16/12/2003: Con il popolo iracheno che resiste


Quel che doveva accadere alla fine è successo. I 19 militari italiani uccisi nell’operazione militare di Nassiriya, ad opera della Resistenza irachena, hanno ridato centralità alla questione della guerra, che non si era certo conclusa con la “vittoria” proclamata da Bush ai primi di maggio, ma che continua, tra l’altro con gli attacchi aerei degli F-16 e degli Apache, come dell’artiglieria pesante.
Se per molti, l’esistenza di una resistenza in Iraq all’occupazione militare è stata una scoperta tardiva, per noi invece è stato sempre chiaro che gli eserciti imperialisti non avrebbero avuto vita facile.
Dai sabotaggi agli oleodotti, agli attacchi alle ambasciate, agli organismi internazionali che “coprono” e danno legittimità ad una occupazione coloniale, fino al quotidiano stillicidio di morti tra le fila degli eserciti occupanti, e dei “collaborazionisti”, la Resistenza irachena sta mettendo seriamente e concretamente in discussione i piani imperialisti di dominio di un’ area di importanza strategica, che va dal Mediterraneo all’ Asia centrale.
Già prima che la guerra scoppiasse, nel vasto movimento di opposizione che riempiva le piazze del nostro paese e del mondo, chiarivamo che la guerra sarebbe scoppiata comunque, perché frutto di una crisi profonda che attanaglia i paesi imperialisti e gli USA in primis, e che l’unica chance per fermare la guerra sarebbe nata dalla saldatura tra la resistenza del popolo arabo-iracheno e il movimento contro la guerra, nato nella cittadella imperialista.
Non cominciamo quindi da zero, perché abbiamo alle spalle quelle mobilitazioni e inoltre la ripresa dell’iniziativa di sostegno all’Intifada che ha avuto con la manifestazione nazionale di Roma dell’ 8 novembre, un passaggio importante.
Come già era stato per l’Intifada palestinese, capace per due anni di ritardare i piani di guerra contro l’Iraq, così solo la mobilitazione popolare, a tutti i livelli, contro l’invasore e i suoi piani neocoloniali è in grado di mettere in crisi i progetti imperialisti e lanciare un segnale forte agli oppressi di tutto il mondo sulla via da seguire.
Oggi tutto l’arco istituzionale, nonché vasti spezzoni del “movimento pacifista” piangono “i poveri carabinieri” morti a Nassiriya, rafforzando il clima di ”unità nazionale contro il terrorismo” già riesumato, poche settimane prima, per far fronte al sempre più preoccupante incrinatura sul fronte interno, e che spazia ora dal piano nazionale a quello internazionale, bollando come “terrorista” qualunque manifestazione di conflittualità di classe, di lotta all’imperialismo, di guerra di liberazione. Una cantilena, questa del “terrorismo”, che farebbe sorridere, se non trovasse anche all’interno del movimento dei punti di appoggio, fatti di ambigue distanze prese nei confronti della guerra partigiana in Iraq, in particolare se a esserne colpiti sono i militi nostrani.
Occorre infatti, oggi più che mai, rompere la cortina di propaganda che vorrebbe unanime il paese in lutto per i 19 sbirri morti in guerra (tra cui uno dei responsabili della feroce repressione nel carcere di Trani nei primi anni ottanta e fondatore dei GIS), e costruire una visibile e forte solidarietà alla resistenza irachena, come a quella palestinese e araba in generale.
I circa 3000 soldati inviati in Iraq sono mercenari ben pagati, così come gli altri 9000 militari italiani impegnati in tutto il mondo sui teatri di guerra “a bassa intensità”, tra i morti vi sono coloro che si sono contraddistinti per la loro brutalità contro la popolazione locale in Somalia, così come nella sinistra “missione di pace” nei Balcani e che hanno guidato le cariche a Genova, proprio dove è morto Carlo e che sono stati chiamati allora, da tutti, “assassini” e che hanno continuato ad esserlo, nonostante l’attuale imbarazzo e l’ipocrisia di alcuni.
L’arma si è contraddistinta in Italia per le recenti schedature dei militanti sindacali e le “incursioni” in aziende in cui erano, e sono, in corso dure vertenze contrattuali, il tutto per intimidire i lavoratori in lotta.
Noi, quindi, di lacrime non ne versiamo, perché dovremmo piangere tutti i giorni gli omicidi bianchi sul lavoro, i compagni uccisi in strada e quelli in carcere, così come le continue stragi perpetrate ai danni dei popoli oppressi.
Occorre fare chiarezza, una volta per tutte, sulla natura di questa guerra, che continua a uccidere la popolazione irachena, che è una guerra imperialista, e di conseguenza contribuire al meglio delle nostre possibilità affinché il popolo iracheno che resiste trovi qui una cassa di risonanza e un appoggio concreto.
Sui giacimenti petroliferi a Nassirya aveva già messo da tempo le mani l’ENI, papabile sfruttatore su concessione americana di pozzi con una capacità estrattiva di 300.000 barili al giorno, con riserve stimate dai 2 ai 2,6 miliardi di barili, impresa che avrebbe abbisognato di investimenti di due miliardi di dollari!
Pochi giorni prima dell’attacco alla caserma, sede della locale camera di commercio, il Ministero dell’Economia Italiano insieme a Confindustria aveva stilato una lista di ben 180 ditte, che avrebbero partecipato probabilmente al business dei sub-appalti della ricostruzione per ciò che riguarda strade e ponti, reti idriche, reti elettriche…
In più, dei tre “grandi appaltatori” che si gli Stati Uniti si apprestano a concedere e che dovrebbero a sua volta gestire il sub-appalto a ditte minori, uno potrebbe essere anche Italiano, tra i candidati ci sono i colossi Fiat Engeneering, Impregilo, Techint, Telecom.
Quali interessi difende quindi l’Arma? Che tipo di pace si augurano lor signori?
Occorre impedire la mobilitazione reazionaria di massa promossa dalla maggioranza dell’arco costituzionale e il clima da “caccia alle streghe” contro chiunque si opponga all’impresa imperialistica in Iraq, che prepara il terreno per l’azione repressiva vera e propria.
Bisogna dire apertamente che ci auguriamo che gli eserciti imperialisti si ritirino, con la coda tra le gambe, dal suolo iracheno, perché una sconfitta del nostro comune nemico permetterebbe anche a noi, che lottiamo sul “fronte interno”, di rafforzarci.
Occorre infine, rompere gli indugi e costruire da subito una mobilitazione di appoggio alla Resistenza irachena. Per questo, in preparazione di una manifestazione per gennaio, convochiamo una prima scadenza davanti a una delle principali ditte in gara per gli appalti della ricostruzione in Iraq: l'Impregilo.

Presidio informativo
mercoledì 17 Dicembre
Alle ore 17.00
davanti all'Impregilo

MM Marelli (linea rossa)

*Sosteniamo la Resistenza irachena
*A fianco dell’Intifada palestinese
*Fuori le truppe italiane dall’Iraq!

Coordinamento di lotta per la Palestina
coordpalestina@arabia.com

http://www.autprol.org/