18/12/2006: “Nonostante le apparenze l’accerchiamento è reciproco”


ALLA CORTESE ATTENZIONE DEGLI ORGANI DI STAMPA
In allegato alla presente viene diffuso il primo documento politico elaborato dal Comitato dei prigionieri di a Manca pro s'Indipendentzia "Sa die nostra at'a bennere!".
La diffusione e pubblicazione è libera purchè ne venga rispettato integralmente il testo.
Grazie per l'attenzione.
Casteddu, 16 de nadale 2006

Ufficio Stampa a Manca pro s'Indipendentzia
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Da oggi i patrioti, militanti di a Manca pro s’Indipendentzia, sequestrati dall’11 luglio 2006 a seguito dell’operazione “Arcadia” e tenuti in ostaggio da oltre cento giorni nelle carceri dello stato italiano (sei in custodia cautelare in carcere e tre detenuti ai domiciliari), costituiscono il Comitato Prigionieri di a Manca pro s’Indipendetzia: “sa die nostra at’a bennere!”.
L’obiettivo è quello di continuare a portare avanti le istanze proposte dalla nostra organizzazione politica (aM.p.I.), le rivendicazioni di autodeterminazione del Popolo Sardo e il diritto all’indipendenza della Sardegna, in un’ottica legata alle nuove esigenze di lotta che la nostra condizione ci impone, in opposizione ai sistemi di repressione che lo stato italiano pone in essere con le sue strutture di controllo totale.

Cagliari, 23 ottobre 2006
Comitato Prigionieri di a Manca pro s’Indipendetzia: “sa die nostra at’a bennere!”.

