06/03/2006: Riflessioni sul movimento no tav


Premessa
Con gli avvenimenti del dicembre '05 si è conclusa una fase della lotta no tav: abbiamo visto nascere e consolidarsi un movimento nuovo, significativo e potente, e con questo il costituirsi di una realtà, prima inesistente, sicuramente di effettiva conflittualità.
Attualmente è difficile pronosticare come la partita complessiva andrà a finire.
Per descrivere la situazione è appropriata la metafora del gioco degli scacchi. La Valle ha assunto la sembianza di un enorme scacchiera, dove si svolge uno scontro lungo e dai risvolti complessi. Solo a partire dall'autunno è apparso chiaro che si è definito un conflitto irriducibile tra due parti mosse e motivate da interessi contrapposti: il partito delle "grandi opere" distruttori d'ambiente e di comunità che hanno come obbiettivo materiale edificare questa linea ferroviaria, ma come scopo primario rilanciare un processo di accumulazione che si fonda sullo sperpero di ingentissime risorse pubbliche per promuovere una dubbia modernizzazione che sicuramente garantirà forse, solo grandi profitti per poche imprese legate, in vario modo, al sistema di potere dominate nel nostro paese; un movimento di valligiani che coinvolge la totalità della popolazione, indiscutibilmente contraria al traforo della montagna e allo scorrimento della linea ad alta velocità sui suoi territori, per questo preoccupata e mobilitata ad impedire un ulteriore saccheggio dei luoghi, delle condizioni materiali di vita e di salute, ovvero della proprietà collettiva di una comunità. A determinare l'andamento di questa contrapposizione intervengono numerose variabili che acquisiscono dei pesi, non irrilevanti, nel contesto socioeconomico e territoriale, ma anche in quello nazionale ed europeo.
Si prospetta quindi un futuro i cui esiti finali sono sicuramente incerti e oggi difficilmente definibili. Non si tratta però di sviluppare riflessioni per azzeccare pronostici, ma bensì costruire approfondimenti e punti di vista, per armare il movimento di una capacità critica che lo supporti nelle scelte, per sviluppare i suoi percorsi futuri.
Oggi ambedue le parti che si contrappongono sono forti e determinate disposte a battersi con tutte le armi che possiedono. L'esito finale dipenderà molto da come sapremo procedere senza fare passi sbagliati, senza annullare le possibilità, anzi accrescendo le lotte e la conflittualità di massa.
Si è aperto uno scontro di potere tra un nuovo movimento e un sistema economico istituzionale che tenta di riavviare differenti forme di sviluppo in contrapposizione a un intero territorio e la sua popolazione. Le caratteristiche del movimento.

Il movimento no tav è oggi una realtà definita e precisa; si è sviluppato nel corso degli anni costruendo una forte e determinata opposizione sociale. Col tempo si sono costituite importanti ramificazioni territoriali che hanno visto nascere, in tutta la Val di Susa, dei comitati popolari. Questi sono effettivi organismi di massa capaci di raccogliere e sviluppare il malcontento, promuovere la protesta, autorganizzare le forme di lotta. La loro attività ha sedimentato un'opposizione sociale che si è poi, con l'inizio dei lavori di sondaggio, massificata e radicata coinvolgendo la totalità della popolazione residente. Anche a livello nazionale si sono raccolti vasti appoggi e grande è la solidarietà sociale.
La lotta ha visto convivere spontaneità e agire consapevole. Queste due componenti non si sono affatto contrapposte, anzi si sono determinate e potenziate a vicenda dando continuità e determinazione al movimento: la spontaneità ha prodotto la forza, mentre l'agire consapevole ha sostenuto l'indirizzo. Si è costituito così un contropotere di massa che è cresciuto nelle differenti fasi di percorso e di sviluppo delle mobilitazioni. Il risultato è stato uno straordinario cammino collettivo che ha portato a importanti scadenze di lotta e a significativi risultati pratici e politici. Tanto che il movimento è sempre più consistente, massificato, radicato, riconosciuto. Quindi difficile da battere.
Con l'attuarsi delle scadenze concrete si è vista crescere la partecipazione di tutti gli strati della popolazione. Giovani, anziani, studenti, lavoratori, insegnati, commercianti, donne, pensionati, lavoratori dei servizi, coltivatori, artigiani, impiegati, pendolari si sono riconosciuti tutti in un preciso obiettivo: impedire concretamente che nella Valle si desse avvio al tracciato dell'alta velocità.
