10/02/2007: MOZIONE FINALE Assemblea Nazionale della Confederazione Cobas
L’Assemblea Nazionale della Confederazione Cobas, riunitasi a Roma il 3-4 febbraio 2007, esprime una valutazione pesantemente negativa sull’operato del governo Prodi, che, attraverso i suoi atti politici e provvedimenti legislativi, ha concretizzato e sviluppato una politica neoliberista che rafforza le posizioni del grande capitale finanziario ed industriale e conferma, sotto la foglia di fico del multilateralismo, una politica estera filoatlantica, militarista e guerrafondaia.
La Finanziaria del centrosinistra, appoggiata e fatta propria da Cgil-Cisl-Uil, attraverso il taglio della spesa sociale a scuola, sanità, enti locali, l’incremento dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti, il regalo ai padroni del cuneo fiscale, lo sconto/abbuono alle aziende sul pregresso del lavoro precario, l’aumento delle spese militari, ha trasferito quote rilevanti di reddito dal lavoro al capitale e all’apparato militare industriale.
L’anticipo dell’entrata in vigore e l’ulteriore aggravamento dello scippo del TFR, i tavoli di trattativa a perdere che si stanno aprendo con Confindustria e Cgil-Cisl-Uil su previdenza pubblica, produttività, precarietà, flessibilità estrema dell’orario di lavoro, prefigurano un nuovo accordo generale sul costo del lavoro e la demolizione dello stato sociale, che rinverdisce e peggiora il famigerato accordo di luglio del ’93 che aveva dato il là alla nefasta stagione della concertazione.
La campagna del governo sulle liberalizzazioni copre un ben più pericoloso disegno di privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi pubblici, ne sono testimoni le proposte di Fioroni su Fondazioni e Consigli di amministrazione nella scuola pubblica, la possibilità offerta ai treni privati (con in prima fila il tandem Della Valle-Montezemolo) di utilizzare a proprio piacimento le tratte ferroviarie pubbliche, la svendita ai privati dell’Alitalia, ed il cui apice politico è raggiunto con il d.d.l. Lanzillotta che, superando la stessa Bolkestein, vuole esternalizzare tutti i servizi pubblici compreso il bene comune per eccellenza: l’acqua.
Il non abbandono del progetto TAV in Val di Susa (aggravato dai 13 miliardi di euro regolarmente pagati per opere mai svolte dagli appaltatori dei lavori e a loro abbuonati in Finanziaria), l’insistenza e l’allargamento dei progetti di costruzione di rigassificatori e inceneritori, il vergognoso e sconcertante mantenimento del CIP6 che ha già regalato decine di miliardi di euro a petrolieri ed inquinatori d’ogni risma, il via libera al progetto MOSE a Venezia, la dicono lunga sul connubio tra il governo Prodi e le lobbies degli affari che ridicolizzano qualsiasi velleità ambientalista all’interno della compagine governativa.
E tutto ciò proprio in un periodo, in cui anche nelle alte sfere del potere scientifico e finanziario internazionale si riconoscono apertamente le drammatiche prospettive per l’ambiente, la terra, gli esseri umani in un futuro sempre più prossimo.
La precarizzazione del lavoro, che fa il paio con l’aumento dei processi di esternalizzazione, continua ad estendersi anche all’interno della pubblica amministrazione, per i cui 350.000 precari valgono a nulla i risibili impegni puramente formali alla stabilizzazione strappati dalla sinistra governativa.
Anzi la situazione dei lavoratori di tutto il pubblico impiego è aggravata dall’ulteriore scivolamento dei contratti verso una loro effettiva triennalizzazione e da una campagna d’opinione, abilmente e discretamente orchestrata dal centrosinistra, che ha favorito la firma del memorandum d’intesa tra governo e Cgil-Cisl-Uil con cui si rilancia alla grande su mobilità, meritocrazia, produttività, licenziamenti.
L’abrogazione delle tre leggi vergogna (Legge 30, Moratti, Bossi/Fini) del centrodestra di Berlusconi non ha fatto alcun passo avanti con questo governo.
Il processo di aziendalizzazione della scuola trova nelle Fondazioni di Fioroni lo sviluppo coerente della riforma Moratti.
Lo smantellamento dei CPT e la libertà di circolazione dei migranti non legata al rapporto di lavoro, non trovano spazio all’interno dell’abbellimento della Bossi/Fini che questo governo va apparecchiando.
Addirittura paradossale è poi la vicenda della Legge 30, il cui presunto “superamento” viene prospettato da Damiano con la proposta di un periodo di prova da parte del lavoratore che arriva fino a 4 anni senza garanzia della stabilizzazione del posto di lavoro.
