10/01/2006: Per chi non è stato al caldo durante la tempesta. Sul processo agli anarchici leccesi e sulla lotta contro i Cpt.


Il 19 gennaio comincerà a Lecce il processo contro tredici anarchici accusati – oltre che di una serie di azioni contro alcune multinazionali che si arricchiscono sulla guerra e sul genocidio delle popolazioni del Sud del mondo – del crimine di aver portato avanti per anni una lotta costante e determinata contro il lager per immigrati di San Foca. Due di loro sono in carcere dal 12 maggio scorso, altri due sono agli arresti domiciliari, un quinto in libertà vigilata. La base del processo è ancora una volta l’articolo 270 bis sulla “associazione sovversiva con finalità di terrorismo”, con il quale negli ultimi anni sono stati arrestati decine di rivoluzionari, ribelli o semplici militanti di sinistra senza lo straccio di una prova. Per essere accusati di “associazione sovversiva” basta ormai una semplice scritta sul muro.
Ma non è tanto questo che ci preme dire. Sappiamo che le leggi dello Stato sono ragnatele per il ricco e catene d’acciaio per il povero, così come non abbiamo mai cercato il senso del giusto tra gli articoli del codice penale. Quello che ci preme sottolineare è cosa rende questi anarchici pericolosi e cosa c’è di universale nella loro lotta.

Si è fatto un gran parlare negli ultimi mesi di “Centri di Permanenza Temporanea” (CPT). Dopo che alcuni servizi giornalistici hanno documentato le condizioni disumane in cui sopravvivono le donne e gli uomini internati in queste strutture, le varie forze politiche si sono azzuffate sulle responsabilità di una simile “gestione”. Ma il punto non è come vengono gestiti, bensì la natura stessa dei CPT. Introdotti in Italia nel 1998 dal governo di centrosinistra con la legge Turco-Napolitano (approvata anche con i voti dei Verdi e di Rifondazione Comunista), i CPT sono a tutti gli effetti dei lager. Proprio come i campi di concentramento fascisti e nazisti (e ancor prima coloniali, a Cuba e in Sudafrica), si tratta di luoghi in cui si viene rinchiusi senza aver commesso alcun reato e trattenuti a completa disposizione della polizia. Che all’interno le condizioni siano disperate, il cibo pessimo e i maltrattamenti costanti è una terribile conseguenza, ma non il centro del problema. Basta poco per rendersene conto.

Quello che per un italiano è un semplice “illecito amministrativo” (non avere i documenti), per uno straniero è divenuto un reato passibile di internamento. Come la storia insegna – basta pensare alle leggi razziste di tutti gli Stati fra la prima e la seconda guerra mondiale –, per creare simili campi di concentramento bisogna aver preliminarmente imposto l’equazione straniero=delinquente. È in tal senso che va letta la legislazione – di destra come di sinistra – sull’immigrazione in Italia (ma potremmo dire in Europa e nel mondo). Se venissero applicati ai cosiddetti cittadini gli stessi criteri che presiedono alla concessione del permesso di soggiorno agli immigrati, saremmo in milioni ad essere rinchiusi o a vivere da clandestini. Quanti italiani possono dimostrare, infatti, di avere un lavoro in regola? Quanti vivono in più di tre in un appartamento di 60 metri quadrati? Sapendo che i contratti interinali non valgono per ottenere il permesso di soggiorno, quanti di noi risulterebbero “regolari”? Definire razzismo di Stato tutto ciò non è un’enfasi retorica, bensì una constatazione rigorosa.

Ora, i CPT (ma più in generale tutte le forme di detenzione amministrativa: dai centri di identificazione alle “zone di attesa” in cui vengono trattenuti i profughi o i richiedenti asilo) sono la materializzazione di questo razzismo. Proprio perché il filo spinato è da sessant’anni il simbolo del lager e dell’oppressione totalitaria, l’involontaria coerenza del potere ha circondato questi nuovi campi di filo spinato. Così come non è una caso se la detenzione amministrativa, da sempre dispositivo tipico del dominio coloniale, oggi si sta diffondendo ovunque nel mondo (dai ghetti palestinesi a Guantanamo, dalle segrete britanniche dove vengono rinchiusi gli immigrati “sospettati di terrorismo” ai CPT italiani). Nel momento in cui si bombarda e si massacra in nome dei “diritti umani”, milioni di indesiderati sono brutalmente privati di ogni “diritto”, detenuti in campi circondati dalla polizia e affidati alle “cure” di qualche “organizzazione umanitaria”.

