HOTLINES
call
center e lotta di classe
A
cura del
Centro
di Ricerca per l’Azione Comunista
Sommario
Presentazione
- a cura del CRAC
Call
center e lotta di classe - a cura del CRAC
Presentazione
di Kolinko - a cura di Kolinko
Volantino
per una vita migliore - No.1, Ottobre 2000,
a cura di Kolinko
Volantino
per una vita migliore - No.2, Dicembre
2000, a cura di Kolinko
Volantino
per una vita migliore - No.3, Marzo 2001,
a cura di Kolinko
Volantino
per una vita migliore - No.4, Luglio 2001,
a cura di Kolinko
Hotlines,
l’ultima parte della serie - a cura di Kolinko
Call
center, le nuove catene di montaggio - 2000, a cura di FLMU-CUB
Il
119 è morto. Viva il 119! - Gemmaio 2001, a cura di Snater-Bologna
Scavalcamento
a destra - Giugno 2001, a cura di Snater-Bologna
IBM
- 1970, Sinistra Proletaria
I
materiali tradotti in questo opuscolo sono documenti e volantini prodotti dal
gruppo Kolinko (Collettivo nel movimento comunista) in seguito e durante
un’inchiesta sui call center iniziata in Germania1. Abbiamo aggiunto alcuni
documenti dell’Flmu-Cub telecomunicazioni, del Cobas telecomunicazioni e dello
Snater.
I
materiali riguardanti l’Italia e la nostra valutazione sono focalizzati sui
call center della telefonia mobile.
I
call center in Italia presentano tre caratteristiche importanti:
1.
a differenza del Nord-Europa, il settore dei call center non si è sviluppato
molto nelle banche o nelle assicurazioni ma ha coinvolto prevalentemente le
aziende di telefonia mobile;
2.
dentro le aziende telefoniche si assiste, proprio grazie ai call center, a una
nuova forma di concentrazione operaia, interessante per la visibilità sociale
ad essa collegata. E’ evidente che i grandi concentramenti agiscono come
oggettiva avanguardia per le situazioni di lavoro più disperse e poco numerose;
3.
il lavoro nei call center della telefonia mobile tratta uno degli emblemi del
moderno: il cellulare. E’ quindi interessante far emergere la contraddizione
tra la reale situazione di sfruttamento in questo settore e il presunto paradiso
per le nuove relazioni sociali lavorative. Tali relazioni trovano nel call
center uno dei più importanti banchi di prova, dato l’alto numero di
lavoratori interinali e la selezione del personale più disciplinato e zelante
attraverso speciali colloqui e verifiche. La componente di lavoratori coinvolti
in questo settore, è al centro di battaglie sociali nate con il montare della
crisi e di una sempre più massiccia divisione del lavoro. E’ il segmento del
ceto impiegatizio radicalizzatosi nella proletarizzazione.
Non
pensiamo, tuttavia, che un inchiesta sui call center del settore delle
telecomunicazioni sia esaustiva, per descrivere l’utilizzo di questa tipologia
di lavoro negli altri rami dell’economia, cosi come la specifica tipologia di
lavoratore. Come allegati inseriamo un articolo sull’IBM scritto nel 1970 e
pubblicato in Sinistra Proletaria2. Questo articolo è inerente alle battaglie
dei tecnici all’IBM, azienda all’epoca all’avanguardia sia rispetto
all’organizzazione del lavoro e sia al segmento di classe coinvolto.
Ringraziamo tutti i compagni e le compagne che ci hanno fornito parte dei
materiali e delle traduzioni.
Dedichiamo
questo lavoro a tutti i compagni incarcerati sottoposti al
regime di carcerazione speciale con il FIES in Spagna, il 41bis in Italia
e le celle di tipo F in Turchia.
Centro
di Ricerca per l’Azione Comunista
Note:
1
Parte del materiale tradotto in italiano è tratto dal libro Hotlines edito da
Kolinko.
2
Sinistra Proletaria era l’organo del Collettivo Politico Metropolitano di
Milano.
Siti
internet e indirizzi e-mail:
CRAC:
www.autprol.org
Kolinko:
www.nadir.org/nadir/initiativ/kolinko
Snater:
www.snatertlc.it/
FLMU:
www.flmutim.it/
Cobas-telecomunicazioni:
www.cobas.it/tlc
Prol-position:
www.prol-position.net/
Voci
stonate, bollettino di
controinformazione dei lavoratori TIM-Roma: vocistonate@katamail.com
La
pulce, giornalino di
controinformazione a cura del Comitato lavoratori TIM Milano: cipmil@tin.it
Sviluppo della tecnologia e
divisione del lavoro
Il settore dei call center in
Italia è di recente diffusione, ma ha visto una crescita repentina in molti
settori, dalla logistica-distribuzione alle telecomunicazioni, in quest’ultimo
settore soprattutto in seguito all’immissione nel mercato dei telefonini.
I call center operano
all’interno della sfera della circolazione del capitale, possono essere
considerati, quindi, il frutto del capitalismo avanzato, che in molti Stati è
sempre più caratterizzato dalla crescita del terziario rispetto
all’agricoltura e al settore industriale produttivo classico. Vista la loro
collocazione nel terziario e vista l’elevata informatizzazione dei call center
questi uffici potrebbero sembrare una delle isole felici descritte dai paradigmi
postfordisti[1]
e del lavorare comunicando. L’inchiesta sui call center conferma invece quanto
siano infondati i postulati teorici del postfordismo, incapaci di cogliere nella
divisione del lavoro intellettuale da quello manuale e nella successiva
parcellizzazione di entrambi la naturale conseguenza dello sviluppo capitalista
e del lavoro alienato. Lo Scientific Management[2]
caratterizza necessariamente lo sviluppo del capitalismo, anche nella sua
versione di capitalismo di Stato sovietico, fin dai tempi di Lenin[3].
Esso perirà solo con il superamento dei rapporti sociali capitalisti. Siamo in
piena epoca “taylorista” ormai da tempo, non vi è nulla di nuovo se si
studiano i tentativi aziendali nel ricavare maggiore profitto e relativa
efficienza dai propri lavoratori.
Il primo passo necessario
compiuto dal capitale nelle officine è stato quello di concentrare una massa di
lavoratori da porre sotto il proprio controllo. Il controllo della produzione è
stato successivamente spinto al massimo con la divisione del lavoro e
l’espropriazione della conoscenza del processo produttivo degli operai verso
la parcellizzazione delle mansioni. Le stesse tappe sono state ripercorse nel
lavoro impiegatizio e le conseguenze le ritroviamo nei call center. Il modello
organizzativo dell’industria si riconferma ancora una volta trainante per
l’organizzazione capitalistica del lavoro. La crescita dei servizi è la
soluzione che il capitale trova, mediante accelerazione della circolazione, al
problema della caduta dei profitti e alla mancata accumulazione di capitale. In
questa fase la flessibilità del lavoro e la proletarizzazione delle classi
mezze[4]
– impiegatizie nello specifico - sono il tributo che queste figure devono
pagare alla dittatura dell’accumulazione capitalista.
I lavoratori vengono descritti
come collaboratori che producono in modo autonomo ma se non ci lasciamo
suggestionare dalla raffigurazione pubblicitaria che vede il simpatico omarino
con cuffia che risponde individualmente al simpaticissimo cliente, vediamo come
ogni operazione sia figlia di una moderna cooperazione di lavoratori e
strutture: dal tecnico che installa i programmi di smistamento delle telefonate,
a quello che controlla l’andamento dei computer, all’operatore, ecc...
L’operatore rappresenta l’ultima articolazione di una rete di relazioni, non
un novello artigiano, ma una zelante formica che obbedisce ai dettami di
un’organizzazione sociale complessiva.
Per indicare un simile sistema di
lavorazione spesso si è parlato di toyotismo. In un gran numero di call center
un operatore deve lavorare in un’equipe isolata e in collaborazione con le
altre al tempo stesso: isolata per la concorrenza rispetto alla produttività,
in collaborazione per la stessa natura dell’organizzazione del lavoro, quasi
come un gruppo di lavoro nello schema toyotista in fabbrica.
Tuttavia crediamo che sia
fuorviante ridurre a uno schema fisso l’organizzazione del lavoro capitalista;
in più riteniamo che alcune tipologie di lavoro abbiano delle specifiche
peculiarità: accanto a moderni sistemi di organizzazione del lavoro possono
conviverne altri arcaici.
Riportiamo in proposito una
nostra valutazione di alcuni anni fa sul Kaizen, sistema di applicazione del
metodo toyotista, per mettere in evidenza le caratteristiche di un simile
modello rispetto alla catena di montaggio fordista.
“Il movimento non è sinonimo
di lavoro. Solo il lavoro aggiunge effettivamente valore al prodotto. Uno dei
compiti principali dei dirigenti è controllare che ogni movimento dei
lavoratori sia proficuo ai fini produttivi e non si disperda in un inutile
agitarsi” Ohno, Lo spirito Toyota, Einaudi, Torino, 1999.
Il Kaizen non è un sistema
nuovo, visto che ormai è da almeno una decina di anni che in molte ditte in
Italia si è sperimentato questo modello - vedi in questo caso il modello della
FIAT di Melfi.
Il Kaizen è un modello-filosofia
aziendale della Toyota, che ha visto nella figura di Ohno il suo padre
fondatore.
Tale modello si basa sulla
diminuzione del personale e su una diversificazione nella produzione adeguata al
mercato. Il risparmio della forza lavoro è uno dei paradigmi portanti di questo
modello.
L’azienda segue
l’orientamento del mercato, non produce quantità massicce ma si calibra alla
domanda sul breve periodo (alla Ducati-Motor vi sono alcuni modelli che prima di
essere prodotti devono essere ordinati via internet). Si azzerano i magazzini e
si concepisce una fabbrica snella e flessibile, quella stessa flessibilità che
viene successivamente utilizzata a livello contrattuale e di orari per sopperire
agli sbalzi di produzione e ai cali.
Ma il sistema Toyota non è solo
questo, è l’affidamento delle mansioni burocratiche ai singoli operai. Si
chiede non solo di svolgere una mansione, ma anche di contribuire alla
programmazione delle mansioni altrui. E’ un primordiale processo di estrazione
di intelligenza operaia ai fini del profitto capitalistico. Questa metodologia
viene definita Kan-Ban, in italiano la si può tradurre “cartellino”,
infatti gli operai non fanno altro che compilare un cartellino che riporta la
quantità ed il tipo di pezzi prelevati. I rimpiazzi vengono riordinati ai
reparti a monte o ai fornitori esterni dopo la raccolta dei predetti cartellini,
cioè dopo che se ne manifesta la reale esigenza. Tutto questo diminuendo la
cosiddetta burocrazia di magazzino.
Vi è quindi un doppio livello
che si può osservare in questo modello:
adeguamento alle esigenze di
mercato e alla crisi in cui versa il sistema di produzione capitalista.
Arrivando a dover ammettere che non esiste un modello infinito di espansione del
capitale (vedi in proposito i continui accenni di Ohno alla crisi);
coinvolgimento operaio nella
produzione, nel momento in cui l’atomizzazione del processo produttivo ha
svuotato ogni conoscenza operaia del macchinario. Si arriva quindi a creare una
forma virtuale di conoscenza, da dare agli operai, per farli sentire meno
disumanizzati. Ovviamente le proposte che azienda e operai possono contrattare
sono a sistema chiuso e sempre predefinite dalla ditta.
Nell’analizzare questo tuttavia
non bisogna cadere nel modernismo (ricerca di novità in mancanza di chiare
analisi rispetto ai processi sociali in atto), visto che le forme di
coinvolgimento operaio al lavoro erano, in passato, sviluppate quanto adesso.
“In molti casi gli operai
trasgrediscono ai regolamenti e oltrepassano i compartimenti stagni delle
reciproche funzioni: come nel caso del reparto che fa gli utensili al widiam,
cioè gli utensili da tornio o fresa. Quando un fresatore di questo reparto
riceve un’ordinazione, deve innanzitutto andare lui stesso a procurarsi il
disegno, consultare gli schedari, e fare perciò un lavoro per il quale non
viene pagato perché questo spreco di tempo non è previsto dal marcatempo. Come
un automa potrebbe accontentarsi d’eseguire il pezzo conforme al disegno, ma
l’operaio sa per esperienza che non deve farlo, se non vuole avere delle
grane. Infatti, se gli utensili che ha fatto non si possono utilizzare, corre il
rischio di farsi insultare, anche se gli utensili corrispondono esattamente al
disegno. Ma succede spesso che una piccola modifica del disegno, fatta nel corso
della lavorazione, possa facilitare lo svolgimento delle operazioni”.
Questa lunga citazione non parla
di una fabbrica toyotista, ma della normalissima Renault in Francia negli anni
50-60 (D. Mothé, Diario di un operaio 1956-1959, Einaudi editore, 1960). Questo
sapere operaio dato al capitale, non è da leggersi a senso unico. In molti casi
è uno stratagemma dei lavoratori per evitare “cazziate” inutili dei
capireparto o per rendere meno “lobotomizzata” per alcuni istanti la propria
vita dentro la fabbrica. E’ un metodo di difesa contro l’alienazione e la
monotonia del lavoro. Quindi queste correzioni erano prima di tutto uno
strumento dei lavoratori più che un aiuto dato ai padroni.
Il controllo che provoca questo
modello è sicuramente più sottile e “democratico” del rigido burocratismo
della fabbrica “fordista”, tuttavia nel suo rendere partecipi i lavoratori
dimostra la sua debolezza. I lavoratori sono ancora una volta al centro, si
invitano i capi reparto e i dirigenti a mangiare con loro, si devono abbassare a
parlare con gli ultimi, per far si che i lavoratori producano in un sistema
sempre più alienato. Appare quindi prepotentemente un sistema che si basa
integralmente sulla produzione reale, questo in barba a tutti i produttori di
immaterialità... Ogni singolo elemento organizzativo, dalle macchine al
personale per la manutenzione e la logistica, sono rivolti ancora una volta
verso l’operaio che produce e che deve produrre sempre meglio e più
velocemente...[5].
Se si analizza la catena umana e
meccanica che sta dietro ad un call center si può vedere come la volontà del
singolo operatore è pressoché nulla. Pur non essendo un addetto al data entry,
non è privo di schemi di esecuzione limitati per risolvere i singoli problemi
del cliente.
La macchina delle meraviglie
La meraviglia della tecnologia
che libera l’uomo dal peso del lavoro è una falsificazione ideologica che
nasconde la realtà di un’organizzazione del lavoro sempre più dispotica e
inumana, che trova nella tecnologia un valido ausilio.
Il computer è comando. Il
comando si accresce quanto più si riproducono ed evolvono i suoi algoritmi, già
non più contenibili appieno nei precedenti schemi della logica vero-falso,
prima-dopo. Materializzata nel computer, forma assunta dal capitale fisso, è
scienza e memoria. La macchina sa e decide mentre, in modo sempre più evidente,
il lavoratore, l’umano operatore, non si può permettere alcuna libertà, deve
attenersi scrupolosamente alle regole (ed alla bizze, impuntature, rigidità,
incapacità di autocorrezione) della macchina. La scienza elettronica con le sue
leggi, ma anche le possibilità nuove che vengono identificate in flessibilità
e potenza di memoria e di calcolo, grazie a linguaggi
(software) in lento ma continuo e potenziale indefinito arricchimento, è
una scienza del comando. Tuttavia la tecnologia e le relative macchine in sé
non sono autoritarie, sono i rapporti di produzione a comandare: “Gli operai
non sono contro le macchine, ma contro coloro che usano le macchine per farli
lavorare”[6].
Gli estimatori dell’economia in
rete (e in special modo delle telecomunicazioni) non osano negare il mercato,
anzi idealizzano un mercato nemmeno nuovo ma poco al corrente delle effettive
condizioni storiche, più fluido, quello che sempre hanno invocato i liberisti.
Non c’è libero mercato senza monopoli, come non ci sono puri monopoli che si
contendono le aree del libero mercato, in una competizione/contraddizione che
porterebbe a nuove possibilità economiche e sociali[7].
Il servizio che offre un call center per la telefonia mobile, al di là della
facile e presuntuosa definizione di mercato infinito, ci rimanda alla vetusta
vendita di automobili con gli optionals, tali da sopperire alla crisi del
mercato, immettendo valore aggiunto al prodotto. I servizi, sempre più nuovi e
inutili, che si offrono al cliente attraverso la vendita di un telefonino, sono
la spia di una stagnazione della produzione.
Si vorrebbe che l’economia di
rete aprisse possibilità di commerciare in modo capillare, virtuale, capace si
di produrre servizi ma funzionali ad un mercato intasato dalle prosaiche merci
pesanti (come un telefonino nella sua reale essenza di scatola di plastica),
prodotte dal mercato. Nella società capitalista il processo non è verso la
demercificazione dei beni ma, al contrario, verso la trasformazione in merce di
qualsiasi bene necessario alla vita, dall’acqua da bere fino ai più
immateriali prodotti del pensiero, se si vuole, cellularizzati.
Dai colletti bianchi ai nani e le
ballerine
Chi è il lavoratore dei call
center? Per lo più è una figura giovane, con un buon livello scolastico,
spesso alla prima vera esperienza di lavoro salariato.
Finita l’epoca del sogno
craxiano anni ‘80, fasce sempre più estese di post-laureati o di studenti
universitari, si trovano spinte dentro una condizione di proletarizzazione
accelerata con l’incubo, non tanto malcelato, della disoccupazione.
La finezza dei call center è di
preservare nel lavoratore una certa autonomia apparente, è di insistere sulle
sue capacità creative, cosa che non potrebbe essere altrimenti in una società
dominata dall’immagine. Non deve stupire il grado di assimilazione di un
simile soggetto sociale alla filosofia aziendale; trattandosi per lo più di
aziende nate nel boom della new economy che traslano dal piano individuale a
quello collettivo le speranze di una generazione. Sono giovane, lavoro dentro un
azienda giovane, non faccio l’impiegato ma creo comunicazione, è un triste
ritornello che sentiamo in bocca non solo ai servi aziendali convinti ma anche a
molti lavoratori.
E’ cosi che mano a mano il
lavoro diventa un immenso circo per la selezione delle veline, tutte uguali,
ognuna con il suo stacchetto musicale, dove può far vedere quanto è brava. La
gara è dura, lo ricordano ogni giorno i manager dell’azienda, c’è chi sale
e chi scende in modo repentino, fa parte di ogni concorso di bellezza!
Le aziende pressano da un punto
di vista ideologico per far credere che vi sia una molteplicità di situazioni e
di comportamenti, in realtà lo schema di lavoro è predefinito. Cambia il
vestitino succinto ma non dove e quando bisogna sfilare.
Dentro gli uffici si assiste ad
una babele di incarichi, qualifiche e sottoqualifiche, in un immenso gioco di
ruolo, tanto di moda adesso.
Si plasma uno schema
organizzativo sui dictat moderni, sulla velocità di esecuzione che non tanto
velatamente sottintende anche una turnazione d’orario massiccia.
Andando a studiare le relazioni
tra i lavoratori di un call center si scopre la stessa alienazione, la stessa
gerarchia, lo stesso comando del capitale che distrugge tutto e tutti in nome
del profitto ma fortunatamente si scopre anche una genuina riottosità al
lavoro. E’ la solita democrazia del lavoro, che si basa ovviamente sulla
capacità del capitale di schiacciare e sfruttare i proletari.
I lavoratori persi in un simile
ambiente, per lo più giovani e privi di una qualsiasi memoria di classe, sono
spesso in balia di queste trovate aziendali.
La proletarizzazione che avanza
non ha tranciato ancora margini di benessere tali da mettere in evidenza la
separazione e l’oggettiva conflittualità di interessi tra i lavoratori e il
capitale.
L’azienda è giovane, io sono
giovane, il futuro sarà comunque un successo. Fino a poco tempo fa era questo
slogan, da boom anni ’60, che si sentiva nei corridoi dei call center. Non
importa se si vive ancora con i genitori fino a 30 anni, indubbiamente ci sono
anche dei vantaggi: un tetto, i pasti, gli affetti sicuri in una società che
lacera facilmente le comunità fittizie. Si trovano quindi facili
giustificazioni a questo lento, ma inesorabile, avanzamento della
proletarizzazione.
Il sindacato viene visto come uno
strano animale preistorico e quando questo si presenta magari digrignando i
denti (anche se più spesso sbadiglia) è immediatamente riportato allo zoo o al
museo dai solerti dirigenti aziendali. Il gioco di ruolo funziona se tutti
stanno alle regole, non si può mischiare il fantasy con una guerra napoleonica.
Una cosa che colpisce di un
simile settore di lavoratori è la difesa a spada tratta del concetto di
qualifica che, se legata all’alta scolarizzazione di massa, non presenta una
grossa novità.
Lavorare alla TIM o alla Omnitel
è un simbolo dei tempi. I nomi di queste aziende sono sulla bocca di tutti sia
per l’effettivo uso del telefonino, sia per il parlare che se ne fa,
soprattutto in Italia dove è diventata una psicosi di massa.
Per incrementare la competizione
tra lavoratori l’azienda fa leva su un soggetto che già socialmente recrimina
una migliore condizione, visti gli sforzi compiuti negli studi.
Non è un caso infatti che molte
lotte all’interno dei call center si siano manifestate come battaglie per le
qualifiche e vi sia una generale diffidenza verso altri segmenti di classe,
percepiti come “poveri” se si guarda alla classe operaia industriale, o
“vecchi” se si pensa al tecnico-impiegato in un ufficio di un’azienda.
Sindacando
Trovandosi davanti questo
desolato quadro sarebbe davvero presuntuoso indicare facili soluzioni per
l’agire di classe.
I militanti sindacali più
combattivi presenti dentro i call center si dividono in due tronconi: nella
sinistra sindacale della CGIL e nei sindacati di base (Cobas telecomunicazioni,
FLMU, Snater).
I militanti dentro la CGIL,
richiamano all’unità, basandosi sui numeri della loro confederazione,
accusando i sindacati di base di frammentare la classe.
Spesso la loro strategia è una
riproposizione dell’entrismo. Una esigua minoranza di militanti politicizzati
di estrema sinistra cerca dentro una centrale sindacale egemonizzata dai partiti
riformisti-liberali di strappare alcune sezioni o categorie, per portarle sotto
la loro influenza. In questo caso l’entrismo diventa metodo per cercare nuovi
militanti per il proprio specifico gruppo o partito, o nel caso peggiore
possibili elettori.
La presenza di questi militanti,
per lo più legati a Rifondazione Comunista e al “movimento”, li vede anche
dentro lo specifico sindacato della CGIL per i precari: il NIDIL.
Si arriva quindi ad avere nella
medesima azienda due sindacati della stessa centrale confederale che organizzano
i lavoratori precari e quelli fissi in modo distinto. In una fase, per altro,
dove la mobilità dei lavoratori asseconda una organizzazione di tipo
territoriale il NIDIL appare un’arma spuntata in mano ai lavoratori, emblema
essa stessa dell’accettazione passiva della precarietà. Il NIDIL non è
neppure un sindacato, ma una associazione che deve, così viene scritto nel suo
statuto, sviluppare e tutelare il lavoro precario…
Nei sindacati di base vi è una
massiccia presenza di militanti provenienti dall’estrema sinistra[8].
Questi compagni ritengono ormai persa per sempre la CGIL, e cercano di dare vita
a sindacati più combattivi. La frammentazione in cui versano, oltre
all’innato settarismo politico, è dovuto alla debolezza complessiva del
settore dove operano. Il loro generoso sforzo, si infrange in una
sopravvalutazione dell’organizzazione, non vedendo come le forme derivano dai
rapporti di forza.
Non ci è dato al momento di
sapere se esistono esperienze autonome di un certo peso, non immediatamente
sindacali in Italia[9].
E’ per noi del tutto fuori
luogo contrapporre la collocazione di compagni iscritti al sindacato
(maggioritario o non) a quelli al di fuori dei sindacati: che ci si stia dentro
o che ci si tiri fuori, è la logica sindacale che bisogna mettere in
discussione. Non vogliamo misconoscere le problematiche organizzative ma
l’estrema frammentazione del sindacalismo di base è la conferma che il
problema non sta nella scelta organizzativa. Così come il richiamo delle
centrali sindacali maggioritarie alla presunta unità dei lavoratori nasconde
una malcelato richiamo all’ordine e alla disciplina aziendale. Il lavoro
politico dei militanti dentro i sindacati dei precari della CGIL asseconda e
formalizza una divisione di classe.
