01/04/2006: UNIRSI PER LA LIBERAZIONE DEGLI ANTIFASCISTI ARRESTATI L'11 MARZO


“Libertà per gli antifascisti subito” deve essere la parola d’ordine e l’obiettivo concreto di una mobilitazione più vasta possibile, animata da chiunque oggi consideri inaccettabile la carcerazione dei 25 antifascisti che si sono opposti alla vergognosa e anticostituzionale marcia fascista della Fiamma Tricolore dell’11 marzo a Milano.
Da più parti si sente invece dire che la solidarietà agli arrestati può essere espressa soltanto da chi rivendica la pratica di piazza espressasi l’11 marzo; si sente anche dire che chi non c’era non può mobilitarsi per la liberazione dei compagni; addirittura si sente dire che alcune realtà non hanno il diritto di mobilitarsi.
Questi atteggiamenti sono deleteri, dannosi, perché impediscono al movimento per la liberazione dei compagni di diventare un movimento ampio, condizione indispensabile affinché la mobilitazione sia vittoriosa.
Questo non è un giudizio espresso da un pulpito, questo è ciò che emerge dalla pratica. Andiamo per gradi.

Pretendere (come succede a Milano) che la solidarietà agli antifascisti arrestati sia anche condivisione della pratica di piazza è come pretendere che la solidarietà venga espressa esclusivamente da chi l’11 marzo era in quella piazza. Stabilito che non c’erano più di 300 compagni e compagne, la discriminante della rivendicazione della pratica diventa il modo più efficace per demolire ogni possibilità di estendere la solidarietà e costruire una vasta e incisiva mobilitazione territoriale. La discriminante della condivisione della pratica non è un “paletto che viene messo”, è un macigno che divide anche quello che oggi, potenzialmente, potrebbe unirsi, è un macigno che piomba addosso alla possibilità di costruire una mobilitazione unitaria con al centro la liberazione dei compagni.

E’ una questione di metodo, che però diventa sostanza: più il movimento per la liberazione degli antifascisti sarà vasto e articolato, più sarà capace di essere rappresentativo e partecipato da tutti coloro che in varie forme e a vari livelli sono convinti che in Italia i fascisti non devono avere alcuna agibilità politica e che il carcere è una punizione non per “gli atti di vandalismo” (come scrivono i giornali), ma una sentenza politica che spalanca le porte ai fascisti.
Maggiore è l’ampiezza del movimento per la liberazione degli antifascisti, maggiore è la forza che avranno i compagni in carcere, e più forte sarà la posizione da cui affronteranno accuse e processi. Solo un movimento vasto garantisce maggiori possibilità di scarcerazione, solo un movimento ampio garantisce maggiori forze per denunciare la criminalizzazione e l’isolamento (politici e mediatici) orchestrati dagli apparati della banda Berlusconi e del circo Prodi.

Per tutte queste ragioni rivendicare la pratica di piazza tenuta l’11 marzo non deve essere una discriminante per potersi unire dietro la parola d’ordine “libertà per gli antifascisti”.
Da una parte vi è la necessità di sviluppare un movimento ampio per la liberazione dei compagni e delle compagne arrestati, dall’altra vi è la necessità di trarre un bilancio di una giornata di lotta che ha messo in evidenza i limiti del movimento antifascista, che è costata un prezzo altissimo in termini di denunce e arresti, ma che, allo stesso tempo, ha ottenuto dei risultati concreti. Ma questo è un bilancio politico che deve essere fatto a prescindere dalla solidarietà ai compagni arrestati.

Proviamo a guardare le diverse campagne di solidarietà e di lotta alla repressione attualmente in corso. Prendiamo ad esempio la campagna contro il 41 bis (vera e propria tortura dell’isolamento) applicato a sette rivoluzionari prigionieri delle Brigate Rosse.
Unirsi alla campagna contro il 41 bis non deve avere come presupposto la condivisione della pratica politica della lotta armata, non occorre che chi vi aderisce lo faccia solo perché i rivoluzionari prigionieri sono espressione di una posizione di rottura con lo Stato. Al contrario possono e devono aderire alla campagna contro il 41 bis tutti quelli che giudicano indegno in un Paese sedicente democratico il trattamento riservato dalla borghesia a questi compagni prigionieri: due ore d’aria al giorno, rinchiusi in una cella di 2 metri per tre, corrispondenza bloccata e colloqui con i famigliari centellinati col contagocce. L’isolamento del 41 bis è una forma di barbarie così abbietta, un sopruso così crudele che tutti i compagni e tutti i sinceri democratici devono avere il diritto e la possibilità di contrastarlo, indipendentemente dalle differenti valutazioni sulla pratica politica dei compagni sottoposti a tortura. La campagna contro il 41 bis fa parte di una lotta fondamentale contro repressione e controrivoluzione preventiva e deve rafforzarsi il più possibile, deve uscire dall’ambito strettamente militante, deve essere capace di comunicare e di coinvolgere le masse popolari: solo così può essere una campagna vittoriosa.