Mano a mano che la lotta è andata avanti si sono incominciati a vedere i risultati della mobilitazione. Contro la reazione arrogante delle istituzioni, questo movimento si è consolidato ed è riuscito a estendersi e a coinvolgere nella sua lotta, anche quella parte della popolazione che, pur non volendo il tav, era silente perché nutriva poca fiducia sulla possibilità di ottenere effettivi risultati. La partecipazione ha rafforzato il senso collettivo e la determinazione.
Il movimento ha assunto un carattere trasversale; anche componenti delle istituzioni locali, esponenti dei partiti, sindaci rappresentanti delle comunità montane sono interni e attivi nella lotta, promuovono la partecipazione e in questo modo danno una particolare legittimità al conflitto, a tutte le forme in cui si esprime, pure ai percorsi più determinati. La partecipazione, la presenza costante alle scadenze, da una parte, il fastidio per l'arroganza dei politici nazionali, gli abusi, la violenta e la militarizzazione imposta dalle forze dell'ordine, dall'altro verso, hanno fatto maturare una forte unità che non ha solo assunto la caratteristica della solidarietà, ma ha trasformato i comportamenti e la condivisione. Si è avviato un percorso comune che ha coinvolto e cambiato il modo di porsi delle persone. In altre parole col movimento è nata un'identità tanto semplice quanto chiara e forte. Un'identità specifica e collettiva. Questa identità sta dando vita a una nuova forme di comunità, che ha un suo potere costituente, un suo modo di essere diverso riconoscibile, autodeterminato e antagonista. Si sono consolidati nuovi luoghi decisionali, uno di questi, quello decisivo, in cui si stabilisce il da farsi è l'assemblea. In essa si confrontano le posizioni e i punti di vista che emergono, anche quando sono diversi hanno uguale diritto di essere espressi, ascoltati presi in considerazione, verificati e approvati dalla maggioranza dei partecipanti; si forma così una volontà collettiva risultato di un principio chiaro: nessuno delega nulla, quello che prevale è la partecipazione attiva di tutti. Durante lo svolgimento delle azioni di protesta e di resistenza, invece, se occorre fare degli interventi o delle iniziative immediate queste vengono proposte e poi l'intera maggioranza dei partecipanti concretizza, o non realizza, quanto viene indicato da singoli o da gruppi di persone presenti. Così è stato in tutti i momenti più importanti dello scontro: al Seghino, la notte di Venaus, quando si è dato vita all'occupazione dell'autostrada, delle statali e delle ferrovie, l'8 dicembre: il giorno della riconquista di Venaus, durante la manifestazione di Torino.
La volontà collettiva viene rispettata e riconosciuta come sovrana, ha il potere concreto di condizionare e di indicare i percorsi: realizza un effettivo potere costituente della lotta. Questo potere condiziona tutti sia il più "esaltato" estremista, sia il più "assennato" sindaco. Certo la nuova ricomposizione sociale costituita in Valle dà vita ed è una comunità di movimento, quindi transitoria, in sviluppo. Vive, perdura e si conforma nel procedere dello scontro, ne trae da esso le risorse per caratterizzarsi e consolidarsi. L'unità sociale nata dalla lotta contro il tav è tutt'altra cosa della "municipalità". Questa era teorizzata da un ceto politico che non credeva più allo sviluppo del conflitto, come l'aspetto fondamentale, perché produttore di potere alternativo, della dimensione antagonista proposta politica, e quindi pensava di autolegittimare la propria esistenza, costruendo forme di entrismo e mediazione con le istituzioni esistenti, accettando sostanzialmente, al di là del folclore, le logiche della politica istituzionale.

La ricomposizione sociale antagonista
Il movimento no tav non ha bisogno di dar spazio alle aspirazioni dei portavoce, non delega le forme di decisione e di rappresentanza. Riproduce e mette a confronto le esperienza e ne genera di nuove, consolida un'intelligenza collettiva, produce un sapere e una consapevolezza non ufficiale, ma sostanziale, matura socialità politica e partecipazione, genera alternatività. I valori e i presupposti non sono più quelli del tornaconto personale, del perseguimento egoistico degli interessi individuali, della valorizzazione dei bisogni imposti dal mercato e dalla produttività o del sistema della politica che, quando occorre, pur di dividere i movimenti, è sempre pronto a cooptare chi è disponibile a sedersi su una poltrona per adempiere ad incarichi istituzionali.
Il movimento valorizza altro, si maturano esperienze, crescono trasformazioni, si danno soprattutto nuovi modi di essere sociali e politici che toccano la sfera dei singoli e della collettività. Costruisce nuove e differenti forme di cooperazione sociale informale, non gerarchizzata, ma polivalente.