Manca una capacità di critica e
di messa a fuoco dei rapporti sociali dentro lo scontro di classe. In tale
contesto, le “lotte”, quando ci sono, sono dirette dal sindacato con i
sindacati di base a fare da fronda di sinistra; tuttavia è importante saper
leggere i comportamenti e le relazioni tra i lavoratori che si creano dentro gli
uffici e il possibile contro-utilizzo della tecnologia con la quale lavorano. Si
dà poco peso all’esperienza proletaria diretta, alle frustrazioni o
intuizioni dei semplici lavoratori nell’affrontare il quotidiano scontro
sociale, senza per questo sottovalutare l’importanza e la capacità di
attrazione e organizzazione dei militanti.
Basta vedere gli elementi nella
loro ambivalenza, senza fare della mitologia. Un computer può essere utilizzato
in molti modi, come veloce collegamento fra lavoratori o scagliato in testa a un
capo ufficio…
Conclusioni
Le recenti lotte dei lavoratori
dei call center soffrono di una oggettiva dimensione corporativa e, in alcuni
casi, di ingiustificato localismo[10].
E' nella condizione oggettiva della produzione del capitale che vediamo la
possibilità di superare questo limite. Data l'organizzazione della
produzione/circolazione del capitale a livello mondiale e i bassi margini di
profitto con cui l'accumulazione si effettua, le lotte, anche le più locali e
ristrette a singoli settori, tendono ad avere effetti più generali e
conseguenze più dannose per il capitale. Lo
scontro tra proletariato e capitale, visto l'assottigliarsi del compromesso
sociale dovuto alla crisi, indipendentemente dalla percezione che ne hanno i
lavoratori, presenta aspetti inediti di potenziale radicalità.
La creazione di una tecnologia
sempre più sofisticata non ha creato isole felici del lavoro dove i conflitti
di classe sono stati banditi. Il
call center apre spazi per un'azione rivoluzionaria di alcuni segmenti
proletarizzati. Questi ultimi, infatti, acquisendo la conoscenza
dell'organizzazione del lavoro e delle tecnologie ad esso legate, possono farle
diventare armi affilate contro il capitalismo andando a colpire là dove
l'azione rivoluzionaria può avere una maggiore efficacia.
Con l'estendersi della
polarizzazione sociale, inoltre, aumenta la capacità stessa del proletariato di
estendere la comunità di lotta. In questo senso le lotte possono assumere una
importanza indipendentemente dal "risultato" che ottengono all'interno
della società capitalista. Vi sono state sconfitte, che in realtà
rappresentavano vittorie e, viceversa, vittorie che sottintendevano sconfitte. I
lavoratori dentro la lotta sperimentano nuovi rapporti sociali,
che non possono essere ricondotti alla semplice vertenza sindacale o
altri metri di misura capitalisti. Le grandi vittorie democratiche dei
lavoratori, spesso, sono state il puro e semplice recupero della democrazia
capitalista nei confronti dell'autonomia proletaria. Il padronato barattava
quote di potere all'interno dell'economia capitalista nei confronti della
classe. La presunta vittoria si tramutava quindi in un vero e proprio processo
di statalizzazione della classe, a beneficio unico della stabilità del
capitalismo e della relativa dittatura della classe borghese.
Le azioni, le elaborazioni, i
gruppi dei lavoratori dei call center nella metropoli, non avranno nessuna
prospettiva se non riusciranno a sviluppare
autonomia proletaria.
L'autonomia proletaria è il
contenuto unificante delle lotte dei proletari. L'autonomia non è un fantasma o
una formula vuota che si riduce all'indipendenza dal sindacato o dalla forma
partito. L'autonomia è il movimento di liberazione del proletariato
dall'egemonia complessiva del capitale e coincide con il processo
rivoluzionario. In questo senso l'autonomia non è certamente una cosa nuova,
un'invenzione dell'ultima ora o una felice espressione degli anni '70. E' una
categoria politica del movimento comunista.
Autonomia da: istituzioni
politiche borghesi (Stato, partiti, sindacati, istituti giuridici, ecc.),
istituzioni economiche (l'intero apparato produttivo e distributivo
capitalistico), istituzioni culturali (l'ideologia dominante in tutte le sue
articolazioni), istituzioni normative (il costume, la morale borghese).
Autonomia per l'abbattimento del
sistema globale di sfruttamento.
Autonomia proletaria per il
comunismo.
Centro di Ricerca per l’Azione Comunista
[1] Utilizziamo il termine postfordismo come una forzatura. L’approssimazione è più legata allo schematismo dei sociologi del lavoro e dei militanti politici che per comodità omettono la complessità delle relazioni di classe.
[2] Harry Braverman, Lavoro e capitale monopolistico, la degradazione del lavoro nel XX secolo, Einaudi, 1978, Torino. Genesi e sviluppo dello Scientific Management, Precari Nati, ora in www.autprol.org
[3] Ebbinghaus, Taylor in Russia, in Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe, n.3-4, maggio 1978
[4] Con il riferimento alle classi mezze tuttavia non vogliamo cadere in una visione statica di determinazione delle classi sociali. Il proletariato, ad esempio, è spesso confuso con la categoria sociologica degli operai.
[5] Sul Kaizen in Ducati motor, Precari nati, ora in www.autprol.org
[6] Noi operai lavorando produciamo capitale, Comitato Operaio di Porto Marghera nel 1969, ora in www.autprol.org
[7] “Nuova” e “vecchia” economia, lotta di classe al call center della BLU, Inflessibili n.0 estate 2000. Inflessibili organo della Rete dei lavoratori di Milano a pubblicato un resoconto sulla vertenza della BLU, paradigmatico esempio della fine dell’innocenza per la new economy.
[8] Questo non ha impedito ai sindacati di base di ottenere dei discreti risultati nelle ultime votazioni per le RSU nel settore telecomunicazioni. Esiste tuttavia uno scarto enorme tra i voti presi e il numero di attivisti.
[9] Esiste tuttavia a Milano “La Pulce, la voce dei senza voce”, foglio di controinformazione a cura del Comitato lavoratori TIM di Milano e “Voci Stonate” di Roma.
[10] Dobbiamo constatare come in alcuni casi si sono organizzati scioperi locali dei call center, completamente annullati dalle aziende, mediante lo smistamento delle telefonate su call center di altre città o province.
Lavoratori cablati al computer,
che parlano a clienti attraverso un microfono collegato ad una cuffia, chiamata
dopo chiamata, per tutto il giorno. I call center sono un lavoro d’ufficio
taylorizzato con dei ritmi da macchina.
In modo da rompere la consolidata
posizione dei lavoratori d’ufficio nelle banche, assicurazioni, servizi
pubblici… i capitalisti hanno riorganizzato il lavoro e, dividendo in mansioni
più semplici, hanno utilizzato la tecnologia connessa al computer con il fine
di creare un contesto simile a quello della fabbrica. Hanno assunto lavoratori
non specializzati, che rispondono a chiamate di clienti, offrono assistenza
tecnica, servizi per ordinare merci e per l’assistenza clienti… oppure
chiamano persone per la vendita, la ricerca…
Questo è uno sviluppo
internazionale: i call center sono nati in
Usa negli anni ottanta, ma oggi si trovano dalla Cina all’Argentina. In Europa
impiegano più di un milione e mezzo di persone. E la callcenterizzazione degli
uffici continua.
I call center sono gli sweatshops
della fottuta nuova economia.
Molti lavoratori preferiscono
lavorare nei call center… piuttosto che in fabbrica, nell’edilizia, in
ristoranti o nelle pulizie. Può sempre andare peggio!
La maggioranza dei lavoratori dei
call center sono giovani donne, affabili ed estroverse. Più della metà hanno
contratti part-time.
Nei loro tentativi di
sopravvivere al ritmo stressante del lavoro devono fuggire ai controlli dei
padroni e alla sorveglianza dei computer. Molti di loro sabotano il flusso di
chiamate con il fine di prendersi una pausa qui e là. Cambiano lavoro più di
una volta l’anno… sperando che le condizioni siano migliori. Alcuni – ma
solo pochi – organizzano scioperi…
Così, come possiamo partecipare
alle lotte? Il potere operaio è basato sull’abilità di organizzarsi assieme
e bloccare il processo di produzione e accumulazione del capitale. Quello di cui
hanno bisogno i lavoratori è fiducia in loro stessi, forme collettive di lotta
e la prospettiva di un altro mondo senza sfruttamento.
Niente di tutto questo è stato
sviluppato nei call center, ciò è anche dovuto alla mancanza di un forte
movimento di lavoratori altrove. Infatti, i lavoratori del call center non hanno
ancora trovato una nuova forma collettiva per resistere al lavoro… basata
sulla loro specifica situazione.
Ai lavoratori delle linee di
montaggio è stata necessaria una generazione… non possiamo cambiare la
situazione attraverso un attivismo o un sindacalismo radicale. Ma, ci sono segni
promettenti: non c’è niente da difendere riguardo al lavoro e gli stessi
lavoratori dimostrano, apertamente o timidamente, quanto odiano il lavoro
defaticante; molti non sentono un senso di identità per il lavoro e non
percepiscono che stare in un’azienda sia una cosa buona; molti hanno imparato
ad usare il computer per i loro scopi privati di comunicazione; molti non vedono
il lavoro come il centro della loro vita.
I lavoratori usano forme
collettive ed individuali di sabotaggio? Segnali di una critica embrionale del
sistema di relazioni capitalistiche che ci costringe a vendere la nostra forza
lavoro ogni giorno? Questo porta ad un processo rivoluzionario? Come possiamo
contribuire a tutto ciò? E’ sufficiente fare circolare informazioni sulle
lotte che avvengono altrove?
Come collettivo della Rhur in
Germania abbiamo lavorato nei call center per tre anni, cercando di comprendere
la situazione, imparando dagli altri lavoratori, cercando momenti di ribellione.
Utilizzando le categorie dell’inchiesta per l’intervento abbiamo fatto
interviste, scritto volantini, creato un sito. Con altri militanti in Gran
Bretagna e in Italia abbiamo discusso della situazione e delle modalità
migliori per comprendere i conflitti ed esserne coinvolti. Alcuni di loro hanno
anche preso parte all’inchiesta e all’intervento che abbiamo chiamato HOT
LINES.
Abbiamo distribuito la serie di
volantini, qui di seguito riportati, dentro e di fronte ai call center nella
nostra regione, li abbiamo tradotti in inglese e spediti in giro per il mondo.
Questi danno una panoramica, una descrizione ed una interpretazione: dei
tentativi padronali di intensificare lo sfruttamento, le loro strategie per
dividere, opprimere e motivare i lavoratori; il non-sense del lavoro e riportano
alcune lotte.
Tuttora, abbiamo alcune critiche
che riguardano i volantini e il modo in cui sono stati elaborati.
Siamo stati capaci di descrivere
e di spiegare le condizioni di sfruttamento nei call center ma, scrivendo
volantini “generali” che abbiamo distribuito in molti call center, non siamo
stati capaci di focalizzarci su di una situazione specifica in un posto di
lavoro e di intervenirci. Abbiamo scritto altri volantini su singoli call
centers ma eravamo così coinvolti con la “serie” che non abbiamo avuto
molto tempo per questo.
Descrivendo le condizioni di
sfruttamento non abbiamo realmente centrato il punto in cui avremmo potuto
spiegare il comportamento quotidiano dei lavoratori in momenti lotta.
Considerando l’immagine speculare che abbiamo fornito ai lavoratori, avremmo
potuto mostrare meglio come i loro tentativi quotidiani di sfuggire al lavoro,
di sabotarlo, di utilizzare le macchine per fini privati, di cambiare lavoro più
volte siano la contraddizione basilare delle relazioni capitalistiche: i
lavoratori sono costretti a lavorare per sopravvivere ma resistono e cercano di
scansare il lavoro.
Per fare questo avremmo dovuto
possedere già gli strumenti per affrontare una discussione su una società
diversa e sul comunismo. Che non significa parlare di una distaccata idea
utopica, ma della attuale tendenza nella vita e nelle lotte dei lavoratori. I
volantini terminano con l’invito a prendere l’iniziativa, a cominciare a
lottare, a resistere. Ma, invece di lanciare l’idea, avremmo dovuto indicare
le azioni concrete dei lavoratori contro il lavoro e le tendenze comuniste
dietro a questo.
Nei volantini avremmo potuto
trattare più esplicitamente della speciale natura del “prodotto” prodotto
nei call center, con il fine di iniziare una discussione sulla collocazione dei
call center nel complesso della produzione sociale. Il processo di lavoro
nei call center può essere parzialmente organizzato come una fabbrica
(divisione del lavoro, uso delle macchine, ecc.) ma, paragonato a un “prodotto
materiale”, il prodotto del lavoro del call center mostra più chiaramente che
è un risultato delle relazioni sociali capitalistiche. Nei call center non
produciamo beni per la vita quotidiana ma compensiamo e mediamo alle divisioni
capitalistiche: nei call center delle banche comunichiamo agli altri lavoratori
il livello di debiti sul loro conto, trasferiamo grosse parti dei loro stipendi
nei conti dei padroni di casa, offriamo nuovi crediti; nelle linee di assistenza
tecnica compensiamo le conoscenze perse dei nostri oggetti quotidiani;
ascoltiamo ed aiutiamo le persone che non hanno amici; riceviamo ordini di
persone che non hanno tempo di andare nei negozi, spesso a causa dei turni o di
altre forme di esclusione sociale. Nelle discussioni avremmo potuto rendere, più
chiaramente, che l’emergenza dei “servizi” non è un processo naturale ma
piuttosto un’espressione della tendenza capitalista di mutare le relazioni in
rapporti mercificati o salariati. I call center sono l’espressione di un
circolo vizioso: il tentativo di creare, sotto
condizioni simili alla fabbrica, un servizio o un surrogato per relazioni
distrutte o distorte della vita quotidiana in una società-fabbrica.
I volantini mostrano l’attuale
situazione nei call center ma sono stati elaborati durante un periodo di scarsità
di lotte, come di scioperi. Nella nostra regione c’era stato solo uno sciopero
alcuni mesi prima che iniziassimo a lavorare nei call center. Questo è un
problema di carattere generale: attualmente non c’è un movimento e assistiamo
a pochi conflitti. Le lotte che vediamo sono per la maggior parte a difesa del
vecchio status quo dello sfruttamento contro ulteriori deterioramenti. Così
possiamo difficilmente indicare il processo di liberazione che avviene durante
le lotte, quando i lavoratori superano le loro divisioni e i limiti delle
relazioni capitalistiche.
In questa situazione la maggior
parte degli sforzi per migliorare le condizioni nei call center erano
“controllate” dai sindacati. Inoltre, nei call center senza sindacati o
senza strutture rappresentative di lavoratori, quelli più attivi hanno iniziato
loro stessi a creare strutture sindacali. Abbiamo criticato questo ed
evidenziato la funzione pacificatrice dei sindacati che aiutano a sostenere il
capitalismo. Abbiamo, anche, sottolineato la necessità
dell’auto-organizzazione, ma non ne abbiamo evidenziato i limiti. Senza
conflitti aperti e una discussione sulla potenziale abolizione dello
sfruttamento questi sforzi si riducono a tentativi para sindacali per migliorare
un poco le condizioni. Forme di auto-organizzazione hanno un significato solo
quando hanno lo scopo di sabotare il processo di lavoro e quando, durante le
lotte, hanno lo scopo di spezzare il controllo sindacale e coincidono con forme
effettive di interruzione dell’accumulazione del capitale.
Già quando stavamo elaborando
gli ultimi numeri di HOT LINES avremmo dovuto evidenziare ciò che, ora, è più
che evidente: il decesso della New Economy e la crisi nel settore finanziario
stanno “divorandosi i propri figli”. Due anni fa i call center venivano
ancora esaltati come l’uscita di emergenza dalla crisi industriale: nuovi
moderni posti di lavoro per tutti. Ora diviene più chiaro ogni giorno che,
nonostante tutta la tecnologia, i call center saranno sommersi dalla crisi
insieme ai settori a cui sono collegati. Non ci può essere un boom indipendente
dei servizi o della finanza e ovviamente i telefoni cellulari e internet non
sono capaci di creare un nuovo ciclo di accumulazione come le industrie
precedenti. Nei volantini di HOT LINES avremmo potuto puntualizzare il nesso tra
lo sviluppo globale della crisi e la minaccia di chiusura e di dismissione nei
call center della nostra regione: come il termine di una lunga catena di settori
correlati che è tenuta assieme solo dai fragili legami del valore.
Utilizzeremo queste critiche per
i nostri tentativi successivi. Mentre leggete questi volantini dovreste tenerle
in considerazione. Ad ogni modo, imparerete molto sulla quotidiana realtà, lo
sfruttamento nei call center, le contraddizioni e le forme di resistenza dei
lavoratori. In questo momento stiamo cercando di raccogliere rapporti
dettagliati sulle recenti lotte in differenti settori e regioni, con il fine di
discutere il loro significato insieme con altri compagni e collettivi.
Su www..prol-position.net potete
trovare un primo questionario sulle lotte e una proposta più dettagliata di
organizzare lo scambio.
Amore e rabbia
Volantino
per una vita migliore
Ruhrgebiet,
Germany
No.1,
Oct. 2000
Presentazione
Siamo operatori di call center e
altri lavoratori. Con il presente e i successivi volantini vogliamo diffondere
informazione circa i problemi e le conflittualità qui in Germania e in altri
paesi. Distribuiremo i volantini sui seguenti soggetti durante le prossime
settimane e i prossimi mesi, davanti e dentro i call center. Tutti i volantini
sono pubblicati – assieme ad ulteriori informazioni – su questo sito:
www.free.de/prol-position. Prendete parte alla discussione! Mandate le vostre
idee, critiche e rapporti dal “vostro” call center a questo indirizzo di
posta elettronica: hotlines@free.de
Rapporti dai call-center di:
Quelle
(Essen)
Medion
(Muelheim/Ruhr)
Deutsche
Bank 24
Client
Logic (DTS)
Citybank (tutti a Duisburg)
Introduzione
A Ruhrgebiet, Glasgow, Parigi,
Milano o Berlino… i call center sono stati aperti da anni in molte città e
regioni. Già a centinaia di migliaia lavorano nei call center nel settore
bancario e nell’industria delle assicurazioni, nelle hotlines di assistenza
tecnica, nelle vendite e nel marketing, nei servizi di ordine…In qualità di
lavoratori in un call center, chiamiamo le persone (outbound) o rispondiamo alle
loro chiamate utilizzando tecnologia telefonica-informatica integrata. Molti di
noi lavorano a turni. Il lavoro è suddiviso in passaggi rigidi e precisamente
definiti. E siamo controllati da capisquadra. Molti di noi lavorano nei call
center perché in alcune regioni è questa l’unica opportunità di ottenere
facilmente un’occupazione. A volte questi lavori sono meglio retribuiti di
quelli in fabbrica, nelle pulizie o nei negozi. Ma mentre i padroni e i politici
ci presentano i call center nei loro fascicoli di pubbliche relazioni come
“una moderna forma di lavoro”, nei fatti, hanno fatto di noi il proletariato
della loro “società dei servizi e dell’informazione”! I call center erano
e sono un attacco contro il rifiuto di molti impiegati di accettare il
deterioramento delle loro condizioni (nelle banche, assicurazioni, uffici
postali, telecomunicazioni e altri uffici). Per molti lavoratori, call center
sta per prolungato orario di lavoro, lavoro a turno obbligato, controllo
costante e intensificazione del lavoro. Lavorare nei call center significa a
volte stress, a volte noia, l’obbligo di essere amichevoli e ingannevoli nei
confronti della clientela, mai abbastanza soldi e troppe ore al lavoro. Eppure,
dipende da noi, i lavoratori, sotto quali condizioni lavoreremo nell’immediato
futuro. Il nostro atteggiamento e le nostre lotte determineranno se i capi
possono accelerare il ritmo di lavoro e costringerci a lavorare in
straordinario, oppure se possiamo appropriarci dell’iniziativa e mostrar loro
la via d’uscita! Alcune condizioni sono a nostro favore: i giornali sono pieni
di offerte di lavoro e i padroni fanno propaganda e diffondono annunci negli
stadi, perché non possono trovare abbastanza gente che vuole fare il loro
lavoro o che rimangono “agenti di call center” per tempi sufficienti. Di
questi tempi possiamo imprimere un impulso alle cose perché non possono
permettersi di licenziare semplicemente del personale. E anche nel caso:
possiamo facilmente trovare un altro lavoro. Inoltre, spesso lavoriamo sotto
simili o identiche condizioni assieme a centinaia di lavoratori nello stesso
reparto. Molti lavoratori hanno già lavorato in altri call center e portano
avanti esperienze e contatti. Perciò non siamo isolati sul posto di lavoro, ma
possiamo organizzarci con gli altri contro spregevoli condizioni di lavoro. Non
dobbiamo rassegnarci davanti a nulla! Per l’azione collettiva contro lo
straordinario e lo stress da lavoro!
Tempi buoni, tempi cattivi…
Contro l’estensione
flessibile dell’orario di lavoro nei call center
Fine turno. I telefoni non
smettono di squillare… e puoi già vedere il supervisore avvicinarsi: “Puoi
rimanere un’altra ora?!” Merda! Hai programmato di andare al cinema con gli
amici e questo non succede spesso. E anche di sabato non hai tempo, a causa del
turno extra obbligatorio. L’avete mai sentito prima? L’interesse dei padroni
dei call center è chiaro: vogliono fare molti soldi con le chiamate in- e
outbound. Perciò, da una parte tentano di farci lavorare più a lungo: più ore
al giorno, più giorni alla settimana, più flessibili possibile, e “in
risposta”. D’altra parte vogliono che prendiamo più chiamate possibili in
un’ora e che evitiamo qualsiasi cosa che potrebbe abbassare la produttività.
In questo volantino scriviamo contro i tentativi dei padroni di estendere la
nostra giornata lavorativa.
Per alcuni il tempo è
danaro…
I fili del telefono e le orecchie
si arroventano, ma malgrado il fatto che in un breve tempo lavoriamo per
l’equivalente della paga, per il capo non possiamo tornare a casa subito dopo.
La giornata di lavoro dura più a lungo, ma il resto del tempo lavoriamo per il
piatto dell’azienda. I padroni vogliono estendere questo lavoro non pagato
costringendo i lavoratori a lavorare più ore, cioè più di 40 ore la
settimana, o nel caso del part-time, più dell’orario di lavoro pattuito. In
molti casi le precedenti ore di lavoro nelle succursali e negli uffici furono
estese con l’introduzione dei call center (per es. nel settore bancario).
Spesso questo successe con l’esternalizzazione di parti delle aziende e con
l’adozione di agenzie temporanee. Inoltre,
assistiamo a straordinario costante e turni extra, per es. nelle hotline
tecniche (Medion/Duisburg…) e nei servizi di formazione (Client Logic/Duisburg…),
durante le campagne promozionali o l’attività stagionale. E in molti call
center i lavoratori devono lavorare più a lungo perché i tempi di
addestramento non sono pagati, o come a Quelle/Essen, dove ai lavoratori viene
chiesto di arrivare prima così che possano leggere le nuove istruzioni (sull’intranet)!
Alcuni call center arrivano a mandare a casa i lavoratori senza paga quando i pc
collassano o se ci sono poche chiamate (Client Logic/Duisburg). In questo caso,
i lavoratori dipendono dalla paga perduta che devono mettere assieme in un altro
giorno a causa delle ore mancanti! I padroni estendono anche le ore di lavoro
totali: i governi di molte regioni tedesche (Bundeslaender) sono stati
bendisposti a permettere il lavoro di domenica, che è stato introdotto in molti
call center. Lo stesso per le feste nazionali. Il lavoro festivo è adottato per
es. nelle banche-in-linea (Citybank e Deutsche Bank 24, entrambe a Duisburg…).
Il lavoro notturno in ogni caso. Molti padroni di call center non corrispondono
alcuna maggiorazione per il lavoro domenicale o per lo straordinario. I
lavoratori continuano a fare straordinario sebbene le passate esperienze
dimostrano che le ore di straordinario e le maggiorazioni festive danno luogo a
paghe più alte solo per brevi periodi. Quando accettiamo di lavorare più a
lungo su base regolare, le paghe velocemente cadono a un livello sufficiente
appena per vivere e andare al lavoro. Questo attacco, il tentativo di estendere
l’orario di lavoro, non succede solo nei call center, ma anche in altri
uffici, nei negozi e nelle fabbriche. I call center sono parte di questa società
nella quale il profitto – e non i bisogni dei lavoratori – decidono del
lavoro, dei metodi di lavoro e dei prodotti. Perciò, l’adozione di tecnologie
più produttive (come l’automazione e le tecnologie dell’informazione) non
conduce ad un lavoro meno gravoso o a meno lavoro. Al contrario: alcuni
lavoratori nelle fabbriche e negli uffici devono fare turni extra e
straordinario. Grazie all’orario di lavoro flessibile, altri sono – durante
i periodi di disoccupazione – in grado di sopravvivere solo con tre lavori
part-time.