Questa, dicevamo, non è una dissertazione da un pulpito, è l’insegnamento che viene dalla pratica, soprattutto dalla pratica dell’unico esempio recente e concreto di campagna vittoriosa: quella promossa per la liberazione di Angelo D’Arcangeli.
Dopo l’arresto di Angelo D’Arcangeli avvenuto a Parigi lo scorso luglio, la sezione romana del nostro partito ha promosso nella sua zona d’abitazione lo sviluppo di un ampio e variegato movimento per la sua liberazione, dietro una sola parola d’ordine: “Angelo libero subito”.
Le migliaia di persone che in vari modi e a vari livelli hanno aderito alla campagna per Angelo non erano per nulla tutti “rivoluzionari convinti”, comunisti o anarchici. Hanno aderito alla campagna militanti della base dei DS, del PRC, della sinistra cattolica, ma soprattutto donne e uomini delle masse popolari, operai, lavoratori, casalinghe, piccoli commercianti locali, studenti. Ognuno mettendo in campo ciò che era nelle sue possibilità e nelle sue intenzioni, ognuno in base alla propria coscienza, tutti comunque uniti in nome della difesa dei diritti democratici (politici e di espressione) violati con l’arresto di Angelo. In questo modo il movimento di solidarietà per Angelo è riuscito a imporre con forza la sua rivendicazione, costringendo stampa, assessori, parlamentari italiani e francesi a occuparsi del caso. Dopo quattro mesi di detenzione illegale, le Autorità francesi hanno preferito scarcerare Angelo perchè la sua detenzione iniziava a essere loro scomoda e controproducente, per vari motivi: migliaia di persone mobilitate stavano sempre più prendendo coscienza di come la legalità borghese sia arbitrio e prevaricazione, migliaia di persone stavano condividendo un percorso collettivo e di base di una lotta che sosteneva apertamente un simpatizzante del (n)PCI clandestino. Addirittura, spinto dalla mobilitazione popolare, un esponente locale dei DS si è sbilanciato a dichiarare ai giornali locali che “Bisogna cercare un dialogo col (n)PCI”, di cui Angelo si è sempre dichiarato simpatizzante e per questo è stato arrestato.
Ora, come noto i CARC hanno più volte e pubblicamente espresso simpatia politica al (n)PCI clandestino, ma non hanno posto come discriminante la simpatia politica al (n)PCI per aderire al movimento promosso per la liberazione di Angelo. Sarebbe stato un suicidio, non si sarebbe sviluppato alcun movimento, saremmo rimasti quattro gatti perché non si sarebbero mobilitate migliaia di persone tra Italia e Francia, non ne avrebbe parlato la stampa, non sarebbero scesi in campo gli assessori e i parlamentati, e Angelo sarebbe con ogni probabilità ancora in prigione.

Perché questo riferimento alla lotta per la liberazione di Angelo D’Arcangeli? Per un solo motivo: perché lo stesso discorso vale per il movimento che va costruito per ottenere la liberazione degli antifascisti arrestati l’11 marzo.
Imporre la discriminante della condivisione della pratica espressasi quel giorno significa costruire un ghetto riservato ai soli “duri e puri”, significa non avere fiducia nelle masse e nella loro immensa forza e generosità, significa privilegiare l’etichetta al contenuto, significa indebolire la posizione dei compagni prigionieri, fare un favore alla questura, ghettizzare l’antifascismo.

Per tutti questi motivi, emersi alla luce dell’esperienza pratica concreta, continueremo a promuovere tra le masse popolari della nostra città la solidarietà e la lotta per liberare le compagne e i compagni e arrestati l’11 marzo; continueremo a sostenere la necessità e l’urgenza di costruire una mobilitazione unitaria la più ampia possibile; continueremo a contrapporre l’unità contro tutto ciò che oggi promuove fazioni e crea divisioni; continueremo a sostenere ogni iniziativa concreta che si sviluppa a sostegno degli antifascisti arrestati da ogni parte essa provenga.
Negli stessi ambiti rivendichiamo e continueremo a rivendicare la pratica antifascista come elemento costitutivo e insostituibile della coscienza democratica e dello spirito di lotta delle masse popolari italiane, quella coscienza e quello spirito espressisi nella vittoriosa Resistenza antifascista, nelle dure lotte contro i governi Scelba e Tambroni, nelle mobilitazioni contro l’MSI di Almirante: i fascisti e i loro padrini politici hanno sempre trovato una resistenza popolare determinata ogni volta che hanno messo il muso fuori dalle loro sedi. E nemmeno dentro le loro sedi sono mai stati tanto tranquilli.

Se davvero si vuole rompere l’isolamento è necessario che i compagni (anarchici, antimperialisti, comunisti e quant’altro) siano i primi a dotarsi degli strumenti e dei metodi adatti.

Unirsi dietro una sola parola d’ordine: libertà per gli antifascisti subito.

Partito dei CARC [Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo]
Sezione di Milano
Corso Garibaldi, 89/a

carcmi@tiscali.it
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