30/04/2004: Iraq, Afganistan, Palestina, una nuova Stalingrado ?
Non si può certamente fare un paragone storico tra le circostanze della seconda guerra mondiale che hanno determinato la vittoria di Stalingrado sulle armate naziste e la situazione odierna della guerra che si sta combattendo contro gli invasori americani e i loro fantocci in Iraq e Afganistan e in Palestina contro il progetto sionista di colonizzazione. Quello che rende possibile la similitudine è la circostanza, tutta militare, che da questo scontro in atto potrebbe infrangersi il sogno americano di poter portare avanti un progetto di ‘normalizzazione’ del mondo ad uso e vantaggio dell’imperialismo statunitense.
Avevamo già cercato di evidenziare dopo la ‘vittoria’ militare americana in Iraq che l’occidente si era fermato a Bagdad, nel senso che la mancata ‘liberazione’ del popolo iracheno aveva messo in evidenza e in crisi il progetto di occidentalizzare i paesi islamici e quindi l’operazione principale americana di fare dell’occupazione un passaggio di ‘libertà’ per i popoli aggrediti era miseramente fallito. La questione in sè era e rimane importante perchè se guerra e politica sono interdipendenti, una volta che il progetto politico legato all’intervento militare viene meno le prospettive di reggere strategicamente l’uso della forza diventano problematiche. Quello che stiamo constatando rispetto agli avvenimenti di questi ultimi mesi è che proprio l’insuccesso politico sta rovesciando la situazione militare a sfavore delle truppe americane e dei loro fantocci.
In Afganistan la situazione si è deteriorata a tal punto che un guerrafondaio come il ministro della ‘difesa’ Martino ipotizza, entro il mese di settembre, il ritiro del contingente militare italiano. Motivazione? Non è più pensabile di poter svolgere una funzione di stabilizzazione del paese, in quanto la situazione generale sul terreno non è più in grado di bloccare lo sviluppo della guerriglia. Gli americani, dopo aver distrutto le forze principali dei talebani, non sono in grado di reggerne la riorganizzazione. In Iraq, nonostante la presenza di quasi duecentomila militari delle truppe di occupazione alleate, gli invasori sono militarmente sulla difensiva e non possono riorganizzare il dominio sulla società. La Palestina che doveva giocare un ruolo di pacificazione delle retrovie e di messaggio politico per un islam ‘democratico’ ha visto la fine di Abu Mazen e l’evidente preminenza di Hamas e delle altre organizzazioni combattenti nel confronto con Israele. Quindi, la guerra continua e la prospettiva è quella di vedere gli americani sconfitti.
A differenza di Stalingrado però, dove i nazisti sono stati messi su una difensiva strategica e da lì sono arretrati fino a Berlino nel corso di due anni, gli americani hanno ancora riserve strategiche per allargare la guerra e quindi mascherare l’attuale sconfitta. E’ vero che l’arroganza americana ha lasciato il posto ai piagnistei sulla collaborazione internazionale e con l’ONU, ma dietro il nuovo progetto militare e politico c’è l’innalzamento della mobilitazione contro il terrorismo. Quante altre torri crolleranno per assecondare questo progetto e cercare il consenso a nuove guerre e a più pesanti interventi militari? A questa evenienza dobbiamo prepararci.
Nel frattempo dobbiamo però condurre le nostre battaglie interne per fare in modo che la nuova Stalingrado si realizzi. La prima battaglia è contro il governo neofascista di Berlusconi, che rappresenta un puntello della strategia americana in Europa e di appoggio alla guerra. Come è tradizione delle forze ‘alternative’ italiane della sinistra, la lotta a Berlusconi si sviluppa su tematiche che mettono in ombra la necessità di impedire che l’Italia partecipi alle guerre imperialiste. E questo oscuramento non viene solo da parte di quella che abitualmente definiamo 'sinistra imperialista', ma anche da quella sinistra che pur dichiarandosi contro la guerra ‘dimentica’ la situazione di fatto e non lavora per portare il popolo della pace ad una azione incisiva contro il governo. Distrazione? Niente affatto. Si tratta invece di quella visione ‘occidentale’, così cara alla sinistra ‘alternativa’, che considera i ‘barbari’ contaminati, come direbbe Bertinotti, dai talebani, da Saddam e da Hamas come elementi secondari dello scontro di fase, mentre in realtà, gli uomini del burka, i martiri di Hamas e la resistenza irachena sono il fulcro della lotta contro l’imperialismo.
Certamente, dalla vittoria di questo fronte non scaturirà una estensione del socialismo nell’Islam, ma si determineranno però le condizioni perchè il mondo non sia governato dalle baionette americane.
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