… e lo stress da ritmo di
lavoro e da mansionario è solo per noi!
Ma perché i padroni tentano di
estendere la giornata lavorativa e le ore totali di lavoro? Perché tentano di
attaccarci ai telefoni 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana? Loro si
giustificherebbero con “il servizio alla clientela”. Ma l’importante è:
quanto più a lungo le macchine, cioè i computer, i sistemi telefonici ecc.
sono utilizzati, notte e giorno, tanto prima rientreranno dei loro investimenti
e potranno realizzare profitto! E perché mai straordinario e turni extra? Lo
sappiamo tutti: in “inbound” a volte hai molte chiamate, a volte poche. In
“outbound” l’ammontare di chiamate varia di meno, ma ci sono a volte molte
commissioni dei contraenti, a volte no. La dirigenza tenta di pareggiare la
fluttuazione delle chiamate e delle ordinazioni cercando di far lavorare gli
operatori nello straordinario e nei turni extra, nei tempi di alto volume di
traffico; e nei tempi meno congestionati vogliono che essi stiano a casa o
lavorino durante i turni regolari.
Così, ecco cosa si nasconde:
dobbiamo lavorare flessibilmente e ogni volta metterci sottosopra quando i
padroni soffiano nel fischietto, per non dover assumere più personale. Questo
costerebbe denaro e abbasserebbe i loro profitti! Il conflitto circa la
lunghezza della giornata lavorativa è una lotta cruciale tra lavoratori e
padroni. Ci sono state, per es., lotte per la giornata di 8 ore e la settimana
di 40 ore. Ma fu la diretta pressione esercitata dai lavoratori – piuttosto
che le vertenze pubbliche dei sindacati (come quella delle 35 ore settimanali
negli anni 80) che condussero alla riduzione dell’orario di lavoro. In questo
momento siamo sotto pressione e troviamo risposte piuttosto sulla difensiva di
fronte all’estensione dell’orario di lavoro e alla sua “flessibilizzazione”:
andare in malattia nei turni festivi o un prolungato intervallo al bagno quando
il lavoro è stressante. E a volte possiamo occuparci delle linee degli altri,
così che anche i colleghi possano finalmente prendersi una pausa e parlare agli
altri lavoratori. Sicuramente, questi metodi non ufficiali di riduzione
dell’orario di lavoro vanno bene. Ma è una base di lotta debole finché
accettiamo il doppio delle chiamate quando non ci sono abbastanza operatori in
risposta in gruppo.
Se vogliamo avere più tempo per
la nostra vita nel lungo termine, e sacrifichiamo meno ore al lavoro, dobbiamo
lottare assieme! Non dobbiamo aspettare finché l’ultima persona del gruppo ha
capito che non dovremmo più prendere della merda. È sufficiente se cominciamo
a sollevarci assieme ad alcuni altri lavoratori nel nostro reparto! Basta con i
turni extra! Ogni ora di straordinario equivale a 60 minuti di troppo! Basta col
lavoro a turni!
Deutsche
Bank 24
Turni
infami
La Deutsche Bank 24 ha dei call
center a Duisburg, Bonn e Berlino. Nel Settembre 1999 la Deutsche Bank è stata
rilevata da Bank 24. È vero: per impedire che gli impiegati di Bank 24
rientrassero sotto l’accordo collettivo della vecchia Deutsche Bank, la figlia
Bank 24 ha ingoiato la madre Deutsche Bank. Le condizioni nei call center sono:
40 ore settimanali per impiegati a tempo pieno, lavoro a turni (in parte
sull’arco delle 24 ore, in parte tra le 7 e le 22) con turni costantemente
variabili, paghe attorno ai 20 marchi all’ora per l’attività inbound (conti
bancari…) e un po’ di più (fidelizzazione del cliente, televendita…) per
l’attività outbound. Nell’attività inbound, le chiamate entrano
direttamente in cuffia (senza che l’operatore debba premere un pulsante per
accettarle), così che devi stare in allerta tutto il tempo. A volte c’è una
chiamata dopo l’altra, come nel cottimo, sempre uguale, monotono e orrendo.
Presto oppure tardi ti può capitare di startene seduto in preda alla noia perché
non chiama un’anima. A causa del lavoro a turni, a volte cominci a lavorare
alle 7, a volte alle 10 o alle 13. Accade che tu abbia meno di 11 ore tra un
turno e l’altro. È sfinente. C’è
un Consiglio di Lavoro (Betriebsrat) che flirta con la dirigenza (per es. nelle
pause orarie per videoterminalisti). Ma che potrebbe fare un Consiglio di
Lavoro? Dobbiamo assumere l’iniziativa nelle nostre mani. È difficile, perché
molti lavorano qui solo per un breve periodo. Chiunque ne abbia avuto abbastanza
sta cercando un altro lavoro. È tempo che gli insoddisfatti si uniscano e
facciano qualcosa contro lo stress da lavoro!
Citybank
Ore X-tra di lavoro
Lavoriamo nel call center di
Citybank a Duisburg. Nell’estate del 1999 la maggior parte dei call center e
di altri reparti amministrativi sono stati concentrati a Duisburg – nonostante
la resistenza dei lavoratori e gli scioperi contro la serrata dei precedenti
call-center e il deterioramento delle condizioni (per es. a Bochum).
Oggi ci sono tra gli altri il Phonebanking (quotazioni, trasferimenti…)
e il Branchphone (chiamate per le succursali). I lavoratori del Phonebanking
guadagnano da 19 a 20 marchi lordi e lavorano 40 ore, nel Branchphone i
lavoratori guadagnano circa 23 marchi l’ora. A causa della concentrazione di
molte mansioni e l’apertura di Citybank GmbH a Duisburg, i padroni sono
riusciti ad estendere il nostro orario di lavoro e quello di molti altri
lavoratori di altri reparti. I lavoratori nel Phonebanking devono essere
preparati a lavorare sempre, giorno e notte, tutti i giorni della settimana.
Pertanto lavoriamo a turni con l’orario d’inizio costantemente variabile,
cosa che ti esaurisce in breve tempo. Quando il settore di Phonebanking si
trovava ancora a Bochum, l’intervallo pagato era di 60 minuti per giornata
lavorativa di 8 ore. Un mese dopo l’apertura del reparto a Duisburg,
l’intervallo pagato è stato ridotto della metà! Gli intervalli cominciano in
orari diversi, proprio come i turni. Per molti lavoratori che furono assunti
alle condizioni del Contratto di settore dei bancari (prima di essere trasferiti
a Duisburg), il passaggio nella neo-fondata Citybank GmbH ha significato
l’estensione dell’orario di lavoro. Dopo la scadenza di uno speciale
contratto (Sozialplan) di 2 anni, devono lavorare 40 ore invece di 39. E
guadagneranno anche molto meno. Le loro ferie saranno ridotte a 25 giorni
l’anno. Ora la dirigenza cerca di far passare l’estensione dell’orario di
lavoro anche nelle succursali. I lavoratori nelle succursali lavoreranno più a
lungo durante la settimana e anche di sabato. In alcune città questo sta già
accadendo. Ecco perché nel settore Branchphone hanno cominciato a lavorare
turni extra. Il fatto che non ci siano azioni di lotta contro l’estensione del
tempo di sfruttamento, è anche connesso alla situazione precedente il
trasferimento a Duisburg: molti di coloro che avevano combattuto contro la
serrata dei call center di Citybank e avevano scioperato nel Novembre 1998, sono
stati licenziati prima dell’apertura a Duisburg. A Duisburg molti si sentirono
vulnerabili sulle prime, e la maggior parte delle persone non si conosceva. Nel
frattempo questa situazione è cambiata e possiamo portare avanti esigenze
comuni. La situazione è buona,
perché la dirigenza non riesce a trovare abbastanza gente disposta a fare il
loro lavoro o a rimanere a lungo a Citybank. Il momento è giusto, cominciamo la
lotta!
Quelle
Crescenti ore di lavoro
Io lavoro nel reparto ordinazioni
del call center Quelle-GmbH a Essen, assieme a circa 300 lavoratori. Altri
lavorano all’assistenza clienti (reclami, conti, cambi). Il call center è
aperto da lunedì a sabato, dalle 7 alle 22, come quelli di Colonia, Mainz,
Padborg e quello principale a Nuremberg-Fuerth. I lavoratori di Lipsia,
Magdeburgo, Chemnitz e Cottbus (Germania orientale) fanno anche i turni di
notte. Guadagnano anche meno di noi. Noi percepiamo 15,40 marchi lordi come
full-time, e 14,40 come part-time – a parte coloro che hanno contratti con la
vecchia Quelle AG. Loro guadagnano circa un terzo in più. Abbiamo turni sempre
variabili. A volte dobbiamo lavorare fino alle 22 e poi essere nuovamente
amichevoli alle 8 del mattino successivo. Con un sorriso sulle labbra. Mentre
del lavoro ne abbiamo fino alle orecchie. Lo straordinario è regola, senza
maggiorazioni! E circa 150 fortunati lavoratori devono turnare di sabato –
ancora senza maggiorazioni. Non prendiamo un centesimo neanche per la pausa
pranzo. E per usufruire dell’intervallo pagato per videoterminalisti, dobbiamo
cercare la “coccinella”: ogni gruppo ha una sola “coccinella” e solo con
quella in mano ti è permesso fare pausa. Inoltre, ci viene chiesto di venire
mezz’ora prima dell’inizio del turno per leggere velocemente le nuove
istruzioni sull’intranet! Non pagati. E non ci hanno nemmeno corrisposto
l’intera paga per il periodo di addestramento! La direzione non concede ferie,
i monitor sfarfallano, la schiena fa male, e ci viene chiesto di rimanere
flessibili e lasciare che le orecchie ci siano strappate via. Prima di tutto
dovremmo batterci per le pause, in qualsiasi momento ne avessimo bisogno! È
tempo di rialzare la testa, a Quelle!
Client Logic
Un’istantanea di 8 ore
Io lavoro per il call center di Client Logic (precedentemente DTS). Si tratta di una compagnia di call center che evade le chiamate per altre aziende o i trabocchi dei loro call center. A Duisburg circa 500 lavoratori sono nel reparto ordini (Neckermann, Weltbild, Conrad) e nell’assistenza tecnica (Premiere World, Tele2...). Il call center è aperto 7 giorni alla settimana dalle 6 alle 24. Le maggiorazioni per il fine settimana vengono costantemente soppresse. Quella per il sabato è stata spazzata via completamente. Finora non ci sono state azioni contro il taglio degli stipendi, cosa dovuta in parte all’alto avvicendamento (turn-over) del personale. Molto pochi rimangono abbastanza a lungo da notare quanto siano stati tagliati gli stipendi. La maggior parte lavora con contratti da 630 marchi, part-time. I part-time guadagnano 12 o 13 marchi l’ora, i full-time 16. L’orario di lavoro è regolato dai contratti, ma quando ci sono poche chiamate, alcuni lavoratori sono spediti a casa senza paga! Per avere abbastanza contanti alla fine del mese, hai bisogno di recuperare quelle ore in un’altra giornata. La dirigenza conta sulla nostra flessibilità d’orario e voglia di lavorare in straordinario, in particolare durante la stagione natalizia e le fasi promozionali dei nuovi prodotti. Client Logic è alla costante ricerca di personale e non riesce a trovarne abbastanza. L’azienda dipende da noi, da quanto abbiamo voglia di lavorare con l’attuale volume di traffico. Questa è la nostra forza. Non dobbiamo accettare turni variabili e paghe differenziate fin troppo basse. Soprattutto adesso, proprio prima della stagione natalizia, possiamo mostrargli il fatto loro!
Medion
Perdere la testa in 50 ore
I lavoratori del centro Medion
Technologie (Muelheim/Ruhr) fanno assistenza tecnica per tutti i tipi di servizi
che Medion crea con la vendita di pc, periferiche e merci elettroniche per il
consumatore. La paga al primo livello (reparto welcome) è di circa 17,50
marchi, al secondo livello di 20 l’ora. Alla fine dello scorso inverno ci fu
una promozione da Aldi (catena di supermercati) e altro personale fu assunto. Le
ferie non erano permesse e tutti dovevano fare turni extra. Lavoriamo 40 ore
settimanali, che comunque è chiedere un po’ troppo. Ogni tre settimane
dobbiamo prestare servizio anche un “sabato obbligatorio”! Le domeniche sono
per così dire a titolo volontario. Durante i giorni promozionali (6 settimane!)
il primo turno prevedeva di lavorare tutti i sabati, e l’ultimo turno, la
domenica – senza cambiamenti per quanto riguardava il “sabato
obbligatorio”! Tutti dovettero lavorare almeno una volta per 13 giorni di
fila, con un solo giorno a casa dopo. Nel picco di tutto questo, il volume di
chiamate era molto più alto. La morale tra i lavoratori era pessima, eppure
nessuno suggerì di occupare l’ufficio del capo o di rifiutare lo
straordinario. Al contrario, alcuni dei lavoratori “anziani” raccontarono
agli altri che durante la precedente promozione avevano lavorato 3 settimane
senza interruzione, e 9 ore al giorno. Avremmo anche dovuto essere grati di
poter godere di un giorno di pausa in mezzo. Arrabbiati come eravamo, ciò ci
sottrasse quel poco di coraggio che avevamo. Sentendosi isolati, alcuni
imboccarono l’ultima via di fuga e si diedero malati. Molti hanno lasciato
l’azienda dopo la promozione. Ma un’azione unanime durante la promozione
avrebbe potuto volgere la situazione a nostro favore. Al momento l’ufficio
personale ha difficoltà a trovare persone sufficienti per il lavoro. E la
dirigenza non sarebbe stata in grado di organizzare velocemente un call center
di crumiri. Beh, la prossima promozione arriverà presto…
lettere:
hotlines c/o Fabrik, Grabenstrasse 20, 47057 Duisburg, Germany
Volantino
per una vita migliore
No.2,
Dec 2000
Lavoriamo nei call center (e
altrove) e produciamo una serie di volantini. In questo modo intendiamo
appoggiare e promuovere la discussione tra lavoratori. Dobbiamo insorgere
assieme contro lo stress e la coazione del lavoro. Possiamo farlo solo
auto-organizzandoci e trovando strategie - assieme agli altri lavoratori - per
reagire contro le politiche della dirigenza e promuovere i nostri stessi
interessi. La nostra forza sta nel fatto che possiamo facilmente accordarci con
gli altri lavoratori - per esempio - per rifiutare lo straordinario, ignorare
gli ordini del capo o ridurre il ritmo di chiamata. Senza che il capo sia
preparato e senza la mediazione o il controllo dei Consigli di Lavoro (in
tedesco: Betriebsrat) o dei Sindacati. Se sviluppiamo questa forza e la usiamo,
ciò può costituire un passo avanti verso il superamento della schiavitù del
lavoro salariato in quanto tale. Tutti i volantini sono pubblicati - assieme ad
ulteriori informazioni e contributi - sul sito: www.prol-position.net. Prendete
parte alla discussione e inviateci le vostre idee, critiche e rapporti: Email:
hotlines@motkraft.net. Lettere: hotlines c/o Fabrik, Grabenstrasse 20, 47057
Duisburg
Introduzione
Un po’ di cose sono successe da
quando abbiamo distribuito il primo volantino (sull’estensione flessibile
dell’orario di lavoro nei call center) in Ottobre. A Medion/Muelheim abbiamo
distribuito un volantino sulle elezioni programmate dei Consigli di Lavoro, e un
altro a Quelle/Essen sulle frasi standard. Hanno distribuito un volantino sui
call center anche amici italiani. Potete trovare tutto questo sul sito nonché
ulteriori contributi alla discussione. Andiamo avanti.
Chiamata dopo chiamata -
sull’intensificazione del lavoro
Appena arrivato al lavoro,
computer acceso, programma partito, loggato al sistema telefonico. Il
supervisore arriva: “Ecco le tue statistiche di ieri. Hai ecceduto di un
minuto e 25 secondi la fine della pausa!” Vorrei che scomparisse qua davanti a
me, ma ha appena cominciato: “Inoltre, i tuoi tempi morti sono del 10% più
lunghi degli altri operatori. E non hai raggiunto la media di 20 chiamate
all’ora. Perciò non otterrai di nuovo nessun premio”. La guardo nella
maniera più annoiata possibile. Perché non mi lascia stare neanche per
prendere un caffè? Ma ricomincia: “Ti daremo assistenza. Domani il trainer
ascolterà le tue chiamate. Ti può dare buoni consigli!” Il trainer,
brillante! Ricomincerà a dire che manca il “sorriso nella voce”, che stai
usando parole proibite come “problema”. Poi si farà viscido e dirà quanto
sarebbero promettenti i tuoi sforzi, ma che c’è “ancora spazio per
miglioramenti”… Mentre il primo volantino era dedicato ai tentativi dei
padroni dei call center di estendere l’orario di lavoro, quello presente è
sui loro tentativi di farci lavorare “efficacemente” e senza interruzioni.
Divisione del lavoro
Esistono 2 forme di stress: o il lavoro è monotono perché facciamo costantemente le stesse cose; oppure è febbrile perché ci vengono affidati sempre più compiti. Dietro ciascuna forma di stress sta il tentativo dei padroni di rendere il nostro lavoro il più produttivo e redditizio possibile. Perciò parcellizzano il processo di lavoro e autorizzano esclusivamente determinate operazioni al singolo lavoratore. Cronometrando il tempo e osservando i lavoratori, queste singole operazioni vengono analizzate sotto tutti i punti di vista e applicate in sequenze precostituite. Nei call center questo viene fatto definendo i flussi di lavoro per la gestione della chiamata e definendo le frasi standard per dare il benvenuto ai clienti (vedi il rapporto su Quelle). In questo modo vogliono che il nostro lavoro diventi misurabile e confrontabile - una precondizione per definire e innalzare un certo ritmo di chiamata (per es. 20 chiamate all’ora). Ma quanto è concepito per incrementare la produttività e creare più profitto per la Proprietà (più chiamate con meno lavoratori) per noi spesso significa 2 o 3 volte lavoro in più. Dopo avere frazionato il lavoro in singole operazioni, responsabilità, ecc. nessuno sa veramente che sta succedendo. Nei call center che fanno inbound per es. le chiamate sono trasferite da un reparto all’altro e di nuovo indietro, e diventa arduo poter ottenere l’informazione giusta… Dobbiamo inventarcela ignorando semplicemente le competenze ufficiali. Ma perché i capi suddividono il lavoro in questa forma, pure se è di ostacolo a una cooperazione uniforme e produttiva? Perché non vedono altra possibilità di dividerci, controllarci e costringerci a lavorare. Perciò ci vengono negate sia determinate informazioni, sia tutti i compiti di pianificazione e coordinamento. Questo produce il caos quotidiano e maggior lavoro. Questa contraddizione non può essere risolta: finché esisteranno padroni, cercheranno di renderci dipendenti dalla loro informazione e dalla loro organizzazione.
Macchine
I padroni scelgono quelle
macchine che li mettono in grado di intensificare il lavoro e di controllare noi
al tempo stesso. La connessione di computer e strumento telefonico permette un
ritmo di chiamata più alto e uno stretto controllo sui lavoratori (attraverso
statistiche sul volume di traffico, pause, ecc.). Il software adottato ci
permette esclusivamente determinate operazioni e un preciso ordine cronologico
nel quale dobbiamo realizzarle. Le chiamate sono automaticamente dirette verso i
nostri telefoni (“Automatic Call Distribution, ACD”), a volte perfino -
senza che noi si risponda - direttamente in cuffia (“direct-to-ear”). In
questo modo vogliono prevenire ogni controllo da parte nostra sulla quantità di
chiamate che accettiamo. Nell’attività outbound, dopo aver ultimato una
chiamata, spesso il computer ricomincia a formulare il numero del cliente
successivo, così che non abbiamo tempo per un intervallo (“power dialer”).
Anche la tecnologia utilizzata mostra quanto assurdamente il lavoro - e
l’intera società - siano organizzati. Finché espletiamo un certo lavoro più
economicamente delle macchine, dobbiamo farlo - per quanto monotono sia. Se le
macchine lo eseguono più economicamente (per es. un computer che risponde alle
chiamate: “Interactive Voice Response”, IVR), veniamo licenziati e non ci
resta che trovare un’altra occupazione. Per quei lavoratori che rimangono in
azienda, ciò significa spesso che devono lavorare di più. Questo perché
ricevono più compiti e devono compensare le operazioni difettose delle
macchine. La possibilità di sostituire il lavoro noioso, stressante o
sgradevole con le macchine, non produce più tempo libero per migliorare la
vita, ma conduce ad un lavoro maggiore e più intenso!
Capigruppo
Per farci lavorare ed essere
incitati durante l’intensificarsi del lavoro, dobbiamo confrontarci con
capigruppo, supervisori, ecc. Costoro controllano se stiamo rispondendo a
sufficienti chiamate l’ora, controllano le nostre pause, controllano se
raggiungiamo gli standard di qualità, ecc. Non vogliono che li vediamo
semplicemente come cani da guardia e spie e, perciò - oltre ai compiti di
controllo - ottengono altre responsabilità nell’organizzazione, nel
trattamento delle informazioni, ecc. Dobbiamo dipendere dal chiedere loro aiuto
se le cose non funzionano bene o se abbiamo bisogno di qualcosa - e allo stesso
tempo sono loro a redigere le statistiche di risposta contro di noi. In questo
modo i capigruppo guadagnano informazioni sul processo lavorativo e le
trasmettono alla dirigenza. Questo significa sfruttare l’informazione per
intensificare il lavoro ancora di più. I capigruppo in quanto
“facilitatori” svolgono anche funzione di cuscinetto: ogni qualvolta ci sono
problemi e siamo all’esasperazione, dobbiamo prendercela con i capigruppo
invece di attaccare direttamente la dirigenza. Vogliono in questo modo mantenere
il livello di conflitto ridotto e confinato. I capigruppo hanno il compito di
far passare le strategie della dirigenza - contro di noi. A seconda del tipo di
conflitto e di quanto intendono realizzare, i capigruppo si comportano in
maniera differente: come “amici”, una cosa che sanno far meglio quelli che
hanno lavorato in risposta loro stessi in passato (si fanno chiamare per nome e
presumibilmente si prendono cura di tutti i problemi); oppure come
“riservati” e autoritari, cosa che viene fatta meglio dai capigruppo assunti
da fuori; mantengono le distanze e fanno passare la disciplina aziendale contro
di noi (vedi il rapporto su Deutsche Bank 24). Durante i conflitti dobbiamo
insorgere contro i capigruppo. Essi sono il nostro immediato superiore e, perciò,
stanno sulla linea di tiro. Ma essenzialmente il punto non sono i capigruppo, ma
lo stress e la coazione al lavoro in quanto tale!
Lavoro di gruppo
Nella maggioranza dei call center, i lavoratori sono divisi in gruppi. In alcuni casi il discrimine è rappresentato da qualifiche particolari (lingue straniere, conoscenza tecnica). Ma più spesso i gruppi sono semplicemente un espediente per estrarre dalla massa dei lavoratori unità più piccole, facili da controllare. In questo modo la dirigenza ha meno difficoltà a far passare politiche di intensificazione del lavoro. I gruppi sono concepiti per canalizzare i conflitti e, se possibile, per spazzarli sotto il tappeto. Invece di utilizzare la riunione di gruppo per discutere e promuovere i nostri interessi, ci è permesso solamente alleviare i nostri problemi con biscotti e caffè. Deve bastarci semplicemente pensare che qualcuno se ne sta prendendo cura. Dobbiamo sentirci parte del gruppo. I padroni cercano di metterci l’uno contro l’altro con i premi di gruppo, che vengono pagati solo se il gruppo nel suo complesso raggiunge gli obbiettivi, e sventolandoci davanti le statistiche di traffico (vedi i rapporti su Hewlett Packard, TAS…). Ci si aspetta che ci controlliamo a vicenda e che ci sproniamo a lavorare. E se i premi non riescono a farci lavorare più intensamente, semplicemente minacciano di mandarci a spasso o chiudere il call-center. Loro vogliono che interpretiamo gli altri lavoratori, gruppi, reparti, sedi o aziende come rivali. Ma dove porta la concorrenza? Se ci svendiamo l’un l’altro e ci rendiamo sempre più “economici”, alla fine tutti i lavoratori perderanno!
Ci siamo!
