27/08/2004: Perchè le rivolte in carcere


"...Drento Reggina Coeli c'è 'no scalino chi nun salisce quello nun è romano..."

Vista l’accesa discussione che si è scatenata negli ultimi giorni sui fatti di Regina Coeli crediamo doveroso far sentire anche la nostra voce.
Dobbiamo da una parte esprimere la nostra piena e totale solidarietà ai detenuti che hanno attuato la protesta, dall’altra tentare una riflessione sullo “stupore” generalizzato per una protesta non-pacifica.
In realtà ci si dovrebbe stupire sul fatto che episodi come quello di Roma non accadano giornalmente ed in tutte le carceri italiane viste le attuali condizioni di non-vita
Negli ultimi quattro anni i detenuti italiani hanno effettuato decine di proteste pacifiche (molto spesso in accordo con la direzione) con il risultato di non vedere accolta neanche una delle loro rivendicazioni ma, anzi, di vedersi anche beffare con il cosiddetto “indultino” con il quale si mistifica la rimessa in libertà di 5600 detenuti.
I (pochi) difensori di questo aborto legislativo si scordano di dire che, essendo i requisiti per l’indultino più restrittivi di quelli di altre misure alternative come - ad esempio - l’affidamento, essi avrebbero potuto tranquillamente uscire con tali misure. Anzi è significativo che molti abbiano accettato un regime di fatto più penalizzante (firma giornaliera, possibilità di revoca per cinque anni a prescindere dalla durata del residuo pena, ecc) invece delle normali misure, segno inequivocabile che quest’ultime vengono concesse con sempre maggior difficoltà.
La trasversale criminalizzazione dei fatti di Regina Coeli segue il copione consolidato per cui è lecito rivendicare i propri diritti, ma solo nei modi e con le regole che il sistema stesso stabilisce in modo che, salva una parvenza di democrazia, la rivendicazione stessa sia del tutto inefficace (il parallelo con gli autoferrotranvieri non è assolutamente casuale).
Illusi, derisi, abbandonati a loro stessi e costretti a vivere (?) in quattro o cinque in loculi di pochi metri quadri per 21 ore al giorno, senza assistenza sanitaria, con un vitto del valore di 1,58 euro al giorno per colazione pranzo e cena, esposti a malattie, condizioni igieniche inesistenti, soprusi e umiliazioni (molto spesso anche pestaggi). In questo quadro non stupisce affatto che anche il maggior deterrente (insieme all’immancabile repressione interna) a vere e proprie rivolte e cioè l’accesso a misure alternative previste dalla legge Gozzini (pur con un iniquo criterio di premialità) possa venire meno giacché tale accesso è sempre più virtuale che reale.
In tale contesto invitiamo tutte le forze impegnate sul fronte carcere, oltre a manifestare la propria solidarietà ai detenuti “ribelli”, anche a partecipare fisicamente al processo che (sic) verrà celebrato nei loro confronti, come atto tangibile d’appoggio alle loro giuste rivendicazioni.
A quanti poi attribuiscono la degenerazione delle carceri esclusivamente all’attuale ministro della giustizia - sul quale non ci pronunciamo, visto che a dimostrare la sua assoluta incapacità ed inadeguatezza ci pensa benissimo da solo - ricordiamo che le cause legislative dell’incremento del numero di detenuti dai 25.000 del ’90 agli attuali 57.000 sono state tutte varate dal centrosinistra: legge sull’immigrazione, legge Craxi-Jervolino-Vassali sulle tossicodipendenze per non parlare dell’ignobile pacchetto giustizia che ha portato, tra l’altro, il minimo della pena per un semplice furto da sei mesi a tre anni.
Così come sempre più settori della sinistra appoggiano in pieno la cosiddetta politica della “restituzione del danno”, sventolandola come progressista quando invece nel suo significato intrinseco ci riporta indietro di almeno vent’anni al concetto di pena come espiazione e riparazione nei confronti di una società perfetta alla quale non si può attribuire nessuna correlazione con il reato, atto di pura devianza individuale. Tale concezione oscurantista era stata in qualche modo superata dall’introduzione della Gozzini che, pur con i suoi evidenti limiti, riconosceva un aspetto sociale del reato e quindi dell’esecuzione penale.
In merito agli interventi da attuare per dare delle risposte concrete alla crescente disperazione dei detenuti, noi siamo convinti che esista una sola strada: un indulto vero e generalizzato per sanare una situazione d’illegalità nella quale versa ormai da anni l’Amministrazione Penitenziaria ma accompagnato da misure politiche senza le quali avrebbe un effetto solo temporaneo. Tra esse crediamo prioritarie: una maggiore applicazione delle misure alternative previste per legge, anche creando le condizioni per cui non vengono concesse (di solito l’impossibilità di trovare un lavoro e/o un’abitazione); l’abolizione del “pacchetto giustizia” per riportare i limiti di pena ad una dimensione reale; una seria politica di depenalizzazione dei reati minori ed in particolare quelli legati ad immigrazione e tossicodipendenza.
A questo proposito invitiamo tutti a partecipare alle due grosse manifestazioni nazionali su immigrazione e tossicodipendenza in programma a Roma nel prossimo autunno.

Dentro e fuori le mura
Gruppo di lavoro permanente sul carcere




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