Nella comunità della lotta si riproducono e si definiscono potenziandosi a vicenda, proprio perché non si contrappongono due tipi di soggettività: quella individuale e quella collettiva. Sono soggettività antagoniste che si formano con i saperi, le capacità, l'intelligenza, la volontà e la determinazione dei singoli, ma che nel conflitto trovano un modo diverso di esprimersi, rispondono a un percorso che non ha come scopo la mercificazione di quanto l'essere umano sa produrre, sa creare con il pensiero e con la pratica. Con l'attività nel movimento si annullano le forme di alienazione, sempre rigenerate e imposte dall'attuale sistema sociale che separa e distrugge, quello che non può inglobare nei processi di mercificazione, per produrre e autoprodursi, predefinendo ruoli, mansioni, scopi e fini che sono propri del capitalismo e delle sue logiche d'accumulazione, ma contrari alle necessità e ai desideri effettivi della stragrande maggioranza delle persone.
L'odierno sistema sociale ha bisogno di indurre bisogni artefatti che devono essere imposti, come se fossero naturali solo a una massa di consumatori atomizzati. Consumo, spreco e distruzione sono i fondamenti che fanno muovere la società industrializzata: un sistema che si innova velocemente nel suo complesso basandosi sulla costruzione e diffusione finalizzata di mode, di modelli di vita di culture e aspettative di massa manipolabili e influenzabili. Contemporaneamente però il sistema non cambia, anzi accentua le disuguaglianze e le forme d'esclusione, tanto che la stragrande maggioranza delle persone viene, non formalmente ma di fatto esclusa, espropriata della possibilità di decidere e di determinare i modi e le forme di trasformazione della propria esistenza collettiva.
L'accumulazione di ricchezza e di potere, da parte delle élite dominanti, prevede la distruzione progressiva del patrimonio naturale, sociale, comunitario e umano esistente nei territori e negli ambiti in cui il capitale concretizza le sue nuove forme di produzione di capitale. La lotta cambia lo stato, le aspettative, i bisogni e i desideri di chi vi aderisce, definisce una posizione di parte, fa schierare: da a tutti un valore aggiunto che considera e arricchisce di senso e di socialità contemporaneamente l'individuo e la dimensione collettiva in cui è inserito, da una diversa sicurezza, identità, nel senso che permette di riconoscersi in quello che si fa, perché si realizza per un fine comune.
Si pone nel conflitto la necessità di generare una nuova scienza di parte, che non è quella tradizionale ormai piegata alla logica sistemica imperante: per produrre bisogna distruggere e poi riparare ai danni prodotti dal sistema capitalistico. Il movimento con la lotta porta le soggettività a saper scegliere quali saperi produrre, matura il rifiuto, non scende sul terreno del confronto con la tecnica, richiede invece di produrre scienza, conoscenze, consapevolezze che siano politici: cioè finalizzate ad altro a far maturare un'alternatività al sistema; ma non in maniera astratta, bensì costruendo percorsi e realtà concrete e di parte.
Il movimento no tav non è un movimento ideologico, ma col tempo si è definito come un movimento che è diventato fortemente politico, nel senso che è stato capace di strutturarsi per perseguire un effettivo e concreto obbiettivo: bloccare l'inizio dei lavori e impedire la costruzione della linea ad alta velocità. Questa è la sua politicità intrinseca.
Su questo preciso sentire comune, senza tergiversazione il movimento ha costruito la sua forza e la sua dimensione di massa trasformando una situazione e coinvolgendo e cambiando il ruolo di ambiti, anche istituzionali, come i consigli comunali e le comunità montane.
Nei momenti più alti dello scontro le macchine dei comuni hanno invitato e indirizzato la popolazione a fare i blocchi stradali, si sono trovati i sindaci in prima fila ad occupare le autostrade, si sono visti i vigili in divisa scontrarsi, insieme alla popolazione, contro la polizia. Tutti hanno riconosciuto che ciò che il movimento ha portato avanti era giusto e andava fatto, indipendentemente dal fatto che qualcuno poteva sentenziare che quanto avveniva era legale o illegale.