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“Nonostante le apparenze l’accerchiamento è reciproco”.
Il periodo che va dai primi anni ’90 ad oggi segna la nascita e lo sviluppo del nuovo indipendentismo sardo. Dopo un primo slancio nel corso degli anni ’70 la lotta per l’indipendenza si impantana negli anni ’80 a causa del terrorismo italiano contro alcuni dirigenti e, al contempo, a causa di una certa ingenuità politica dei movimenti indipendentisti che accondiscesero a discutibili alleanze con entità politiche tutt’altro che propense ad avviare la lotta di liberazione nazionale.
Nel frattempo le nuove generazioni di giovani si avvicinavano, come accennato, alla lotta indipendentista e costruirono, nel quindicennio che va dal ’90 – ’91 al 2005 – ’06, l’impianto scientifico di cui l’indipendentismo sardo era ancora carente. Mentre da un lato proseguiva il filone di impostazione interclassista, dall’altro una forte componente di sinistra rianalizzava pazientemente il patrimonio della lotta di liberazione nazionale alla luce di un’impostazione rivoluzionaria.
Questa grande area variegata rifaceva proprio il portato storico-politico di “Su Populu Sardu”, proseguendo quella lettura nazionale di classe della situazione sarda che si era interrotta purtroppo nei primissimi anni ’80. Lo sviluppo di questa componente, nel corso degli anni, giunse a coalizzare intorno all’organizzazione a Manca pro s’Indipendentzia gli elementi d’avanguardia della sinistra indipendentista sarda.
Contemporaneamente alla crescita del consenso popolare per le posizioni indipendentiste (di tutte le organizzazioni indipendentiste, quindi anche Sardigna Nazione e la neo-nata Indipendentzia-Repubrica de Sardigna, oltre ad aM.p.I.), si è andato trasformando anche l’atteggiamento repressivo dell’italia per il fenomeno. E’ accaduto così che l’iniziale sorveglianza “prudente”, a distanza, che veniva fatta dalle forze d’occupazione italiane lasciasse il posto, nel corso di questa evoluzione, a pedinamenti quotidiani dei patrioti; in seguito si è passati alle perquisizioni periodiche di sedi e abitazioni. Nel corso degli anni 2000 era ormai divenuto normale, per i militanti indipendentisti essere sottoposti a lunghi pedinamenti, intercettazioni telefoniche ed ambientali, perquisizioni stradali e delle proprie autovetture, ripetute identificazioni dei militanti nel corso di spostamenti fuori città, e una lunghissima serie di intimidazioni piccole e meno piccole e di minacce velate e non. In questa situazione di continua intimidazione repressiva a carico dell’indipendentismo sardo, inizia una lunga serie di attentati messi a segno dall’”Organizzatzione Indipendentista Rivolutzionaria” e dai Nuclei Proletari per il Comunismo contro strutture e simboli del colonialismo e del capitalismo in Sardigna. Da quel momento inizia per l’indipendentismo sardo, ed in particolare per aM.p.I., la sua ala sinistra, il periodo caratterizzato da una repressione inaudita. Mentre gli attentati si susseguono a ritmi vertiginosi, i militanti di aM.p.I. si ritrovavano a dover subire pedinamenti strettissimi ovunque andassero, in qualsiasi ora del giorno e della notte, 365 giorni all’anno. Allo stesso tempo però, e nonostante le continue intimidazioni poliziesche, aM.p.I. andava lentamente conquistandosi la simpatia popolare. La situazione oggettiva, caratterizzata da un’accentuazione delle condizioni di sudditanza coloniale della Sardigna assicurate dal dispiegamento di un imponente apparato militare repressivo, deve confrontarsi con una situazione soggettiva, caratterizzata a sua volta dalla grande vivacità e determinazione di un vasto movimento di liberazione nazionale. In questo contesto, determinato dallo scontro insanabile tra la situazione oggettiva colonialista e la situazione soggettiva anticolonialista, si inserì il lavoro dei servizi segreti italiani, incaricati di dar manforte alle forze di occupazione italiane in Sardigna.
Sin da subito i servizi segreti italiani hanno avuto un preciso obiettivo: non tanto quello di arginare gli attentati, quanto quello di screditare e desertificare l’indipendentismo in quanto tale, ed indipendentemente dai metodi di lotta utilizzati dai patrioti.
Il loro lavoro inizia con il tentativo di convincere l’opinione pubblica sarda, attraverso una massiccia campagna giornalistica, che i numerosissimi e terribili incendi estivi nelle località turistiche sarde fossero opera di indipendentisti sardi. Nessuna prova viene addotta da nessun giornale per giustificare questa tesi, ma nonostante tutto si continua ossessivamente ad alimentare questa convinzione nei confronti dell’opinione pubblica.
Sarebbe, ad esempio, molto importante chiedersi: 1) chi ha foraggiato questa tesi? 2) chi ha appiccato gli spaventosi incendi delle estati 2003-‘04-’05? 3) Può essere che chi ha cercato di scatenare la caccia all’untore fosse la stessa entità che appiccava gli incendi?
Mentre questa operazione ignobile veniva montata ad arte, le questure di tutta la Sardigna venivano istruite dai servizi segreti su quale metodologia seguire per giungere all’arresto dei gruppi armati: intercettare tutti i discorsi di tutti i militanti dei movimenti non armati!
Nello specifico, che ci risulti, lo stato italiano ha speso, in una terra flagellata dalla disoccupazione come la nostra, la bellezza di 16 miliardi di lire per ascoltare i discorsi dei militanti di aM.p.I., organizzazione assolutamente pubblica e non armata. Dopo quattro anni di ascolto e dopo vari sotterfugi perlomeno dubbi utilizzati al fine di poter rinnovare l’autorizzazione ad indagini di volta in volta sempre infruttuose, le digos di tutta la Sardigna hanno costruito una serie di intercettazioni ambientali fatte di frasi ricolme di puntini, omissis e completamente sgrammaticate. La consegna al magistrato di queste intercettazioni ha fatto scattare l’operazione “Arcadia”, ovvero quell’atto di criminalizzazione dell’indipendentismo tanto raccomandato dai servizi segreti italiani.
All’alba dell’11 luglio 2006 vengono arrestati 10 militanti di aM.p.I. ed altri 55 vengono sottoposti a perquisizione e indagati per eversione. La stampa sarda e italiana, come guidata all’unisono da mani oscure ma esperte, sbatte il mostro in prima pagina: guai a dubitare che i terroristi siano proprio loro!