Il lavoro e le condizioni di
lavoro non sono nelle nostre mani, anche se al momento non abbiamo alcuna
alternativa se non di vendere la nostra forza lavoro in cambio di un salario. Un
unico interesse si nasconde dietro la costrizione all’esecuzione di un numero
ridotto di operazioni, l’uso di frasi standard e la sottomissione al ciclo
della macchina come ai comandi dei capigruppo: dobbiamo lavorare di più e più
intensamente per coloro che realizzeranno i veri profitti. Non c’è niente di
naturale in questo processo, si tratta di una modalità infame di riprodurre le
basi della nostra vita! Dobbiamo unirci dai dispersi call center, fabbriche e
ospedali e porre fine a tutto questo. Dobbiamo cominciare proprio da quei luoghi
dove lavoriamo assieme quotidianamente e ci troviamo a fronteggiare gli
interessi dei padroni. Troviamo molte piccole maniere per evitare il lavoro duro
- la prolungata pausa-pranzo, lavorare lentamente, mettere il telefono su
“muto”, metterci in malattia o provocare l’avaria del computer… Se non
facessimo tutto questo, il lavoro sarebbe intollerabile e non potremmo farlo a
lungo. Ma la vera forza e la fiducia reciproca possono crescere solamente
nell’unità d’azione. Che non deve essere necessariamente un confronto
aperto. Ecco un esempio: alla Hewlett Packard fu dato un ordine secondo il quale
i lavoratori avrebbero dovuto chiedere agli altri agenti non in linea, di
accettare chiamate in coda. I lavoratori se ne infischiarono e ignorarono
l’ordine. Non intendevano spiarsi l’un l’altro e fare l’uno il lavoro
dell’altro!
Uniamoci contro lo stress del
lavoro!
Quelle/Essen
Io lavoro a Quelle e vedo ogni
giorno quanto tentino di rendere le nostre 8 ore le più intense possibile.
Introdussero le frasi standard nel Luglio 2000 e controllano se le utilizziamo
parola per parola o meno. Non subiamo semplicemente chiamate di controllo
dall’esterno, no, ci chiamano perfino da dentro il call center per monitorare
se le utilizziamo al 100%. Tutto questo viene analizzato a livello di gruppo e
documentato davanti ai nostri occhi ogni giorno. A nessuno interessa se ci
sentiamo come un nastro registrato. E ci viene richiesta la massima attenzione
alla qualità, di dedicare tempo ai clienti, di creare una buona atmosfera nella
conversazione e di trasmettere il famoso sorriso nella voce. Tutti criteri che i
responsabili della qualità sfruttano per valutare la nostra prestazione.
Pertanto dobbiamo utilizzare le frasi standard, dimostrare la massima qualità
(come il nostro capo non manca mai di sottolineare) e raggiungere la media di 22
chiamate l’ora. Come non ne sarebbe stressato chiunque?
Medion/Muelheim
Il primo volantino HOTLINES ha
prodotto un terremoto a Medion. Ovunque in azienda i lavoratori hanno cominciato
a discutere, perfino persone che non si conoscevano prima. Pochi giorni dopo,
l’HBV (Sindacato del commercio, banche e assicurazioni) ha distribuito un
invito all’assemblea preparatoria per le elezioni del Consiglio del Lavoro (Betriebsrat).
Dopo di che fu distribuita un’edizione speciale di HOTLINES. Quest’ultima
enfatizzava il fatto che i lavoratori non dovevano riporre alcuna speranza nei
Consigli di Lavoro. Le opinioni circa la necessità di un Consiglio di Lavoro
divergevano. In questo momento non se ne sente più parlare molto. Probabilmente
ne stanno allestendo l’aspetto burocratico. Intanto le discussioni sono
declinate. Medion ha ricominciato a vendere computer e altri prodotti da Aldi
(catena di supermercati). Per noi lavoratori questo significa turni
straordinari. Ma a differenza dell’ultima volta, la dirigenza ha stabilito
regole meno intransigenti: i turni speciali sono limitati a 4 settimane (invece
di 6), lavoriamo fino a 7 giorni di fila (invece di 13!) e “solo” 8 ore al
giorno (invece di 9). Inoltre, il sistema telefonico viene staccato ogni tanto
per permettere al “reparto welcome” di gestire una precisa quantità di
clienti, e ha un attimo di pausa dopo di ciò. Se la dirigenza non avesse
stabilito regole meno dure, stavolta avrebbe corso un rischio discretamente
alto.
Deutsche Bank 24/Bonn
Un 15-20% circa di full-time sono
impiegati nel call center di Deutsche Bank 24 a Bonn. Il resto è part-time, per
la maggior parte studenti e ragazze madri. Le paghe si aggirano attorno ai 19
fino ai 23,50 marchi. Dopo la fusione di Deutsche Bank e Bank 24, i reparti sono
stati riorganizzati e gli agenti hanno ottenuto più compiti… senza paga
extra! Il “servizio conti correnti” (movimenti bancari…) è diventato il
“servizio conti correnti e sicurezza”. Gli operatori devono occuparsi di
sicurezza nelle transazioni, ogni qualvolta il reparto sicurezza è bloccato da
troppe chiamate. In seguito altre mansioni sono state aggiunte, come i prestiti,
carte di credito, ecc. Il settore che se ne era occupato fino ad allora
(“servizi bancari”) è stato sciolto. Inoltre, gli operatori del “servizio
conti e sicurezza” devono far fronte al trabocco del “servizio on-line”
(che si occupa di domande sul conto corrente on-line). Tutto questo senza una
formazione appropriata. Molti lavoratori hanno rifiutato le mansioni aggiuntive,
e hanno continuato a trasferire le chiamate ad altri reparti ogni qualvolta
possibile. Perciò sono stati messi sotto pressione dal controllo sulla qualità.
Una volta al mese un “trainer” ascolta le chiamate e valuta la
“prestazione professionale”. E una volta al mese un “supervisore”
parimenti ascolta le chiamate e giudica il tuo rendimento verbale: ti dice che
stai usando troppe espressioni negative, che dovresti evitare coniugazioni al
condizionale e che mancano le particelle di apprezzamento personale (per es.
“Ben fatto...”). La supervisione decide se un agente è suscettibile di
avanzamento di livello o meno. Se non stai simpatico al supervisore… beh,
sfortuna! Gli agenti del “servizio conti e sicurezza” subiscono statistiche
sul volume di chiamate, tempi di chiamata, After-Call-Work, pause, ecc. Con
commenti che l’ACW era troppo lungo e che qualcuno ha superato di 25 secondi
la fine della pausa per ben 3 volte! Dopo la fusione anche la disposizione delle
postazioni è cambiata. Prima c’erano spazi aperti, tavoli senza strutture
divisorie e libera scelta dei posti. In questo modo i lavoratori potevano sedere
vicino agli amici e parlare. Poi sono
stati introdotti i tavoli per quattro persone con pareti divisorie e agli agenti
è stato chiesto di lavorare assieme in gruppi prestabiliti. Apparentemente lo
scopo era evitare che i lavoratori potessero divertirsi assieme. I lavoratori
continuano a portar fuori i pannelli divisori… e di notte qualcuno li riporta
dentro. I full-time non riescono a fare questo lavoro per più di 2 o 3 anni.
Delle due, l’una: o te ne vai, oppure diventi capogruppo. Al momento nessun
full-time può più diventare capogruppo. Questi ultimi vengono ormai tutti da
fuori. Finora i capigruppo si facevano chiamare per nome, adesso insistono sul
cognome. Apparentemente intendono sostituire il vecchio morbido regime, quello
della vecchia Bank 24, con uno nuovo e più rigido. Con la modalità con cui il
lavoro è organizzato (molte chiamate, diritte in cuffia, ridottissime
operazioni strettamente definite, frasi imposte e regole rigide), gli operatori
non sono in realtà la soluzione migliore in assoluto. Una macchina saprebbe far
meglio. Ti stanno semplicemente sfruttando, un numero in una statistica. Sei
sotto controllo e messo sotto pressione ogni qualvolta sei presumibilmente
troppo lento.
Tas
Io lavoro per TAS. Gestiamo
progetti outbound e inbound per altre aziende, e percepiamo 15 marchi più
premio. Il premio dipende dalla quantità (chiamate per ora, obbiettivi, per es.
diramare informative, appuntamenti) e dalla qualità (in che modo parli al
telefono?). Le quantità quotidiana, settimanale e mensile per ogni singolo
operatore viene esposta sul muro affinché tutti abbiano informazioni circa la
loro prestazione corrente e quella di tutti gli altri. Le analisi della chiamata
e l’”allenamento in linea” (nei quali un manager della qualità ti siede
dietro e ascolta le tue chiamate = affiancamento) a cadenza mensile, sono
utilizzate per controllare se stai realmente gestendo le chiamate ad uno
standard elevato e, perciò, se meriti il premio. Di nuovo, tutti quanti hanno
accesso all’informazione su chi fa qualità e chi no. Il premio in sé dipende
dall’intero gruppo. Ciò significa che non stai lavorando per il tuo premio
personale, ma per l’intero gruppo. In positivo, si suppone di creare maggior
motivazione. Ma nei fatti, va a incrementare la pressione che ognuno eserciterà
sull’altro per lavorare più duramente. Grazie alla tecnologia moderna, non
dobbiamo nemmeno sapere a memoria la quantità richiesta - no, ci è
costantemente esibita su una piccola finestra del video. Così ogni giorno
possiamo ascoltare una versione diversa di “Canta la canzone della quantità”,
talvolta come un tetro blues quando non realizzi nulla di buono al telefono e la
quantità resta a terra, talvolta come una musichetta a lieto fine. In qualche
modo tutti hanno accettato questo, fa parte del gioco. Tutte le volte che le
cose non funzionano, i capigruppo, gli allenatori e i responsabili della qualità
cercano di riportarle sulla carreggiata stabilita dai capi attraverso
ammaestramenti e gruppi di studio. Alla maggior parte degli operatori piace
realmente prendere parte a questi avvenimenti. Come dicono loro: tutto piuttosto
che stare in cuffia! Ma è impressionante il modo in cui quel “adesso puoi
dirmi tutto dei tuoi problemi” porta gli operatori a rivelare quegli
stratagemmi che permettono agli altri operatori di lavorare più facilmente.
Sebbene non ne possiamo più di un sacco di cose che non potrebbero essere
risolte con tutte le sessioni di gruppo del mondo, non siamo capaci di aprir
bocca se non al telefono. La ragione di ciò sta nel modo in cui la dirigenza
giustifica quantità, controllo, ecc.: ”… altrimenti potremmo perdere un
cliente, e voi il posto di lavoro.” I ruoli sono chiari: il datore di lavoro
comprensivo e il cliente fastidioso. Ma a chi importa?
Hewlett Packard/Amsterdam
Hewlett Packard (HP) ha un call
center centrale per l’Europa ad Amsterdam. Ci sono call center più piccoli in
diversi paesi europei, per es. a Ratingen (vicino Ruhrgebiet). L’assistenza
per i modelli più economici e più vecchi era esternalizzata verso altri call
center, per esempio alle compagnie di call center Sykes, Stream e Sitel. Circa
600 persone lavorano ad Amsterdam, ma solo un terzo circa in cuffia. HP noleggia
gli operatori per 2 anni attraverso agenzie di lavoro temporaneo (Kellys,
Randstand, Content). La paga per neo-assunti è di circa 22,30 fiorini (circa 10
euro) l’ora (lordi). Gli operatori di Sykes prendono circa 16,50 fiorini (7,50
euro). HP ricalcola regolarmente il valore che attribuisce all’assistenza
clienti e lo cambia costantemente. I reparti del call center vengono
riorganizzati, trasferiti verso altri paesi o esternalizzati ad altre aziende.
C’è un paragrafo nel contratto degli operatori nel quale - nel caso in cui il
loro reparto sia trasferito altrove - anch’essi devono spostarsi là, oppure
il contratto viene rescisso. I reparti ad Amsterdam sono organizzati a seconda
dei gruppi di produzione e delle lingue straniere. La maggior parte delle
chiamate vertono su macchine che non funzionano più e i clienti necessitano di
consiglio e assistenza. Il numero di chiamate varia dalle 20 alle 40 al giorno.
Il primo livello (ufficio welcome, identificazione del componente e
trasferimento al reparto di competenza) era esternalizzato a call center
esterni. Per i clienti tedeschi si tratta di Sykes a Wilhelmshaven. La maggior
parte degli operatori telefonici alla HP ad Amsterdam hanno tra i 20 e i 40
anni. Dall’80 al 90% sono stranieri (cioè non olandesi). Molti concepiscono
questo lavoro come temporaneo. Intendono vivere ad Amsterdam per un po’,
imparare di computer e conseguire un diploma presso un’azienda riconosciuta.
Ma il lavoro è noioso. I clienti sono irritati perché le loro macchine non
funzionano, e non la smettono mai di lamentarsi. Ci sono operatori che smettono
di lavorarci perché non riescono ad affrontare il fatto di essere trattati come
bidoni della spazzatura. Altri cercano di prendere meno chiamate possibile. La
dirigenza della HP reagisce intensificando i controlli e affidando agli agenti
ancora più compiti (per es. più prodotti da sostenere, o più lingue
straniere). In alcuni reparti le statistiche quotidiane vengono appese al muro
con il numero di chiamate, chiamate rifiutate, intervalli, tempi morti, ecc.
Talvolta i capigruppo scorrazzano avanti e indietro per criticare gli agenti per
le loro presunte cattive statistiche. Si fa un parlare costante di qualità. E
questo è assurdo, perché HP noleggia gli operatori sulla scorta di determinate
capacità linguistiche. E dopo circa 3 settimane di addestramento devono
rispondere a domande di carattere tecnico in materia di computer.
Citybank/Duisburg
La dirigenza di Citybank ha in testa di introdurre un risponditore automatico (IVR) per gestire trasferimenti, fornire i cambi, ecc. Finora sono stati i lavoratori del call-center Cityphone a Duisburg a farlo. Ci si aspetta che i lavoratori utilizzino il tempo risparmiato per vendere telefonicamente prestiti e contratti assicurativi ai clienti. Sarà introdotto un nuovo software che metterà i lavoratori in grado di gestire globalmente i conti, cosa che finora è stata possibile solamente nelle filiali. Inoltre i lavoratori del Servizio Filiali (sempre a Duisburg) gestiranno chiamate per tutte le succursali da Febbraio in avanti. A molti lavoratori piacciono questi cambiamenti, sulle prime. Il lavoro nel call center sarà meno noioso e richiederà maggior responsabilità. Ci sono più decisioni da prendere in linea, per esempio se un cliente merita un prestito o meno. E nelle filiali le chiamate puramente organizzative saranno ridotte, come stabilire un appuntamento. Ma queste trasformazioni fanno parte in realtà di una politica di efficienza. Citybank sta riorganizzando i reparti e le filiali per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri. Ci si aspetta che noi dei call center rileviamo il lavoro delle succursali - in condizioni peggiori! E la dirigenza sta progettando di deteriorarle ulteriormente: finora nel call center molte chiamate erano trasferite ad altri reparti. Questo creava numerosi intervalli che i capigruppo non potevano controllare. Questa situazione sta per cambiare. Non saremo in grado di sbarazzarci in fretta di una chiamata semplicemente trasferendola. Con l’espansione del call center, i compiti dei lavoratori delle filiali saranno progressivamente ridotte. Nella maggior parte del tempo stanno già vendendo contratti assicurativi e prestiti. La prestazione di ogni singolo lavoratore viene valutata per essere in grado di esercitare facilmente pressioni su di lui. La dirigenza e i capigruppo vogliono venderci tutti questi cambiamenti come miglioramenti. In realtà vogliono metterci l’uno contro l’altro, controllarci meglio e costringerci a lavorare più produttivamente.
Volantino
per una vita migliore
No.
3, Mar 2001
Presentazione
Lavoriamo nei call center e
altrove e produciamo una serie di volantini. In questo modo vogliamo sostenere e
promuovere la discussione tra lavoratori. Abbiamo bisogno di sollevarci assieme
contro lo stress del lavoro e la coazione a lavorare. Possiamo farlo solamente
auto-organizzandoci e trovando strumenti – assieme agli altri lavoratori –
per reagire contro i provvedimenti dirigenziali e per far passare i nostri
interessi. La nostra forza consiste nel fatto che possiamo facilmente accordarci
ad altri lavoratori circa – per esempio – il rifiuto dello straordinario,
l’ignorare gli ordini dei capi o la riduzione del ritmo di chiamata. Senza che
il capo ne sia preparato e senza la mediazione o il controllo dei Consigli di
Lavoro (tedesco: Betriebsrat) o dei Sindacati. Se sviluppiamo questa forza e la
utilizziamo, questo può costituire un passo avanti verso il superamento della
schiavitù del lavoro salariato in quanto tale.
Tutti i volantini di HOTLINES
sono pubblicati – assieme ad ulteriori informazioni e contributi – sul sito
www.prol-position.net. Prendete parte alla discussione e inviateci le vostre
idee, critiche e rapporti. Email: hotlines@motkraft.net Lettere: HOTLINES c/o
Fabrik, Grabenstrasse 20, 47057 Duisburg
CallGirls e Callboys... Che
follia?!
Lavoro, lavoro, lavoro –
governi, padroni e sindacati convengono che solo il lavoro rende la vita dolce e
piena di senso. Beati coloro che hanno lavoro. Ma non appena assembliamo pezzi
di metallo alla catena di montaggio, facciamo salutari iniezioni negli ospedali
o abbiamo a che fare con la clientela mentre sudiamo sotto le cuffie, il diletto
finisce presto. Veniamo a confrontarci con contraddizioni che i padroni cercano
disperatamente di nascondere.
Nei call centers...
...i capi ci dicono come tutto è
bene organizzato e che loro ci insegneranno ogni cosa di cui abbiamo bisogno per
il lavoro: come dobbiamo parlare, come lavora il computer, ecc. All’inizio
siamo felici di come ci sia permesso imparare tutto con caffè e biscotti. Ma più
tardi – sotto la cuffia – ci rendiamo conto che in realtà non abbiamo
imparato nulla: dobbiamo improvvisare molto, guadagnare ulteriori informazioni,
adattarci a nuove situazioni, ecc. per evitare di essere lasciati lì a sembrare
degli idioti e assicurarci che i clienti ottengano quello che vogliono.
Ci viene detto costantemente che
lavoro responsabile e interessante ci accingiamo a fare. Che richiederebbe la
nostra CREATIVITÀ. Ma sul lavoro realizziamo in fretta che siamo sotto
controllo per ogni piccolo dettaglio e che il lavoro è monotono. I capigruppo
si assicurano che adempiamo correttamente i passi ripetitivi di lavoro.
Da tutte le parti i capi fanno un
gran chiasso circa la QUALITÀ. Il cliente è re, il nostro scopo è la migliore
assistenza possibile ai clienti, dobbiamo sperimentare integralmente il cliente
– tutti i giorni sentiamo cose così. A questo proposito ci dicono esattamente
quali sequenze di lavoro dobbiamo effettuare, ci fanno chiamate di prova e
scatenano su di noi intere squadre di “allenatori”. Tutto allo scopo di
aumentare la “qualità”. Sul lavoro vediamo succedere qualcos’altro: poiché
non sono stati assunti abbastanza operatori, chi chiama deve ascoltarsi
l’infinita musica di coda. Quando riescono a farcela vengono trasferiti alla
coda seguente perché a noi, i lavoratori, è semplicemente concesso (o siamo in
grado) di eseguire determinate cose, e non altre. Dovremmo farci il culo e
prendere (oppure fare) più chiamate possibili. Perciò la “qualità” ne
soffre perché ogni cosa viene fatta in fretta.
Poiché queste contraddizioni
sono ovvie e frustranti, i capi fanno un gran strombazzare su quanto brillante
sia la loro Compagnia. Vogliono farci continuare a lavorare sodo (e non
“dissociarci internamente dalla compagnia e dal lavoro”). Ci dicono quanto
siamo fortunati a lavorare nel loro Gruppo e come sono importanti i beni che vi
sono prodotti (prestiti bancari, stampanti, abbigliamento per neonati). Ci danno
anche attestati, premi e T-shirts – e si può perfino diventare “operatore
del mese”. Adesso siamo parte di una sola famiglia, stiamo sulla stessa barca.
In altre parole: tiriamo tutti la stessa corda – ma qui la questione è: chi
ce l’ha attorno al collo!? Dopo aver tappezzato il cesso con tutti gli
attestati e aver oculatamente investito il premio di 3.50 marchi sul mercato
borsistico, comprendiamo che dietro tutto quella montatura sta seguitando il
normale lavoro.
Dobbiamo guardare ai moventi che
stanno dietro al lavoro per comprendere perché si sviluppano queste
contraddizioni e situazioni assurde.
Padroni danaro-dipendenti...
Innanzi tutto i padroni vogliono
trasformare il danaro in più danaro. Per far questo hanno bisogno di farci
lavorare per loro. Investono ovunque guadagnino di più, per esempio nei call
center. Se questo non riesce come prospettato, cambiano repentinamente settore e
investono altrove – magari nella produzione di dolciumi o di armi?
Pertanto i padroni non alcun
particolare interesse per il lavoro in sé. Ma il denaro non si moltiplica da
solo. Perciò devono – che gli piaccia o no – venire coinvolti nel processo
di lavoro.
Hanno bisogno di assicurarsi 2
cose che creano conflitto ogni giorno:
1) La produzione deve realizzare
PROFITTO: pochi lavoratori malpagati dovrebbero produrre il più possibile dopo
un breve addestramento, con materiale e macchine economici. Gli investimenti
dovrebbero rimanere contenuti, il lavoro intenso e i profitti alti. Nei
call-center questo significa che noi, i lavoratori, riceviamo solo brevi
addestramenti, siamo divisi in turni, dovremmo mantenere brevi le chiamate,
vendere molto e fare più chiamate possibili all’ora.
2) Le contraddizioni si
sviluppano perché contemporaneamente anche la QUALITÀ dovrebbe essere
appropriata: i padroni si preoccupano che noi produciamo qualcosa che loro
possono vendere, per esempio un’auto che funzioni per davvero, oppure un help
desk che effettivamente fornisca ai clienti buoni suggerimenti. L’auto o il
suggerimento telefonico devono avere valore per i “clienti” (funzionalità,
bella apparenza, praticità, prestare aiuto…). Perciò i padroni devono
assicurarsi che non si faccia un lavoro trascurato…
...incontrano lavoratori
disinteressati
Sebbene ai padroni piaccia
presentarla altrimenti, dipende da noi, i lavoratori, se l’Azienda funziona
malgrado questa contraddizione: ci viene chiesto di preoccuparci che il lavoro
sia svolto velocemente e proficuamente – e che produca “qualità” al tempo
stesso. Tutto dipende da noi, ma anche da parte nostra
non abbiamo particolare interesse per il lavoro. Ogni lavoro è più o
meno lo stesso. Ok, alcuni ci danno un introito migliore oppure le condizioni
non sono poi così male, esistono lavori veramente di merda e altri tollerabili.
Ma in tutti i casi andiamo a lavorare semplicemente perché ci siamo costretti.
Abbiamo bisogno dei soldi per vivere. Non abbiamo alcun interesse per la cosa in
sé. Stare appesi al telefono per ore, non vedere l’ora di fare la pausa
successiva, rispondere a domande stupide, non sapere nulla eppure dover dare
soluzioni alla gente, lottare con i cani da guardia… chi non è in grado di
immaginare qualcosa di meglio? Dobbiamo abituarci al fatto che siamo costretti a
lavorare gran parte della nostra vita, e allora vogliamo vederci un senso. Perciò
cerchiamo in qualche modo di svolgere bene il lavoro, perché altrimenti sarebbe
anche più stressante, per esempio perché le chiamate sarebbero ancora più
esasperanti. Ma c’è un limite a tutto.
Quale qualità?
I capi le provano tutte per farci
padroneggiare lo stress connesso al lavoro in queste condizioni contraddittorie.
Dovremmo soddisfare più clienti possibile, malgrado addestramenti scadenti,
informative lacunose, cattivi prodotti, ecc… Fanno pressione su di noi, usando
ipocritamente qualcosa come la “qualità” a mo’ di scusa.
Se ammettessero apertamente che
intendono unicamente incrementare i loro profitti, noi non lavoreremmo bene la
metà. Così ci allettano con la “qualità” del prodotto o della grande
azienda che si merita il nostro generoso lavoro.
Se ammettessero apertamente che
vogliono controllarci affinché lavoriamo più veloci, resisteremmo più in
fretta. Così giustificano il controllo con la sacrosanta “qualità”.
Se ammettessero apertamente che
in realtà non hanno idea di come il lavoro viene svolto e organizzato, allora
noi finiremmo per chiederci a che servono i capi. E così si nascondono dietro
enormi programmi di gestione della qualità e chiedono a noi “suggerimenti per
il miglioramento”. In questo modo vogliono imparare da noi. Ma sfruttano la
conoscenza appena acquisita non per il miglioramento della “qualità”, ma
per assegnarci ancora più lavoro da svolgere e per “razionalizzare” la
produzione.