Legittimità della lotta
Una caratteristica peculiare di queste mobilitazioni, che ci dà il riscontro che siamo di fronte ad un effettivo movimento sociale antistemico, è il fatto che questo ha prodotto delle forme di aggregazione e di lotta molto variegate con diversa intensità di contrapposizione e di scontro, ma sempre legittimata da una forte convinzione unitaria e da una estesa e qualificata partecipazione di massa. Le azioni di lotta sono state plurime e differenziate, a seconda dei momenti e delle necessità, tanto da esprimere sempre il massimo dell'unità e dell'efficacia nella contrapposizione per raggiungere gli obiettivi preposti: si sono così alternati presidi permanenti, blocchi stradali e ferroviari capaci di paralizzare l'intero traffico locale e internazionale, scioperi generali che hanno fermato tutte le attività della Valle di Susa, manifestazioni a cui hanno partecipato decine di migliaia di abitanti sia in Valle che a Torino, contrapposizioni con la polizia che cercava di accompagnare e scortare gli operatori e i tecnici delle imprese ai siti per picchettarli, scontri per giungere alla rioccupazione del cantiere di Venaus, dispersione di chiodi per rallentare il cammino dei mezzi delle forze dell'ordine, demolizione delle attrezzature e dei macchinari predisposti per iniziare i lavori di scavo. Collateralmente a queste forme di lotta si è diffusa una vasta ostilità nei confronti delle forze dell'ordine sempre più mal tollerate e considerate vere e proprie truppe d'occupazione, e verso il ceto politico e industriale che esaltava le motivazioni per la costruzione della tav.
Il conflitto ha saputo coinvolgere cambiando così il modo di essere di pensare e di partecipare: mano a mano che la lotta è cresciuta si sono estesi contemporaneamente consenso e radicalità. Si è visto nel concreto, con il riscontro di effettivi risultati e di parziali vittorie, che l'aggregazione produceva la possibilità che si potesse effettivamente realizzare il blocco dei sondaggi, mettendo in discussione l'effettiva realizzazione del progetto tav. La lotta si è legittimata, al di là dei limiti della legalità, anzi ha disvelato che la legalità sovente è solo il risultato di rapporti di forza imposti dal potere istituzionale; dietro il quale si calano precisi interessi di parte, tanto da dare alla legalità il carattere di un vero e proprio sopruso; il perpetuarsi di queste ingiuste imposizioni generano reazioni tali che edificano la consapevolezza che l'illegalità di massa e la resistenza sono i veri e gli unici strumenti di liberazione e di costituzione degli effettivi interessi generali.
I movimenti sociali antisitemici non si pongono mai la violazione della legalità esistente come fine, lo scopo che si danno è la trasformazione e il cambiamento del sistema sociale e con questo mutano i destini singoli e generali di chi vi partecipa. Mentre i movimenti perseguono questo scopo, proprio l'avversità della controparte li porta a costruire percorsi che non tengono conto di cosa è, o non è, legale. È il potere costituente generato da questi movimenti l'effetto più importante del loro esistere. La rottura, la messa in crisi del pre-esitente diventano l'obiettivo, a volte consapevole, altre volte inconsapevole, del nuovo soggetto sociale emergente. Il fatto di essere effettivamente alternativi si da nella non accettazione, nella contrapposizione, che trasforma e abolisce lo stato presente delle cose.
Questo ha consolidato e motivato la partecipazione, una partecipazione che ha capito che solo lo scontro e la contrapposizione pagano, perché sottraggono terreno, spazio politico e sociale all'avversario, gli impediscono di attuare nel concreto il suo progetto e alzano i costi politici mettendo in discussione la sua legittimità e il suo consenso.
La produzione sociale di conflitti cambia i rapporti di forza e determina fratture tra sistema politico e parti di società. La repressione e l'uso monopolistico della violenza dello stato perdono di efficacia, anzi potenziano le risposte e l'autodeterminazione del movimento. Il conflitto sociale massificato ha saputo anche creare nuove forme di legittimità che non hanno più tenuto conto della legalità astratta, intesa come il mero rispetto delle convenzioni e delle norme giuridiche. La realtà delle lotte si è contrapposta al diritto: mezzo per riprodurre e imporre i rapporti di forza delle classi dominanti. Il movimento non teorizza: pratica, si esprime con occupazioni scioperi generali totali, blocchi stradali e ferroviari, presidi, occupazione dei siti; la contrapposizione alle forze dell'ordine è diventata pratica di massa riconosciuta, motivata, utilizzata flessibilmente per conseguire specifici obbiettivi materiali, come impedire l'inizio dei sondaggi. Queste pratiche realizzandosi definiscono un essenziale valenza politica,. In altre parole si è realizzata la legittimità dello scontro.
Dietro lo slogan popolare "sarà dura" appare la consapevolezza sociale che per far valere le proprie ragioni c'è una sola strada: riprodurre la continuità dello scontro pagando i costi di queste scelte, ma portando anche l'avversario a spendere ingenti risorse per fronteggiare il conflitto.

