03/01/2006: Comunicato di Claudia, Danilo, Valentina, Stefano


A proposito di repressione, difesa... solidarietà e qualcos'altro
Siamo anarchici, la nostra aspirazione non si ferma a cambiare l'esistente, ma a rivoluzionarlo.
E' ovvio che chi domina abbia tutto l'interesse a cancellare questa aspirazione. Non ci stupiamo che si adoperi con ogni mezzo affinché ciò avvenga. Non vogliamo e non possiamo fermarci ad analizzare questi mezzi, a contestare la crudeltà o addirittura la loro non conformità alle regole democratiche.
Rendersi conto di quali sono e come vengono utilizzati è indispensabile per evitare quanto più possibile di finire stritolati, ma è deviante dare una forma a sé stante alla repressione, l'insieme di questi mezzi, che non è altro che uno degli strumenti necessari al dominio per perpetrarsi. Da questa considerazione, che non sembra più così scontata, risulta evidente che il colpire il dominio nella sua complessità sia la miglior risposta alla repressione.
Perdersi in ragionamenti tecno - legalitari attorno all'art. 270bis e tutte le sue varianti, non ci appartiene.
Allo stesso modo sensibilizzare le masse su come lo stato reprime chi intende destabilizzarlo ci sembra quanto meno riduttivo di fronte a tutte le contraddizioni e ipocrisie dietro le quali si nasconde il dominio occidentale per spacciare il suo sistema democratico come il massimo garante della "libertà". Oltretutto è un po' come scoprire l'acqua calda.
Più si alzerà il livello di scontro e più dura sarà la reazione repressiva; anche se non seguendo una semplice proporzione matematica; ma se l'amministrazione del potere non fosse ostacolata in maniera radicale e decisa, i risultati sarebbero anche peggiori.
Nel momento in cui si finisce ad essere intrappolati tra le maglie della giustizia, le scelte sul come e se uscirne riguardano esclusivamente gli individui coinvolti. Ovviamente finché non si trasformino nella dissociazione o addirittura in delazione.
Della solidarietà se ne è parlato e se ne parla tantissimo...
Da prigionieri dobbiamo senz'altro sottolineare quanto sia importante il sostegno dei compagni nelle lettere, nei contributi economici, nelle mobilitazioni, nei presidi sotto le carceri e ai processi... tutto ciò nella sopravvivenza quotidiana è prezioso come l'aria che si respira.
Però, un rivoluzionario continua a vivere nel perpetuarsi della rivolta... nei fuochi che tengono accesa l'ostilità al potere e allo sfruttamento. E' nell'attacco al dominio che la solidarietà trova la sua massima espressione non vanificando le esistenze di chi paga o ha pagato con un caro prezzo per aver scelto di ribellarsi.
L'esasperato interessamento per le scelte difensive, gli avvocati e tutto ciò che concerne competenze tecniche, non ha niente a che fare con la solidarietà e quando supera il limite, ancora accettabile, del consiglio diventa veramente fastidioso. Detto ciò, non vogliamo alimentare polemiche dannose, ma fissare un punto.
Nell'agevolare il perseguimento dei propri interessi, chi domina - oltre che cancellare la storia e quindi il passato - opera un continuo condizionamento del presente utilizzando soprattutto l'istruzione scolastica e i mass-media.
Senza volerlo approfondire (come meriterebbe, ma non in questo contesto), ci limitiamo a metter in evidenza la strumentalizzazione del concetto di violenza.
Sappiamo bene come ogni potere s'è sempre arrogato il diritto esclusivo a ricorrere ad essa per difendere i propri interessi e come ogni regnante agisca per il "bene" dei sudditi. La massa che ha bisogno d'esser governata.
Mentre i regimi assoluti e totalitari contemplano l'ostentazione della violenza come forza del potere, il sistema democratico più subdolamente non la esibisce, la condanna con la morale e quando vi ricorre cerca di mascherarla mirando a colpire più la psiche che il corpo rendendola - finché è possibile - meno visibile. Viene così alimentata una repulsione alla violenza fin dall'educazione nella prima infanzia, contemporaneamente allo stimolo alla competizione e lo sbranare il prossimo per raggiungere l'affermazione nella società secondo modelli prestabiliti.