Anche rispetto ai diritti civili, che almeno non comportano esborsi finanziari diretti, il governo Prodi, in questo ben supportato dal presidente della repubblica Napolitano e da una campagna mediatica e televisiva particolarmente martellante, mostra la sua totale soggezione al Vaticano.
L’aumento dei finanziamenti pubblici alla scuola privata, il progressivo smantellamento dei consultori pubblici, l’esenzione dall’ICI per gli immobili religiosi, la cancellazione totale della possibilità di introdurre i PACS ed anche l’evanescenza del semplice riconoscimento delle unioni civili e di fatto, costituiscono elementi inquietanti circa la reale volontà del governo Prodi di difendere la laicità dello stato, garantire i diritti delle donne e la diversità di genere, assicurare la reale libertà di espressione delle proprie scelte sessuali.
Sulla guerra si misura nei confronti del governo la delusione più grande soprattutto da parte di quel movimento pacifista che aveva votato l’Unione convinto di portare l’Italia fuori da qualsiasi avventura bellica e che, proprio a causa della politica del centrosinistra, attraversa una profonda crisi.
Anche lo stesso ritiro delle truppe dall’Iraq è stato presentato da Prodi come il ritorno a casa di un esercito che era andato a svolgere una missione di pace.
Le spese militari, lievitate con la Finanziaria di oltre il 20% rispetto a quelle del governo Berlusconi, esprimono bene il senso generale della politica del governo.
Il rifinanziamento nello scorso luglio della missione militare in Afghanistan, l’invio delle truppe in Libano, il mantenimento degli accordi di cooperazione militare e ricerca scientifica con il governo d’Israele, la negazione degli aiuti finanziari alla Palestina perché c’è Hamas al governo, la volontà di cancellare i finanziamenti dei paesi donatori per la ricostruzione del Libano in caso di caduta del governo Sinora, lo scandaloso raddoppio della base USA di Vicenza in spregio alla volontà generale della popolazione, l’impegno a rifinanziare nuovamente la missione militare italiana in Afghanistan, sintetizzano efficacemente le velleità imperialiste da media potenza dell’Italia, ammantate dalla bandiera di un multilateralismo, che ben si guarda da mettere in atto iniziative politiche che possono contrastare con i disegni strategici politico-militari degli USA di Bush.
Di fronte alla politica del governo, - lui sì che tiene in ostaggio quella che è definita sinistra radicale, ma che è molto meglio chiamare sinistra governativa - PRC, PdCI e Verdi finiscono per svolgere la funzione di labile foglia di fico che non riesce assolutamente a coprire le vergogne del centrosinistra.
In tale contesto per la Confederazione Cobas è essenziale mantenere la barra dritta su ciò che rappresenta la ragione centrale della sua esistenza, cioè il conflitto sociale, imperniato sullo scontro storico capitale/lavoro, e la lotta senza se e senza ma contro la guerra.
Questo significa per noi rilanciare la battaglia generale per la difesa dello stato sociale e dei diritti sindacali, sociali, politici e civili, nonché la mobilitazione permanente contro la guerra permanente.
La campagna contro lo scippo del TFR assume oggi un ruolo centrale, essa va estesa e rafforzata attraverso assemblee nei luoghi di lavoro e territoriali, volantini, manifesti manchettes, che devono fronteggiare la corazzata governativa/confindustrial/sindacale.
Occorre costruire ulteriori momenti di approfondimento sul tema, anche seminariali, che mettano in grado sempre più compagni di sostenere in ogni occasione pubblici contraddittori. Bisogna procedere anche ad adire la via giudiziaria, magari partendo con vertenze pilota che tentino di inficiare gli aspetti più palesemente illegittimi del decreto legislativo 252/2005, del decreto attuativo e degli statuti dei fondi.
Nel contempo urge lavorare ad una sorta di TFR day (alla rovescia rispetto a quello del Sole 24 ore) da realizzare insieme a tutte le forze che si oppongono ai fondi pensione (in proposito ci sarà una riunione nazionale l’8 febbraio a Milano), che si concretizzi in una mobilitazione nazionale a Roma tra marzo e aprile, che serva a coordinare, rilanciare e rendere massimamente visibile questa sacrosanta battaglia.