I giornalisti sono completamente all’oscuro delle accuse precise che vengono mosse, ma sin da subito tendono a scartare il condizionale nel descrivere i 10 patrioti come terroristi. Come se qualcuno avesse dato precise disposizioni, come se la condanna preventiva della stampa facesse parte di una grande orchestra che doveva suonare una sola musica: sono colpevoli! Probabilmente affinché l’opinione pubblica ne fosse talmente influenzata da non ritenere neanche opportuno vedere delle “prove” assolutamente inconsistenti.
Tuttavia la massiccia solidarietà popolare espressa nei confronti dei patrioti non si è fatta attendere, scombinando inaspettatamente i piani di criminalizzazione orditi dal colonialismo.
Dopo pochi giorni dall’arresto, quando i toni forcaioli della stampa iniziano lentamente ad essere più calmi (sorpresi dalla solidarietà popolare?), arriva il colpo di scena: al tribunale del riesame viene dimostrato che il compagno Bruno Bellomonte il giorno della presunta intercettazione che lo incriminava si trovava in vacanza in Tunisia. Viene immediatamente scarcerato e, nonostante ciò sia già indicativo della serietà con cui sono state fatte le indagini, il castello accusatorio, sebbene pieno di crepe, viene ostinatamente tenuto in piedi per gli altri accusati.
Ma questo non è tutto: non solo l’arresto è caratterizzato da una palese ingiustizia, ma persino la stessa detenzione. I patrioti vengono infatti fin da subito sottoposti ad un trattamento anomalo: devono essere continuamente sorvegliati ed accompagnati dalla polizia penitenziaria ovunque vadano, hanno severissimo divieto di incontro tra loro (a causa di ciò devono rinunciare ad attività didattiche e concerti) come se fossero sottoposti a regime E.I.V. (elevato indice di vigilanza), ma allo stesso tempo, contraddittoriamente, vengono tenuti nelle celle dei detenuti “comuni”, negando di fatto il loro “status” di prigionieri politici. Non solo! E’ il caso di Stefania Bonu e Massimiliano Nappi, due dei patrioti detenuti ai domiciliari che, nonostante siano sottoposti a durissime restrizioni che sfiorano la paranoia, denunciano pubblicamente l’anomalia che li porta ad essere autorizzati a potersi muovere liberamente senza scorte per visite o ricoveri ospedalieri... il tutto palesemente mirato a fiaccare la nostra unità di patrioti militanti di aM.p.I.
Grazie al sostegno dato anche dalle lotte condotte fuori dal carcere dal movimento comunista e dal movimento indipendentista, le lotte che i patrioti incarcerati hanno dovuto affrontare in questi mesi per difendere i loro diritti hanno raggiunto alcuni risultati. Sono state vinte le dure battaglie per dare gli arresti domiciliari ad alcuni dei dieci militanti con problemi di salute. E’ stata vinta di recente la lotta contro il tentativo di deportare in italia i militanti e per il rimpatrio di un militante già deportato, anche grazie alla vastissima solidarietà e mobilitazione portata avanti dai detenuti del carcere di Buoncammino.
La violenza dello stato italiano nei confronti dei patrioti sardi è tale che nella sua foga lo stato non si cura più della vetrina dei diritti umani, infrange anche le sue stesse leggi pur di accanirsi contro di loro. Non è forse un diritto del cittadino la detenzione domiciliare qualora le condizioni di salute siano incompatibili con la galera? Non è forse un diritto del cittadino scontare la carcerazione nel carcere più vicino possibile alla propria famiglia? Si, sono diritti dei cittadini. Ma il livore dell’italia nei confronti dei patrioti sardi è tale che si è giunti al paradosso per cui dei presunti terroristi lottano per far applicare la legge!
L’italia infatti non ha nessuna intenzione di far rispettare le sue leggi, il suo obiettivo è solo annientare le giuste aspirazioni del Popolo Sardo alla sua autodeterminazione. Lo dimostra l’oscura vicenda del volantino N.P.C. ritrovato dai servizi segreti italiani all’Università di Cagliari. Venne infatti “ritrovato” un volantino N.P.C. nei locali dell’Università il 30 dicembre 2004, ad opera del S.I.S.D.E. Ma cosa ci faceva il S.I.S.D.E. all’Università di Cagliari il 30 dicembre, con l’Università chiusa per le ferie natalizie? A questo torbido e tipico “mistero italiano” dovrebbero, per l’accusa, rispondere i patrioti sardi... assurdità che si commentano da sole!!!
Tuttavia in questa vicenda tragica, dove la prima a morire è stata proprio la “democrazia” italiana, i soprusi illegali e antidemocratici nei confronti dei militanti prigionieri di aM.p.I. non sono finiti. Potremmo ancora parlare del compagno Roberto Loi che da 4 mesi chiede inutilmente di essere operato ad un occhio, ferito in seguito ad un incidente e a rischio di danni permanenti, di Emanuela Sanna a cui è stato illegalmente negato di partecipare ad un concorso, di Bruno Bellomonte sospeso dal lavoro anche dopo il riconoscimento di estraneità ai fatti contestatigli, e via dicendo, passando per i compagni liberi che sono stati licenziati o sfrattati come rappresaglia per essere finiti sotto indagine (qualcuno avrà fatto pressioni su padroni di casa e datori di lavoro?), fino ad arrivare al grottesco sequestro della nostra bandiera nazionale ai patrioti chiusi in galera da parte dell’amministrazione carceraria.
Dove sono, in questi momenti, tutti quei politici unionisti che si sgolano per la democrazia e i diritti umani? Dov’è tutto l’amore per la democrazia che ha spinto i “nostri” politici a portare la guerra a Baghdad? Forse per loro la Sardigna è lontana, molto più lontana dell’Iraq.
I nove patrioti comunisti, militanti di a Manca pro s’Indipendentzia, attualmente sottoposti a detenzione nelle carceri e nelle abitazioni, appartenenti alla struttura interna ad a Manca pro s’Indipendentzia denominata “Comitato Prigionieri di a Manca pro s’Indipendetzia: “sa die nostra at’a bennere!” intendono infine denunciare il divieto apposto dal magistrato al deposito delle registrazioni, fonte centrale delle “accuse”. I nostri legali, ai quali rivolgiamo ulteriormente l’invito ad affrontare la nostra difesa secondo un’impostazione politica, perché tale è l’attacco nei nostri confronti, devono avere la possibilità di accedere alle registrazioni, affinché possa essere chiara e dimostrata a tutto il nostro Popolo la nostra estraneità ai fatti e la dimensione dell’attacco che i servizi segreti italiani hanno costruito contro aM.p.I.
La nostra unità è la forza del nostro Popolo!

Cagliari, 9 novembre 2006
Comitato Prigionieri di a Manca pro s’Indipendetzia: “sa die nostra at’a bennere!”

http://www.autprol.org/