10/04/2005: Dalla Sardegna: non più solo indagini soffocanti e veline terroristiche...


Non più solo indagini soffocanti e veline terroristiche per i quotidiani, negli ultimi mesi "le forze dell'ordine" hanno cambiato strategia: intimidazioni e minacce in privato, uso della forza e arresti nelle pubbliche piazze.

L'arresto di Michela
Il 23 marzo, a Cagliari, al termine di un volantinaggio contro la psichiatria e le istituzioni totali, i carabinieri identificano i pochi compagni rimasti in piazza. Dopo aver controllato i documenti, pretendono di portare via una compagna, per la notifica di un atto. Michela si rifiuta di seguirli. Neppure la legge consente la privazione della libertà per una banale notifica. I carabinieri, dopo aver bruscamente ammanettato Michela, sapendo di non avere copertura legale per il loro operato, simulano di essere aggrediti dalla ragazza, nonostante una decina di persone assistano all'episodio e vedano
esattamente il contrario: i carabinieri che usano la forza per portar via Michela.
A Michela, in caserma, viene confermato l'arresto con l'accusa di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e trascorre la notte in cella di sicurezza. La mattina dopo, il giudice dispone la sua scarcerazione e l'inizio del processo il 12 aprile.

Alcune riflessioni
Da un po' di tempo, in Sardegna, coloro che non fanno parte di gruppi istituzionali o partiti, ma sono politicamente attivi, vengono maggiormente colpiti dalla repressione, in modo subdolo o più o meno palese.
L'arresto di Michela è solo l'ultimo episodio di una serie di provocazioni poliziesche che hanno portato all'incriminazione di compagn*.
Mentre le ribadiamo la nostra attiva solidarietà, ci sembra necessario rendere pubblico anche un operato più subdolo, praticato dai protagonisti della repressione.
Agenti in borghese (Digos e Ros) si presentano nei posti di lavoro, con il pretesto di notificare qualche atto ( possono spedirlo per raccomandata al domicilio legale) e chiedono informazioni sui compagni, sulla loro attività professionale e sulle strumentazioni che utilizzano.
La Digos (non i vigili urbani) segue e ferma i compagni, in mezzo al traffico e alla gente, per fare presunti accertamenti, con atteggiamento strafottente e intimidatorio, preferibilmente se non si è in compagnia.
Nei confronti delle compagne fanno apprezzamenti sessisti, velatamente ammiccanti, ma con un retrogusto minaccioso.
La Digos contatta parenti e amici di compagni (o amici di amici, amici di conoscenti etc.) per chiedere informazioni scontate, alludendo alla "reale identità e attività" dei loro sorvegliati. Preferiscono "agganciare" persone o particolarmente ricattabili o emotivamente coinvolte. Consigliamo vivamente, se contattati, di mandarli al diavolo.
Agenti in borghese (Digos e Ros) s'introducono nelle case dei compagni, a volte lasciando volutamente delle tracce. Installano microspie o videocamere nelle sedi o nelle abitazioni.
Digos e Ros invitano i padroni di casa a non firmare contratti di affitto con i compagni o di annullare contratti già esistenti. E? routine avere il telefono sotto controllo o trovare un GPS nella propria auto.
Nei fascicoli giudiziari vengono riportate le conversazioni più private.
Tutto questo avviene, a volte in maniera discontinua, concentrando le "attenzioni" su una persona in particolare, poi su un'altra e così via.
Queste cosiddette indagini in realtà sono intrusioni persecutorie che ricordano i metodi dell'OVRA (la polizia politica fascista), gli eredi in doppiopetto delle squadracce.
Allora si costituivano tribunali speciali contro la sovversione, oggi si costituiscono pool di magistrati anti-terrorismo, con modalità molto simili, che autorizzano e avvallano le pratiche persecutorie poliziesche.
Si giustificano con un presunto allarme per la sicurezza dello stato. Di fatto, "le forze dell'ordine" provocano tensioni e praticano provocazioni e pestaggi nelle pubbliche iniziative, perché, ad oggi, in Sardegna, le uniche condanne che sono riusciti ad ottenere riguardano episodi di piazza. Intanto i magistrati invocano la modifica della legge, già fascista, che persegue l'associazione sovversiva, per poter incriminare i compagni, non solo in assenza di fatti specifici, ma anche in assenza di associazione.
Il loro obiettivo è quello di ridurre il nostro agire politico, dovendoci occupare dei nostri problemi giudiziari.
La lotta alla repressione non può essere considerata un fatto personale, ma dev'essere una lotta collettiva.
Se le loro intenzioni, finora, sono quelle di volerci isolare, intimidendo noi e chi ci sta vicino, la risposta più efficace è resistere, essere solidali con i compagn*, colpiti direttamente o indirettamente dalla repressione e rendere pubbliche le sporche attività "investigatorie".

Invitiamo tutti/e a partecipare al presidio che si terrà il 12 aprile a partire
dalle davanti al tribunale di Cagliari, per esprimere SOLIDARIETA' A MICHELA

http://www.autprol.org/