10/07/2005: Torino: cronologia aprile - giugno
14 aprile. Scritte e striscioni appaiono in giro per la città, in solidarietà con gli immigrati in lotta e contro i Cpt.
15 aprile. Presidio itinerante al mercato di Porta Palazzo, per informare la città dello sciopero della fame iniziato da qualche giorno nel Cpt di via Corelli, a Milano.
16 aprile. L’eurodeputato leghista Mario Borghezio lamenta di ricevere continue telefonate notturne di dileggio e di minaccia. Un quotidiano pubblica una foto del muro esterno della sua abitazione, dove è stata tracciata una scritta: “Borghezio piciu ‘d gôma”. Lo stesso quotidiano riporta anche che nell’androne dell’edificio sarebbero state affisse fotografie dell’eurodeputato recanti l’invito a sputargli in faccia.
18 aprile. Un enorme striscione in solidarietà con le lotte di via Corelli viene esposto durante la maratona di Torino.
22 aprile. Alcuni passeggeri distribuiscono sui tram cittadini dei volantini contro la collaborazione tra la Gtt, che gestisce i trasporti pubblici cittadini, e le forze dell’ordine riguardo alle espulsioni. Quando appaiono all’orizzonte due controllori, si decide di attuare una forma di sabotaggio “a bocca aperta”: i disturbatori li precedono sui tram e avvertono rumorosamente gli altri passeggeri del loro imminente arrivo. Qualche straniero senza biglietto riesce così a fuggire. I controllori non apprezzano per nulla questi interventi e – chiesti ragguagli alla centrale – si lanciano all’inseguimento dei disturbatori. Dopo mezz’ora, i controllori infuriati li raggiungono, facendosi spalleggiare da altri funzionari Gtt e da due pattuglie dei Carabinieri: nulla possono, però, visto che i disturbatori non hanno compiuto alcun reato. Tutta la seconda parte dell’inseguimento viene raccontata in diretta su Radio Black Out, dai cui microfoni parte la campagna: “Fai lo sgambetto al controllore!”
1 maggio. I reclusi nel Cpt di Cso Brunelleschi proclamano uno sciopero della fame, ma nessuno fuori lo viene a sapere. Inascoltati, interromperanno la protesta il giorno successivo. Quello di Cso Brunelleschi è uno dei Cpt più “produttivi” d’Italia: la sua capienza massima è di soli 70 posti, ma nonostante i continui rastrellamenti in città non si riempie quasi mai oltre questo limite perché i rimpatri sono velocissimi. In media, i rumeni vengono deportati dopo un paio di giorni, i marocchini dopo una settimana, per i nigeriani ci va qualche giorno in più. Chi fa ricorso contro l’ordinanza di espulsione quasi sempre viene deportato prima ancora dell’udienza. Una macchina oliata perfettamente, che funziona a pieno ritmo.
3 maggio. Le azioni di disturbo verso i controllori proseguono, i volantini contro la Gtt sono sparsi in tutta la città. La stampa approfitta dell’aggressione abbastanza violenta ad un autista di bus da parte di due automobilisti infuriati per via di un sorpasso per parlare di una specie di tacito accordo tra sovversivi e bulli di periferia per portare il caos nei tram cittadini. Intanto, in consiglio comunale, An chiede al sindaco Chiamparino quali misure intenda mettere in opera per proteggere i dipendenti della Gtt, tanto gravemente minacciati.
7 maggio. Aosta. La Digos ferma ed identifica due anarchici, accusandoli di aver affisso dei manifesti contro la Croce Rossa Italiana. Nei giorni successivi, l’ispettore della Cri valdostana procederà a denunciare i due per “diffamazione a mezzo stampa”.
10 maggio. All’alba, le forze dell’ordine fanno irruzione in un accampamento Rom nella periferia nord della città. Con la scusa di censire gli abitanti, raggruppano una ventina di persone e le trasferiscono in questura. Di queste, 14 verranno espulse. I superstiti alla retata fanno notare che questa volta, almeno, gli sbirri non hanno distrutto le loro baracche, come invece sono soliti fare.
In serata, un ragazzo senegalese, appena arrivato in città e senza documenti, viene inseguito dai carabinieri nel corso di una retata nel parco del Valentino, lungo gli argini del Po. Si nasconde sulla riva, ma cade in acqua ed affoga. La notizia verrà resa nota solo il 12 maggio.
