16/12/2003: Affari di guerra dei pescecani nostrani


Durante il movimento contro la guerra in Irak, che ha riempito piazze, invaso i balconi e le finestre di bandiere della pace e portato migliaia di persone a manifestare davanti le numerose basi NATO, erano emersi gli interessi, per lo più americani e britannici, per i quali, ma non solo, una coalizione multinazionale si preparava ad invadere l’Irak.
Allo stesso tempo i lavoratori in Italia hanno scioperato contro la guerra il giorno successivo all’attacco, alcuni hanno cercato di fermare i convogli di armi passanti su rotaia o su strada, o tentato di impedire che si svolgessero le operazioni di imbarco e sbarco di alcune navi dell’apparato bellico statunitense, altri ancora hanno fatto azioni contro gli interessi delle aziende guerrafondaie.
Grandi gruppi petroliferi, aziende leader nella produzione di armi, colossi bancari…
Questi non erano che la punta dell’Iceberg, i nomi più esposti in una catena di interessi non solo americani e britannici, che mano a mano sta emergendo sempre più chiaramente.
Gestire la logistica militare, accaparrarsi il petrolio irakeno, spartirsi gli appalti per la ricostruzione, amministrare i flussi di denaro degli investimenti nel Golfo, invadere con i propri prodotti e i “servizi” un paese uscito da più di dieci anni di guerra e da restrizioni economiche causate dall’ l’embargo imposto dall’ONU.
Alcuni di questi pescecani, o aspiranti tali, sono imprese Italiane, tra questi, la sesta aziende petrolifera al mondo, l’ENI che ha forti interessi, tra l’altro, nel volersi accaparrare pozzi petroliferi a Nassiria, la Telecom che vorrebbe godere di una fetta di mercato anche là, come in altre parti del mondo, divenendo uno dei gestori telefonici del paese, la Fiat Engineering, la Technint e la Impregilo, specializzata in infrastrutture come ferrovie, metropolitane, acquedotti, autostrade e grandi lavori edilizi, Sanpaolo-Imi che dovrebbe gestire il flusso di investimenti italiani in loco…
A cui si aggiungono un lista di poco meno di altri 200 sciacalli nostrani più piccoli.

La resistenza ferma la guerra qui come altrove.
La decennale guerra contro l’Irak e l’embargo economico ha distrutto il paese, impoverito la popolazione, seminando morte e distruzione con massicci bombardamenti aerei e ora con l’invasione terrestre…
L’ultima guerra ha ucciso più di 13.000 irakeni, mentre dodici milioni sono disoccupati e la popolazione vive sotto la soglia di povertà sotto un regime di occupazione militare e con un governo fantoccio messo su dagli invasori, senza nessuna prospettiva certa se non la permanenza dell’occupazione stessa sotto altre forme e l’indebitamento permanente.
A tutto questo un popolo oppresso ha risposto non con la capitolazione ma con la resistenza contro gli occupanti, venuti a difendere gli interessi di coloro che vogliono conquistare militarmente, controllare politicamente e sfruttare economicamente l’Irak.
Così come i nazisti chiamavano Banditen i partigiani, così gli imperialisti chiamano terroristi gli Irakeni che lottano contro l’imposizione di un futuro ancora meno roseo del loro passato sotto il regime di Saddam.
Siamo consci che la resistenza irakena è composita, che agiscono in essa interessi differenti e differenti prospettive, ma che ha un comune denominatore: cacciare gli imperialisti!
Il nemico che si combatte sull’altra sponda del mediterraneo è lo stesso che qui, come in tutto il mondo, opprime i popoli, sfrutta i lavoratori, reprime chi si oppone ai suoi progetti e cerca di negare ogni ipotesi di trasformazione sociale e di liberazione dal giogo neo-coloniale.
Noi siamo con chi resiste, sempre e comunque, oggi come ieri.

Coordinamento di Lotta per la Palestina
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