Scontro nel sistema sociale
Ci sono più piani sui quali si gioca e si produce lo scontro. Quello concreto suscitato dall'avvio dei sondaggi che precedono i lavori di costruzione del tunnel. La costruzione dell'intera opera dovrebbe durare più di venti anni. L'attuazione del progetto comporterà sicuramente un grosso impatto ambientale, su un territorio già fortemente deturpato da un autostrada costruita negli anni 70, due statali percorse giornalmente da migliaia di tir. I soli lavori di scavo e cementificazione del tunnel incrementeranno l'inquinamento ambientale e acustico, inevitabile sarà il passaggio continuo di camion carichi delle rocce estratte, dispersione delle polveri e a lavori finiti il territorio contemplerà lo sfrecciare continuo e costante di treni rumorosi e pericolosi.
Il rifiuto di questa imposizione, di queste servitù, non può che contrapporre la comunità locale, caratterizzata da una forte dimensione montana, che mal sopporta le forme di intrusione e di militarizzazione, a un gruppo di potenti collocati in più settori strategici del sistema tanto che lo controllano trasversalmente. Questi ultimi muovono interessi forti: garantiscono come dovrà essere il trasporto di merci e di persone nei prossimi decenni; la possibilità immediata di ottenere ingenti quantità di profitti per un complesso politico-industrial-finanziario che vede nella costruzione di grandi opere il modo per sostenere un preciso modo di indirizzare la ripresa dell'accumulazione dopo il tramonto dell'egemonia della produzione di massa di beni di consumo durevole (auto ecc.).
Queste scelte, queste politiche hanno una valenza che travalica il locale e che si colloca nella dimensione generale. Si vuole imporre un particolare indirizzo alla modernizzazione della società per condizionare produzioni e modelli di vita di intere generazioni future. La globalizzazione per incrementarsi deve realizzare e muovere sempre di più ingenti quantità di merci, di tecnologie, di uomini, ma contemporaneamente non si preoccupa di distruggere enormi quantità di risorse e l'identità di intere popolazioni. Gli organismi statali e sovranazionali si prestano a distogliere ingenti risorse finanziarie ripartite nei territori per indirizzarle a finanziare infrastrutture di dubbia necessità collettiva, ma di sicuro interesse capitalistico.
L'intero ceto politico e finanziario dominante ha scommesso su questo, tanto che coincidono i modi di agire e di affrontare i problemi che insorgono.
Alcune volte questi processi non disvelano i loro veri scopi, non vengono compresi sufficientemente dalle popolazioni e dagli strati sociali coinvolti e procedono senza che si costituisca una consapevolezza della loro dannosità.. Il dilagare della globalizzazione è facilitato perché si è definita una distanza incolmabile tra centri decisionali che assumono una collocazione extraterritoriale frutto di nuove asimmetrie tra la natura extraterritoriale del potere e la collocazione locale delle popolazioni. Il costo di questa inconsapevolezza viene poi comunque pagato con grandissime sofferenze e distruzioni di risorse umane individuali e collettive. Viceversa quando matura la coscienza di quanto sta accadendo si aprono nuove possibilità, l'asimmetria si riduce e nuovi soggetti sociali si attivano; smettono di essere attori passivi coinvolti e subenti processi contrari ai loro interessi e possono ricomporre un fronte sociale alternativo capace di progettare e di definire scenari di realtà differenti e contrapposti alla dimensione capitalistica.
Sul terreno del no tav si è maturata una forte coscienza sociale.
Così lo scontro ha assunto anche un carattere generale e i risultati del conflitto possono assestare duri colpi al sistema nel suo complesso. Infatti la rivolta popolare contro la tav sta mettendo i bastoni tra le ruote al intero sistema politico. E' una minaccia difficile da fronteggiare. Perché la sua presenza produce incertezza, spaventa. E questo è stato riconosciuto giovedì otto dicembre, quando mentre decine di migliaia di persone riconquistavano il sito di Venaus, il governo Berlusconi decideva una sospensione temporanea dei lavori e l'apertura di un tavolo di trattativa. E' stato un arretramento tattico, per prendere fiato, per proteggere le Olimpiadi da clamorose contestazioni, per non far condizionare la prossima campagna elettorale da forme di protesta popolare che incrementano lo scontento verso chi aspira a governare? Certamente, ma intanto uno stop si è dato ed è un alt che rappresenta un'importante vittoria politica.
Bisogna domandarsi anche perché chi governa questi processi ritenga così importante non rischiare nel momento delle Olimpiadi. Solo perché tutto il mondo, guardando questo avvenimento sportivo, ci osserva? O perché il modello di costruzione dell'evento Olimpiadi è molto simile per certi aspetti al modello formulato per edificare l'alta velocità?