Se i CPT sono dei lager – come ormai in molti sostengono –, è del tutto logico cercare di distruggerli e di aiutare ad evadere le donne e gli uomini che vi sono internati. Ed è del tutto logico colpire i collaborazionisti che li costruiscono e li gestiscono. Questo pensavano gli anarchici leccesi. Hanno allora denunciato pubblicamente, nell’indifferenza generale, le responsabilità dei gestori del CPT di San Foca – cioè la curia leccese, attraverso la Fondazione “Regina Pacis” – e le condizioni infami a cui erano sottoposti i detenuti; hanno raccolto testimonianze, dati, e si sono organizzati. Sono stati una spina nel fianco della curia e del potere locale. Già nell’estate del 2004 uno di loro veniva arrestato per aver cercato di favorire la fuga di alcuni immigrati durante una rivolta avvenuta all’interno del “Regina Pacis”. Andavano nelle fiere di paese, a fare nomi e cognomi degli agenti responsabili dei pestaggi all’interno del CPT, dei medici che li coprivano, del direttore che bastonava, sequestrava e costringeva con la forza alcuni musulmani a mangiare carne di maiale. Senza mai perdere di vista l’obiettivo: chiudere per sempre quei lager, e non renderli “più umani”. Mentre avveniva tutto questo, alcune azioni anonime colpivano le banche che finanziavano il CPT, nonché le proprietà della curia e del direttore del “Regina Pacis”, don Cesare Lodeserto. E questi anarchici erano pronti a difenderle pubblicamente. Le autorità non potevano più nascondere il problema. E cos’hanno fatto allora? Prima hanno arrestato Lodeserto con l’accusa di sequestro di persona, peculato, violenza privata e diffusione di notizie false e tendenziose (il prelato soleva mandarsi da solo dei messaggi di minaccia che poi attribuiva alla “malavita albanese”), poi hanno fatto chiudere il CPT di San Foca. Messo subito Lodeserto ai domiciliari, e poi rilasciato, hanno quindi arrestato gli anarchici allo scopo di toglierli di torno per anni. Quelli che contano hanno difeso a gran voce il prete. A difendere gli anarchici sono stati per lo più solo degli onesti pregiudicati. Giustizia è fatta…

Ma qualcosa non torna. Il castello accusatorio contro i ribelli è maldestro e traballante, ma, soprattutto, nel frattempo prendono vigore le lotte contro i CPT in tutta Italia. Ad aprile gli internati del lager di via Corelli a Milano salgono sui tetti, si tagliano e urlano la più universale delle rivendicazioni: libertà. Seguiti dagli immigrati rinchiusi nel CPT di corso Brunelleschi a Torino, la protesta si allarga a Bologna, a Roma, a Crotone. A decine riescono ad evadere, mentre fuori comincia ad organizzarsi il sostegno pratico alla lotta. Assieme a manifesti e iniziative che denunciano le responsabilità di chi si arricchisce sulle deportazioni di immigrati (dall’Alitalia alla Croce Rossa, dalle aziende dei trasporti alle ditte private implicate nella gestione dei lager), non mancano le piccole azioni di sabotaggio. Con quella convergenza spontanea che è il segreto di tutte le lotte, i crimini imputati agli anarchici leccesi si diffondono.
È questo movimento – ancora debole, ma in crescita – che ha posto pubblicamente il problema dei CPT, facendo correre ai ripari i politici di sinistra, nel tentativo patetico di attribuire al solo governo di destra la responsabilità dei lager.