Nessuno si preoccupa della
sensatezza
Il conflitto tra l’interesse
per il profitto da una parte e la produzione di beni utili dall’altra porta a
tutte le quotidiane assurdità a livello aziendale. E caratterizza l’intera
società:
- Abbiamo accumulato conoscenza e
ricchezza ma entrambe non sono sfruttate per le necessità di tutti: la maggior
parte della popolazione mondiale vive ancora nella POVERTÀ – in quanto
lavoratori o come “disoccupati” la cui attività non può essere utilizzata
per ammassare più danaro.
- Ogni qualvolta la produttività
viene innalzata grazie all’uso delle macchine – che significa: la medesima
quantità può essere prodotta in minor tempo di lavoro – noi non lavoriamo di
meno. Lo sfruttamento delle macchine è volto a incrementare i profitti, e non
ad abbreviare l’orario di lavoro per tutti: là dove i padroni
“razionalizzano” e licenziano personale, i lavoratori che rimangono in
azienda devono LAVORARE PIÙ INTENSAMENTE E FARE STRAORDINARIO, e quelli
licenziati devono cercare altre occupazioni.
Dietro tutto questo sta la
contraddizione che noi, i lavoratori, produciamo tutta la ricchezza, ma non
decidiamo come lavorare e che fare dei profitti. Quando si parla di
“occupazione” a nessuno importa del senso del lavoro o se abbiamo davvero
bisogno di un prodotto o di un servizio. La questione decisiva è se la
ricchezza può essere accumulata nella forma danaro attraverso il nostro lavoro.
Questo si applica anche ai call center. Noi, i lavoratori, non abbiamo affatto
deciso che solo in Europa a milioni lavorino nei call center.
Ma fortunatamente a questo punto
facciamo qualcosa di veramente sensato: ci prendiamo cura di oggetti, prodotti
da lavoratori, che sono venduti ad altri lavoratori, mentre i soldi finiscono
nelle tasche dei padroni. Oppure forniamo telefonicamente informazioni a
migliaia di lavoratori circa il deficit sui loro conti correnti affinché
sappiano che devono continuare a lavorare per pagare i debiti. Oppure ce ne
stiamo seduti di notte in un reparto ordinazioni mentre chiama gente che non può
fare acquisti durante il giorno perché deve lavorare…
Nessuno è di aiuto!
Se siamo nauseati di tutto questo
e ne abbiamo abbastanza di queste situazioni assurde, della grande azienda e del
capo impudente, di accettare merda dal cliente e delle prove di qualità, dello
straordinario e di tutta l’ordinaria follia che vige al lavoro, che dobbiamo
fare?
Non troveremo alcuna soluzione
cercando di rendere il lavoro più “umano”. I padroni – sostenuti dai
Sindacati – vogliono venderci il lavoro come ragionevole e tollerabile
introducendo lavoro di gruppo, cacciaviti colorati e schermi piatti. Tutti
questi tentativi hanno l’unico proposito di farci investire tutta la nostra
creatività e produttività nel lavoro. Non cambiano la situazione nella misura
in cui sono i padroni e i bilanci patrimoniali delle aziende che continuano a
decidere dove viene investito il danaro e cosa deve essere prodotto. Finché
l’obiettivo principale consiste nel trasformare il danaro in più danaro,
continueremo a riprodurre le
contraddizioni tra stress da lavoro, “qualità”, assurdità, ecc.
Nessun sindacato, nessun partito
o altre organizzazioni, aboliranno queste contraddizioni al nostro posto. Non
esiste alcun piano perfetto per una società “diversa” – ma ci sono
migliaia di buone ragioni per sfruttare le capacità produttive esistenti a
nostro vantaggio.
Se vogliamo una vita in cui
produrre per i nostri bisogni, emancipata dallo sfruttamento, dallo stress e dai
guardiani, dobbiamo prendere l’iniziativa nelle nostre mani.
Il primo passo – un “tocco di
novità” – può svilupparsi nelle situazioni in cui sfidiamo tutti assieme
il quotidiano stress del lavoro. Là dove utilizziamo la nostra creatività per
azioni contro lo stress da lavoro – invece di utilizzarla per salvare dal
collasso un’organizzazione caotica. Là dove utilizziamo la nostra
cooperazione così come il nostro potere contro i padroni – invece di lavorare
assieme fianco a fianco senza neanche notarci l’un l’altro. Solo così
possiamo sconfiggere il pettegolezzo e la molestia reciproci. Solo così
possiamo sviluppare nuove relazioni e la sicurezza di sé di cui abbiamo bisogno
per i prossimi conflitti contro i padroni.
Per i pericoli e gli effetti
collaterali, fate una prova, e mandateci idee – oppure aspettate il prossimo
HOTLINES!
Steffi - la nostra migliore
conversazione
Peeep nella cuffia, salve
interlocutore, parla la banca-sempre-al-tuo-servizio, il mio nome non importa,
cosa posso fare contro di te, la mia bocca ripete senza che il cervello
intervenga, ho appena parlato con Steffi a proposito del morbo della mucca pazza
e del ’68, ora e ancora il grande argomento, il denaro, oh sì, vuoi comprare
azioni, ti metto in contatto, ma grazie molte per la chiamata, clack, premo il
bottone per finire la chiamata e via ancora, peeep! Parla la
banca-sempre-al-tuo-servizio, trasferire soldi? Bene, da dove? A dove? Quanto?
Non chiamare più! Clack, peeep! Pronto? Banca-sempre-al-suo-servizio,
salve compagno, vuoi reclamare, scrivi al seguente indirizzo, sì ti
risponderanno che qualche volta, ascolta… anche buco di culo, arrivederci,
clack, steffi, dove eravamo? Oh, sì, la mucca pazza, peeep!
Banca-sempre-al-tuo-servizio, stai disturbando, cosa vuoi? Un prestito, meglio
lasciar perdere, arrivederci, clack, peeep! Salve! Cosa? Eh? Sì,
banca-sempre-al-suo-servizio, servizio di banca telefonica? Bene, compra un
computer e chiama il numero corretto, buona fortuna, clack, peeep! Salve,
banca-sempre-al-suo-servizio, azioni di dotcom soso, quante? Per cento mila
marchi, sicuro, arrivederci, clack, oh no, ho digitato e ordinato le azioni
sbagliate, bene, nessun affare per quell’uomo, peeep! Salvesalvesalve, gentile
cliente, non riesco a capire, metto giù il telefono, ok? Clack, allora, cose
come il morbo della mucca pazza, eh, steffi? Pronto steffi! Merda, ha una
chiamata, peeep! Banca-sempre-al-suo-servizio o qualunque cosa, cosaaaaaaaaaa!
È rimasto in attesa per venti minuti e poi la linea è caduta, sì, questo è
quello che fanno qui, reclamo? Prego, scriva a, sì se ne occuperanno, comunque,
per gli ultimi venti minuti dovevo disperatamente andare al bagno, arrivederci,
clack, peeep! sempre al suo servizio qui, salve leader di gruppo, cosa hai
detto? Oggi la mia performance è nella media, ma potrei migliorare? Byebye, clack, perduto, peeep! No,
non posso aiutarla, il mio computer sta lentamente rompendosi, ma grazie per
esser stato così franco, vaffanculo bastar… che peccato, già andato via,
pronto steffi, le persone nel ‘68 avevano già, peeep!
Banca-sempre-al-suo-servizio, cosa posso fare? Cosa? Vuole pagare la bolletta
telefonica, quella di German telecom, haha, arrivederci, clack, peeeep!
Banca-sempre-al-suo-servizio, il mio nome? Cosa c’entra? Clack, peeep! Non lo
so, merda, clack, peeep! Banca-non-al-suo-servizio, ti odio, perché chiami,
clack, peeeep! Tu!?! Trasferimento di denaro? Mai! Clack, peeep!
Banca-sempre-al-tuo-servizio qui, salve! Fottiti, salve, clack, peeep! Clack,
clack, clack, nessun peeep? La mucca pazza, steffi, che casino.
Duello con segretaria
Ogni giorno, ancora e ancora, ci
si batte fino alla fine un milione di volte. Un duello sanguinoso, che può
terminare solo con il licenziamento, andare dallo psichiatra o mettersi in
malattia. Un duello tra donna e donna, segretaria e operatrice outbound. La
segretaria deve proteggere il suo capo dal bombardamento di domande
dell’operatore. L’operatore deve conquistare nuove risorse di denaro per il
suo capo. Tutte le armi sono concesse in questa lotta. Ma la segretaria può
impiegare armi che l’operatore non può usare per la “convenzione call
center”, per esempio “abuso selvaggio” e “sbattere giù il telefono”.
L’operatore d’altro canto ha il vantaggio di poter tendere un’imboscata
alla segretaria senza avviso, il famoso elemento sorpresa: “Salve, il mio nome
è…, chiamo da…, per favore mi passi il suo direttore!”. Se la segretaria
non è vigile, può succedere che passi la chiamata perché è solita eseguire
gli ordini istantaneamente. In quel caso rischia di creare seri problemi al suo
capo. Un punto per l’operatore. Ma è raramente così facile. Qualche volta la
signora al centralino trasferisce la chiamata al più grande nemico di sempre,
il direttore della segretaria… Ma il più delle volte la segretaria affronta
il duello da sola: “Non siamo interessati”. Ora è il turno
dell’operatore. Nel caso non abbia esperienza, accetta la risposta e augura
buona giornata alla segretaria. Ma scoprirà che se accetta il comportamento
della segretaria, ciò non piacerà affatto al suo capo. Dopo tutto, questa è
guerra su fette di mercato! Così l’operatore dovrà chiamare di nuovo il
giorno dopo. E sa che ora può urlare abbastanza. La conseguenza: dovrà tirare
fuori nuovi trucchi quali intimidazioni della persona attraverso un fraseggio
molto complicato, domande sulla sua autorità, o il semplice fatto che il suo
capo avrebbe aspettato la chiamata. Prima o poi la segretaria verrà a
conoscenza di tutti i trucchi e il duello andrà al round successivo…
Non sempre i duelli diventano così
crudeli. Se la segretaria afferma che il boss è in riunione o in ferie c’è
una tregua e riesci a vedere la persona dall’altro lato della linea come un
essere umano. E ti chiedi da dove viene tutto lo stress. Se quella persona non
avesse scelto la professione sbagliata, sarebbe piuttosto carina dopo tutto…
Molti potrebbero aver ascoltato
attentamente ed essere diventati invidiosi. Invidiosi dell’eccitante e utile
attività. Cosa dici? Ore sensibili sul lavoro. In questo caso significa che:
l’operatore dedica circa due ore al giorno al duello con segretarie, dieci ore
alla settimana. Considerando 10’000 operatori ciò significa circa 100’000
ore alla settimana. Una segretaria lotta per circa 0,25 ore al giorno con
operatori selvaggi, considerando 10’000 segretarie ciò significa 12’500
ore. Il duello con le segretarie produce 112’500 ore di lavoro al telefono. Se
questo non sembra senza senso…!
Scusate, non mi sono presentato: sono un operatore outbound e non permetto alle segretarie di liberarsi di me. Richiamerò ancora e ancora fintanto che non mi passeranno il capo, così alla fine potrò dirgli che la nostra azienda può aiutarlo a diminuire le bollette telefoniche…
Volantino
per una vita migliore
N.o
4, Lug 2001
Piloti del telefono: senza di
voi nessun ricevitore può decollare!
I padroni e i loro profitti sono
in crisi e noi dovremmo portarne il peso: nei call center, nelle fabbriche, nei
cantieri e negli uffici si presume che noi lavoriamo per meno danaro, a volte
per più, a volte per meno ore – in alcuni casi perfino durante l’intero
arco della giornata. I padroni affittano molta gente in qualità di lavoratori
temporanei per potersi disfare di loro in fretta. Non è solamente nella New
Economy che assistiamo a maggiori razionalizzazioni e licenziamenti in quanto i
padroni minacciano il trasferimento in paesi a basso costo di lavoro. Il
servizio pubblico, per es. il servizio del traffico locale, viene
progressivamente privatizzato, e ciò significa che i lavoratori fanno lo stesso
lavoro per una paga inferiore. E con la campagna (del cancelliere tedesco
Schroeder) “persona-pigra” i disoccupati sono sottoposti a pressioni ancora
maggiori per accettare impieghi sottopagati. Tali attacchi da parte dei padroni
non stanno accadendo solo in Germania o in Europa Occidentale: i lavoratori
devono fronteggiarne ovunque. In tempi recenti abbiamo visto poche lotte operaie
che potessero superare una situazione difensiva e servire da esempio in altri
settori di sfruttamento. Forse quella dei piloti della Lufthansa che sono
riusciti a scioperare per pochi giorni e hanno ottenuto un aumento salariale
quasi del 30% durante la primavera. In questo modo hanno trovato una risposta
allo “stringere la cinghia” degli ultimi anni. Ma tutto questo è possibile
in settori nei quali i lavoratori non fanno volare aeroplani che costano
milioni? La maggior parte degli altri conflitti sono rimasti azioni simboliche,
come le recenti minacce di sciopero degli autisti di autobus e dei lavoratori
della vendita al dettaglio. In questi casi i contratti collettivi sono scesi
sotto il 3%: meno dell’inflazione.
Nei call center
Il boom degli ultimi 3 anni,
durante i quali a Ruhrgebiet/Germania potevi sempre ottenere un lavoro
telefonico, sembra concluso. I lavoratori vengono licenziati a seconda del
“tenore del mercato”. Ogni volta che ne vengono assunti dei nuovi, viene
chiesto loro sempre di più con la scusa dell’esperienza di lavoro che vanno a
maturare e dell’attestato di call center. Il turn-over, specialmente nei
lavori malpagati e stressanti, rimane elevato. Recentemente ci sono stati
conflitti aperti e lotte nei call center. Dobbiamo studiarli nei dettagli per
prepararci alle battaglie a venire. Speriamo che non si tratti semplicemente
della difesa di eccitanti condizioni di lavoro, quanto della questione
sostanziale che domina la nostra vita. Tale questione diventerà centrale se
decidiamo come e per cosa lottiamo – e se non la abbandoniamo alla mercé di
qualche apparato o rappresentante sindacale.
Conflitti sino ad oggi
Le lotte aperte dei lavoratori
dei call center riguardavano ufficialmente il livello salariale, la resistenza
contro i tentativi dei padroni di incrementare la pressione sui lavoratori
(attraverso l’affitto di lavoratori temporanei, il trasferimento o la chiusura
di aziende, contratti giornalieri di lavoro), e le aggressioni alla dignità dei
lavoratori (attraverso il controllo tecnologico, il dispotismo manageriale,
ecc.). Pertanto le lotte vertono su istanze comuni ad altri settori (fabbriche,
uffici…). In questo volantino potete trovare una selezione di rapporti sui
conflitti nei call center. Verizon a parte, abbiamo avuto contatti diretti con i
lavoratori di tutte le compagnie. Abbiamo visto approssimativamente 2 generi di
conflitti: 1) scioperi più o meno sotto il controllo dei sindacati, come quello
a Citibank, British Telecom e Verizon, e 2) azioni più ristrette,
auto-organizzate di lavoratori dei call-center a Berlino (Audioservice, Hotline
GmbH e ADM).
1) Il limite degli scioperi a
Citibank, Verizon e British Telecom fu questo: i lavoratori hanno preso parte ad
azioni controllate dai sindacati ma non hanno escogitato originali (!) modalità
di organizzare le lotte e vincere contro i padroni. In questo modo i sindacati e
altri “rappresentanti dei lavoratori” hanno potuto limitare il conflitto
allo sciopero e ai rituali di mercanteggiamento, e sfruttare la rabbia dei
lavoratori come leva contro i padroni. A Citibank e British Telecom gli scioperi
sono rimasti soprattutto azioni “simboliche” che non hanno reso nulla. Ad
ogni modo a Verizon i lavoratori furono abbastanza determinati da scioperare per
2 settimane. Hanno realizzato alcuni dei loro obiettivi – parte di un
contratto collettivo. Esperienze liberatorie di attività collettiva e il
sentimento della propria forza durante questi scioperi hanno potuto svilupparsi
solo dove i lavoratori hanno realizzato in prima persona le azioni, organizzato
i picchetti, attaccato i crumiri, ecc. I sindacati e altre strutture di
rappresentanza non costituiscono una risposta agli attacchi dei padroni: perché
sono intrappolate nella camicia di forza di un’ossatura legale (il loro
mandato a mantenere la “pace”; la materia tipo contratto collettivo...).
Tendono a dividerci ancora di più con la loro enfasi sulla professionalità e
la ragion di stato, e non possono sfuggire alla logica padronale del profitto e
della produttività (vedi per es. la rinuncia del 10% sulla paga a HP e il
doppio regime salariale per i neo-assunti a VW).
2) Tuttavia se i lavoratori
auto-organizzano le lotte, queste non rimangono eventi influenti ed eccitanti in
sé. Questo ci viene rivelato se poniamo attenzione alle iniziative dei
lavoratori a Berlino. In questo caso la cooperazione e il collegamento fuori dal
lavoro quotidiano costituirono la base per le azioni dei lavoratori contro i
padroni. Organizzarono incontri, discussero le azioni collettive, ecc. Tuttavia,
nello scontro con le aziende scelsero misure difensive: petizioni, elezioni dei
Consigli di Lavoro, cause di lavoro e appelli al sostegno sindacale. Non
sappiamo perché non ebbero maggiore fiducia in se stessi e nelle proprie forze.
Di sicuro c’è che malgrado o perfino a causa di tali strumenti difensivi, i
padroni hanno potuto giocare le proprie carte: nei casi menzionati licenziarono
la gente perché non temevano una reazione forte (occupazione del posto di
lavoro, dimostrazioni in altri call center o altre aziende nelle vicinanze).
Tale esperienza mostra chiaramente che le petizioni, le leggi e i negoziati non
fanno passare alcunché, se non hanno dietro la potenza dei lavoratori – la
capacità di scioperare, di rallentare il processo di lavoro anche solamente con
pochi lavoratori risoluti, per danneggiare il profitto dei padroni. Queste lotte
aperte nei call center sono rimaste eccezioni. Di solito reagiamo
individualmente allo stress del lavoro e ai problemi con i capi: mettersi in
mutua, il lavoro lento e l’assenteismo rendono più semplice la vita. Ma
dobbiamo confrontarci sempre più spesso con problemi che non possiamo risolvere
da soli o con la collaborazione della dirigenza (suggerimenti per il
miglioramento…): straordinario obbligatorio, affitto di lavoratori temporanei,
minaccia di trasferimento dell’azienda, ecc. Queste situazioni richiedono ben
altre iniziative! A maggior ragione quando nei call center i padroni
sperimentano tecnologie più produttive (IVR, servizi internet). Durante questi
esperimenti, essi sono ancor più dipendenti dal nostro lavoro poiché hanno già
investito danaro in una tecnologia che non funziona ancora a regime. Per es., ci
si aspetta che noi risolviamo i problemi tecnici. A lungo termine
l’introduzione di queste tecnologie va a minare la nostra forza e porta
all’aumento dello stress lavorativo e degli esuberi – a meno che non ci
attiviamo in questa fase di transizione per sabotare le strategie dei padroni.
Elaborare le lotte
Possiamo contrattaccare là dove
fa più male ai padroni. La cooperazione con altri lavoratori ci mette in grado
di combattere contro le varie avversità del lavoro quotidiano: abbiamo già
adesso necessità di comunicare quotidianamente con altri lavoratori per poter
svolgere “correttamente” quello che è il nostro lavoro. Siamo in contatto
con gente di reparti, sedi e “professionalità” diverse. Senza questa
cooperazione non ufficiale le aziende fallirebbero. Possiamo rivoltare questa
forma organizzativa (invece dei dati dei clienti ci scambiamo spunti e
informazioni su sabotaggi e scioperi) e volgere le cose contro i padroni nelle
azioni collettive. Qui non abbiamo bisogno di organizzazioni “esterne” che
ci “rappresentino” (come i Consigli di Lavoro o i sindacati). Le nostre
risposte alla crisi e agli attacchi dei padroni non possono essere la modestia e
la rinuncia. Dobbiamo mettere al centro i nostri bisogni e combattere per loro.
Domande?
Non possiamo avanzare proposte
generali su come uscire da un’impostazione difensiva. Ma possiamo – a
cominciare dalle lotte precedenti – porci domande che ci possono venire in
aiuto:
Quali forme di lotta
corrispondono alle nostre capacità e necessità immediate: “lavoro-pignolo”
collettivo, altre forme di sabotaggio, scioperi aperti…?
Dove possiamo colpire duro i
padroni: quando molti clienti sono in coda, durante la fase di lancio di nuove
tecnologie…?
Come oltrepassare le ristrette
mura dell’azienda per scalzare i tentativi dei padroni di utilizzare i
lavoratori di altri call center come crumiri?
Come possiamo istituire
collegamenti con le lotte dei lavoratori di altri settori e imparare gli uni
dagli altri – proprio perché stiamo combattendo contro condizioni simili di
lavoro?
Come fare tutto questo senza
mettere la nostra sorte nelle mani di un sindacato – o di qualsiasi altro
apparato?
Le risposte possono essere
trovate nelle lotte stesse!
Scioperi ed altri conflitti
nei call center
Ecco alcuni rapporti sui
conflitti e sugli scioperi in tempi recenti. Stiamo cercando informazioni su
altre lotte ancora, per es. gli scioperi di un giorno in Telecom/TIM in Italia
contro i trasferimenti, i contratti precari e condizioni di lavoro infami, e il
lungo sciopero dei lavoratori part-time in Korea Telecom (KT) in Corea del Sud,
che stanno combattendo contro i licenziamenti e la privatizzazione di interi
settori…
Citybank/Bochum. Germania
Lo sciopero ebbe luogo nel 1990
nel call center “esternalizzato” di Citibank a Bochum, in Germania. Causa
dello sciopero fu la minaccia della dirigenza di chiudere e trasferire il call
center. I Consigli di Lavoro fecero appello al sindacato che invocò una
contrattazione collettiva, e perciò impostarono lo sciopero su “base
legale”. Lo sciopero fu effettuato in 3 singole giornate spalmate su un lasso
di tempo di mesi. La dirigenza assunse dei crumiri attraverso agenzie di lavoro
temporaneo e dirottarono le chiamate dal call center in sciopero al call center
di Citibank di Aachen, sempre in Germania. Alla fine del Giugno 1999 il call
center di Bochum fu definitivamente chiuso. Solamente 50 lavoratori su 400
furono rilevati dal nuovo call center a Duisburg (a 30 km da Bochum). Durante lo
stesso periodo sviluppi simili accaddero in altri call center di Citibank (per
es. a Gelsenkirchen, dove 500 lavoratori furono mandati a spasso). La debolezza
dello sciopero ebbe diverse ragioni: i lavoratori abbandonarono
l’organizzazione dello sciopero al sindacato accettando la richiesta di
contrattazione collettiva. Gli scioperi ebbero luogo su un solo giorno per volta
e, perciò, non furono in grado di sviluppare alcuna efficacia. Non ci fu alcun
contatto tra i lavoratori di Gelsenkirchen e altri call center di Citibank, cosa
che avrebbe potuto portare alla coordinazione di azioni collettive e prevenire
la rottura dello sciopero. Le azioni simboliche organizzate dal sindacato e dai
Consigli di Lavoro (incontri di protesta davanti ai quartieri generali di
Citibank, happening di pubbliche relazioni in aree commerciali) incrementarono
il sentimento di impotenza e di passività tra i lavoratori.
(Altro ancora su
www.prol-position.net alla voce “Rapporti”)
British Telecom/Gran Bretagna
Nel Dicembre del 1999 i
lavoratori dei call center di British Telecom (BT) allestirono uno sciopero di
una giornata su territorio nazionale. Si trattò principalmente
dell’assunzione di più personale temporaneo, del crescente stress da lavoro,
di obiettivi di lavoro non realistici e delle angherie dei capi. 4000 lavoratori
di 37 call center presero parte allo sciopero. I lavoratori temporanei no. Il
sindacato dei lavoratori delle comunicazioni (CWU) inizialmente dichiarò 3
giornate di sciopero. Dopo che la dirigenza ebbe pattuito una posizione
concertativa con CWU, quest’ultimo revocò gli altri 2. Sorpresi? Lo sciopero
in realtà non aveva cambiato nulla. Fu di breve durata e non disturbò affatto
i processi di lavoro. Per alcuni lavoratori di BT non era sufficiente. Quando
nel Marzo 2000 l’agenzia di lavoro temporaneo Manpower fu sostituita da Hays e
i salari furono abbassati immediatamente, alcuni non accettarono i nuovi
contratti oppure cominciarono una serie di atti di sabotaggio per far vedere
come la pensavano. Per esempio, l’“ora esatta” fu chiamata per ore intere
e i lavoratori applicarono il “lavoro-pignolo”, cosa che diede loro un sacco
di tempo per socializzare e per altre tecniche di rifiuto del lavoro. A BT ci
sono sempre più posti precari, malpagati e temporanei. Lo stress da lavoro sta
peggiorando. La dirigenza cerca di usare la carota del possibile contratto
permanente, e intanto minaccia col bastone del licenziamento. Il punto è capire
in che modo la divisione tra lavoratori garantiti e temporanei con condizioni di
lavoro più ricattabili, sta influenzando la comune capacità di lotta.