Modelli che per realizzarsi chiedono di poter disporre di ingenti quantità di investimenti. Grandi lavori e grandi sperperi per un evento o per una grande opera che una volta realizzati non hanno ricadute positive sui territori che sono coinvolti, ma al contempo presentano grandi possibilità concrete di realizzare ingentissime fluttuazioni di capitali con conseguenti alti profitti riservati a pochissimi imprenditori.
Proprio l'attuarsi delle Olimpiadi del 2006 sta incominciato a produrre grossi dubbi. E le disillusioni sottraggono il consenso non a una specifica forza politica, ma al sistema politico in generale. Si è incominciato a capire, a vedere, a toccare con mano, la negatività di questa politica socio-economica.

Avversità al sistema politico
Se chi detiene il potere decide, momentaneamente, di cambiare strada, di per se non vuol dire che rinuncia a perseguire il progetto. Molti sono gli interessi che rischiano di essere messi in discussione dalla lotta di questo movimento: interessi di industriali, finanzieri e del ceto politico nazionale e locale. Non si può nascondere che dietro alle incertezze prospettate dalle istituzioni emerge anche il significato politico dei risultati ottenuti da queste lotte. Ed e proprio sul movimento di massa che bisogna soffermare la nostra attenzione perché si tratta di un evento politico rilevante. Perché è un movimento di rifiuto che quindi non cerca il terreno della mediazione. La politica istituzionale si trova a fronteggiarlo con le armi spuntate. In una regione tra le più colpite dalla crisi industriale, una popolazione di un vasto territorio rifiuta e si oppone con forme di rivolta di massa, a un progetto di sviluppo capitalistico fondato sulla dissipazione di ingenti risorse pubbliche e sulla messa a rischio dell'ambiente, della salute e delle condizioni di vita e degli abitanti locali.
Il rifiuto dell'alta velocità assume cosi un significato politico preciso, rifiuto dello sviluppo a tutti i costi, rifiuto delle nuove forme di accumulazione capitalistica, rifiuto del sistema politico partitico.
Esprime maturità e consapevolezza il movimento che rifiuta la contrattazione, che non accetta le compensazioni, è un soggetto sociale che si qualifica specificamente. Il non proporre delle alternative pratiche non pregiudica affatto, anzi a nostro parere rafforza la capacità di costituire significati e prospettive veramente autonomi e moderni effettivamente in contrapposizione alla mediazione politica tradizionale. Proprio una diversa politicità ha permesso di unire interesse locale e interesse generale e ha sottolineato come quest'ultimo non è affatto riconducibile a specifici interessi partitici e capitalistici.
La lotta, lo scontro sociale, il conflitto anche duro e determinato hanno spostato gli equilibri, hanno costruito nuove saldature tra popolazione, comitati di lotta, sindaci dei paesi della valle e dirigenti della comunità montana. E questa confluenza di proposte e di confronti ha costruito un effettivo contropotere che ha assunto un significato politico temibile. L'uso della violenza poliziesca non ha intimidito, anzi ha accresciuto la consapevolezza collettiva che la lotta e l'opposizione sociale paga perché determina la rottura degli equilibri istituzionali e sistemici.
Il movimento ha capitalizzato esperienza e forza, che potrà spendere ed estendere nel prossimo futuro. La lotta specifica sul no tav assume un valore sempre più importante, perché ha dimostrato che la determinazione costruisce alternative e aumenta le possibilità di vincere e ciò può diventare esempio e strumento di propagazione di nuove contrapposizioni anche su altri terreni sociali.
Come ogni movimento sociale antisistemico, anche il movimemto no tav, si è trovato immediatamente contrapposto al sistema politico. Questa collocazione non si è prodotta tanto come una scelta consapevole, ma proprio, come dato di fatto. I partiti sia di governo, sia di opposizione, chiamati a governare o ad amministrare gli enti locali piemontesi, si sono trovati tutti su un fronte comune favorevole al tav e quindi avversi al movimento. Le diversità palesate erano formali, non sostanziali, proposte appositamente per cercare di fronteggiare il dissenso, ma quando lo scontro si è concretizzato, tutti i partiti sia di centro destra, sia di centro sinistra hanno a perseguire lo stesso obiettivo. Così è avvenuto per i sindacati confederali CGIL, CISL UIL, per le associazioni degli industriali con Lega delle Cooperative in testa.
Il netto definirsi degli schieramenti ha subito generato la disillusione che si potesse in qualche modo proporre delle soluzioni effettivamente alternative.

Un movimento che si è auto costruito
L'assenza della mediazione di organismi istituzionali o istituzionalizzati non ha influito sul procedere delle lotte, anzi si può dire che ha dato spazio alla maturazione di posizioni più chiare e definite. Nel conflitto si sono definiti gli avversari ma anche i rapporti di forza. Si è compreso il valore e il potere dello scontro come strumento per difendere interessi e raggiungere risultati.
