29/03/2006: MILANO MARZO 2006


A una settimana dalla conclusione delle mobilitazioni del marzo 2006, terzo anniversario dall’assassinio del compagno Davide Cesare e del pestaggio poliziesco all’ospedale S.Paolo, sentiamo la necessità di esprimere pubblicamente alcune riflessioni, constatato che un oscurantismo politico e mediatico ha gravato sui contenuti e i percorsi che hanno portato alla costruzione di quelle giornate (dall’11 al 18), rompendosi solo in relazione agli scontri dell’11 marzo.

Partiamo quindi dal fatidico 11 marzo e dalla sua costruzione. L’elemento positivo è che si è riusciti a far convergere diverse realtà e soggetti su un obbiettivo concreto e chiaro: non accettare la presenza organizzata dei neofascisti della Fiamma Tricolore. Un’organizzazione che si propone di diventare egemone nel panorama della destra radicale e neonazista, trovando legittimità politica e istituzionale negli accordi elettorali con la Casa delle Libertà di Silvio Berlusconi.
A Milano con la manifestazione nazionale programmata cercava di continuare questo progetto nel nord Italia, dopo i successi di Roma e del sud. La “marcia” della Fiamma è stata un’operazione artificiosa, non avendo radicamento a Milano faceva calare i propri militanti dal Veneto e dal Lazio, e ha trovato sponda nell’autorità che ne sono stati garanti e difensori. Quindi si è autorizzato il corteo di neofascisti e negato l’agibilità agli antifascisti militarizzando la zona fin dalla prima mattinata.
In coerenza con un percorso antifascista quotidianamente praticato si è cercato, nonostante i divieti e il disinteresse, di dare un segnale forte a questa provocatoria presenza in città. A cinque giorni dall’anniversario dell’assassinio di Dax e a una settimana da quello di Fausto e Iaio. La responsabilità dei “disordini” di Corso Buenos Aires risiede esclusivamente nella scelta politica di garantire il corteo della Fiamma. Le scelte furono diverse in relazione al primo divieto del 21 gennaio, poiché prossimo alla giornata della memoria sullo sterminio nazista. La memoria non può essere ridotta a delle ricorrenze, ma deve essere legata a dei valori e quindi quotidiana.

Il primo risultato dell’11 marzo è di aver riportato nel dibattito politico, non solo del movimento, la lotta antifascista, rendendo evidente che lo sfregio e le ferite prodotte non sono le 4 macchine bruciate e le vetrine infrante, ma è l’infamia di aver permesso la marcia fascista.
In altre città è alta l’attenzione rispetto alle annunciate manifestazioni dei partiti xenofobi e razzisti come la Fiamma. Tanto che a Bologna come a Padova i fascisti non marceranno.
A Milano l’11 marzo un dato politico di rottura, di non pacificazione è emerso positivamente. Dopo tre anni fatti di coltellate, incendi, aggressioni, denunce, arresti ai danni degli antifascisti questa ennesima provocazione è stata respinta ai mittenti.

I limiti riscontrabili nell’iniziativa sono gravi, ma vanno assunti collettivamente, da tutte le realtà che vi hanno partecipato e risiedono principalmente nell’immaturità o meglio nell’inesperienza nel praticare livelli di contrapposizione, o meglio dichiarare di farlo e poi di non saperli gestire.
Tra le tante responsabilità ci sono anche quelle di chi non c’era, di chi è andato altrove o è rimasto a guardare e non ci riferiamo solo alla sinistra istituzionale.
A pagare sono stati 41, tra compagni e compagne, prelevati indistintamente dalla piazza di cui 25 sono tutt’ora agli arresti nelle carceri di San Vittore e Bollate.
Sulle loro spalle si è articolata anche una campagna politica e mediatica di criminalizzazione. Accusati di devastazione e saccheggio sono dipinti come teppisti negandone l’identità politica di antifascisti. Lo scopo di questa campagna è la stigmatizzazione delle realtà promotrici della mobilitazione e la loro riduzione a problema di ordine pubblico. In ciò si legge il divieto del Questore al corteo del 18 marzo. L’isolamento politico è la condizione per affondare il colpo repressivo, sia per chi è già prigioniero sia per i possibili nuovi arresti. Il clima tensione che ha generato paura, divisione e desolidarizzazione anche nei settori di movimento, và fortemente combattuto. In primo luogo perché mina il fronte per la difesa e liberazione dei compagni arrestati, andando anche a depotenziare la portata politica e conflittuale della mobilitazione.

Molti sono i discorsi e le valutazioni da fare intorno a quella giornata, ma quello che ora deve essere prioritario è far crescere una solidarietà attiva verso gli antifascisti arrestati. Se un primo segnale è stato dato con una massiccia partecipazione al presidio dei sabato 18 marzo sotto il carcere di San Vittore, nonostante un clima di forte intimidazione e frammentazione, bisogna costruire in prospettiva una capacità d’intervento politico e di sostegno ai compagni imprigionati.

Officina della Resistenza SOciale - Milano

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