(Altro ancora su
www.prol-position.net alla voce “Rapporti”)
Audioservice/Berlino. Germania
Ad Audioservice circa 70
lavoratori vendono biglietti, CD, video, ecc. In maggioranza sono studenti che
hanno una bozza di contratto senza orario fisso di lavoro, senza vacanze pagate
e senza paga continuativa (in caso di malattia), ecc. Nell’estate del 2000 i
lavoratori discussero in che modo potessero prevenire la sostituzione del già
insicuro abbozzo contrattuale con i contratti a giornata, e come potessero
ottenere contratti definitivi con vacanze pagate, ecc. Scrissero una petizione
firmata da 30 lavoratori. Dopo di che circa la metà di loro fu licenziata.
Alcuni fecero causa e ottennero tra i 500 e i 4900 marchi. La petizione
ovviamente aveva fornito alla dirigenza i nomi degli “insoddisfatti” così
che poté selettivamente dar loro il benservito. Sebbene gli “studenti” si
incontrassero anche al di fuori del posto di lavoro e si dessero sostegno,
furono a quanto pare sprovvisti della capacità e della determinazione per
bloccare tutto. Le petizioni firmate rivelano ai padroni che qualcosa sta
succedendo, mettendoli in grado di reagire immediatamente e attaccare i
lavoratori. Forse un’azione diretta sarebbe stata più efficace.
(Altro ancora su
www.callcenteroffensive.de)
Hotline
GMBH/Berlino. Germania
Presso Hotline Gmbh circa 150
lavoratori, in maggioranza studenti impiegati part-time, trattano chiamate per
clienti esterni (Berlikomm, Ares-Strom). Alla fine dello scorso anno 40 persone
furono licenziate “a causa della riduzione di un contratto su vasta scala”.
Alcuni lavoratori cominciarono a discutere cosa si potesse fare per evitare che
questo succedesse di nuovo. Cominciarono ad impiantare un Consiglio di Lavoro
(“Betriebsrat”) e chiesero consulenza al sindacato, IG Medien. La dirigenza
seppe della cosa e organizzò i suoi “incontri di lavoro” come contromossa.
Poi, in Febbraio, licenziò più di 20 lavoratori con giustificazioni
inconsistenti. I lavoratori ottennero il sostegno dell’iniziativa
Callcenteroffensive e organizzarono una dimostrazione con circa 50 persone fuori
dal call center. Più tardi si tennero alcune cause di lavoro (per
reintegrazione) e furono pagati risarcimenti tra i 500 e i 4000 marchi (coloro i
quali avevano causato maggior disordine ottennero di più!). Le condizioni
peggiorarono e il ritmo di lavoro fu aumentato ulteriormente dopo questi
conflitti. Inoltre, si verificò una vera e propria “caccia” agli amici dei
licenziati che ancora lavoravano per Hotline. Alcuni lavoratori simpatizzarono
con un’iniziativa antifascista, e la dirigenza cercò di licenziarli tutti.
Occasione mancata?! Alcuni
lavoratori si conoscevano comunque da fuori, e forse sarebbe stato possibile
occupare la sede in un’azione congiunta, interrompendo il processo produttivo
ed esercitare pressioni sulla dirigenza.
(Altro ancora su
www.callcenteroffensive.de)
ADM/Berlino. Germania
500 persone sono al telefono per
Adm a Berlino in inbound e outbound. Hanno a che fare con chiamate per GASAG,
Tele2... In maggioranza sono studenti. La situazione è caratterizzata da
“condizioni indegne, controlli esasperanti e bassi salari” (citazione da un
volantino). All’inizio 70 lavoratori chiesero vacanze pagate, che furono
negate dalla dirigenza. Poi, nell’Aprile 2001, più di 80 lavoratori furono
licenziati. Alcuni diedero vita a un gruppo di lavoro e scrissero un volantino
che domandava per es. ferie pagate e paga continuativa (in caso di malattia).
Anche quelli dell’iniziativa Callcenteroffensive fecero un volantino e lo
distribuirono nel call center. Alcuni fra i licenziati ricorsero al tribunale e
ottennero tra i 500 e i 3000 marchi. Dopo i licenziamenti e le azioni di lotta
le condizioni diventarono ancora peggiori. I controlli all’entrata furono
intensificati (usando telecamere…) e la dirigenza prestò maggior attenzione
alla puntualità, ecc. È più che interessante che il sindacato ver.di
(risultato della fusione della maggioranza dei sindacati dell’industria dei
servizi) stava già negoziando con la dirigenza di Adm un contratto collettivo
per i lavoratori di Adm. Dopo le azioni auto-organizzate dei lavoratori e
l’intervento di Callcenteroffensive, il sindacato scrisse una lettera a tutti
i lavoratori argomentando contro l’”esagerato movimentismo” che “avrebbe
avuto effetto negativo sulle negoziazioni”. Di certo qualunque cosa accada
fuori il controllo di ver.di è ovviamente intollerabile!
(Contatto: arbeitsgruppeADM@web.de
/Altro ancora su www.callcenteroffensive.de)
Verizon/USA
Nell’Agosto 2000 più di 85000
lavoratori di Verizon (gruppo delle telecomunicazioni) scioperarono, tra di loro
c’erano tecnici e molti lavoratori di call center. Le richieste ufficiali
dello sciopero erano paghe più alte, minore straordinario obbligatorio,
restrizioni ai trasferimenti di settori e la possibilità da parte dei sindacati
di organizzare i lavoratori del settore mobile e internet. Le condizioni nei
call center erano caratterizzate da turni di 10 ore o più, frasi standard
obbligatorie, stretta sorveglianza, l’obbligo di raggiungere un certo
obiettivo di vendita, stress dovuto all’alto ammontare di chiamate, ecc. I
sindacati dei lavoratori della comunicazione (CWU) e degli elettrici (IBEW)
organizzarono lo sciopero e andarono al negoziato con la dirigenza.
Quest’ultima utilizzò altri 30000 (colletti bianchi) impiegati a Verizon come
crumiri nei settori di manutenzione e call center. Sebbene la maggioranza delle
chiamate sia connessa automaticamente così che le operazioni di Verizon
potessero essere mantenute a regime, la dirigenza non poté evitare il rapido
blocco dei call center, le chiamate non furono trattate e considerevoli
riparazioni non furono realizzate. Oltre ai picchetti davanti a centinaia di
edifici di Verizon, ci fu una serie di atti di sabotaggio contro le cassette
degli interruttori e i cavi elettrici, e attacchi ai camion della manutenzione
guidati dai crumiri. Dopo 2 settimane la dirigenza cedette, accettò alcuni
punti e concordò un nuovo contratto collettivo: le paghe furono elevate, furono
introdotti premi di gruppo, lo straordinario fu limitato a 8 ore settimanali,
furono ridotti i trasferimenti, e i sindacati ottennero l’approvazione per i
loro tentativi di organizzare i settori mobile e internet. Un fattore importante
in questo caso fu che il sindacato aveva organizzato il 60% dei lavoratori di
Verizon. Più di 85000 lavoratori in sciopero poterono esercitare sulla
dirigenza una pressione tale sulla che molte istanze poterono passare.
I problemi di tale risoluzione
sono mostrati dal lavoro quotidiano nei call center: ora la gente percepisce
salari un po’ più elevati e fa solo un’ora e mezza di straordinario, forse
con un po’ di chiamate in meno ogni giorno. Ma ecco quel che il presidente di
CWU, Morton Bahr, disse a proposito del risultato dello sciopero: “Questo
accordo assicura il futuro dei nostri membri in questa azienda, e aiuta ad
affilare l’incisività competitiva di Verizon”. Ma i lavoratori continuano a
farsi il culo!
(Altro ancora su www.prol-position.net alla voce “Rapporti”)
ISI Marketing è una grande
azienda!
Prima 40 ore di lavoro senza paga
e senza contratto, poi 12 marchi all’ora senza premio garantito, paga più
bassa in caso di malattia… Non è forse un lavoro di “m***a”? Comunque,
così lo chiamarono alcuni amici che andarono a lavorare per ISI Marketing e che
scrissero un volantino sulle loro condizioni di lavoro (vedi
www.prol-position.net alla voce “Leaflets”). ISI Marketing non ne fu
divertita. Ma non potevano certo né fermare quei lavoratori o la gente che
aveva diffuso il volantino, né condannarli a 3 anni di lavoro telefonico
forzato. Così ISI sfruttò la legislazione civile per imbavagliare i
lavoratori: facendo ingiunzione al tribunale, l’azienda esercitò pressioni su
“free”, il provider che ospita le pagine web di Hotlines. ISI rimanda, per
es., ad espressioni come “lavoro di m***a” usate nel volantino e specula di
“legge contro la competizione sleale”. Non una sola parola sulle condizioni
di lavoro in sé: ISI sa perché! Questa è la situazione di questa battaglia
legale: il provider “free” deve sputare un sacco di soldi per i costi legali
ecc., e il sito web è stato spostato su un altro provider per evitare ulteriori
problemi a “free”. Il tentativo di censura fu criticato da molti provider
indipendenti, gruppi sindacali, ecc. Molti hanno pubblicato il volantino e altre
dichiarazioni sull’attacco di ISI. Ma qui non si tratta semplicemente di
mantenere internet aperto al libero scambio di informazioni. Qui ne va della
lotta contro le condizioni di lavoro. Quelle condizioni di lavoro possono essere
cambiate esclusivamente dalla gente che deve lavorarci. Perciò se avete
esperienze di ISI o di altre aziende e volete riferire su di loro: Scriveteci!
Sottoscrizioni per “free”:
Freie Arbeiterinnen und Arbeiter Union, Account-No.: 96 152 201, Postbank
Hamburg, Bankcode 200 100 20, key word: FREE
Vedi anche su:
http://www.ainfos.ca/01/may/ainfos00352.html
http://www.ainfos.ca/01/may/ainfos00567.html
http://www.ainfos.ca/01/jun/ainfos00371.html
l’ultima
parte della serie
Questo è il quarto ed ultimo di
una serie di volantini:
1. l’espansione dell’orario
di lavoro;
2. l’intensificazione del
lavoro;
3. il senso e l’assurdo del
lavoro; ed il presente
4. sulle lotte dei lavoratori.
Trovate tutti i volantini e altri
contributi sul sito www.prol-position.net.
È tempo per alcune riflessioni e
una prospettiva: quando cominciammo a scrivere i volantini e il sito
nell’Ottobre 2000, volevamo supportare una discussione sulle condizioni di
lavoro e sulle opportunità di lotta. Il nostro scopo era innescare lo scambio
di rapporti dai call center, far circolare informazioni e istituire contatti ai
lavoratori e trasmettere questi contatti ad altri. Qualcosa di tutto questo è
già successo.
I volantini hanno portato certa
eccitazione e discussione al lavoro. Comunque, tutto è rifluito dopo pochi
giorni. Abbiamo ricevuto email che ci chiedevano di continuare la cosa, ma non
c’era molta gente che ci spediva i propri rapporti (come quello di un
lavoratore di un call center australiano) e un contributo qualsiasi
all’attuale discussione. Certamente, otteniamo informazioni da varie persone e
gruppi su base regolare, ma non si è sviluppata una discussione su vasta scala
sulle opportunità di lotta. Per arrivare a questo – anche in considerazione
del piccolo numero di lotte aperte nei call center – dobbiamo andare oltre
questo settore. Pensiamo che i call center non siano fenomeni isolati, ma luoghi
di sfruttamento come altri uffici, fabbriche, cantieri e ospedali. Nei call
center possiamo imparare dalle esperienze di lotta in altri settori. Cercheremo
di ottenere altre interviste e rapporti da lavoratori che intendono fare
qualcosa sul loro posto di lavoro o stanno prendendo parte ad uno sciopero. E
ovunque sia necessario interverremo nelle lotte con i nostri volantini. Restate
sintonizzati!
Vostri, Hotlines
Numerosi lavoratori ci hanno
posto il problema dei ritmi di lavoro e dei controlli a distanza e questo
sindacato di base, dopo aver consultato il proprio studio legale di fiducia,
interviene comunicando quanto segue:
· Il lavoratore è pagato per
fare un unico lavoro e quindi può svolgere una sola attività per volta e non 2
o 3, come viene richiesto in alcuni reparti, non c’è alcun dovere, in tal
senso, nei confronti dell’azienda;
· Il lavoratore ha diritto a
svolgere la propria prestazione in tranquillità e con «il giusto ritmo», non
ha alcun obbligo di velocità di esecuzione dei compiti a lui assegnati;
· I controlli a distanza, ad
esempio tramite terminale, sia sulla qualità della prestazione che
dell’effettivo inserimento «in servizio» del singolo lavoratore-operatore
sono vietati, se non su previo accordo con il sindacato o su decisione
dell’Ispettorato del Lavoro, quindi molti controlli che le aziende attuano
sono illegali.
Le crescenti pressioni, che
vengono fatte da vari capetti (in particolare nei reparti in risposta, call
center, ecc.), anche a livello psicologico, verso i lavoratori affinché
svolgano più attività in contemporanea, siano sempre inseriti sul servizio e
lavorino a ritmi disumani sono illegittime e dannose per la salute dei
dipendenti; ricordiamo inoltre le contestazioni disciplinari che sempre più
colpiscono i lavoratori. Sintetizzando: il lavoratore che svolge una sola
attività per volta con il «giusto ritmo» e magari si «stacca» per qualche
breve pausa fisiologica dal servizio, senza violare i doveri del lavoratore, non
ha ragione di temere dei provvedimenti disciplinari fondati.
Invitiamo i lavoratori a
segnalare tutte le situazioni critiche riscontrate nei vari reparti ai delegati
FLMUniti-CUB per difendersi dai continui soprusi delle aziende. La FLMUniti-CUB
è a disposizione per la tutela sindacale e legale dei lavoratori che,
eventualmente, le aziende provassero a discriminare o punire con contestazioni
disciplinari.
Per completezza d’informazione
riportiamo l’Art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/70) che vieta
l’uso di apparecchiature per controlli a distanza:
«Art. 4 (Impianti audiovisivi).
E’ vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per
finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
Gli impianti e le apparecchiature
di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero
dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di
controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati
soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in
mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su
istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove
occorra, le modalità per l’uso di tali impianti.......».
La FLMUniti-CUB diffida le
aziende dal proseguire nell’imporre ritmi di lavoro elevati e forme di
controllo dell’attività lavorativa, in caso contrario ricorrerà ad opportune
iniziative di lotta, tutela legale e denuncia di questi soprusi presso gli
organi competenti.
“CALL CENTER” le nuove “Catene di Montaggio”
Il modello “Call Center”
Quello dei “Call Centers”
(centri di chiamata) è un business in rapida espansione nel mondo della
new-economy: Quest’ultima, anziché essere un’economia portatrice di
“nuovo lavoro”, si dimostra così, ancora una volta, capace soltanto di
riproporre un modello di lavoro simile a quello delle “vecchie” catene di
montaggio che, soprattutto in questi tempi di liberismo sfrenato e di rinuncia a
pensare politiche di tutela del lavoro, diventano nuove forme di schiavitù.
Anche alcune Ricerche giornalistiche confermano quasi quotidianamente questa
realtà, da cui provengono, infatti, le denunce dei lavoratori che parlano di
pesanti discriminazioni, “bullismo”, di richiami esemplari per ‘far capire
chi comanda’, di abusi diversi che giungono al controllo del tempo e del
numero di volte che gli operatori si recano in bagno; denunce che testimoniano
di una realtà fatta di condizioni di lavoro esasperanti, create anche
dall’imposizione di un ritmo frenetico nei tempi di gestione delle telefonate,
e di obiettivi di vendita impossibili da raggiungere. Si tratta, tra l’altro,
di un business che non necessariamente risponde alle esigenze concrete della
clientela, ma più spesso a criteri di immagine: non a caso è fatta presente
agli operatori, come primaria, l’importanza di una certa ‘impostazione’
della voce nel rispondere alle domande e nel presentarsi. Non a caso sembra
essere una pratica diffusa dell’organizzazione di questi Call Centers, quella
di mantenere una ‘apertura’ 24 ore su 24, spesso senza però che i sistemi
informativi, nelle ore notturne e festive, siano abilitati ad eseguire le
operazioni, cosicché la lavorazione deve essere rimandata al giorno successivo.
Ma soprattutto è un business – quello dei Call Centers – perché la sua
‘naturale’ posizione è quella di essere posto outsourcing: cioè
esternalizzato dalle aziende che vogliono risparmiare sui costi. I Call Centers
sono il fulcro delle nuove aziende “tecnologiche” attorno ai quali è
plasmata tutta l’organizzazione aziendale, che determina anche un notevole
peggioramento del servizio a causa dell’introduzione dei risponditori
automatici (dischi) e all’eliminazione del contatto “fisico” con il
cliente-utente-consumatore. I rapporti di lavoro all’interno dei Call Centers
sono precari e spesso determinano una condizione di ricatto per il dipendente:
si va dall’uso massiccio di contratti a termine (esempio 12-187 Telecom), di
formazione lavoro, part-time, interinali (“l’affitto” dei lavoratori è
molto diffuso in TIM e BLU) ai contratti di collaborazione a partita IVA (ad
Atesia quasi tutti i lavoratori hanno questo tipo di rapporto di lavoro, così
come a Seat-Tin.it), dove il “dipendente” non è un lavoratore subordinato
ma “autonomo”, e perciò con zero diritti e tanti doveri. Ed è proprio
questi luoghi di lavoro che abbiamo l’applicazione massiccia di tutti gli
strumenti possibili in termini di flessibilità e sfruttamento della forza
lavoro, e se ne sperimentano di nuovi. Grazie ai contratti di lavoro e agli
accordi siglati dai sindacati di stato, prima vengono le “esigenze
aziendali”, la vita privata non conta, “i tempi” sono scanditi dal ritmo
aziendale: i Call-Centers sono sempre più indirizzati verso orari di lavoro 24
su 24, 7 giorni su 7, con turni massacranti, con i part-time che non possono
godere dei loro diritti, previsti da questo tipo di rapporto di lavoro, per il
rischio sempre presente di ritorsioni, ad esempio le aziende illegalmente non
concordano con loro la collocazione rigida della prestazione lavorativa. Stessa
cosa per chi è a contratto di formazione lavoro, interinale o a collaborazione.
I Call Centers del gruppo Telecom Italia
Tale è anche lo scenario che
Telecom Italia sta preparando per i suoi “Call Centers”: il 187 in primo
luogo. Il 187 è senz’altro “il numero fatto di persone” più famoso, che
ha già alle spalle una importante esperienza di lotta, organizzata negli
scioperi promossi dal sindacato di base FLMU-CUB nel corso degli ultimi 4 mesi,
contro la nuova estensione dei turni, introdotta tramite un (troppo) celere,
specifico accordo tra Azienda e Sindacati Confederali. Lotte che hanno ottenuto
un primo piccolo risultato con le pause per gli operatori, un secondo risultato
riguarda l’acquisizione di una coscienza dei problemi propri dell’attività
lavorativa legata ad una nuova organizzazione della risposta. In quest’ultimo
periodo le lavoratrici ed i lavoratori di questo settore, si sono resi conto che
l’ampliamento dei turni, è stato solo il primo dei mutamenti che tendono a
configurare tutti i settori di interfaccia con la clientela in termini di Call
Center.
Una turnistica che interferisce
pesantemente nella vita relazionale della sfera privata; e che crea enormi
disagi per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Ritmi di lavoro
stressanti, lavoratori trasformati in venditori senza neppure una adeguata
formazione, sottoposti ad una logica di falsi incentivi, che serve solo a
richiedere la loro disponibilità ad una utilizzazione più “flessibile”; e
soprattutto controllo: controllo a distanza “minuto per minuto” del lavoro
degli operatori, attraverso nuovi centralini e procedure intranet, che si unisce
al controllo diretto ‘fisico’ alla postazione. Il tutto codificato da una
concezione “meschina” dell’organizzazione lavorativa propria
dell’azienda, che non compie nemmeno alcun passo nella direzione di
sperimentare forme di remotizzazione dell’attività. Questa situazione è
tanto più aggravata dall’incertezza delle prospettive occupazionali (tra
l’altro l’idea di utilizzare questo numero come ‘marchio’
dell’azienda, può essere anche considerata come un modo per ‘valorizzare’
questo ramo d’azienda in previsione della sua cessione). La riorganizzazione
Telecom prevede una nuova unità denominata “Call Center”, incentrata su
Atesia (per ora al 100% di proprietà Telecom). Cosa accadrà quando partirà la
nuova unità “Call Center”? Finora Telecom si è limitata a dichiarare che
saranno dirottate ad Atesia solo le chiamate eccedenti, non gestibili dai
lavoratori degli altri “piccoli Call Centers” del gruppo Telecom. Possibile
anche che, tra i piani aziendali, vi sia il progetto di cedere ad Atesia tutte,
o parte, delle attività di Call Center, lavoratori compresi. Intanto
l’apertura di 2 nuovi Call Centers (uno a Caltanissetta e l’altro in
Calabria), prevista dall’accordo con i sindacati confederali del 28 marzo
2000, sta scivolando nel tempo e non è ancora chiaro se la gestione sarà di
Atesia o di TIM come inizialmente ipotizzato. Un Call Center Atesia costa meno,
dà meno problemi, è più flessibile e può essere usato anche per lavori
esterni (outsourcing) dal gruppo Telecom... Nei Call Centers 119 TIM si fa ampio
ricorso a lavoratori in affitto, e si utilizzano come si vuole i part-time, che,
ad esempio coprono turni variabili in continuazione (“rotativi”). Nel
prossimo futuro i vertici del gruppo Telecom attueranno altri tagli al costo del
lavoro, perciò sfrutteranno la concorrenza tra (poveri) lavoratori: da una
parte i vecchi addetti con il contratto di settore e quindi con il diritto a
ferie, malattie, pause, ecc.; dall’altra lavoratori a cottimo senza, ferie,
tredicesima, ecc… in parole povere “senza diritti”. Le attività più
propriamente commerciali di “vendita” avvengono sempre più via telefono e
da un po’ di tempo sono in parte “esternalizzate”: negozi affiliati
“punto187” ed agenzie esterne, dove piccoli gruppi di lavoratori (di solito
inferiori a 10) svolgono attività come dei veri e propri mini-Call Centers.
Anche qui le condizioni di lavoro non sono certo ottimali ed in più c’è la
ridotta dimensione dell’azienda che certo non aiuta, ma se i lavoratori di
questi mini-Call Centers iniziassero ad organizzarsi ed a collegarsi tra di loro
forse…
Oltre le frontiere:
situazione, organizzazione e lotte
Il processo di privatizzazione e
liberalizzazione delle telecomunicazioni, con tempi diversi, è ormai in atto in
tutti i paesi del mondo; uno degli effetti maggiori è la riconversione
dell’attività dei “vecchi” lavoratori verso l’ambito commerciale del
call center e lo sviluppo massiccio di questo modello aziendale per i
“giovani” dipendenti delle nuove società. Ormai le maggiori società di TLC
si muovono sempre più a livello internazionale, facciamo l’esempio di
Vodafone-Verizon-Omnitel-Infostrada, di British Telecom-Blu-Albacom, di France
Telecom-Wind, Telefonica -Acea-Ipse, di Telecom Italia che opera in quasi tutti
i paesi del Sudamerica, in Spagna, Francia, Serbia, Grecia, Israele, Austria e
Turchia, Tiscali-World on Line. Quest’ultimo caso, che coinvolge due delle
massime società Internet d’Europa, è emblematico: dopo la fusione abbiamo già
le prime ripercussioni sui lavoratori, 170 esuberi, 58 licenziamenti alla World
on Line Svizzera, in Spagna è previsto un taglio della forza lavoro dell’11%,
con 19 lavoratori che rischiano il posto tra Madrid e Barcellona; mentre, dal 22
febbraio, sono entrati in sciopero i dipendenti World on Line di Anversa
(Belgio) dove rischiano il posto 45 lavoratori su 85. Ricordiamo inoltre i
recenti scioperi dei lavoratori di Telecom Serbia per rivendicare l’aumento
dei salari e contro l’apertura del mercato interno ad altre aziende. Da ciò
deriva la necessità di un agire comune “organizzato” tra i lavoratori a
livello di gruppo aziendale e in generale nel settore telecomunicazioni. Occorre
adattare le forme di lotta alle modifiche dell’organizzazione del lavoro: se
oggi scioperano i lavoratori Telecom Italia del 12 di Milano o quelli del 187 di
Bologna, anche con alta adesione, difficilmente l’azienda avrà contraccolpi,
perché lo sciopero di Milano viene “ammortizzato” dai Call Centers 12 di
tutta Italia, mentre quello al 187 di Bologna è “ammortizzato” dagli altri
187 della regione. Stessa cosa vale per il 119 TIM. Gli scioperi vengono
“spuntati” utilizzando i lavoratori interinali e passando il lavoro ad altre
ditte: sia per il 187 che per il 119 le chiamate che non riescono ad essere
smaltite vengono dirottate verso Atesia, dove i lavoratori sono impossibilitati
a scioperare. Logica conseguenza è che le iniziative di lotta per incidere
devono essere estese a tutti i Call Centers di un’azienda. Ma non solo, è
indispensabile interessare alla lotta anche le aziende collegate sia in ambito
nazionale, che internazionale e studiare le forme di coinvolgimento dei
lavoratori più ricattabili, come ad esempio Atesia.
