10/12/2006: Presoneris sardos in sardigna! Lettera dal carcere di Cagliari


Il rimpatrio di Bobore Sechi dal carcere speciale di Parma e la temporanea sospensione del trasferimento dei militanti di “a manca pro s’indipendentzia” tenuti in ostaggio dallo stato italiano dall’11 marzo scorso, sono solo il primo passaggio di una lotta ad ampio respiro contro la repressione coloniale che vede coinvolta l’intera società sarda ed in prima fila la parte più sensibile e cosciente di questa, poiché è innanzitutto lotta di dignità umana. Il sistema giudiziario e penale italiano è in Sardegna il punto più basso e degradante della guerra a bassa intensità intrapresa dal colonialismo per il controllo sociale del popolo sardo. Se da un lato la Sardigna è una colonia penale con 13 vergognosi istituti di pena su una popolazione di poco più di un milione e mezzo di abitanti, aberranti luoghi di annientamento della persona che garantiscono alla Sardigna il primato dei suicidi in carcere, dall’altro ai prigionieri sardi non è garantito neanche l’elementare diritto al principio della territorialità della detenzione. Essi sono umiliati dalla deportazione a migliaia di chilometri dalla loro terra, lontani dalle famiglie, costrette ad enormi sacrifici per saltuari pellegrinaggi oltre il Tirreno; lontani dagli avvocati, che non possono esercitare se non in maniera vincolata dalla distanza il diritto alla difesa; lontani dalla patria.
Quella della deportazione in metropoli è fenomeno caratteristico delle dominazioni coloniali: i sardi sono perseguitati dalla “giustizia” italiana – sa zustissia mala – sempre pronta ad imporre con la forza delle armi quella che è una vera e propria occupazione militare del territorio sardo, accusati dalla magistratura italiana sulla base della legge italiana strumento degli interessi del capitale italiano; il popolo sardo è giudicato dai tribunali italiani “in nome del popolo italiano” e condannato alla prigionia nelle galere italiane in Sardigna o fuori.
Denunciare la spaventosa e brutale violenza della macchina repressiva del sistema carcerario italiano in Sardigna è dovere morale oltre che questione politica. Non dimentichiamo che mentre noi siamo costretti a difenderci dalle vergognose macchinazioni che per l’ennesima volta hanno tentato di coinvolgere il legittimo movimento indipendentista e anticolonialista sardo in vicende che non lo riguardano, i compagni Antonella, Ivano e Pauleddu sono da mesi costretti all’esilio preventivo in sperdute galere del sud Italia in spregio ai più elementari diritti sempre e comunque negati ai Sardi, vittime di una legge sempre valida per la persecuzione delle opinioni politiche e della libertà di pensiero e di associazione, la quale ha origine nel ventennio fascista ma che evidentemente ben si adatta alle esigenze dello Stato democratico borghese. Non dimentichiamo tutti i prigionieri sardi detenuti in terra straniera loro malgrado, e siamo vicini a loro e alle loro famiglie: quello della territorialità della detenzione della pena è un sacrosanto diritto a cui come Sardi non intendiamo più rinunciare nel cammino verso l’autodeterminazione e la sovranità nazionale. Per questo motivo invitiamo il popolo sardo alla mobilitazione per il rimpatrio di tutti i prigionieri sardi.

Presos sardos in Sardigna!
Libertade pro sos patriottas comunistas presoneris!
Solidarietà a tutti i prigionieri e le prigioniere vittime della repressione!
Chiediamo una solidarietà attiva ed operante, espressione di un internazionalismo reale e sostanziale nella nostra lotta per il rimpatrio dei prigionieri sardi, che è lotta contro la repressione colonialista, che è lotta per il diritto di autodeterminazione, autodecisione, autogoverno del popolo sardo, che è lotta per la sovranità nazionale, che è lotta per il socialismo e l’indipendenza.
Ki est lotta pro sa Sardigna sotzialista, e fortza paris, cumpanzos, ki sa nostra at a bennere!

Fronte presones de a manca pro s’indipendentzia

http://www.autprol.org/