03/10/2006: Processo 12 ottobre a 4 compagni per la manifestazione contro la guerra del 22/2/2003 a Ferrara


Alcune note per l’Assemblea pubblica contro lo stato di guerra permanente e la militarizzazione della vita quotidiana (in occasione del processo del 12 ottobre a quattro compagni per una manifestazione contro la guerra del 22 /2/2003 a Ferrara)
Riportiamo di seguito un riepilogo dei fatti di quella giornata e una proposta di discussione.

Il 22 febbraio del 2003 la rete anti-imperialista, il centro sociale occupato di Ferrara il Dazdramir e altri coordinamenti contro la guerra organizzano una manifestazione regionale contro la costruzione di alloggi per i soldati NATO e contro la guerra in Iraq. La partecipazione è alta e vivace. Sin dall’inizio del corteo, che parte da Piazza Castello dietro lo striscione «chi fa la guerra non deve essere lasciato in pace», la comunicazione dei contenuti della manifestazione è molto decisa. Una mascherina con il disegno di una bottiglia incendiaria e la domanda «è la vostra risposta definitiva? l’accendiamo?» richiama l’attenzione e in tanti si adoperano per riprodurla sui muri della città. Si scatena l’impegno a scrivere in tutti i modi possibili la rabbia per questo ennesimo prepotente sopruso del mondo occidentale che esporta con la guerra la sua democrazia del profitto e dello sfruttamento. Lungo l’intero percorso la mobilitazione è attivissima e fantasiosa e non è la solita sfilata piena solo di slogan. Ci sono molte contestazioni al continuo tentativo dei poliziotti in borghese di rimanere all’interno del corteo con le loro telecamere, come se fosse normale sfilare insieme.
Arrivati davanti alla struttura in cui dovevano essere costruiti gli alloggi, ci si ferma e si attaccano striscioni e volantini alla rete che delimita il luogo mentre si cerca di abbatterla per entrare. Ci sono alcuni momenti di tensione e di pressione contro il muro delle forze dell’ordine che cercano di impedire l’accesso. Un po’ di spintoni e niente più. Alla fine ci si allontana e ci si avvia al ritorno. A questo punto qualcuno si innervosisce per la presenza, ancora all’interno del corteo, dei poliziotti con la telecamera; nasce una zuffa e la telecamera cade a terra. Alla fine del corteo due manifestanti vengono sequestrati, uno di loro subisce pesanti violenze e viene denunciato per danneggiamento. Dall’episodio della telecamera nasce l’indagine che finirà per coinvolgere quattro compagni di Bologna. Dalle carte si comprende come è stata confezionata l’accusa: le foto del corteo vengono mandate a Bologna e la digos, riconoscendo alcuni noti, li indica come quelli da perseguire. Alla fine di marzo vengono notificati ai quattro i provvedimenti restrittivi, una sorta di arresti domiciliari parziali: obbligo quotidiano di firma, di dimora nel comune di Bologna, di fissare il luogo di abitazione, di non allontanarsi dalla stessa dalle 14 alle 19 (probabilmente considerato orario a rischio di manifestazioni) e di comunicare ogni mattina al momento della firma tutti, nei minimi particolari, gli spostamenti della giornata. In questa situazione si rimarrà fino a giugno poi caleranno le restrizioni che finiranno completamente e per tutti solo dopo la metà di agosto. L’accusa è di rapina aggravata (perché sostengono che la telecamera sia sparita), lesioni aggravate (un poliziotto e un ispettore della digos si fanno certificare tot giorni di prognosi a seguito di una colluttazione) e danneggiamenti aggravati (scritte sui muri di banche, negozi e cabina enel); l’aggravante è legata alla partecipazione di più persone. Nei giorni successivi i media ferraresi danno una forte enfasi ai fatti sostenendo un clima molto acceso per un accadimento insolito per quella città. Non mancano, come sempre, le dissociazioni di chi è solito opporsi ai disastri della società del capitale auspicando un mondo migliore che dovrebbe arrivare convincendo con le buone i potenti a essere un po’ più “umani”. Il rinvio a giudizio viene fissato per il 17 novembre 2004 e il processo inizia a novembre del 2005. I poliziotti contusi hanno già testimoniato dell’accaduto ovviamente confermando la loro ricostruzione, mentre i compagni non hanno presenziato alle udienze. Per il 12 di ottobre 2006 è prevista, con molta probabilità, la sentenza di primo grado non essendoci altre testimonianze da ascoltare.
Pensiamo che sia arrivato il momento di ribadire i contenuti di quella giornata ancora così brutalmente attuali e, colpevoli o innocenti che siano i compagni coinvolti non importa, di sostenere l’ovvietà di non tollerare che le manifestazioni divengano una gita tra sbirri e contestatori tutti insieme nella rappresentazione di un conflitto da burla.
I temi possibili da affrontare insieme a chi c’era allora e a chi ha voglia di farlo adesso sono diversi, dall’opposizione allo stato di guerra permanente, dal controllo esasperato e costante delle nostre esistenze, dalla sudditanza del mondo all’imperativo del profitto ottenuto con tutti i mezzi necessari, alla militarizzazione di ogni spazio di vita e alla difficoltà di opporsi efficacemente a tutto questo.
C’è un’evidente sproporzione tra l’intensità dei colpi della repressione verso chi si oppone alle guerre e l’assuefazione all’orrore delle stesse come un qualcosa che non si ha la forza di contrastare.
Per chi alza la voce con determinazione contro i continui soprusi sfacciatamente compiuti in ogni angolo della terra, vengono comminati anni di carcere sulla base del nulla più totale con l’ausilio di quel famigerato articolo 270 con tutti i suoi bis, ter, quater e via di seguito, oppure carcerazioni preventive prolungate e provvedimenti coercitivi anche per i “reati” più banali. Il dominio non tollera nemmeno l’accenno del dissenso e se non riusciamo a ribaltare i rapporti di forza continuerà a permettersi di tutto pur di rimanere in piedi nel disastro di mondo che ha prodotto.
Per tali motivi, e per non lasciare solo nelle mani della repressione quello che accadde quel giorno, abbiamo proposto questa Assemblea pubblica seguita da una cena benefit.

Imputati e compagni solidali

http://www.autprol.org/