Dal Gruppo Telecom per
un’azione organizzata di tutti i lavoratori dei Call Centers
Più che nelle nuove società è
nelle compagnie ex monopoliste che si procede di gran lena a riorganizzare “il
contatto” con il cliente peggiorando notevolmente le condizioni di lavoro. Ed
è proprio qui che si stanno verificando i primi tentatavi di opposizione da
parte dei lavoratori all’imperversare della flessibilità e del precariato. La
resistenza di questi lavoratori delle varie ”Telecom” del mondo è
fondamentale per tutti i dipendenti, anche per quelli delle nascenti società,
esempio: le lotte dei lavoratori americani di Verizon finalizzate anche a
permettere la difesa degli interessi dei “giovani” lavoratori di Verizon
Wireless, la compagnia di telefonia mobile. Gli scioperi al 187, le cause per la
riassunzione dei lavoratori a termine del 12, quelle per l’orario dei
part-time hanno prodotto: le pause al 187, il ripristino degli orari concordati
per i part-time, il reintegro di decine di lavoratori al 12. Queste iniziative
legali e di lotta, promosse dal sindacato di base, hanno dimostrato che i
lavoratori possono incidere con le loro azioni e ottenere
risultati. Occorre partire da
queste vertenze, far capire ai “vecchi” lavoratori delle TLC che la loro
mobilitazione è importante non solo per se stessi ma per tutti, in particolare
per i “giovani” lavoratori, che vanno coinvolti per mettere in piedi una
vertenza generale che superi “l’ambito aziendale”. Solo se i “vecchi”
dipendenti riusciranno ad alzare la testa e a lottare “trascinando” i ‘giovani’,
senza farsi imbrigliare nella “concertazione” dei sindacati di stato, ci
potrà essere una speranza
immediata, per loro, e futura per i “giovani”. Una vertenza generale sui
Call Centers non può che partire da Telecom Italia, che è l’azienda più
importante in Italia con 17.000 lavoratori che operano nei vari Call Centers.
Perciò come prime iniziative invitiamo le lavoratrici ed i lavoratori dei
“Call Centers” del gruppo Telecom Italia (12, 181, 182, 183, 187, 189, 191,
119, Atesia, Seat-Tin.it, ecc.), sia di “front-end” che dei reparti
collegati, a comunicare i loro problemi ai delegati della presente
Organizzazione Sindacale, che si impegna a difenderli anche attraverso strumenti
legali (ricordiamo che, ad esempio, il ‘mobbing’ comincia ad essere
proficuamente denunciato in sede legale anche in Italia). Ma, soprattutto
proponiamo di partecipare alla costruzione di uno sciopero nazionale, per
portare avanti una grande vertenza dei lavoratori inseriti nella tipologia di
questi ‘nuovi’ lavori, che possa diventare anche una battaglia di civiltà.
Chiediamo quindi il contributo per la costruzione di una forte piattaforma
rivendicativa, nella quale pensiamo possano trovare spazio già i seguenti
punti:
Revisione delle attuali
turnazioni, con riduzione dei turni di lavoro serali, notturni e festivi,
limitati alle sole attività tecniche (non commerciali) di continuità del
servizio.
Modifica dell’organizzazione
del lavoro per allentare la pressione cui sono sottoposte/i le lavoratrici ed i
lavoratori.
Forte riduzione dell’orario di
lavoro.
Aumento degli organici anche
attraverso il passaggio a tempo pieno di tutti i part-time che lo richiedono.
Obbligo per l’Azienda di
concordare l’orario di lavoro e la collocazione della prestazione lavorativa
dei part-time.
Pause retribuite in tutte le
aziende e i reparti interessati, con stacco effettivo da qualsiasi attività
lavorativa.
Nuovo contratto di lavoro per
tutti a partire dal vecchio contratto Telecom/TIM.
Abolizione dei rapporti di lavoro
precari (termine, formazione lavoro, interinale, collaborazione), rivendicando
il contratto a tempo indeterminato per tutti.
Invitiamo le lavoratrici e i
lavoratori che ritengono importante costruire una vertenza generale sui Call
Centers, iniziando da un primo sciopero a sostegno delle rivendicazioni sopra
esposte nei Call Centers del gruppo Telecom, a mandarci adesioni e/o proposte di
iniziative.
FLMU-CUB - Firenze, 2000 -
flmu.fitim@dada.it
La
catena fordista della comunicazione
Il controllo software del lavoro
obbliga a procedure standard e sequenze lineari, non modifcabili dal singolo
operatore. Un modulo organizzativo rigido quanto la catena “meccanica”. La
“qualità” del prodotto deriva dallo sfruttamento dell’inventiva
personale, oltre che della generica forza lavoro. Il ruolo inconsapevole del
“cliente” che telefona.
“Attenzione uscita operai” è
ciò che si legge ancora oggi su un cartello lungo la Tiburtina, conosciuta fin
dagli anni `60 per i suoi insediamenti industriali. Questi, nei decenni a
seguire, furono rimodellati dalla ristrutturazione del ciclo produttivo, che
puntava all’erosione delle conquiste del soggetto collettivo protagonista del
“biennio rosso” `68-’69 e al recupero di margini di profitto più
consistenti. I mefitici anni `80 videro poi l’obsolescenza di vecchie
fabbriche dismesse accanto al proliferare dei palazzi tutto vetro dell’era
informatica e, di tanto in tanto, qualche roulotte imbandierata di rosso, con
gruppi di operai che, ignari di tutto, si ostinavano a testimoniare
l’esistenza propria e della condizione dei salariati. Cedevano il passo al
“nuovo” che avanzava, tra cui c’eravamo anche noi... Noi, operatori dei
call center (operanti 24 ore su 24 per tutto l’anno), che nel solo gruppo
Telecom siamo 17.000. Rispondiamo al 12, 181, 182, 183, 187, 191, 119 dalle sedi
Telecom s.p.a., lungo la Tiburtina o da Napoli (isola direzionale 2), dalle cui
svettanti costruzioni si osserva l’ormai silenziosa piana di Bagnoli; o anche
dall’Atesia a Roma e a Caltanissetta, dalla Saritel a Pomezia, dalla
Telecontact a Napoli, dalla Datel di Crotone...
Oltre a noi - impegnati in
“front-end” - ci sono quelli dei “back-office”, che supportano
l’intero corpo organizzativo dei sistemi informativi e di rete (e quindi anche
noi), la cui continua frammentazione farebbe impallidire un caleidoscopio.
Siamo diversificati e divisi da
vari canali d’ingresso delle chiamate, confluenti in stabilimenti aziendali
(fabbriche?!) che concentrano fino a 5.000 “risorse”. Così come siamo
frammentati dai diversi trattamenti salariali. Siamo però sempre più omogenei
- praticamente indistinguibili l’uno dall’altro - per quanto riguarda la
sostanza del nostro lavoro.
In realtà, al di là delle
divagazioni di moda sulle fantomatiche “autovalorizzazioni post-fordiste”
(ben poco supportate da una qualsiasi inchiesta sul campo, neppure troppo
difficile da fare), ci sembra oggi imprescindibile esprimerci in prima persona
sulla nostra effettiva “composizione tecnica”: di fronte della
radicalizzazione del conflitto sociale che, dopo le “giornate di Genova”, ha
fatto soffiare il vento di Seattle anche in Italia, pensiamo sia essenziale che
i lavoratori riprendano la parola a partire dalla propria condizione materiale
(in tal senso riteniamo utile richiamare l’esperienza positiva della prima
sfida lanciata con la lista sindacale unitaria “Cambia con Cobas Tlc, FLMUniti,
Snater” che, alle ultime elezioni Rsu in Telecom e Tim, ha raggiunto
l’importante risultato del 14%).
Siamo operai con mani e teste
vincolati a una catena “fordista”, anche se non immediatamente percepibile
nella sua materialità: le nostre mansioni sono estremamente parcellizzate, i
ritmi intensificati e la giornata lavorativa allungata. Il sistema informativo
nei call center della Telecom e della Tim - su cui lavoriamo tutti
(“garantiti” e non) - è costituito su piattaforme software che preordinano
e comandano ogni nostra operazione nei minimi dettagli. Tutto viene
minuziosamente tracciato, con buona pace di quei sindacati che fingono di non
vedere il capillare sistema di controllo allestito tramite i nuovi sistemi
informativi e avallano in varia misura le bugie aziendali riguardo al solo
obiettivo dichiarato, il cosiddetto “miglioramento del servizio”.
Quella su cui lavoriamo è una
catena di sequenze lineari scandite da un sistema i cui processi scorrono su
binari paralleli, rigidamente predeterminati e non modificabili dal singolo
operatore.
Ma c’è un altro aspetto,
altrettanto importante, che riguarda il lavoro in tutti i call center: nel
processo di produzione, l’astratta “merce forza-lavoro” che abbiamo
venduto, il nostro tempo di vita che l’azienda mette a valore, torna a
concretizzarsi nella nostra attività, nel nostro dispendio di energie
bio-psichiche. E in tale momento i sistemi high-tech che ci usano manifestano la
loro specifica capacità d’intensificare il nostro sfruttamento, riuscendo a
coinvolgere anche la nostra intenzionalità: la macchina ci interfaccia con il
cliente, un altro individuo col quale siamo stimolati, quasi in modo
“subliminale”, a mettere in gioco non solo l’inerzialità esecutiva degli
script (casistiche standard predisposte dall’azienda e perennemente
aggiornate, tramite la solita vampirizzazione del “sapere” del lavoro vivo),
ma anche e soprattutto la nostra duttilità, la nostra inventiva. E’ quasi un
riflesso automatico: in qualche modo l’utente si sostituisce all’azienda
(del cui ruolo oppressivo, invece, non potremmo rimuovere la percezione) nel
conferire “senso” al nostro lavoro.
Solo per questo “doniamo”
all’azienda, volendolo o no, la famosa “qualità”. La “catena
telematica” non sfugge a logiche tayloristiche, anzi. Rispetto a quella
“meccanica”, ha il vantaggio per il padronato di intensificare lo
sfruttamento, saturando le porosità del tempo di lavoro operaio, tramite la
messa a valore di quella che taluni hanno definito “forza-intenzione”.
Questo nuovo “valore aggiunto” che c viene carpito si riverbera
sull’intero processo di valorizzazione, risolvendo le note aporie tra
“quantità” e “qualità”, e fa sì che le nostre funzioni siano sempre
più indirizzate anche alla vendita: il rapporto col mercato viene a dipendere
dalle qualità relazionali che sappiamo mettere in atto con l’utenza.
Qui sta la pesantezza del nostro
lavoro ma anche la vulnerabilità dell’azienda rispetto a un’eventuale
nostra ritrovata capacità di lotta collettiva. E tale obiettivo impone di
ripartire dalla nostra condizione lavorativa materiale: l’applicazione del
contratto collettivo di settore a tutti, la diminuzione dei carichi di lavoro e
la riduzione dell’orario sono la piattaforma rivendicativa che può
riunificare la frammentata galassia in cui siamo attualmente scompaginati,
superando quelle divisioni che non possono che incrementare la già
insopportabile precarizzazione di noi tutti.
Lavoratori e lavoratrici dei call
center aderenti al Cobas telecomunicazioni
cobascomunicazione@virgilio.it
2001
“Se vogliamo che tutto rimanga
come è, bisogna che tutto cambi.”
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Sappiamo ormai per esperienza
come ogni nuovo amministratore sembri sentirsi in dovere di conferire
un’impronta personale, per quanto equivoca questa possa apparire a chi poi la
subisce, allo spazio produttivo che si accinge a dirigere. In un certo senso
costui mette una firma, proprio come se la sua opera dovesse essere consegnata
ai posteri (o agli azionisti…): ma forse si tratta semplicemente di
giustificare il proprio mandato, altrimenti anonimo o comunque poco
riconoscibile. In fondo la prima vittima del potere è proprio chi lo esercita,
perché sa di correre il rischio, lui stesso, di essere stritolato dal feroce
meccanismo delle gerarchie. C’è sempre chi non aspetta altro che un nostro
fallimento, e tutti senza eccezioni hanno paura…
Provvidenzialmente si può
contare sul fatto che i rinnovamenti sono sempre accolti con entusiasmo,
soprattutto dagli ingenui e dagli scontenti, perché il cambiamento, fosse pure
fine a se stesso, nella nostra cultura assume comunque connotati positivi: il
cambiamento viene salutato da alcuni (quelli che non si sono mai sentiti
compresi o valorizzati, e sembrano ormai caduti nel dimenticatoio) come una
promessa di riscatto, e da altri, tutti i risentiti con o senza potere, magari
come un’occasione di vendetta o l’illusione di nuove conquiste. Ma tante
volte il solo risultato del cambiamento per il cambiamento, è che con l’acqua
sporca si getta via anche il bambino. L’abbiamo già visto più volte.
Pochissimi anni ci fanno
spettatori passivi di mutamenti che appaiono vertiginosi ancora oggi. Risale a
tre anni fa il primo colpo inferto alla divisione delle competenze, con la
liquidazione dell’Ufficio Commerciale e il suo brusco assorbimento nel Front
End. Segue di pochissimi mesi l’istituzione dei macro-gruppi full time/part
time e il primo “indolore” smembramento dei gruppi: medesimo gruppo di
lavoratori che ricoprono però orari diversi. Modello, questo, che viene
abbandonato poco dopo con il varo, del tutto contraddittorio, dei micro-gruppi.
Cambiano tutti i colleghi, e affinché il gruppo sia il più compatto possibile,
tutti i membri prestano servizio nel medesimo orario e viene contestualmente
imposto un tetto rigido al numero dei cambi turno consentiti: prassi iniqua,
questa, perché riguarda proprio lavoratori turnisti, la cui vita non si vuole
esaurire ancora nell’Azienda e per l’Azienda. Risalgono a questo periodo
nuove parole d’ordine come ROL (Reclamo-On-Line) e One-Call-Solution, perché
i micro-gruppi sono intesi essere relativamente autonomi (leggi ermetici): e
mentre l’Ufficio Amministrativo perde competenze, al 119 tutti si ritrovano a
fare di tutto (rimborsi compresi), a volte completamente a digiuno della
preparazione tecnica necessaria.
La mossa successiva sarà l’escogitazione
dei seguenti gruppi: BOC (dedicati all’evasione delle pratiche commerciali) e
GOLD (rispondono solo ai titolari di contratto, ma, di fatto, continuano a
rispondere…) a turno fisso; BOT (torneranno quasi tutti in risposta dopo una
breve fase di sperimentazione, per così dire…); SILVER (rispondono e basta, e
sono tenuti a trasferire le chiamate secondo le competenze).
Non è finita qui: da quando
diventa discriminante la distinzione fra clienti alto-consumanti e clienti
basso-consumanti (e non più la tipologia del reclamo), i gruppi GOLD aprono
anche ai prepagati alto-consumanti; esordisce un BOC 2, i cui membri,
provenienti dal Front End grazie ad una scheda di valutazione “di tutto
rispetto”, sono dedicati ai reclami on-line (ma si staccano dalla risposta in
media una volta alla settimana e confluiranno poi nella coda GOLD, vale a dire
in turno e in risposta); molti membri dell’Ufficio Amministrativo intanto
tornano in cuffia… L’intreccio s’infittisce: l’ultima invenzione in
ordine di tempo è l’istituzione dei gruppi COPPER (“rame”, per chi non
conosce necessariamente l’idioma anglosassone, un metallo vile), che
rispondono a chiamate di tutti i tipi e da tutta la penisola (con buona pace
della tanto sbandierata territorializzazione del 119).
L’inaugurazione di un sistema
come l’IVR, che attualmente disciplina l’instradamento delle chiamate
esclusivamente secondo la caratterizzazione del cliente (un tempo concepito
invece per dirigere le chiamate secondo la tipologia delle problematiche), aveva
lasciato presupporre e sperare finalmente in una sorta di qualificazione: ma una
formazione credibile è sempre stata fisiologicamente e deliberatamente negata.
La formazione è diventata progressivamente auto-formazione: proliferano manuali
e prontuari che fungono da una parte da alibi aziendale alle carenze croniche
nei processi di aggiornamento, e dall’altra il pretesto per l’avanzamento di
chi ne ha curato la stesura… L’impreparazione di un operatore diventa ormai
a suo carico esclusivo, perché la sua inadeguatezza non ha più attenuanti, da
qualche parte forse ci sta scritto tutto… La soppressione delle Sessioni di
Formazione e Confronto (e perché no, il naufragio del progetto Partnership) la
dice lunga sul ruolo che la professionalità e la competenza tecnica rivestono
per la dirigenza, proprio mentre di sempre maggiore enfasi è investito
l’aspetto commerciale e quello comunicativo finalizzato alla vendita.
La merce prodotta dalla macchina
call center si smaschera infine per quella che è sempre stata: mera apparenza,
specchio per le allodole, confezione senza contenuti, dichiarato espediente
pubblicitario. Tutto questo però il cliente, che si trova al cospetto del
solito, labirintico, sistema a scatole cinesi, lo intuisce benissimo, e di qui
si perpetua la cesura tra operatore (o agente, come si chiama adesso), e
consumatore, fra cliente interno e cliente esterno.
Ingenuità sarebbe (anche se la
tentazione a volte è forte) imputare questi tentennamenti, queste volubilità,
ad un periodico disorientamento, ad un momentaneo accecamento, quando non ad un
inguaribile dilettantismo, ad una recidiva vocazione per l’improvvisazione…
Crediamo invece più lucido sospettare in queste fluttuazioni, in queste
“indecisioni”, una declinazione di puro dominio ai danni della classe
lavoratrice, nella forma già collaudata della ristrutturazione metodica, che la
Proprietà vorrebbe giustificata e tollerata solo come un male necessario, nel
contesto concorrenziale del “libero” mercato, in una dinamica che
necessiterebbe di risorse progressivamente più duttili e sempre più
flessibili. Una ristrutturazione che da vent’anni a questa parte è intesa
togliere sistematicamente la terra sotto i piedi al lavoratore.
Nel caso in cui non avessimo già optato per l’auto-licenziamento (fenomeno ormai dilagante in TIM, a denuncia di un disagio oggettivo, e di una negligenza da parte aziendale di frenare la fuga di cervelli), quali ormai i prossimi orizzonti previsti per la nostra permanenza in Azienda? Si parla sempre più insistentemente, per esempio, di un full time spezzato, suddiviso cioè in due “tempi” distinti, e separati da varie ore “buca”, da applicare flessibilmente e funzionalmente alle curve di traffico…
Snater - Bologna
Gennaio 2001
Forse ci eravamo illusi di
lavorare per un’Azienda di punta nel settore delle telecomunicazioni a livello
internazionale, forte di un impianto tecnologico d’avanguardia e di un
immaginario che trae legittimazione dalle parole d’ordine della new economy…
E invece, quando cade la maschera, rispuntano strategie produttive e trame
ideologiche degne del più tradizionale sfruttamento della forza lavoro, buone
per tutte le stagioni: dietro le lusinghe dell’intellettualità di massa, si
nasconde un’organizzazione del lavoro squisitamente strutturata sul modello
industriale. E i modernissimi call center possono ben rivelarsi per ciò che
sono veramente: catene di montaggio, magari post-fordiste, ma sempre catene di
montaggio. Non sorprende pertanto imbattersi periodicamente in espedienti già
applicati da decenni nell’Industria, grossolanamente riprodotti dall’Azienda
quando il livello del conflitto si fa particolarmente alto: dalla
ristrutturazione incessante, ai processi di normalizzazione e di cooperazione
coatta che fanno capo ad un sindacato giallo (vale a dire un sindacato allestito
e finanziato dall’Azienda, la cui illegalità è sancita dallo Statuto dei
Lavoratori, ricordiamolo).
Risalgono a questi ultimi giorni
le iniziative promosse da TIM per monitorare e porre sotto controllo le criticità
lavorative e il diffuso dissenso emersi fra le lavoratrici e i lavoratori del
119 dopo il varo del nuovo CCNL, l’ennesima, assurda, riorganizzazione
aziendale, la mancata corresponsione del Premio di Risultato e le minacce di
esternalizzazione dei Call Center 119, 187 e 191 dal Gruppo Telecom.
Alla vigilia della nuova
ristrutturazione, l’Azienda convoca le lavoratrici e i lavoratori ad un corso
sull’evoluzione del progetto partnership e ad un incontro con la dirigenza.
Nel primo caso siamo stati sollecitati (da facilitatori alla comunicazione) a
formulare per iscritto critiche al sistema lavorativo (purché costruttive e
soprattutto non anonime), e proposte finalizzate al perseguimento degli
obiettivi aziendali (one-call-solution e attivazione dei servizi di valore
aggiunto), motivati dai soliti incentivi (in beni che definire effimeri è
eufemistico). Nel secondo appuntamento mondano (al quale hanno presenziato i
soli full-time e i part-time della fascia pomeridiana), siamo stati
paternalisticamente invitati alla spontanea socializzazione delle medesime
problematiche, e poiché queste si sono dimostrate tanto ovvie quanto
disarmanti, la dirigenza si è trincerata spesso in un prudente silenzio che
molto sembra avere a che fare con la reticenza e l’omertà.
Anche sorvolando sul fatto che queste strategie sono comunemente adottate dalle industrie ad organizzazione toyotista (deducendo l’indispensabile attenzione che dobbiamo rivolgere a settori produttivi solo apparentemente distinti dal nostro, se vogliamo carpirne le strutturali contraddizioni), affermiamo che l’Azienda in tutte le sue articolazioni (dirigenza, assistenti, facilitatori, sindacalisti di comodo e quant’altro) non può e non deve essere riconosciuta come interlocutrice nella risoluzione di quelle conflittualità che essa stessa produce per sua intrinseca natura, e che devono essere affrontate efficacemente solo in sede di dialettica politica e sindacale. Proprio perché per sua natura intrinseca obbedisce solo alla logica del profitto, del comando del capitale e dello sfruttamento della forza lavoro, all’Azienda non resta invece che progettarsi come interlocutrice unica e privilegiata nella risoluzione del conflitto, nel tentativo totalizzante di sussumere il dissenso rendendolo produttivo, e di boicottare così le organizzazioni autonome dei lavoratori nell’aggiramento della loro legittimità.
Snater - Bologna
Giugno 2001
Premessa
La lotta di classe alla IBM non
ha mai assunto gli aspetti clamorosi della Fiat, della Pirelli, della Renault, nè
per le dimensioni dell’autonomia che ha espresso, ne’ per la violenza dello
scontro.
Perche’ allora proporla
all’attenzione, della sinistra rivoluzionaria?
Noi crediamo che le lotte portate
avanti all’IBM da un anno a questa parte si inseriscano interamente nel
processo di sviluppo e di organizzazione dell’autonomia proletaria, e che
questo sia il fatto politico più significativo. La IBM e’ una delle
situazioni specifiche più avanzate del capitalismo mondiale, in cui la figura
tradizionale dell’operaio viene inesorabilmente soppressa e sostituita da
quella apparentemente più ambigua del “tecnico”. La IBM costituisce un
terreno ideale per sperimentare il superamento della contraddizione fondamentale
tra borghesia e proletariato con il progetto riformistico del social-capitalismo;
l’ipotesi che il tecnico sia irrimediabilmente catturato dalla strategia
riformista del social-capitalismo, ha trovato, proprio nella lotta all’IBM,
una secca smentita, in quanto anche all’interno di questa forza lavoro
qualificata, le contraddizioni capitalistiche hanno espresso una nuova
avanguardia politica come risposta al tentativo di soffocare per sempre
l’autonomia proletaria, nella obiettiva collusione del revisionismo e del
riformismo borghese.