Il movimento si è auto costruito con la partecipazione dal basso, ha trovato le risorse e le energie per andare avanti e per potenziarsi, soprattutto ha generato dei nuovi comportamenti che vanno ben al di là della mera solidarietà. La partecipazione si è trasformata in consapevolezza e in volontà. Si è costruita e attivata una base sociale che è sempre presente e che continua a essere propulsiva, non solo aderendo alle iniziative, ma proponendole e dando corpo a nuovi passaggi, come per esempio lavorare per estendere la partecipazione e coinvolgere le popolazioni residente nei territori della Gronda Ovest, sia individuano le scadenze importanti come quelle fuori della Valle, quelle sul territorio francese, sia praticando delle forme di scontro e di aggregazione che sono diventate sempre più importanti. Le forme di rappresentazione che questo movimento ha prodotto hanno generato un avanguardia interna che non è slegata dalla massa. Proprio la lotta ha fornito a tutti l'opportunità di crescere politicamente, di maturare esperienza di aumentare le proprie capacità di impegno politico e sociale. Un sentire comune, fuori dalle teorizzazioni astratte, ha messo insieme e fatto muovere unitariamente figure e individualità, anche molto diverse, che però si sono compensate a vicenda dando vita a una dimensione collettiva con una netta e definita politicità intrinseca. Si è determinata una nuova cooperazione per la lotta e per il movimento, anche il confronto tra le diverse componenti interne è stato fecondo e costruttivo. Per la prima volta dopo decenni di pace sociale si sono avviati effettivi processi di ricomposizione politica di classe.

I problemi che questo movimento lascia aperti
La lotta no tav è diventata un soggetto politico importante nel nostro paese. Ha rappresentato sicuramente un evoluzione per alcuni versi differente, per altri versi conseguente, del movimento che era emerso a Genova nel 2001. Il conflitto sociale si costruisce strani percorsi che ai più risultano imprevedibili, ma che invece rispondono anche a cause specifiche. A volte il conflitto si configura come prodotto di un evento suscitato dall'intervento dell'avversario, in taluni momenti si determina come frutto di una dimensione generale che poi approda in singoli territori, altre volte viceversa nasce come movimento locale che poi diventa indicatore di percorsi e prospettive generali. Il movimento non ripercorre le stesse strade, non si definisce mai negli stessi modi, si reinventa ed è per certi versi imprevedibile. Eppure il conflitto ha anche delle costanti, che lo caratterizzano, che lo potenziano e che lo definiscono.
Il conflitto si definisce come avversione e contrapposizione all'esistente. Ma l'esistente non lascia spontaneamente il passo ad altro, vi si oppone tenacemente proprio perché è frutto di specifici interessi di precise posizioni. Il conflitto continua a esistere, a volte in forme latenti e in altri momenti in forme palesemente manifeste. Per svilupparsi necessità di forze che dal suo interno lavorino per potenziarlo e per dargli prospettiva. Il conflitto attua un processo che realizzandosi trasforma e consolida un nuovo modo di essere, allo stesso tempo nel processo devono formarsi delle forze che diventano capaci di autoprogettare il suo sviluppo, scegliendo la direzione, le forme, i contenuti, le peculiarità del processo stesso, si tratta di un muoversi e di un misurarsi a più livelli e in diversi ambiti esterni ed interni. Nel processo si definisce il problema del potere, potere inteso come capacità di realizzare il progetto. Come capacità di far agire nuove forme di cooperazione sociale, muovere unitamente capacità di osservare e comprendere la realtà, costruire una posizione di parte, produrre e controllare conoscenza, esperienza e pratica. Realizzare contropotere.
Il altre parole il processo è anche la costituzione, la formazione e il potenziamento di nuove soggettività individuali e collettive.
In questa fase. che ha visto emergere e consolidarsi un sistema sociale in cui sempre più è determinante la comunicazione, chi vuole costruire movimenti non può prescindere dal prendere in considerazione e fare i conti con gli specifici aspetti e la forza della circolazione dell'informazione. C'è sicuramente una comunicazione sistemica che si differenzia in diversi modi e c'è una comunicazione, ed anche una formazione antisistemica, quella delle forze che si oppongono e sono antagoniste al sistema.