11 maggio. È sera. La polizia ferma ad un posto di blocco una autovettura con quattro giovani senegalesi a bordo. Uno di loro fugge, altri due scendono subito dall’auto; il quarto indugia, un poliziotto gli si avvicina e parte un colpo di pistola. Il senegalese muore poco dopo. Intanto, nel carcere delle Vallette, una detenuta di origini slave viene ritrovata suicida.
12 maggio. Perquisite all’alba tre case di compagni, tra Valle d’Aosta e Piemonte, mentre a Lecce scattano gli arresti dell’operazione “Nottetempo”. Radio Black Out annuncia un presidio sotto la Mole Antonelliana per il sabato successivo, per protestare contro le violenze della polizia, le espulsioni, gli arresti di Lecce e la politica della Gtt.
13 maggio. Iniziativa sotto la sede della Gtt. Per un paio d’ore i dipendenti vengono informati delle responsabilità della propria azienda in materia di espulsioni. Molti si affacciano alle finestre per ascoltare, chi passa si ferma a dire la sua, in tanti solidarizzano. Uno striscione viene sequestrato dalla polizia, che identifica i presenti ma non scioglie l’assembramento. Intanto si apprende che la centrale operativa della Gtt ha ordinato a tutti i gli autisti di togliere i volantini “Fai lo sgambetto al controllore” non appena vengono affissi sugli autobus, a costo anche di fermarsi e rallentare così il traffico cittadino.
14 maggio. In mattinata, numerosi comizi volanti si svolgono nel mercato di Porta Palazzo, per informare la città sulle morti di Mamadou e Cheik Ibra, i due ragazzi senegalesi uccisi dalle forze dell’ordine. Le reazioni sono assolutamente contrastanti: buona parte degli italiani sono indifferenti, quando non ostili; gli stranieri, al contrario, sono tutti interessati e tutti hanno almeno un racconto personale da fare rispetto alle violenze della polizia, ai furti dei carabinieri o all’operato dei controllori Gtt.
Nel primo pomeriggio inizia il presidio sotto la Mole Antonelliana. Nel giro di poco, però, arrivano moltissimi immigrati, soprattutto senegalesi, e moltissimi italiani solidali. Si decide di partire in corteo. Lo striscione di apertura recita: “Carabinieri, polizia, vigili: assassini”. Non ci sono né simboli né sigle di gruppi specifici, ma solo tanta rabbia condivisa da tutti. I megafoni passano di mano in mano ed ognuno – italiano o straniero – dice la sua. Al mercato di Porta Palazzo in tanti si uniscono al corteo. Tra questi un gruppuscolo di militanti di un’associazione antirazzista che, con i propri megafoni ed i propri striscioni, tentano di prendere la testa del corteo e di assumere il controllo della situazione: non ci riescono, un po’ perché viene impedito loro e un po’ perché la situazione è incontrollabile per chiunque. Circa quattrocento persone sfilano urlando: “Polizia assassina”. A decidere il percorso sono gli immigrati in testa al corteo, che hanno ancora il sangue agli occhi per la morte dei propri amici. Davanti al palazzo comunale c’è qualche attimo di tensione perché in molti fanno fatica a trattenersi quando vedono delle divise. Qualcuno vorrebbe dirigersi verso la vicina Piazza Castello, dove si sta svolgendo la “Festa della Polizia 2005”. Ma la celere è schierata e, dopo una lunga sosta, il corteo prosegue nelle vie centrali e dopo un lungo giro si scioglie nel cuore di Porta Palazzo.
A caldo, l’europarlamentare leghista Borghezio commenta che è vergognoso permettere a degli stranieri di insultare la polizia, proprio nel giorno della sua festa. Chiede che manifestazioni del genere vengano impedite per sempre.
I giornali, quando non tacciono, descrivono il corteo come una pacifica sfilata organizzata dalla comunità senegalese, turbata solo dal tentativo dei soliti “anarco-insurrezionalisti” di provocare degli scontri. Da questo momento in poi, con poche eccezioni, le testate torinesi canteranno sempre la stessa canzone, fino alla nausea e al ridicolo: gli immigrati non hanno alcun motivo per essere incazzati, mentre invece sono i sovversivi a pescare nel torbido per creare tensioni.
16 maggio. Nel pomeriggio, una assemblea di strada, indetta durante il corteo del sabato precedente, apre la discussione su come difendersi nei quartieri dagli abusi e dalle violenze della polizia. L’appuntamento per continuare la discussione è per la settimana successiva, nella piazza del mercato di San Salvario.
