho già spiegate, catalano è stato ferito molto probabilmente da una bottiglia lanciata.
Mi sono chiesto molte volte perché hanno scelto me, ma anche qui le ragioni possono essere molte, la cosa importante era arrestare una persona idonea, io lo ero come anarchico appartenente al giro delle case occupate ed ero alla manifestazione. Infatti nei verbali ed anche durante questo processo, è stato sottolineato il fatto che ho dei processi in corso per occupazione, che non hanno nulla a che vedere con questo processo, non solo, sono stati citati anche altri episodi, come quello di un processo per porto d’armi, esso dimostra solo che sono le idee ad essere giudicate, penso che non capiti a nessuno di passeggiare per le vie del centro con la ragazza ed il cane e di essere fermati da 5 volanti che ti sequestrano il guinzaglio del cane, comprato in un negozio di via garibaldi, i braccialetti perché hanno delle borchie, queste erano le temibili armi che possedevamo, o che ti tolgano un libro di mano dicendo che è illegale e va sequestrato perché tratta della storia di due anarchici morti in carcere. Il libro poi mi è stato restituito quando ho fatto notare che il sequestro di un libro avveniva negli anni 40. Già tutto questo non capita, almeno non a tutti.
Questo è quanto ho da dire sulla questione che a me pare molto chiara… nel caso fossi stato poco chiaro in qualche punto o passaggio sono disposto a chiarire.
Marco Martorana
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