13/01/2006: Il 12 gennaio è prevista l'udienza che deciderà l'ultimo capitolo della vicenda Marcello Lonzi


Se riaprire il caso in base alla controperizia medica presentata o archiviarlo definitivamente. La morte di Marcello non è, purtroppo, un caso isolato, i pestaggi in carcere non sono certo un evento raro e a volte può succedere che “ci scappi il morto”; nel carcere di Livorno però, nei due anni precedenti l'uccisione di Marcello, la sequenza di suicidi e di morti “sospette” è stata a dir poco impressionante.
Marcello, molto probabilmente, è stato ucciso durante un pestaggio come quelli che sono stati effettuati sistematicamente a Sollicciano nei mesi di ottobre/novembre 2005. Le due storie del resto hanno alcuni elementi in comune, oltre alla violenza gratuita.
Il primo elemento di continuità è il Dott. Cacurri, direttore del carcere Le Sughere al tempo della morte di Marcello e direttore di Sollicciano al tempo dei pestaggi e ancora oggi.
Altro elemento che accomuna le due storie è la strenua volontà di mettere tutto a tacere, di fare finta che non sia successo niente, di non far trapelare niente all'esterno.
Un atteggiamento che se può essere “comprensibile” da parte della direzione e degli agenti (lo spirito di corpo innanzi tutto), lo è molto meno da parte di altri soggetti che in carcere entrano quotidianamente.
Possibile che medici, infermieri, educatori, assistenti sociali non abbiano proprio nulla da dire?
Chi lavora in carcere sa praticamente tutto di quello che succede all’interno. Se non parla, è perché è inserito nei meccanismi omertosi dell’istituzione carceraria: teme di perdere il posto, teme di mettere in discussione i rapporti con direttori, comandanti, agenti e altri operatori; o semplicemente condivide quanto accade.
Ma si può tacere di fronte alla morte di un ragazzo? Si può tacere davanti a pestaggi sistematici?
Nel caso di Sollicciano anche una parte del volontariato ha assunto questa posizione: pur avendo la certezza di quanto successo, alcuni volontari hanno cioè taciuto, giustificando il loro silenzio come una salvaguardia per i detenuti, per “non esporli ad ulteriori ritorsioni”.
Ritorsioni che sono ovviamente possibili, ma tacere non vuol dire forse legittimare le violenze, riconoscere che dentro il carcere non esiste tutela possibile, consolidare nei torturatori la certezza della loro impunità?
Le autorità penitenziarie considerano il carcere come un proprio feudo impenetrabile, protetto da muri di cinta contro i quali si infrangono i tentativi di conoscere ciò che succede all’interno; da muri di gomma che riducono al silenzio i tentativi di accertare la verità e di ottenere giustizia per quanto accade all’interno.
Non sempre è così. La caparbietà della madre di Marcello ha permesso che questa morte non sia passata sotto silenzio come chissà quante altre, nonostante le archiviazioni, le intimidazioni e le minacce personali. E’ la caparbietà di una madre che cerca la verità anche perché altri non debbano fare la stessa fine di suo figlio.

Dentro e fuori le mura

dentroefuorilemura@inventati.org
http://www.inventati.org/dentroefuori


http://www.autprol.org/