18 maggio. Nel quartiere di San Salvario appaiono moltissime scritte e centinaia manifesti contro le espulsioni e il terrore poliziesco. In alcune locandine si invita all’autodifesa contro le forze dell’ordine. Qualche giornale parla preoccupato dell’episodio, attribuendo i manifesti ai soliti sovversivi, ma anche a qualche ignoto immigrato in collera. I giornali parlano di danneggiamenti alla sede di “Torino Cronaca”, il quotidiano del razzismo torinese, e della Lega Nord del quartiere.
Intanto, la polizia fa sapere di aver ritrovato della droga nello stomaco del ragazzo senegalese ucciso la settimana precedente: in molti, nel mondo politico e sui giornali, utilizzeranno questa notizia per giustificare l’esecuzione.
19 maggio. Nella notte, gli immigrati rinchiusi nel Cpt di Corso Brunelleschi si rivoltano e bruciano i materassi e danneggiano per quel che possono la struttura. Molti sono gli atti di autolesionismo. La polizia interviene, senza però usare modi particolarmente bruschi. Viene indetto uno sciopero della fame.
Un recluso, alla notizia del proprio imminente rimpatrio, spacca una finestra e ne ingerisce i vetri. Passerà la mattinata in ospedale, perdendo così l’aereo della deportazione. Ritornato nel centro viene riempito di botte e messo in isolamento.
A fine mattinata, tutte queste notizie arrivano a Radio Black Out. Da qualche giorno, infatti, nel centro è rinchiuso un amico di alcuni redattori, Tareq, che anche dentro il Cpt ascolta la radio, e che la fa conoscere anche ai suoi compagni di reclusione. Da questo momento in poi, i microfoni di Radio Black Out saranno essenziali nelle mobilitazioni, dentro e fuori Corso Brunelleschi: il primo appuntamento è per il pomeriggio, per portare agli immigrati in lotta la solidarietà della gente di fuori.
Dalle 18 in poi cominciano a radunarsi di fronte al Cpt circa 150 persone. Solo un gruppetto, tra di loro, espone uno striscione con la firma di un gruppo specifico. Vengono redarguiti e si adeguano allo spirito dell’iniziativa: la solidarietà ai ribelli non può essere rinchiusa in logiche da gruppuscoli o partitini. Rimangono solo gli striscioni e i cartelli contro i Cpt, contro la polizia ed il terrore nelle strade. Da dentro si sente battere sulle sbarre, da fuori si risponde battendo pietre su piloni e segnali stradali. Qualcuno sale sul muro di cinta ed espone un grosso striscione, i reclusi si arrampicano sulle reti ed urlano.
Intanto Marilde Provera, deputata di Rifondazione Comunista, entra ed esce dal centro, invitando tutti alla calma. Dentro viene ignorata, fuori i manifestanti spiegano al megafono che costei non rappresenta nessuno e che non c’è alcun buon motivo per stare calmi.
Quindi, alcuni si organizzano e con delle mazze aprono un piccolissimo varco nel muro di cinta del Cpt. Dopo qualche esitazione la celere carica, ma viene respinta. Sembra che, nella concitazione, un noto funzionario della Digos sia stato colpito in volto da una merda. I manifestanti si disperdono dopo poco, e un grosso gruppo di loro si dirige in corteo fino al vicino deposito dei tram, per spiegare agli autisti le responsabilità della Gtt riguardo alle espulsioni. Scioltosi l’assembramento, alcuni compagni vengono fermati dalla Digos e uno di loro viene arrestato. Si chiama Giovanni, e le accuse contro di lui sono “violenza aggravata” e “lesioni”.
20 maggio. Lo sciopero della fame dentro il Cpt prosegue compatto (68 scioperanti su 70 reclusi), in molti praticano anche lo sciopero della sete. Rientrano nel centro alcuni clandestini che durante le proteste del giorno precedente si erano autolesionati ed erano finiti all’ospedale. La Digos cittadina cambia tattica e presidia in forze tutti i luoghi di ritrovo abituali dei compagni.