Struttura organizzativa e
politica della IBM
La IBM è una società
multinazionale dominata dal capitale americano; essa detiene più del 70% del
mercato mondiale dei calcolatori. Divisa
in IBM Domestic, che controlla il mercato USA, e IBM World Trade, (a sua volta
controllata dalla IBM Domestic) che controlla il mercato mondiale, questa società
gigante è una componente fondamentale dell’imperialismo americano nel mondo.
Essa attua lo sfruttamento imperialistico a livello mondiale, attraverso
l’applicazione dei classici modelli della divisione internazionale del lavoro
e della concorrenza.
La divisione internazionale del
lavoro ha un primo momento di applicazione concreta nel fatto che la ricerca e
la progettazione sono di esclusiva competenza della IBM Domestic; il monopolio
della ricerca, della progettazione e dell’applicazione tecnologica, vincola
tutte le consorelle sia al mercato USA che alla IBM americana, anche per
componenti e materiali di fondamentale importanza per la costruzione dei
calcolatori. Questo e’ un primo
grado, e di sfruttamento imperialistico, e di soggezione politico-economica al
capitale americano.
La divisione del lavoro viene
ulteriormente attuata tra le varie consorelle, con l’applicazione del criterio
della interdipendenza produttiva tra le fabbriche, tutte condizionate dalla IBM
Domestic, alla quale, come si è detto debbono ricorrere per i componenti
strategici del calcolatore. E’
questo il secondo grado del controllo politico economico.
La posizione di monopolio sul
mercato mondiale dei calcolatori non impedisce l’applicazione del modello
concorrenziale tra le consorelle, e le pone in gara per accapparrarsi la
produzione dei vari modelli di calcolatore. Viene così realizzato un duplice
obiettivo: da una parte si rende dinamica una posizione altrimenti pericolosa
per la crescita e l’espansione della società, condizione questa essenziale al
mantenimento del suo predominio; dall’altra si tende a produrre ai minimi
costi ed a massimizzare il profitto, partendo dal fatto che il prezzo di vendita
o la tariffa di affitto sono pressocchè uguali in tutto il mondo.
E’ questo il secondo grado dello sfruttamento imperialistico da parte
del capitale americano. Si tenga presente che due sono i criteri fondamentali
che discriminano la operatività dello schema: il primo e’ dato dalla
affidabilità politica in senso generale dei paesi interessati; il secondo -
subordinato - dai requisiti tecnici nel senso più ampio della parola, anche
manageriali, che le società IBM di questi paesi debbono avere in relazione al
tipo di prodotto per il quale competono.
La situazione concorrenziale
genera poi lo sfruttamento capitalistico della classe lavoratrice da parte dei
gruppi dirigenti nazionali asserviti al capitale americano, quale presupposto
della espansione delle singole società IBM.
Questo schema non e’ proprio
della IBM soltanto, ma generale per tutte le società giganti che operano nel
mondo.
La fabbrica di Vimercate
I dipendenti della IBM Italia
sono 6000, di cui il 23% laureati e il 55% diplomati. A Milano sono presenti in circa 2000 (amministrativi,
rappresentanti, system analists, tecnici di manutenzione). A Vimercate sono
1.900 così suddivisi: 600 operai, 1.100 impiegati (tecnici e amministrativi),
200 capi a vario livello. La prima
caratteristica che balza evidente e’ l’assoluta prevalenza dei tecnici
rispetto agli operai (5.000 contro 600); la classe operaia va qui scomparendo
per un duplice motivo: 1) la sub-contrattazione del 60% dei prodotti a fornitori
esterni; 2) l’elevato grado di applicazione tecnologica (vedremo poi in che
cosa effettivamente consista) e la struttura integrata e complessa del processo
produttivo.
In pratica la fabbrica di
Vimercate non costruisce, nè tantomeno progetta; essa riceve tutte le
informazioni dai laboratori americani e il suo compito principale e’ quello di
tradurre e controllare operativamente il flusso delle informazioni (in questo
consiste l’elevato grado di applicazione tecnologica a Vimercate: un problema
di linguaggio specializzato comunicabile e manipolabile dai “tecnici”) in
modo tale che si concretizzi in un processo omogeneo, che da una parte trova
espressione nel piano di produzione da rispettare, e nell’altra nei costi di
produzione da contenere e diminuire. Non
a caso lo stesso prodotto dell’IBM, il calcolatore, e’ alla base
dell’organizzazione del processo produttivo.
Se la fabbrica e’ il luogo in cui si elaborano le informazioni, il
calcolatore ne e’ lo strumento per eccellenza; il compito dei “tecnici” di
Vimercate è di controllare questo flusso di informazioni in vista dei fini
prestabiliti (produzione, costi).
E’ questa la seconda
caratteristica del capitalismo avanzato: la riduzione dei tecnici a
proletariato, il moderno proletariato europeo.
La classe operaia non va affatto scomparendo; il capitale semplicemente
ne modifica il ruolo ed il livello di professionalità.
L’ideologia repressiva
dell’IBM
La IBM rappresenta la forma del
capitalismo avanzato in cui la classe operaia tradizionale scompare per essere
sostituita dai tecnici. E’ l’insieme dei fattori che determinano il processo
capitalistico avanzato ad imporre questa realtà nuova. La posizione di
monopolio e l’unificazione del mercato mondiale come suo presupposto, la
dimensione dei profitti e degli investimenti, il grado di tecnologia applicata
propria del settore produttivo in cui la IBM opera, la struttura organizzativa
che necessariamente ne consegue, hanno portato la IBM sin dal suo nascere a
scegliere una forma di controllo della classe operaia, che non può più basarsi
sulla compressione dei salari e sulla intensificazione dei ritmi di lavoro. A
queste viene sostituita una struttura organizzativa estremamente parcellizzata e
standardizzata, che nei programmi di elaborazione dei dati trova i punti
fondamentali di vincolo e di controllo unitamente ad una politica degli alti
salari, la cui componente fondamentale è legata al grado di consenso e di
identificazione con l’ideologia ed il sistema di valori della società.
Infatti, se il lavoro dei tecnici consiste nella manipolazione delle
informazioni, pur essendo inseriti in modo rigidamente determinato nel processo
produttivo, il loro margine di discrezionalità non può essere eliminato in
quanto espressione della fragilità della struttura complessiva stessa.
Si comprende quindi l’uso
politico del salario da parte della IBM come repressione attiva, diretta e
costante, mirante a conseguire l’uso di questa discrezionalità decisionale
per realizzare gli obiettivi generali che la società stessa si e’ proposti.
Tutta la politica del personale
è constantemente tesa a sottolineare la funzione individuale del tecnico e a
trasformarla in consenso. A ragione
possiamo definire tale politica come la “strategia della motivazione e del
consenso individuali”.
Cardine di tale strategia e’ il
trattamento sul merito che presuppone, come tangibile riconoscimento, non uno
specifico saper fare, ma l’autoresponsabilizzazione e l’impegno totale.
In queste condizioni lo
sfruttamento e’ realmente globale, poichè si traduce in condizionamento
politico che trascende i limiti della fabbrica e investe il comportamento del
singolo anche nella sfera sociale.
Il rapporto tra la IBM e i
dipendenti e’ esclusivamente individuale e avviene tramite il capo diretto, la
cui funzione e’ essenzialmente politica, di controllo e di centro capillare di
informazioni (un capo ogni dieci dipendenti); strumento fondamentale di
informazione e’ il programma valutazione-intervista con il quale
periodicamente il capo controlla il grado di consenso del dipendente, alle
politiche IBM e valuta tale grado: efficienza, precisione, auto-miglioramento,
continuità, sono i criteri usati e che di fatto costituiscono l’elemento
materiale sul quale la IBM costruisce l’adesione ideologica dei suoi
dipendenti.
La nascita del gruppo di
studio
Nel marzo ‘69 alcuni tecnici di
formazione culturale e provenienza politica quanto mai eterogenea, costituiscono
un Gruppo Studio. Non si tratta,
come potrebbe sembrare dalla sigla, della fondazione di un circolo culturale di
fabbrica, ma di un gruppo politico il quale mira, fin dall’inizio, a
promuovere e sviluppare l’autonomia proletaria, sulla base di una
ricomposizione iniziale di classe fondata su contenuti essenzialmente politici.
Il G.d.S. lascia intravederci un superamento della contraddizione fondamentale
in cui vivono i tecnici alla IBM, divisi tra: 1) la riduzione collettiva a
supporto e appendice del calcolatore nel processo di elaborazione delle
informazioni; 2) l’adesione ideologica al proprio asservimento come unica
scelta concretamente offerta dal capitale.
La nascita del G.d.S. scaturisce
dalla presa di coscienza della funzione e della condizione reale dei tecnici sul
luogo di produzione e dalla verifica del fallimento delle ipotesi politiche
delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio che, nella separazione
della sfera politica da quella economica pervengono all’unico risultato di
frantumare il ruolo politico della classe operaia, e con tale disgregazione,
all’assunzione in ultima analisi del modello borghese di comportamento, cioè
dell’universo culturale borghese che su tale disgregazione fonda la sua
egemonia e il suo dominio di classe.
Lo sviluppo dell’autonomia
durante la lotta contrattuale
La fabbrica si presenta alla
scadenza del contratto con alle spalle praticamente tre anni di assenza di lotte
al suo interno e con un predominante vuoto politico di classe: larga adesione
all’ideologia e alle politiche aziendali; presenza sindacale limitata e chiusa
in una logica rivendicazionistica del tutto marginale mentre aumenta la potenza
degli strumenti (aumenti di merito, carriera, benefits aziendali, ecc ... ) di
cui la Direzione dispone per piegare i lavoratori ai suoi obiettivi politici
(pace sociale, concessione individualistica dei rapporti di lavoro, ecc ... ).
Durante il periodo delle lotte
contrattuali l’azione del G.d.S. e’ quindi indirizzata non ad egemonizzare
la lotta operaia dall’interno della fabbrica in funzione meramente
antisindacale (operazione dimostratasi impossibile e priva di sbocchi politici
come l’esperienza della Pirelli e della Fiat ha dimostrato nelle lotte del
‘68/69), ma a individuare la sinistra della fabbrica, creandosi all’interno
di questa uno spazio politico.
I contenuti specifici di tale
intervento sono:
1) rifiuto della delega in quanto
strumento che determina la passività politica e culturale dei lavoratori,
rifiuto del verticismo, rifiuto delle concezioni sindacali e burocratiche e
dell’esclusione di fatto della classe operaia da ogni processo decisionale;
2) conquista dell’assemblea con
la lotta, opponendo così la legalità proletaria a quella borghese (sostenuta
dai sindacati con l’inserimento dell’”assemblea” nella piattaforma, come
punto rivendicativo) e quindi costruzione di un organismo vivo e non
burocratico, non calato cioè dal cielo della piattaforma ed estraneo ai
lavoratori;
3) affermazione dell’assemblea
come luogo di confronto politico, e non di organizzazione di consenso alla
strategia sindacale portata avanti mitizzando, e quindi mistificando,
l’esigenza, sentita dai lavoratori, dell’unita’ di classe;
4) analisi degli strumenti
impiegati dalla Direzione IBM in funzione repressiva e di sfruttamento nei
confronti dei lavoratori e denuncia della ‘fabbrica come luogo politico per
eccellenza in cui, grazie al collaborazionismo sindacale, l’unico a fare
politica finisce per essere il padrone.
In questa fase il G.d.S. brucia
rapidamente la tendenza “illuministica” fondata sull’ambigua certezza che
la forza della “verità” sia di per sè sufficiente a sviluppare in modo
“spontaneo” la coscienza dei lavoratori.
L’occasione e’ data,
all’inizio della lotta contrattuale, dal licenziamento in tronco di un
componente del G.d.S. che, in coerenza con la propria scelta, aveva rifiutato la
posizione di capo nella gerarchia aziendale.
Da questo fatto derivano due
conseguenze importanti per lo sviluppo delle lotte in fabbrica e la maturazione
politica della sinistra e della sua avanguardia di lotta.
- La prima e’ che, come già
chiaramente si avvertiva, la critica pura non solo e’ recuperabile, ma
addirittura funzionale alle politiche aziendali, in quanto la IBM, facendo
proprie in una certa misura, e recuperando sul piano formale, le istanze meno
critiche e pericolose, e’ in grado di rispondere fornendo di sè un volto
democratico e tollerante, senza per questo modificare le proprie politiche.
Di fronte alla gabbia della
“motivazione individuale” che e’ la risposta materiale alla “critica
pura” il G.d.S. individua nella militanza politica complessiva l’unica
alternativa critico-pratica in grado di superare i limiti
dell’intellettualismo astratto e dell’attivismo soggettivo e volontaristico.
- Come seconda conseguenza si ha
la conquista dell’assemblea con la lotta, in forma spontanea ed illegale. Di
fronte a questa espressione politica che, agendo al di fuori del piano
istituzionale non era controllabile, e quindi pericolosa, la direzione attua una
manovra fondata sul piano legale (rifiuto della propria mansione), pensando di
poter soffocare sul nascere le prime manifestazioni dell’autonomia. Tale
manovra poneva i lavoratori di fronte ad un’alternativa: o abbassare la testa
e rientrare nei ranghi, vivendo la lotta contrattuale in modo sostanzialmente
passivo, oppure innalzare il livello della lotta, e scoprire che l’intero
apparato di “democrazia” IBM si fonda sulla tradizionale passività dei
lavoratori.
Dopo una “estenuante”
trattativa, la C.I. [Commissione Interna N.d.R.] sancisce la decisione
padronale; la fabbrica insorge, blocca il lavoro e si riunisce in assemblea.
L’operato della C.I. viene sconfessato, i commissari spazzati via come
presenza politica e come presenza sindacale.
Da parte dei lavoratori si intima alla direzione di ritirare il
provvedimento e si decide di costituirsi in assemblea permanente, saldando la
lotta contrattuale con quella contro la repressione padronale. La giornata,
memorabile per la IBM, sia per la dimensione autonoma e di classe, sia per il
contenuto politico che essa esprime, viene vissuta in un clima di accesa
tensione; in pratica lo sciopero spontaneo dura tutto il giorno, e dalla forma
essembleare passa al corteo che si snoda per tutti i reparti della fabbrica.
La lotta si generalizza anche alle sedi di Milano, dove lo sciopero
riesce perchè impostato in termini politici che puntano alla demistificazione
della falsa democrazia IBM.
Vinta la lotta con la
riassunzione del compagno, il consolidamento dell’assemblea a Vimercate
avviene mettendo a nudo il grande numero di strumenti discriminatori e di
manipolazione che la direzione usa quotidianamente per organizzare il consenso
degli individui, dopo averli privati di ogni autonomia politica e culturale.
L’azione politica procede,
dando vita a gruppi di lavoro composti da operai ed impiegati che si riuniscono
in mensa, nelle aule destinate ai corsi, negli uffici, per dibattere i problemi
relativi all’organizzazione capitalistica del lavoro, alle condizioni di
lavoro, al loro significato e al loro uso.
L’azione sindacale farà di
tutto per combattere questa scelta, sostenendo che essa e’ estranea ai motivi
della lotta (il contratto). I suoi attacchi, unitamente ai limiti dell’azione
del G.d.S., concorreranno a limitare la portata politica fra i lavoratori
stessi.
Il Collettivo Politico
Metropolitano, superamento dello spontaneismo e momento di costruzione del
processo rivoluzionario
Le lotte contrattuali, per la
dimensione dello scontro ed il livello organizzativo richiesto, e per la
funzione che sindacati e revisionisti vi esercitano, confermano
l’impossibilita’ di condizionamento delle situazioni specifiche da parte
delle avanguardie. In tali condizioni, l’unico lavoro possibile e’ quello di
radicalizzare la lotta per favorire il massimo di espressione dell’autonomia
operaia, perchè questa si radichi nella fabbrica, e perchè si sviluppi la
crescita dell’avanguardia operaia rivoluzionaria anche in termini
organizzativi.
L’esigenza di collegamento con
altri gruppi, già tradotta in pratica con i contatti presi con la Sit-Simens e
con il CUB Pirelli, che, in quel periodo (fine ‘68, inizio ‘69),
rappresentava una delle punte più alte dell’espressione dell’autonomia
operaia e della lotta anticapitalistica in Europa, se viene confrontata alla
luce delle lotte contrattuali, si rivela chiaramente insufficiente.
L’esperienza della Pirelli ha
dimostrato che l’autonomia operaia, priva di una strategia e di una
organizzazione che traduca sul piano sociale la lotta di classe, fuori della
fabbrica e’ disarmata e ridotta alle avvilenti quanto strumentali passeggiate
sindacali. E’ maturo quindi il momento per la costruzione di una
organizzazione politica omogenea il cui ambito d’intervento superi quello
parziale delle singole situazioni, e si ponga a livello d’intervento su
un’area politica definita dalle strutture capitalistiche che determinano tale
area: la metropoli.
Nasce così il Collettivo
Politico Metropolitano, come nucleo agente all’interno di questa area
capitalistica e come momento corrispondente del processo rivoluzionario in atto.
Da avanguardia di lotta ad
avanguardia politica
L’autonomia espressasi durante
la lotta contrattuale e che si era sviluppata nella critica pratica della
condizione e dell’organizzazione capitalistica del lavoro, può verificare,
alla chiusura della vertenza la validità delle sue tesi politiche.
1) La chiusura delle lotte
(incentrate dai Sindacati su problemi puramente di carattere
economico-normativo) provoca fra i lavoratori egemonizzati dalle organizzazioni
sindacali, un riflusso generale della tensione politica; conseguiti gli
obiettivi molti operai e impiegati trovano del tutto naturale accogliere
l’appello della Direzione a normalizzare la situazione e a recuperare il
ritardo della produzione con straordinari intensivi; altri lavoratori si sentono
disarmati di fronte all’offensiva generale del padrone che con riunioni di
reparto e “colloqui” individuali frantuma nel giro di una settimana la
“unità” dei lavoratori tanto sostenuta da sindacalisti e seguaci zelanti.
2) Mentre il processo di
disgregazione e’ ancora in atto, la sinistra recupera la piattaforma proposta
dai sindacati e da questi accantonata durante l’autunno, imponendola in
assemblea, rovesciata sia nei contenuti che nel metodo di elaborazione.
Dal momento di vertice quale era stata, diventa fatto collettivo, da
rivendicazione puramente economica diventa un’arma politica intesa a
smantellare le politiche ricattatorie della società. Infatti:
a) viene mantenuta la richiesta
di una 14a mensilità, uguale per tutti, pari alla media annuale degli stipendi
della società;
b) viene inserita la
rivendicazione di sopprimere le categorie operaie trasferendole in quelle
impiegatizie, ciò allo scopo di:
1) eliminare le differenziazioni
sulle quali il capitale gioca per dividere la classe operaia;
2) eliminare il fatto che pur non
esistendo ufficialmente il cottimo, gli operai lavorano su commessa, e sono
legati ad un tempo di produzione e quindi al ricatto della produttività come
unica garanzia di migliorare il proprio salario;
3) trasferire gli operai in
categorie più mobili dal punto di vista salariale (maggior frequenza di aumenti
di merito) in modo da impedire, tenendo presente la rivendicazione successiva,
che la discriminazione di fatto continui a permanere;
c) viene completamente ribaltata
la richiesta generica di aggiornare i minimi aziendali per categoria, e si
chiede che i minimi aziendali per categoria siano legati in cifra fissa alle
rispettive medie annuali. Con questa rivendicazione la politica degli aumenti di
merito viene ad essere svuotata del suo contenuto ricattatorio e discriminatorio
nei confronti dei lavoratori;
d) viene inserita la richiesta di
abolizione delle assunzioni con contratto a termine;
e) viene inserita la richiesta di
riduzione dell’orario di lavoro a 38 ore.
Di fronte a questa piattaforma
elaborata e capace di esprimere contenuti non usuali per uno schema
rivendicativo tradizionale, i sindacati, pur proclamando a parole il loro
massimo impegno, nei fatti stravolgono i contenuti politici, sostituendoli con
altri definiti “più presentabili” ai padroni e, prolungano in uno
stillicidio di incontri e rinvii la trattativa con la Direzione, rimangono
stranamente assenti all’interno della fabbrica, creando così un clima di
sfiducia che coinvolge il centro e parte della sinistra dei lavoratori. Evidente
appare il disegno sindacale: assicurare la “pace sociale” nelle fabbriche
per garantire ai padroni lo sviluppo produttivo, ai sindacati l’opportunità
di spazzare via ogni forma di autonomia proletaria con la nuova struttura dei
delegati di reparto; affossando le lotte aziendali i sindacati si garantiscono
la partecipazione dei lavoratori alle lotte per le riforme sociali con le quali
inserirsi all’interno della struttura di potere della società capitalistica
in chiave riformistica e di controllo della classe operaia.
Nella fase di costruzione del
C.P.M. vengono individuati alcuni temi che permettono di meglio definire il
senso dell’intervento politico nelle fabbriche: Il mito dell’unità dei
lavoratori è un ricatto politico tipico del riformismo sindacale e
dell’opportunismo revisionista; infatti l’unità si verifica sempre
costringendo la sinistra a mediarsi con il centro e la destra dello schieramento
operaio. Ne sono il prezzo la
soppressione di ogni contenuto rivoluzionario, la ricomposizione, sulla pelle
della classe operaia, delle contraddizioni del capitale attraverso la mediazione
costante dei sindacati e dei partiti revisionisti, che di questa concezione
“reazionaria” dell’unita’ sono i più zelanti e interessati sostenitori.
I sindacati portano avanti, con i
partiti revisionisti di cui sono gli alleati principali, una complessa
operazione di potere che nel riformismo socialcapitalista ha il suo sbocco
politico. La classe operaia viene a tal fine illusa che l’unità sindacale, i
delegati di reparto e la strategia delle riforme sociali significhino veramente
più potere per la classe operaia.
La lotta nelle situazione
specifiche non può più essere condotta in modo spontaneo, settoriale,
spontaneistico, pena essere un fatto episodico prontamente eliminato dalla scena
politica.
Si tratta quindi di rovesciare la
prassi politica d’intervento nelle situazioni di frontiera assumendo il punto
di vista dell’autonomia proletaria nel processo rivoluzionario e
generalizzandolo all’interno delle fabbriche. L’unificazione della lotta
antimperialista con quella anticapitalistica e antirevisionista, la crescita e
l’organizzazione della sinistra rivoluzionaria sono i momenti fondamentali che
discriminano le forme spontanee di ribellione da quelle politiche coscienti,
partecipi dello scontro a livello mondiale tra capitalismo imperialistico e
proletariato.
Proprio in questa logica,
prendendo lo spunto da un’occasione tutta interna alla logica IBM, il
paternalistico cerimoniale del “battesimo” di un nuovo prodotto, viene
organizzata una manifestazione, a Vimercate e a Milano, che attaccando il ruolo
imperialistico della IBM in Italia e nel mondo, mira a intaccare il meccanismo
su cui si fonda l’organizzazione del consenso e a incrinare il volto di
rispettabilità che il capitale si è dato tra i suoi dipendenti.
Parole d’ordine del tipo: IBM
PRODUCE GUERRA, IBM IN ITALIA IMPERIALISMO IN CASA compaiono tutto intorno alla
fabbrica e inondano il centro direzionale di Milano.
Il giorno previsto per la
“cerimonia” trova i lavoratori della fabbrica impegnati in uno scontro
politico tra la sinistra reale e i sindacati per imporre i contenuti della
piattaforma. Contemporaneamente un
picchetto di militanti del Collettivo affronta il gruppo dirigente in arrivo per
la “cerimonia” bloccandolo ad un ingresso della fabbrica, uno striscione
rosso davanti ai cancelli reca la scritta: Sciopero: fuori i servi
dell’imperialismo.
Questo episodio e’ riuscito a
scuotere profondamente la coscienza dei lavoratori, tracciando un’ulteriore
discriminante tra le posizioni democraticistiche e legalistiche, e la sinistra
della fabbrica che ha saputo cogliere e ha fatto proprio il significato
strategico della convergenza dei fronti di lotta anticapitalistica e
antimperialista. Dopo l’azione di pompieraggio dei sindacati sulla
piattaforma, l’azione del Gruppo di Studio e’ proseguita con scioperi
spontanei e fogli di lotta, contro la repressione nuovamente tentata dalla
Direzione nei confronti di un compagno, contro l’aggressione in Cambogia, e
per la piattaforma.
Ciò che oggi importa rilevare
e’ che alla IBM la pace sociale e’ finita; la dimensione politica di classe
permea i rapporti nella fabbrica in tutte le sue situazioni e a tutti i suoi
livelli; l’avanguardia politica è profondamente radicata nel cuore della
fabbrica e conferma la tesi che la società tardocapitalistica non sopprime le
proprie contraddizioni, ma anzi genera dal proprio seno le forze che la
seppelliranno.
Sinistra Proletaria, 1970