Che tutto ciò dia fastidio lo dimostrano le dichiarazioni del ministro degli Interni Pisanu sugli anarchici e antagonisti che “sobillano” gli immigrati (come se le condizioni disumane in cui vivono non fossero di per sé una costante sobillazione) e sulla necessità dei CPT per contrastare il “terrorismo” (è noto, infatti, che chi vuole passare i controlli della polizia per compiere un attentato se ne va in giro senza documenti). Perché?
I CPT mettono a nudo non solo l’esclusione e la violenza come fondamenti della democrazia, ma anche il profondo legame fra stato di guerra permanente, razzismo e militarizzazione della società. Non è un caso se la Croce Rossa è presente nei conflitti bellici a fianco degli eserciti e allo stesso tempo implicata nella gestione di numerosi lager in Italia. Così come non è un caso se essa partecipa alle “esercitazioni antiterrorismo” con le quali i governi vorrebbero farci assuefare alla guerra e alla catastrofe.
La criminalizzazione dello straniero – capro espiatorio del malessere collettivo – è da sempre un tratto distintivo delle società moribonde e allo stesso tempo un progetto di sfruttamento ben preciso. Se non vivessero nel terrore di essere rinchiusi e rispediti a casa – dove ad attenderli ci sono spesso la guerra, la fame, la disperazione – gli immigrati senza documenti non lavorerebbero certo per due euro all’ora nei cantieri di qualche Grande Opera, né morirebbero coperti da una gettata di cemento quando cadono dalle impalcature. Il Progresso ha bisogno di loro: per questo li si rende clandestini ma non li si espelle tutti, li si “accoglie” nei lager, li si smista, li si seleziona in base agli accordi con i rispettivi paesi di provenienza e secondo la docilità che dimostrano nei confronti del padrone. La sorte che spetta loro è lo specchio di una società in guerra (contro i concorrenti economici e politici, contro le popolazioni, contro i propri limiti naturali).

Una delle prime vittime di questa mobilitazione totale è il senso delle parole. Che siano potuti entrare nell’uso corrente espressioni come “guerra umanitaria” – o che si possa chiamare “centro di accoglienza” un lager – la dice lunga sullo scarto fra l’orrore che ci circonda e le parole che lo nominano. E questo scarto è contemporaneamente un’anestesia della coscienza. Chiamiamo “lager” i CPT e poi andiamo a votare chi li ha costruiti, diciamo “massacro” ma ci accontentiamo di sfilare tranquillamente contro la guerra, purché non succeda niente. Mentre a Milano si svolgeva la manifestazione oceanica del 25 aprile, i rivoltosi di via Corelli erano sui tetti a gridare che la resistenza non è finita, ma la retorica sulla “liberazione” non si è nemmeno scossa, continuando a festeggiare.

Forse qualcosa sta cambiando. Mentre la propaganda di Stato equipara il nemico interno – il ribelle, il “terrorista” – e lo Straniero – il fanatico, il kamikaze –, le resistenze si armano ed esplodono le “periferie” a due passi da noi, dove i poveri bruciano le ultime illusioni di integrazione in questa società. Giovani generosi intendono lager quando dicono lager, e si organizzano di conseguenza, come stranieri in un mondo straniero. Sono disposti a conquistare la libertà assieme agli altri, anche a rischio di giocarsi la propria. Odiano le sbarre, al punto che non le augurano nemmeno alle peggiori carogne (i tanti, troppi Lodeserto). Queste forme di insoddisfazione attiva per il momento dialogano a distanza, ma sono già l’abbozzo di qualcosa di comune. La falsa parola si sta ammutinando, e nuovi comportamenti sprigionano nuove parole nella realtà della vita quotidiana.
Non abbandoniamo alla vendetta dei giudici chi non è stato al caldo quando altri uomini venivano travolti dalla tempesta. In tempi tristi e servili, c’è una scelta che contiene tutte le altre: decidere da che parte stare.

Indirizzi degli anarchici leccesi in carcere o agli arresti domiciliari:

SAVERIO PELLEGRINO, C/o Casa Circondariale, via Prati Nuovi 7, 27058 Voghera (PV)
SALVATORE SIGNORE, C/o Casa Circondariale, via Lamaccio 1, 67039 Sulmona (AQ)
MARINA FERRARI, Via XXI Aprile 29, 73042 Casarano (LE)
CRISTIAN PALADINI, Via Don Carlo Gnocchi 4, 73100 Lecce

Per chi volesse contribuire alle spese legali:
ccp n. 56391345, intestato a Marina Ferrari
Per informazioni, contatti o richiesta di copie di questo pieghevole:
Nemici di ogni frontiera, C.P. 36, 73047 Monteroni di Lecce oppure utopia73@libero.it

INIZIATIVE A GENNAIO 2006

Sabato 14 e domenica 15, Due giorni di mobilitazione contro i lager e il mondo che li produce, contro il “pacchetto Pisanu” e la repressione, in solidarietà con gli anarchici leccesi.

Mercoledì 18, ore 14.30, Assemblea pubblica in vista del processo del giorno dopo, presso l’Ateneo universitario di Lecce (viale dell’Università).