21 maggio. All’alba, i detenuti di Cso Brunelleschi si ribellano di nuovo per impedire l’espulsione di alcuni di loro, molti minacciano il suicidio, in vari ingeriscono batterie e vetri. Un clandestino si taglia l’addome tanto gravemente da dover essere ricucito d’urgenza sul posto: la Croce Rossa e la Polizia decidono di rilasciarlo, per evitare danni peggiori. Libero e malconcio può raccontare la sua storia: ha la fidanzata italiana, dalla quale aspetta un figlio, e dunque non avrebbero potuto rinchiuderlo nel centro. Né la Polizia né la Croce Rossa, però, gli hanno creduto.
Nel pomeriggio, un presidio in solidarietà con le lotte degli immigrati e per la liberazione di Giovanni viene indetto di fronte al Cpt. Il presidio dura qualche ora, i reclusi salgono a turno sui tetti, la comunicazione tra loro e i dimostranti è fittissima. Qualcuno lancia una scarpa: dentro c’è la cartella clinica di un clandestino, rinchiuso nel centro anche se malato di Tbc. Alla notizia della liberazione di Giovanni, il presidio si assottiglia fino a sciogliersi.
Intanto, filtrano dal centro le storie di molti altri reclusi e si scopre così che molto spesso è proprio la Croce Rossa ad impedire la liberazione di quei clandestini che avrebbero il diritto di uscire.
Una è la considerazione, agghiacciante, che emerge da questa giornata tesissima: l’unica maniera efficace per un clandestino di evitare la deportazione è tentare il suicidio.
Intanto, i quotidiani locali sono costretti a parlare di Cso Brunelleschi. Nessuno fa cenno allo sciopero della fame ancora in corso, e la situazione di tensione viene attribuita al sovraffollamento del centro, alle condizioni igieniche oppure, nei casi migliori, ad una interpretazione eccessivamente restrittiva della Bossi-Fini.
23 maggio. In mattinata, circolano nel Cpt voci infondate di nuove espulsioni. Gli immigrati sono stremati ed in giornata interrompono lo sciopero della fame. Il centro è blindato, la celere è schierata in permanenza di fronte all’ingresso, insieme alla Digos al gran completo. Nel pomeriggio, Marilde Provera fa un’ulteriore visita ai reclusi, che la bollano come “quella che difende gli sbirri”. Uscita, continua a denunciare le condizione igieniche del centro, ignorando che la richiesta degli immigrati in lotta è soltanto una: “libertà!”.
In serata, nella piazza del mercato di San Salvario si svolge una assemblea in memoria dei due ragazzi senegalesi uccisi dalle forze dell’ordine e per continuare la discussione su come difendersi nei quartieri dal terrore poliziesco. La piazza, però, è blindata. Due camionette dei Carabinieri, quattro blindati della polizia e decine di poliziotti in borghese vigilano sull’assembramento. Nonostante il clima minaccioso, in molti, tra italiani e stranieri, si avvicinano e dicono la propria.
24 maggio. Otto rumeni reclusi nel Cpt vengono espulsi in mattinata. La notizia si diffonderà solo nel pomeriggio.
25 maggio. All’alba, la polizia sveglia sette marocchini reclusi nel Cpt ed annuncia loro che l’aereo li aspetta. La notizia arriva nelle case dei compagni nel giro di qualche minuto, seguita immediatamente dagli uomini della Digos. Vengono perquisite dieci abitazioni, oltre al centro di documentazione “Porfido”. Tra gli immigrati espulsi c’è Tareq, che la settimana successiva si metterà in contatto ancora una volta con i suoi amici di Torino raccontando loro di essere stato trattenuto in carcere un paio di giorni non appena arrivato in patria e di essersi visto sottrarre i soldi che aveva con sé. Durante le perquisizioni, la Digos si accanisce soprattutto contro i volantini sulla Gtt, sequestrandone quasi millecinquecento copie. Formalmente, però, la perquisizione è l’inizio di una indagine rispetto a un plico incendiario recapitato la mattina precedente ai Vigili urbani di San Salvario.
Nel pomeriggio, un presidio è indetto nel centro della città per informare dell’accaduto i torinesi. Piano piano, i trenta manifestanti si spostano fino all’ingresso dell’”Olimpic Store”. Qui vengono illustrate ai passanti le relazioni strettissime che intercorrono tra il buon funzionamento dei cantieri olimpici e il terrore poliziesco scatenato in città contro gli immigrati. Sotto l’occhio vigile di una pattuglia di celerini, in molti, soprattutto stranieri, si fermano ad ascoltare.
