27/07/2006: Alcune considerazioni da parte di uno degli arrestati per i fatti dell'11 marzo a Milano


Dopo la sentenza in 1° grado.
Le condanne, (4 anni per 18 persone mentre per altre 9 assoluzione) sono state più o meno entro i termini delle richieste del p.m. Basilone che, chiedendo 6 anni ha visto esaudita la sua richiesta, infatti la procedura prevede che col rito abbreviato la pena venga scalata di un terzo.
Va sottolineata la differenziazione operata dall'“apparato di giustizia” nei confronti di chi ha rivendicato i motivi della sua presenza alla contro-manifestazione.
Preme soprattutto un bilancio complessivo della situazione, anche se incompleto, che vuole essere lo spunto per continuare le “discussioni” iniziate dopo gli arresti e che non dovrebbero arrestarsi proprio ora.
Incompleta perché ciò che accadeva 'fuori' durante la nostra detenzione da noi veniva interpretato in modo talvolta sfocato e talvolta confuso, a seconda della lettura dei fatti in questione da parte delle realtà o dei singoli che ci hanno fatto pervenire le informazioni, oppure perché come comprensibile, la confusione all'interno delle assemblee e dei dibattiti a riguardo non rende semplice una lucida ed attenta analisi di fatti da parte di molt* compagn* detenuti; non da ultimo la condizione carceraria a cui si è sottoposti.
In primo luogo vorrei precisare che secondo me è sbagliato parlare complessivamente di sconfitta: pensare di uscire da un processo del genere, che fra l'altro non è concluso, con l'idea di vedere la totale assoluzione nostra o per lo meno condanne più modeste è piuttosto forviante. Certamente condannare su basi praticamente inesistenti è una vera e propria fetenzia, ma per chi ha occhi disincantati che vedono quale sia la reale funzione della giustizia su cui si fonda l'ordine sociale in cui siamo costretti a vivere, questa condanna sicuramente non fa che confermare quanto si è affermato a riguardo e cioè la volontà di separare isolando dal corpo sociale individui e pratiche che mirano all'abbattimento di tale sistema.
Un importante passaggio repressivo si è svolto in queste udienze cioè condannare per reati di devastazione e saccheggio in questo presunto concorso morale, una pratica con cui sicuramente ci si troverà in futuro - vedi processi di Torino e Genova - a fare i conti.
Certamente non si può considerare una vittoria restare chiusi, ma se si vuole parlare di sconfitta i motivi sono da ricercare altrove. Per primo nell'aspetto organizzativo della contro-manifestazione cioè non in eventuali errori da parte di “chi” ha organizzato tale iniziativa (va da se che quando si presentano situazioni come la presenza di tristi figuri come fiamma tricolore, “chi organizza” l'opposizione dovrebbe essere chiunque abbia a cuore certe cose...) bensì nella carenza nel darsi una preparazione o struttura che sia in grado di sostenere, affrontare, fronteggiare tale situazione, con metodi propri, che poi appartengono alla diversa concezione del comportamento da adottare in piazza ma che, escluse poche minoranze, non è stata messa in pratica. A questo sono dovuti i numerosi arresti in seguito ai rastrellamenti delle “forze dell'ordine”. Qui si può parlare di sconfitta, ma se vogliamo ben vedere è una cosa assai risibile... risolvibile con la sola ma necessaria comunicazione fra interessati; ma forse parlare di comunicazione quando si è intrappolati nella “rete” della comunicazione telematica può sembrare obsoleto...
Si può parlare di sconfitta anche a riguardo del processo, ma non per le condanne in se, quanto a come è stato affrontato questo 1° grado delle udienze. Al di la della scelta del rito con cui, dopo alcune discussioni tra di noi, si è deciso di andare (sarebbe come continuare a polemizzare sul fatto di fare la manifestazione nazionale il 3 o il 17 giugno...); si sono create delle divergenze che pare riflettano specularmente quanto avveniva all'esterno che non sono, come può sembrare a prima vista, divergenze sulla diversità del metodo con cui collocarsi all'interno dello scontro sociale (che per altro non possono essere cancellate) ma delle vere e proprie “lacune identitarie”... Si va sempre più acquisendo la concezione di avere un ruolo ben preciso all'interno di una società democratica dove essere antifascisti è giusto in quanto si è nati in un contesto sociale pacificato, dove pare aleggi lo spettro di una dittatura che minaccia il quieto vivere...
Il concetto di storia è vissuto come un'entità separata della propria vita, mentre si impone sempre più un esistenza sotto la dittatura del produci consuma (poco) e crepa. Non conoscere i propri mezzi e soprattutto avere chiaro il fine conduce inevitabilmente ad una sconfitta.
Sapere da dove provengono militanti delle “nuove” destre, o denunciare quanto siano antidemocratiche le condanne ai danni nostri non fa che portare l'attenzione su argomenti secondari che sono solo un aspetto derivante del dominio: dire che siamo stati sconfitti perché la fiamma tricolore ha sfilato nonostante le proteste è una cazzata come lo sarebbe affermare che avremmo vinto se la questura avesse impedito loro di manifestare!
Intanto in altre città manifestazioni simili sono state vietate dopo gli “scontri” dell'11 marzo, segno che nell'immaginario collettivo la presenza dei nazifascisti evoca non pochi problemi, e non credo che sia da considerare ciò una sconfitta (sempre che si voglia ragionare in termini di contrapposizione tra fascisti ed antifascisti!)

Ritengo interessante la proposta girata tra alcuni di noi di approfondire alcune discussioni fra imputati al processo, ma non solo, non per gettare le basi di un improponibile percorso di “unità del movimento” ma per lo più per socializzare delle discussioni come punto di partenza che sia utile per affrontare in futuro simili situazioni conflittuali in modo cosciente e quanto meno autonomo.
Per molti di noi c'è l'impossibilità di comunicare, ma eventuali contributi, riflessioni o critiche potrebbero essere girate nella rete.

Vincenzo

http://www.autprol.org/