Giovedì 19, ore 9.00, Presidio durante l’udienza contro gli anarchici, davanti all’aula bunker del carcere di Borgo San Nicola, Lecce.

Sabato 21, ore 11.00, Assemblea mensile contro la guerra e le espulsioni, presso vico dei Fieschi.

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Alcuni episodi della lotta contro i Cpt negli ultimi mesi

19 maggio, Torino. I reclusi del Cpt si rivoltano, bruciano i materassi e danneggiano quel che possono. Inizia uno sciopero della fame. Per evitare l’imminente rimpatrio un immigrato sfonda una finestra e ne ingerisce i vetri: passerà la mattinata in ospedale perdendo l’aereo della deporta­zione. Nel pomeriggio 150 persone si radunano fuori dal Cpt: alcuni salgono con uno striscione sopra alla recinzione, altri, sotto, fanno un buco nel muro. La celere carica ma viene respinta. L’assembramento si scioglie ma un gruppo di manifestanti si dirige al deposito dei tram per spiegare agli autisti le responsabilità della loro azienda, la Gtt, riguardo alle espulsioni. Al termine, un manifestante viene arrestato.

19 maggio, Genova. Bloccate le serrature della metropolitana «Per Ibrahima e Mamadou, due fratelli senegalesi morti ammazzati dalle ‘forze dell’ordine’ del terrore. Per tutti i rinchiusi nelle carceri e nei C.P.T che si rivoltano e lottano».

21 maggio, Torino. Ancora in sciopero della fame, i detenuti del Cpt si ribellano di nuovo. Molti minacciano il suicidio e vari ingeriscono vetri e batterie, uno si taglia l’addome tanto gravemente da dover essere ricucito d’urgenza sul posto. Durante il presidio del pomeriggio i prigionieri salgono sul tetto e parlano parecchio con i dimostranti: si scopre così che spesso è proprio la Croce Rossa ad ostacolare il rilascio di quelli che ne avrebbero diritto.

23 maggio, Milano. In serata un gruppo di immigrati sale sui tetti di via Corelli gridando «liberi tutti». Mentre due di loro ingeriscono delle lamette, gli altri iniziano a danneggiare la struttura del lager dal tetto, imitati presto da quelli del piano inferiore. Nei giorni seguenti 21 reclusi saranno arrestati con le accuse di «danneggiamento aggravato» e «incendio doloso».

25 maggio, Torino. Nel corso di un rastrellamento un ragazzo nigeriano, Eddy, cade dal cornicione a cui si era appeso per sfuggire ai mastini in divisa. Due ragazze, uniche testimoni dell’accaduto, vengono trascinate in C.so Brunelleschi. I nigeriani del quartiere, infuriati, scendo in strada e si scontrano con la polizia.

27 maggio, Torino. Presidio sotto il consolato del Marocco, corresponsabile delle espulsioni, e a San Salvario dove, mesi prima, una ragazza marocchina era precipitata dal tetto per sfuggire ad una retata dei Vigili urbani. Nel pomeriggio, alla commemorazione di Eddy sale la tensione e si rischia nuovamente lo scontro con la polizia.

28 maggio, Torino. Una manifestazione di oltre mille persone attraversa la città. La polizia, pur presente in forze, si mostra solo per bloccare al corteo la strada per la questura: gli immigrati sono furiosi. Arrivati alla stazione di Porta Susa vengono occupati i binari: «In una città che uccide non deve viaggiare nessuno». Qualche danneggiamento, in particolare di un bancomat della San Paolo.

7 giugno, Caltanissetta. Al mattino vengono trovati due bidoni di benzina agli ingressi della locale sede della Croce Rossa, accompagnati da una scritta sul muro «No Cpt» e da un biglietto «La CRI gestisce il Cpt di Pian del lago: solidarietà agli immigrati».

8 giugno, Torino. Un gruppo di compagni interrompe un dibattito per contestare al sindaco ed agli assessori le loro responsabilità e ricordare gli immigrati uccisi.

11 giugno, Milano. Verso le undici di sera in due salgono sul tetto di uno dei capannoni del Cpt di via Corelli e, scavalcata la recinzione, approfittano di un varco nel muro in ristrut­turazione per darsi alla fuga.

15 giugno, Bologna. Presidio davanti alla sede di Castelmaggiore della Concerta Spa, l’azienda che fornisce i pasti ai Cpt di Bologna e Modena.

16 giugno, Torino. Sigillati un centinaio di parchimetri della Gtt, complice delle espulsioni.