Intanto, all’estremo nord della città, la polizia circonda un caseggiato abitato da stranieri ed irrompe negli appartamenti. Eddy, un clandestino nigeriano appena arrivato in città per far visita alla propria fidanzata, si rifugia sul cornicione per sfuggire ai mastini in divisa. Cade e muore. È il quarto nel giro di quindici giorni. Due ragazze, le uniche testimoni della tragedia, vengono trasportate in Cso Brunelleschi. Determinati e imbestialiti, i nigeriani del quartiere scendono in piazza e si scontrano con la polizia.
26 maggio. Nel pomeriggio, varie sigle della sinistra torinese si ritrovano sotto la prefettura per protestare contro la violenza della polizia. I nigeriani presenti fanno discorsi di fuoco, ma alla fine si decide per una delegazione da inviare nelle stanze del prefetto.
Ispezione al Cpt del vecchio fascista Ghiglia, che all’uscita commenta che i poveri agenti sono costretti a lavorare in pessime condizioni e propone di spostare la struttura in periferia, lontana da occhi indiscreti.
In serata, una ottantina di persone partecipano al dibattito “Le città e i lager”, organizzato per discutere delle lotte contro le espulsioni vivissime a Lecce, a Milano e a Torino.
27 maggio. In mattinata, una quarantina di compagni inscena una dimostrazione sotto il consolato del Marocco, responsabile insieme allo Stato italiano delle espulsioni dei cittadini marocchini. Il consolato è ben difeso da uno schieramento di polizia, ma gli stranieri che passano sono solidali. Dopo qualche ora, i dimostranti si spostano sul luogo dove, nel novembre precedente, era morta Latifa Sdairi, una ragazza marocchina precipitata da un tetto di San Salvario mentre tentava di sfuggire ai controlli del Vigili Urbani. Vengono deposti dei fiori.
Nel pomeriggio, a nord della città, il Csa Askatasuna indice insieme ad un gruppo di nigeriani una commemorazione dell’immigrato ucciso. L’atmosfera è tesissima, viene bloccata la strada e si rischia nuovamente lo scontro con la polizia.
Tutto il giorno, nei quartieri della città, proseguono i volantinaggi contro le violenze della polizia e si chiama ad una manifestazione per il giorno successivo.
Anche l’europarlamentare Agnoletto visita il Cpt.
28 maggio. Alle tre del pomeriggio, cominciano a radunarsi a Porta Palazzo i primi manifestanti. Non si vedono bandiere né di partiti né di gruppi specifici. Solo una associazione antirazzista fa eccezione, e si fa riconoscere con i propri striscioni e i propri cartelli. La polizia è presente massicciamente, ma non si fa vedere. A poche decine di metri dalla partenza, il corteo è già di mille persone, di ogni colore. In testa al corteo, gli amici di Eddy. Al megafono, il fratello. Ad un certo punto vengono intravisti da lontano dei vigili urbani, e già la tensione sale. Nessuno riesce a sopportare le divise, questo pomeriggio. Per un centinaio di metri, il corteo si accoda ad una manifestazione dei sindacati di base, poi prosegue da solo. Arrivano messaggi dal Cpt: qualcuno da dentro vorrebbe che il corteo arrivasse fino a lì davanti, per avere lo slancio di riprendere la lotta. Gli amici di Eddy, invece, ci tengono a portare la propria rabbia fino alla questura. Lì vicino, la celere blocca la strada e vorrebbe impedire al corteo di proseguire. Gli immigrati sono furiosi, soprattutto le donne, in molti vorrebbero saltare addosso ai poliziotti a mani nude. I celerini si ritirano di qualche metro e lasciano libera la via della stazione, sigillando invece quella della questura. L’atmosfera è tesa, vicinissima allo scontro, e i militanti della solita associazione antirazzista inneggiano preoccupati alla non-violenza. Nessuno li ascolta: alla fine se ne andranno, in compagnia del proprio striscione e dei propri cartelli, dissociandosi pubblicamente dal tenore della manifestazione.
Dopo un lungo attimo di incertezza, si prosegue verso la stazione di Porta Susa, dove vengono occupati i binari. Neri e bianchi insieme, spiegano ai viaggiatori attoniti il perché del blocco: “In una città che uccide non deve viaggiare nessuno!”. C’è qualche danneggiamento all’interno della stazione, in particolar modo un Bancomat della San Paolo viene preso di mira. Dopo una mezz’oretta, il corteo defluisce verso Porta Palazzo, dove si scioglie senza incidenti.
Intanto, si apprende che dentro al Cpt si discute se riprendere o meno lo sciopero della fame. Non tutti sono d’accordo, bisogna aspettare.