Il senso generale di questa lotta è strettamente connesso alla difesa della previdenza pubblica e deve anche servire ad allertare i lavoratori e le lavoratrici per contrapporsi alla trattativa sulla “riforma” delle pensioni, la cui conclusione è prevedibilmente spostata un po’ più avanti, oltre la fatidica data del 31 marzo segnata nel memorandum firmato nel merito da governo/confindustria/Cgil-Cisl-Uil; i tempi sono procrastinati sia perché a maggio ci sono le elezioni amministrative, sia perché la situazione precipiti nell’approssimarsi dell’1/1/2008, data di introduzione del famigerato scalone, e si arrivi ad un accordo ulteriormente al ribasso.
Sulla scia della grande giornata di mobilitazione nazionale del 4 novembre contro la precarietà, è urgente rilanciare questa battaglia che va declinata nella direzione di lottare contestualmente per la stabilizzazione dei posti di lavoro, a partire dalle centinaia di migliaia di precari della pubblica amministrazione, e per la reinternalizzazione dei servizi pubblici sempre più spezzettati, appaltati, privatizzati.
Vanno adeguatamente valorizzate e socializzate le esperienze di lotta di Atesia e del S. Andrea che, nonostante le vertenze siano lungi dall’essere chiuse, hanno comunque segnato dei fondamentali momenti di inversione di tendenza delle lotte dei/delle lavoratori/trici precari in questi anni.
In particolare occorre riprendere a livello generale la mobilitazione per l’abrogazione delle leggi vergogna e contro la riverniciatura della Legge 30 rappresentata dall’attuale proposta del ministro Damiano..
La lotta contro la privatizzazione e la liberalizzazione dei servizi va altresì approfondita con l’opposizione totale al d.d.l. Lanzillotta, con particolare sottolineatura della mobilitazione e della raccolta di firme per l’iniziativa di legge popolare sull’acqua, come essenziale bene comune da preservare integralmente.
Ed altrettanta rilevanza assume la costruzione di un percorso largo di lotta contro la mercificazione della salute, in cui le ragioni dei lavoratori del settore sanitario vanno intrecciate e saldate con i diritti, le esigenze, i bisogni delle popolazioni, attraverso la tessitura di reti territoriali che affermino nella pratica l’esercizio del primario diritto alla salute per tutti/e, di fronte ad un sistema sanitario che invece, nella logica aziendalista, contempla unicamente la cura e la malattia, annientando la prevenzione, chiudendo e riducendo i servizi territoriali e piccoli ospedali, imponendo continui aumenti di ticket su farmaci e prestazioni, favorendo il privato sia nell'offerta assistenziale e riabilitativa sia nella gestione degli operatori attraverso le esternalizzazioni.
La lotta per il salario deve riprendere tutta la sua centralità, le buste paga del mese scorso ed ancor più le prossime di febbraio (quando entreranno in vigore gli adeguamenti al rialzo dell’IRPEF e dell’ICI in sede locale) mostrano e mostreranno sempre di più quelli che sono i presunti benefici fiscali della Finanziaria di Prodi.
Bisogna cominciare a rompere il blocco dei contratti pubblici ormai scaduti da 14 mesi. In questo caso la mobilitazione va coniugata con la difesa dello status e della dignità del lavoratore pubblico, aprendo anche una serrata polemica culturale contro i veleni meritocratici e privatizzatori contenuti nel memorandum sul pubblico impiego.
Per quel che concerne i rinnovi contrattuali in corso ed imminenti nel settore privato, come quello importantissimo dei metalmeccanici, particolare attenzione va dedicata alla questione salariale, al controllo degli orari e dei ritmi, su cui i padroni stanno costruendo la loro campagna per il rilancio della produttività che equivale ad un’intensificazione ulteriore dello sfruttamento.
Ed ovviamente un posto di assoluto rilievo merita la difesa della sicurezza nei luoghi di lavoro, di fronte alla catena drammatica e barbara di infortuni e omicidi bianchi che assicura all’Italia un terribile primato in Europa e che deve cominciare ad essere spezzata.
La lotta per i diritti sindacali va ripresa con convinzione, non solo perché costituisce l’abc di qualsiasi organizzazione politico/sindacale degna di questo nome, ma perché per noi, ancor più in questo momento, riveste un’importanza vitale.
Se vogliamo non solo continuare a svolgere la nostra attività quotidiana, ma acquisire nuove forze per costruire un’opposizione sociale e politica all’altezza dello scontro che la fase ci impone, è indispensabile che si riesca almeno a conquistare la garanzia dei diritti minimi (assemblea e iscrizione con trattenuta sindacale e/o cessione di credito innanzitutto).