29 giugno, Bologna. In 6 riescono a fuggire del Cpt di via Mattei.

2 luglio, Bari. In 91 evadono dal Cpt allestito nell’aeroporto di Palese.

5 luglio, Bologna. Al tramonto in dieci tentano l’evasione: sollevata una delle grate di sicurezza che sovrastano il cortile, scavalcano la recinzione e il muro. In cinque riusciranno a dileguarsi.

9 luglio, Torino. Approfittando di un presidio che si tiene di fronte all’entrata del centro, sette prigionieri saltano il muro laterale del Cpt. Intanto all’interno inizia un nuovo sciopero della fame.

1 agosto, Ragusa. Una manifestazione contro il Cpt di via Napoleone Colajanni si conclude con l’invasione del piazzale d’ingresso.

16 settembre, Rovereto. Un’agenzia della BNL viene bersagliata con della vernice. La stessa banca era stata colpita anche il 12 marzo, durante una manifestazione contro ogni fascismo.

22 settembre, Milano. Durante l’ultima udienza del processo ai 21 immigrati accusati di aver devastato il Cpt di via Corelli il 23 maggio, alcuni dei presenti denunciano a gran voce il carattere illegittimo del processo chiedendone l’annullamento. Molti altri, fuori dall’aula in attesa di entrare, protestano rumorosamente finché il giudice ordina lo sgombero, eseguito a suon di manganelli dalle forze dell’ordine.

26 settembre, Bologna. I reclusi di via Mattei iniziano uno sciopero della fame per protestare contro «la sporcizia, la mancanza di medicine e le manganellate contro chi si ribella».

2 ottobre, Bologna. A partire da oggi ogni sabato ci sarà un presidio davanti al Cpt.

4 ottobre, Torino. Sabotati nella notte una decina di bancomat della BNL. Vengono ritrovati dei biglietti che accusano la banca di complicità con i Cpt e con la guerra in Iraq.

12 ottobre, Caltanissetta. Sull’autobus sotto scorta che trasferisce 140 immigrati dal Cpt di Pian del Lago all’aeroporto Fontanarossa di Catatonia scoppia una rivolta: dodici sbirri feriti e in sette fuggono nelle campagne.

21 ottobre, Gorizia. Occupazione della sede della Croce Verde di Gradisca, cui segue la rinuncia dell’associazione all’appalto per la gestione del futuro Cpt.

22 ottobre, Bari. Occupata la sede della Croce Rossa. Un mese dopo il direttore invierà una lettera alla prefettura con cui rinuncia alla gestione del costruendo Cpt di Bari.

26 ottobre, Torino. “Torino Cronaca”, il quotidiano cittadino torinese portabandiera del razzismo più becero e populista, lamenta di una sua autovettura redazionale demolita nottetempo da ignoti vandali.

Fine ottobre, Rovereto: Bogu, un anarchico croato da dieci anni residente in città e sposato con un’italiana, viene raggiunto da un ordine di allontanamento dall’Italia firmato dal questore di Trento. Parte una mobilitazione in sua solidarietà e contro tutte le espulsioni. Per l’intero mese di novembre si svolgono assemblee, proiezioni, presidi e anche un corteo.

2 novembre, Caltanissetta. In 43 fuggono dal Cpt di Pian del Lago.

12 novembre, Bergamo. Danneggiate nella notte, con molotov e picconate, gli sportelli di tre banche in città e provincia.
Tra questi uno della Banca Intesa, implicata nella gestione del Regina Pacis.

23 novembre, Gorizia. Con un blitz all’apertura del consiglio comunale di Gradisca, un gruppo di manifestanti chiede la sospensione dell’allacciamento alla rete fognaria del Cpt.

2 dicembre, Roma. Un gruppo di studenti occupa la sede dove si terrà il Consiglio Nazionale delle Misericordie.

3 novembre, Rovereto. Due furgoni di Trenitalia vengono dati alle fiamme. Nel messaggio di rivendicazione si fa riferimento alle responsabilità della società ferroviaria nella deportazione degli immigrati.

29 novembre, Rovereto. Un gruppo di solidali interrompe il consiglio comunale distribuendo un testo in cui si sottolineano le responsabilità delle forze istituzionali per l’eventuale espulsione di Bogu. Qualche giorno dopo il tribunale decide che venga nuovamente rilasciato il permesso di soggiorno all’anarchico croato.

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