29 maggio. Il corteo del giorno prima viene presentato dai giornali come una bella manifestazione antirazzista, turbata da “anarco-insurrezionalisti” e autonomi ansiosi di menare le mani. Paradossalmente, solo il Manifesto e il Giornale descrivono la rabbia e la tensione presente tra gli immigrati.
1 giugno. I detenuti di Cso Brunelleschi annunciano di aver ripreso lo sciopero della fame. Il centro, nei giorni precedenti, è stato pressoché svuotato: i clandestini sono soltanto in venti, due di loro, nigeriani, sono stati rimpatriati in mattinata. L’iniziativa verrà presto abbandonata.
2 giugno. Un gruppuscolo di italiani solidali va a portare la propria solidarietà ai reclusi. Per qualche minuto sono urla, battiture e saluti da fuori a dentro.
3 giugno. Un altro nigeriano viene rimpatriato.
5 giugno. Dodici nuovi clandestini entrano nel centro, in seguito alla ripresa delle retate in città. Nove senegalesi, intanto, vengono arrestati perché non hanno ottemperato a precedenti ordini di espulsioni: le forze dell’ordine li hanno catturati nell’ambito di una grossa operazione contro le contraffazioni.
7 giugno. Le retate ormai sono continue: in nove ancora vengono rinchiusi.
8 giugno. Riprendono le retate sugli autobus: la polizia irrompe, urlando, su molti mezzi pubblici ed insieme ai controllori si avventa sugli stranieri.
Il Cpt non è ancora pieno del tutto e già ricominciano i disagi: in molti dormono con materasso per terra, perché non ci sono reti per tutti. In mattinata, cinque arabi vengono deportati, mentre nel pomeriggio vengono rinchiusi due brasiliani, un rumeno ed un bengalese
Un gruppo di compagni fa irruzione nella sala dove il sindaco ed un paio di assessori stanno cercando di convincere gli abitanti di un quartiere ad ovest della città della bontà dei progetti di riqualificazione urbanistica che li riguardano. Striscione e volantino ricordano gli immigrati uccisi dalle forze dell’ordine, e a voce si urlano le responsabilità in proposito degli amministratori presenti. I compagni se ne vanno velocemente, urlando: “Schiavisti assassini!”. Subito prima, era stato un gruppo di operai licenziati ad inveire contro il sindaco; subito dopo, sarà il turno di molti abitanti, indignati per le geniali innovazioni urbanistiche proposte dall’assessore Viano. Una «serata difficile, per gli amministratori della città», commenteranno i giornali.
9 giugno. All’alba, cinque rumeni vengono accompagnati all’aeroporto: ormai, la macchina delle espulsioni in città ha ricominciato a funzionare col ritmo abituale, dopo i rallentamenti delle settimane precedenti.
In mattinata, un gruppo di compagni contesta “Torino Cronaca”, presente nel mercato di Vanchiglia con una propria bancarella. Con striscione, volantini e megafono si spiegano ai presenti le responsabilità del quotidiano del razzismo torinese nella caccia agli immigrati degli ultimi mesi.
Nel pomeriggio, una trentina di compagni partecipano ad un presidio di fronte al Cpt. Con i megafoni si salutano i prigionieri, che dopo poco vengono rinchiusi nei gabbioni e che quindi non possono più rispondere. Polizia e carabinieri, presenti in forze, sono schierati in assetto antisommossa di fronte al Centro e già prima dell’inizio del presidio le strade attigue erano state sgomberate dalle macchine parcheggiate.
15 giugno. «I soliti ignoti», secondo la definizione dei giornali, sigillano un centinaio di parcometri gestiti dalla Gtt ed affiggono un «falso impeccabile» nel quale l’azienda annuncia un giorno intero di parcheggio gratuito. Il quotidiano che riporta la notizia ricollega l’accaduto alla politica di collaborazione tra Gtt e forze dell’ordine.
Si induriscono intanto le modalità delle deportazioni: in tarda serata quattro immigrati reclusi nel Cpt vengono messi in isolamento e gli si annuncia che il giorno dopo partiranno. Nello stesso tempo entrano nel centro le camionette delle forze dell’ordine. La tensione sale e ed un medico del centro tenta di sedare uno dei quattro. Tre su quattro verranno deportati la mattina successiva.
da Tempi di Guerra - NUMERO 5, GIUGNO 2005
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