Così, la violenza per imporsi e dominare viene resa accettabile, quasi indispensabile, seppur camuffata. Ricorrervi per ribellarsi dal peso delle costrizioni e dello sfruttamento, invece, è inaccettabile perché la democrazia e la "civiltà" offrono ampi spazi di confronto e dialogo... Sì, certo! Il labirinto di sole chiacchiere anticamera della rassegnazione.
Non siamo fanatici della violenza, non siamo belve assetate di sangue, ma sappiamo bene che non si può rivoluzionare l'esistente attraverso un percorso pacifico e indolore. Di certo non sedendosi allo stesso tavolo di chi ha tutto l'interesse a mantenerlo inalterato, ma neanche limitandosi favorendo così (seppur involontariamente) l'ipocrisia della società democratica.
"L'anarchia non si fa, non si costruisce: si può soltanto essere anarchici e vivere da anarchici".
Per questo motivo non crediamo nell'inserimento in lotte sociali per diffondere il pensiero anarchico.
Se vi partecipiamo lo facciamo con i mezzi e i metodi che riteniamo più appropriati, ma non per avvicinare chi in un determinato momento decide di ribellarsi; mosso fondamentalmente da motivazioni che investono gli interessi personali o che comunque si fermano ai confini del proprio orticello sotto casa, volendosi limitare alla soddisfazione delle stesse; perché è necessario trovare un terreno fertile per far germogliare il seme dell'insurrezione.
Continueremo a lanciare i nostri messaggi rendendoli più chiari possibili alleggerendoci di qualsiasi intellettualismo, continueremo ad impegnarci nella controinformazione affinché sia descritta un'altra realtà, diversa da quella che ogni giorno costruiscono i media; affinché sia chiaro verso chi è indirizzata la violenza che sosteniamo. Anche se non accettiamo che si parli di violenza quando ad essere attaccate sono delle cose, perché gli edifici sono cose, e che ci siano degli esseri umani che per mestiere amministrano e distribuiscono violenza, senza che questa possa essere restituita ad essi.
Però non andremo a bussare porta per porta per svegliare le coscienze inebetite o consegnate alla rassegnazione.
Chi intende ribellarsi non ha che da rendersi conto della forza che c'è in ogni individuo.
Sappiamo bene che un individuo da solo non farà la rivoluzione, ma qualche prezzo si deve pur pagare per coinvolgere le masse?
Quanto tempo bisognerà aspettare mentre il dominio violenta l'umanità e l'ambiente continuando a produrre morte, non solo fisica?
Sappiamo pure che non tutti sono assuefatti o rassegnati e che non tutti possono esporsi, ma che comunque molti hanno piacere quando il potere perde la sua invulnerabilità. Anche per questo non vogliamo aspettare. Noi viviamo adesso!
Questo è il nostro punto di vista.
Teniamo a specificarlo, perché sembra che ad essere critici ci si faccia portatori di verità assolute o addirittura si finisca con l'esser definiti autoritari.
Riteniamo fondamentale il confronto con i compagni.
In questa situazione siamo costretti a delegarlo ad un comunicato e ce ne dispiace.
Abbiamo sempre preferito relazionarci a viso aperto e non con proclami.
Cercando anche di stimolare le differenze ad emergere, non per dividere ma per crescere.
Probabilmente sarà stata colpa nostra, ma molto spesso questa volontà non è stata colta o forse è stata schivata e si è preferito il parere degli avvocati all'opinione dei compagni; almeno considerando lo svolgimento o il parziale fallimento di alcune assemblee. Questo ci dispiace ancor di più.
Non sono sicuramente le ondate repressive a dover condizionare la rotta che ognuno sceglie di seguire, ma ad un certo punto c'è da chiedersi se non valga la pena di tentare l'arrembaggio piuttosto che vagare tra un'isola e l'altra in attesa del naufragio.

Claudia, Danilo, Valentina, Stefano
25 novembre 2005

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