20/04/2005: Da Sergio Maria Stefani ex detenuto nel carcere di Palmi, ora ai domiciliari
Non potevo non cogliere l'occasione offertami perchè, Titto e Alessio, poteste una volta tanto ascoltare il mio saluto con viva voce invece che accontentarvi di leggerlo su un pezzo di carta. D'altronde sono certo che chi urlerà sotto le mura della vostra gabbia, sentirà la stessa rabbia che torce le mie budella, la stessa passione che mi pompa il sangue nelle vene, la stessa complicità che ci unisce, così la voce suonerà o tremerà come
farebbe la mia. Vorrei urlare per farvi capire ciò che provo, abbracciarvi per farvi sentire nuovamente tra fratelli e sorelle, ma la necessità impone che quel che sento venga mediato dalle parole, così prima di scadere nella retorica, voglio dirvi semplicemente che sono con voi! Accarezzate e amate le sbarre delle vostre celle e quando uscirete, portatene via una, la ammorbideremo alla fiamma della nostra ira e la modelleremo con i colpi della nostra determinazione; vi faremo il filo con tutti i ricordi di quello che abbiamo subito e quando il ferro sarà abbastanza aguzzo, colpiremo con quello i nostri nemici, così assageranno le loro stesse armi rivoltegli contro dalla nostra volontà. Non dubito che voi riuscirete a resistere e ad uscire a testa alta, spero solo di rincontrarvi anche con lo stesso sorriso e potremo abbracciarci come fratelli. Agli altri reclusi dell'abominio delle Vallette, vorrei portare la mia solidarietà e complicità, non perchè vittime innocenti della violenza dello stato, ma proprio perchè contro questo non sono rimasti supini e ne hanno sfidato le leggi. Sono molto più vicino a uno/a qualsiasi ribelle sociale che ai/alle tanti/e anarchici/he che si vomitano addosso le proprie parole e non passano mai all'azione. Per i compagni e le compagne solidali non avrei quasi nessuna parola, perchè so che non ne avete bisogno per conoscere l'orrore carcerario e d'altronde qualsiasi parola atta a darne spiegazione può essere recepita solo dall'orecchio di chi già sente istintivamente l'inaccettabilità del rinchiudere un uomo o una donna in gabbia. Un presidio sotto un carcere è un efficace forma di critica alla sua esistenza per diversi motivi. Si può portare il proprio saluto ai/alle compagni/e prigionieri/e e agli/alle altri/e detenuti/e ed è inimmaginabile la forza che questi gesti possano restituirci. Si rompe il muro del silenzio ed isolamento che è così necessario per l'accettabilità di queste gabbie, perché si ricorda che dentro sono rinchiusi/e uomini e donne, non 'reati'. Che questi/e subiscono quotidianamente i soprusI e le umiliazioni inflittegli dai carcerieri, che non c'è violenza più grande, né reato più grave che sottrarre la libertà ad un uomo o ad una donna. Inoltre per noi anarchici/che è importante far vedere, in un momento in cui la repressione si fa sempre più dura, che non vogliamo fermarci e che sappiamo reagire ai colpi subiti. Se sequestrarci un/a compagno/a è un tentativo di fermare la lotta, si sbagliano, ci sarà chi raccoglierà le sue armi. Se colpire una realtà attiva è un metodo per demoralizzare, si sbagliano, la rabbia aumenta solo la nostra determinazione. Se in carcere sperano di piegare chi fuori ha dichiarato guerra all'esistente, sono solo dei poveri illusi. Se sperano che chi rimane fuori si auto-limiti, diventi lo sbirro di se stesso, per paura di finire dentro, questa iniziativa li smentisce. Se col ricatto di continuare a tenerci prigionieri, sperano di costringere i/le nostri/e compagni/e a sospendere le pratiche di attacco diretto, sta a noi prigioneri rifiutare di diventare passivi strumenti di repressione ed incitare i compagni a festeggiare con noi la nostra libertà qui ed ora, come sequestrati di Stato.
Alle vostre urla balleremo, alle fiamme di mille incendi saranno illuminate le nostre celle, ad ogni gesto di ribellione e solidarietà brinderemo sempre. Non semttete mai di lottare e noi vi saremo liberi accanto, anche da dentro le mura di un carcere. Un compagno libero, oggi con il cuore in mezzo a voi sotto le Vallette, non innocente ma mille volte colpevole di aver troppo amato e desiderato la libertà.
http://www.autprol.org/