Progettare lo scontro per valorizzare un’alternativa
I movimenti da sempre hanno istaurato un importante rapporto con i media; li utilizzano per diffondersi e possono in qualche misura essere strumentalizzati da questi. Ora questo rapporto si è per certi versi trasformato per altri potenziato. L'evento ormai non è descritto ex post è anche influenzato e in un certo qual modo costruito dai media, e ciò in un certo senso vale anche per gli eventi del movimento. I media per diffondersi ed acquistare importanza e indispensabilità, hanno costante bisogno di considerare accadimenti, hanno fame di notizie e di affrontare argomenti che attirino attenzione. Le notizie dei conflitti sono sempre molto appetibili, perché intervengono sulle aspettative di sicurezza che oggi sono sempre più forti e determinati nell’opinione pubblica. Succede spesso che i media incominciano a parlare di cosa potrebbe accadere, ne parlano sovente come una minaccia. Questo aspettare l'evento, e parlare dell'evento prima che accada costituisce l'evento stesso, contribuisce a incrementarne la partecipazione, spinge una gran massa di persone a seguire a interessarsi a partecipare. Allo stesso tempo i media distorcendo le informazioni costruiscono anche una realtà che e per certi aspetti è distorta e il movimento deve saper rapportarsi anche con queste influenze con queste ingerenze. Ma con i media non si può non fare i conti, per difendere e sviluppare il movimento per non farlo soffocare. La politica è proprio la capacità, diciamo così l'arte di costruire, di avviare e consolidare percorsi che si prefiggono di raggiungere dei fini precisi, operando delle scelte. Il significato politico, il politico è invece il consolidarsi di un affettiva posizione che si caratterizza che si definisce in alternativa ad altro, contrapponendosi, costituendosi come soggetto, come entità radicale capace di aggregare e consolidare un nuovo potere, un potere che va inteso come capacità di pensare, proporre realizzare qualcosa che ancora non esiste, seguendo però una direzione facendo delle scelte o intervenendo in tendenze che si riscontrano, accadono e si radicano nel territorio e nel sociale, anche contrastando e intervenendo in processi avviati dalla parte avversaria.
Il movimento no tav ha posto il problema della ridefinizione del concetto di proprietà inteso sia nel aspetto individuale che collettivo. La realizzazione dell'alta velocità esplicita infatti una grande contraddizione. Nella società moderna viene riconosciuta la proprietà privata individuale, ma viene riconosciuta solo fino a che questo non fuoriesce da una dimensione di funzionalità sistemica, la proprietà dei beni, delle capacità, del tempo deve essere scambiata sul mercato per contribuire all' attuazione della produzione capitalistica se si sta all' interno di questo percorso si è liberi di scambiare, di spendere, di arricchirsi e di accumulare. Ma se accade che queste fattori fuoriescono e si contrappongono ai processi di accumulazione capitalistici questi non devono più essere posseduti ne dagli individui ne tanto meno dalla collettività, ma vanno o espropriati o distrutti. È la contraddizione tra proprietà e possesso, nella modernità tutti sono proprietari di qualcosa perché i processi di mercificazione non potrebbero scambiare altrimenti, ma il possesso effettivo, cioè la possibilità effettiva di disporre rimane come esclusivo privilegio ed elemento differenziante per i potenti. La proprietà privata è riconosciuta solo in quanto elemento funzionale al sistema, e quindi può essere messa in discussione in qualsiasi momento: un terreno può essere espropriato, il passaggio pubblico nel territorio può essere impedito. La proprietà collettiva intesa come ambiente, territorio, falde acquifere, aria, comunità sociale, possono essere stravolte, inquinate e distrutte per consentire lo svolgersi dei processi di accumulazione capitalistici. Il Movimento no Tav pone anche il nodo della comunità come luogo e come ambito collettivo in cui si costituisce un progetto alternativo, di vita, di produzione, di socialità di attività politica,quindi di valorizzazione alternativa, ma anche come luogo che può rifiutare, costruendo opposizione e dando significato politico all'agire individuale e collettivo dei soggetti che compongono questa comunità.
Ha posto il problema della materialità del costituirsi del movimento come presenza e occupazione di luoghi, non virtuali, ma concreti, per un certo verso ha smentito, per altri ha confermato, presupposti, congetture punti di vista che negli anni si sono dipanati e confrontati in molti ambiti politici.
Ad alcuni ha dato ragione ad altri ha dato torto e questo non è poco.
A noi ha confermato che perseguire con costanza una vera radicalità sostanziale è cosa possibile, paga, genera effettivo antagonismo. Ha confermato che tante ricerche del nuovo a tutti i costi non producono grandi risultati, mentre perseguire con determinazione il radicamento effettivo sedimenta dei percorsi politici che produce gli effettivi risultati. Abbiamo vinto, e con fatica, solo qualche prima battaglia, ma è un buon inizio.

centro sociale Askatasuna - Torino
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