Da qui la necessità di costruire una campagna generale incentrata su queste due elementari rivendicazioni, basata su un presidio permanente sotto la sede dell’Unione con compagni in sciopero della fame e con iniziative a tema in loco bisettimanali, e articolata a livello territoriale con presidi sotto le prefetture e/o sotto le sedi dei partiti di governo.
La campagna può partire dal 20 febbraio, giornata tra l’altro in cui scioperano i Cobas dell’ENAV proprio sulla questione dei diritti sindacali e manifestano a Roma sotto la sede dell’Unione.
Né va dimenticata da parte nostra la necessità di allargare e socializzare a tutta la Confederazione la lotta per le libertà civili, individuali e collettive, e per la laicità dello stato.
Non siamo a digiuno su questo terreno che abbiamo ripreso a praticare e su cui deve rafforzarsi il nostro intervento, particolarmente adesso che l’ingerenza di Ratzinger e Ruini nella vita di decine di milioni di persone è diventata francamente intollerabile.
La manifestazione nazionale del 10 febbraio a Roma, in occasione dell’anniversario dei Patti Lateranensi, che abbiamo contribuito ad organizzare, ci deve coinvolgere massicciamente in prima persona.
La lotta contro la guerra trova il suo primo passaggio fondamentale nella manifestazione del 17 febbraio a Vicenza contro il raddoppio della base USA; dobbiamo produrre il massimo sforzo per consentire da parte nostra la più ampia partecipazione possibile.
Siamo impegnati ad allargare l’arco di forze che si batte contro la guerra senza se e senza ma. In tal senso le manifestazioni del 30 settembre e del 18 novembre sono state necessarie e doverose, ma ovviamente non possiamo essere soddisfatti e fermarci su un livello di partecipazione piuttosto ristretta.
Per questo abbiamo lavorato e continuiamo a farlo per allargare la partecipazione alla manifestazione nazionale che ci sarà a Roma in marzo (il 3 o il 17) contro il rifinanziamento delle missioni militari in primis quella in Afghanistan, incentrata su una piattaforma politicamente avanzata che rivendica la riduzione drastica delle spese militari, il ritiro delle truppe dall’Afghanistan e dagli altri fronti di guerra, la chiusura di tutte le basi USA e NATO, nella prospettiva, per noi, della rottura del patto atlantico e della fuoriuscita dell’Italia dalla NATO. Sarà questa manifestazione uno snodo decisivo per la verifica della ripresa di un movimento di massa contro la guerra senza se e senza ma.
Contestualmente va rafforzata la nostra attività di solidarietà e a sostegno del popolo palestinese, per la caduta del muro, la cessazione della strisciante guerra fratricida fra le varie fazioni in conflitto, la rottura dei rapporti di cooperazione militare e scientifica tra Itala e Israele.
In questi ultimi mesi importanti sono i passi in avanti compiuti dai Cobas nel radicamento nei luoghi di lavoro. Dalla nascita del Cobas alla Sevel di Atessa ai tanti nuovi Cobas siciliani sorti tra Enna, Piazza Armerina, Termini Imerese, Ragusa, et.., dai Cobas di Battipaglia e del salernitano a quello storico di Mirafiori, ci sono segnali decisamente incoraggianti per la crescita della Confederazione soprattutto nel settore privato.
Occorre però rafforzare la nostra struttura organizzative e renderla sempre più adeguata ai nuovi compiti. Compiti che si presentano sempre più complessi ma anche per certi versi esaltanti, in quanto da una parte dobbiamo rafforzare le nostre radici nel mondo del lavoro, dall’altro dobbiamo cercare di essere cervello e motore (ovviamente non solo noi) di un’opposizione sociale e politica che non sopporta le logiche della concertazione, del liberismo, della guerra.
Rafforzare la Confederazione significa cominciare a discutere seriamente ed individuare i passaggi praticabili per garantire ad un certo numero di compagni di essere in grado di seguire i vari luoghi di lavoro e settori d’intervento; significa continuare e rafforzare la strutturazione dei coordinamenti nella federazione del lavoro privato, dopo quelli autoferrotranviari, telecomunicazioni e cooperative, urge costruire quello metalmeccanico e così via; significa garantire la continuità dei contributi finanziari e programmare una seria campagna per l’aumento delle iscrizioni; significa moltiplicare le occasioni di confronto sui contenuti e le sinergie tra le diverse federazioni; significa consolidare il CTS e la strutturazione del CAF e del patronato; significa mettere la commissione giuridica nelle condizioni di compiere un salto di qualità in connessione con l’importantissimo network dei nostri avvocati.
Abbiamo tanta strada da percorrere, abbiamo mosso dei passi giusti, molti ancora dobbiamo farne.
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