04/01/2005: Ricordando il compagno Xosé Tarrío...
Xosé Tarrío González è nato nel 1968 a La Coruña, in Spagna.
A 11 anni è entrato in collegio per motivi familiari, ma è riuscito a fuggire diverse volte.
A 14 anni per dei piccoli furti è stato condannato alla permanenza in un riformatorio, dal quale è evaso in diverse occasioni. Fino ai 16 è rimasto in un riformatorio speciale su ordine del giudice.
A 17 anni è entrato nel tunnel della droga e a 19 è entrato in carcere per scontare un piccola condanna.
Da allora è stato costretto a subire le più inaudite vessazioni nelle sezioni speciali delle carceri spagnole, le cui bestiali condizioni hanno condotto Tarrío ad accumulare condanne su condanne per un totale di 71 anni di carcere.
Il compagno è stato uno dei primi a sperimentare sulla propria pelle le torture fisiche e psicologiche applicate nei Ficheros de Internos de Especial Seguimientos (F.I.E.S. - Schedari dei Reclusi di Trattamento Speciale), sezioni speciali all'interno delle carceri speciali, istituite dal partito socialista spagnolo.
E' stato liberato nel maggio del 2003 dopo aver trascorso 16 anni di carcere, dei quali oltre 10 in isolamento nel regime FIES di primo grado.
Nuovamente arrestato nel settembre del 2003, nonché ferito, ha dovuto subire una nuova sessione di pestaggi all'ingresso.
Nel giugno del 2004 la sua salute è peggiorata sia per l'Aids giunto alla fase terminale che per un infarto cerebrale che i medici del carcere diagnosticarono come un'influenza. Molto tardi, solo il 28 giugno, è stato ricoverato in ospedale. Qui lo dimisero subito, ma furono costretti a ricoverarlo di nuovo l'8 luglio per la paralisi della metà del corpo, perdita della memoria e della capacità di parlare. Da sottolineare che i secondini hanno continuato a torturarlo anche in queste condizioni, mantenendolo ammanettato al letto dell'ospedale.
Solo il 17 agosto gli è stata concessa la libertà condizionale, ma da allora è sempre rimasto in ospedale.
In coma profondo dal 20 ottobre, è morto il 2 gennaio 2005.
E' morto di carcere!
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Per ricordare il compagno, la cui storia abbiamo seguito a partire dalla traduzione del suo diario dal carcere, vale la pena rileggere quanto ha scritto su di lui Claudio Lavazza ad introduzione dell'edizione italiana di "Huye, hombre, huye - Diario di un prigioniero F.I.E.S."
"Ho conosciuto Xosé Tarrío agli inizi del '97 nel supercarcere di Topas, Salamanca. Mi avevano mandato lì per un "careo", cioè per un confronto con una serie di testimoni di quattro rapine avvenute in quella città anni prima.
Di Xosé mi avevano parlato molti compagni che lo conoscevano personalmente, ed altri che ne avevano solo sentito parlare: tutti concordavano sulla sua fede anarchica e sulla sua volontà di lottare contro il sistema penitenziario.
Mi parlarono di lui pochi giorni dopo il mio arrivo in un altro carcere di massima sicurezza, quello in cui attualmente mi trovo: Jaén, modulo FIES.*
Quando arrivai a Topas, verso le ore 12 di un lunedì, due compagni che non conoscevo vennero a bussare alla porta metallica della cella in cui mi trovavo, l'ultima del corridoio, l'ultima di quel braccio FIES.
Aprirono lo sportello dove si passa il vitto e da quel buco iniziammo a comunicare. In una scomoda posizione parlammo del più e del meno: chi ero, da dove venivo, se avevo fame, se avevo dei vestiti pesanti per sopportare il freddo intenso di quella regione.
Uno dei due compagni era Santiago Izquierdo Trancho, un protagonista di questo libro.
Dopo un paio di minuti apparve Xosé, ci guardammo fissi negli occhi: non l'avevo mai visto prima, ma sapevo che era "lui", sentivo che era lui.
Gli dissi: «Tu sei un anarchico, il tuo sguardo non lascia dubbi».
Era vero, era proprio lui.
Parlammo a lungo di noi, dei nostri ideali, del libro che stava scrivendo, dell'importanza di comunicare al mondo libero gli orrori del sistema penitenziario, creato appositamente per i ribelli che non vogliono adattarsi all'umiliante esistenza nella società; ribelli che, spinti da una chiara convinzione "politica" o in quanto refrattari, sono decisi a conservare la propria dignità contro un sistema che li obbliga alla schiavitù e all'umiliazione di un lavoro.
Nel libro il lettore troverà una vera esperienza di vita che appartiene al nostro presente, troverà (come vi ho trovato io) il coraggio per continuare con più forza nelle nostre idee, capirà l'importanza del carcere quale terreno di lotta, conoscerà la qualità degli individui disposti a non sottomettersi.
Oggi il carcere è quello che è, è quello di sempre, dove si commettono le più grandi ingiustizie, le più raffinate torture fisiche e psicologiche che la perversa mente umana possa immaginare. Il carcere è il castigo per chi non accetta le regole del gioco dei ricchi e potenti.
In questa "dittatura democratica" la pena di morte fisica è stata abolita, ma subito rimpiazzata da quella psicologica.
Con l'isolamento e l'inevitabile angoscia che produce vogliono toglierci la nostra personalità, vogliono ridurci a degli esseri senza identità.
In Xosé ho trovato qualcosa che mi appartiene e che appartiene a tutti coloro che hanno già trovato una risposta ai seguenti interrogativi: «Si può vivere tranquilli senza lottare per la libertà?»; «Possono coesistere libertà ed oppressione?».
Domande, queste, valide sia per chi è libero, sia per chi nella libertà è prigioniero di se stesso.
Il carcere fa paura perché non lo si conosce a sufficienza; più un nemico è sconosciuto, più è difficile combatterlo.
Quando ti chiudono la porta alle spalle, tutto il peso della solitudine ti cade addosso; loro lo sanno bene e per questo ci lasciano soli per mesi in celle fredde e umide.
Come avrei voluto che queste parole i compagni Baleno e Soledad le avessero ascoltate in tempo, che avessero capito in tempo che quanto ti rinchiudono in isolamento non bisogna pensare al presente, perché tale situazione non durerà in eterno; al contrario, da quella solitudine si può trovare la forza per sopravvivere.
Xosé, con la sua esperienza, ci insegna l'aspetto più importante, non perdere mai la speranza.
Noi detenuti, in determinate condizioni, non abbiamo niente da perdere; mentre chi ci tortura può perdere tutto, anche la vita.
Dalle sue parole capiremo che l'uscita dall'isolamento cui siamo sottoposti potete determinarla voi persone libere, con la vostra solidarietà, le vostre lettere, il vostro ricordo e il vostro amore."
Jaén, estate 1999
Claudio Lavazza
* attualmente Claudio è detenuto nel carcere di Huelva, sempre in regime FIES:
http://www.autprol.org/