28/07/2006: Dichiarazione spontanea letta in aula da quattro compagne imputate durante l'udienza di venerdì 14 luglio per i fatti dell'11 marzo a Milano
L’11 marzo a Milano veniva autorizzata una marcia del partito neofascista Fiamma Tricolore, un’organizzazione che si pone a referente dei settori più oltranzisti e intolleranti della destra radicale italiana.
Una manifestazione che ha sfilato nel centro della città con la spudorata esibizione di braccia tese, cori e simbologie nazifasciste, tracciando una ferita profonda nella memoria della Resistenza combattuta con sacrificio dai nostri nonni ormai sessant’anni fa.
Ci chiediamo che senso abbia avuto il divieto imposto dalla Questura a quella stessa manifestazione che avrebbe dovuto tenersi il 21 gennaio, divieto motivato dalla prossimità della settimana della memoria dell’ Olocausto.
La “sorte” ha poi voluto che la parata della Fiamma Tricolore fosse rimandata in data 11 marzo, a cinque giorni dal terzo anniversario dell’assassinio di Davide Cesare, Dax; apice dell’escalation di violenza neosquadrista registrata negli ultimi anni in Italia: incendi, agguati e accoltellamenti che in diverse altre occasioni hanno rasentato quel tragico epilogo.
Per un popolo che ha subito una dittatura ogni giorno deve essere considerato “giornata della memoria”, mai bisognerebbe concedere agibilità politica e istituzionale a questo tipo di formazioni.
La presenza degli antifascisti in piazza l’11 marzo era finalizzata a testimoniare 20 anni di dittatura, rappresaglie, leggi razziali, deportazione, nonché il sangue versato, le torture subite e gli sforzi di tutti quei partigiani che a lungo hanno resistito per sconfiggere il nazi-fascismo, ma anche la strenua opposizione alle forme più attuali delle ideologie/pratiche fasciste, razziste e xenofobe.
La Costituzione dice: “è vietata la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto Partito Fascista”.
Era dunque legittimo e doveroso recarsi in quel luogo per tutti coloro per i quali i valori dell’antifascismo sono sopravvissuti al revisionismo storico e rimasti inalterati nella loro autenticità.
Ci troviamo oggi in quest’aula, quasi tutti dopo più di quattro mesi di custodia cautelare in carcere, per rispondere dell’accusa di “concorso” in “devastazione e saccheggio”.
Un tipo di reato che ci offende e non è mai appartenuto al nostro patrimonio storico e politico.
Le parole “devastazione” e “saccheggio” si addicono meglio ad altre situazioni piuttosto che allo scenario creatosi in c.so Buenos Aires.
Si devasta e si saccheggia in un contesto come la guerra, paradossalmente chiamata “umanitaria”.
Si devasta e si saccheggia l’ambiente attraverso le grandi infrastrutture, funzionali alle logiche di mercato che dominano nella nostra società.
Si devasta e si saccheggia la vita di strati sempre più ampi della popolazione costretti a fare i conti con la precarietà del mondo del lavoro, la violazione sistematica di diritti fondamentali quali la casa, la salute o l’istruzione che impediscono di costruire una vita dignitosa.
Si devasta e si saccheggia il nostro presente e il nostro futuro attraverso la formulazione di reati come questo e un uso punitivo e indiscriminato della carcerazione preventiva.
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