18/02/2005: Riflessioni all'indomani della manifestazione sotto il carcere Biella
Dopo la perquisizione del 20/12/04 e l’applicazione del nuovo regolamento interno al carcere di Biella si è creato un ampio movimento d’ appoggio ai prigionieri.
Una solidarietà dimostrata sia con l’adesione alla campagna “un libro in più di Castelli”, sia attraverso la partecipazione alla manifestazione del 6 febbraio davanti al carcere.
Una manifestazione andata ben oltre le più ottimistiche aspettative, con la partecipazione di molti giovani, lavoratori, centri sociali, collettivi universitari, associazioni, singoli compagni, cittadini di Biella, militanti comunisti e anarchici.
Chi “ha occhio” per le cifre, parla di più di 1.000 persone, e questo ci fa pensare che, in qualche modo, il carcere ricominci a non essere più considerato un’istituzione “separata e lontana” dal resto della società e che la lotta contro le galere si reinserisce nella lotta contro lo sfruttamento e ogni forma di coercizione. Di fatto la criminalizzazione dei conflitti sociali e dell’antimperialismo ci pongono costantemente sotto la minaccia del carcere.
In generale, la solidarietà espressa ampiamente nella città di Biella e nelle centinaia di messaggi, invio di libri, lettere, su una problematica, fino a poco tempo fa, così difficile da trattare, perché ad esserne investiti sono soprattutto i prigionieri rivoluzionari, sembra rispondere alla necessità collettiva di porre un freno, di dire basta ad un’esistenza sempre più sottomessa all’arroganza, al disprezzo e allo strapotere di un apparato politico razzista, culturalmente fascista, rozzo ed incurante delle condizioni di vita di milioni di persone.
Negando di fatto la possibilità di leggere, studiare e quindi di elaborare pensieri, idee, si è in qualche modo superato ogni limite, insultata l’intelligenza e la sensibilità di ognuno.
Alle condizioni di lavoro sempre più precarie, alle difficoltà di vivere con salari da fame, ad una scuola sempre più classista, che traccia marcatamente il destino lavorativo e sociale della nuova forza lavoro, al controllo massmediatico integrato agli interessi del potere, alla percezione che si è in guerra e che si tratta di una guerra imperialista, alla guerra condotta quotidianamente attraverso gli attacchi al diritto di sciopero, le precettazioni, le denunce, le restrizioni sempre maggiori di spazi decisionali autonomi e di agibilità politica nel lavoro così come nel territorio, a tutto ciò e ad altro ancora, si aggiunge l’assurda applicazione della censura culturale. Si ha l’impressione che si sia toccato il fondo, che si sia andati veramente oltre l’accettabile.
La risposta dei prigionieri affacciati alle finestre, con grida di saluto e bandiere improvvisate, ci conferma la, già evidente, necessità di riprendere un dialogo tra dentro e fuori. Un dialogo che non può prescindere da una critica radicale al carcere quale elemento costitutivo, non separato dalla società capitalistica, la cui articolazione va dalle sezioni ad elevato indice di vigilanza fino ai lager per immigrati, i centri di permanenza temporanea.
Non crediamo a reclusori rispettosi dei diritti e della dignità, nè che si possa dilatare un qualche spazio di libertà se già si presuppone la legittimità dell’oppressione e delle sue architetture. Siamo per una società senza galere e questa può esserci solo in una società senza padroni.
Pensiamo che questa lotta, nelle forme e nei contenuti, abbia ancora strada da fare e una manifestazione come quella di Biella non poteva rispondere a tutte le nostre domande e al ritardo che come movimento scontiamo.
Crediamo però che con essa un piccolo passo in avanti sia stato fatto.
Questo risultato è oggi nelle mani di tutti, di chiunque abbia contribuito alla campagna di questi mesi, anche con strumenti diversi.
Sappiamo che a Sulmona e Latina, dove sono concentrati decine di compagni, la situazione è identica a Biella, che ad Opera è stato recentemente applicato il medesimo regolamento, che il disegno è quindi complessivo: tutto il dispositivo carcerario è interessato dal medesimo “giro di vite” con al centro l’obiettivo di piegare la resistenza dei prigionieri rivoluzionari e assoggettare l’insieme del corpo prigioniero con particolare accanimento per quelle componenti arabe che esprimono una sensibilità e consapevolezza antimperialista.
Non abbiamo indicazioni da dare se non quella di legare strettamente la lotta al carcere e alla repressione (in tutte le sue articolazioni fino all’utilizzo dell’art. 270 per associazione sovversiva), alla condizione complessiva del proletariato al centro di un attacco epocale i cui contorni possono essere colti nelle frammentarie, caparbie lotte operaie e nella determinata resistenza del popolo palestinese ed irakeno.
amici e familiari dei prigionieri rivoluzionari
http://www.autprol.org/