dossier sul lavoro interninale
Offriamo
ai lettori un materiale sul lavoro interinale. Su questa forma contrattuale si
è scritto parecchio, ma vi sono pochi materiali che si liberano dallo gabbia
dei diritti (che presumono anche doveri). Noi come Centro di Ricerca per
l’Azione Comunista, crediamo che siano i rapporti di forza gli unici elementi
centrali per analizzare l’attuale stato del conflitto tra le classi, e in
questo senso va letta l’introduzione del lavoro interinale. Il padronato si può
permettere una maggiore pressione sulla classe, dal momento che questa non si
manifesta in maniera collettiva. Non si tratta quindi di invocare
moralisticamente migliori diritti, l’unico diritto che ha il proletariato è
quello all’insurrezione, ma di muoversi là dove porzioni di classe si
muovono, partendo da un terreno difensivo, con pratiche di azione che rompono
con il consociativismo e la concertazione, contro
padroni e Stato. E’ nel manifestarsi dell’autonomia proletaria
all’interno della classe che noi intravediamo il movimento storico verso il
comunismo. Tutto questo non è ininfluente nell’analisi del lavoro interinale,
ma significa porsi come militanti comunisti su un terreno che non si basi sul
vuoto populismo. E’ necessario studiare il capitalismo e confrontarsi fra
rivoluzionari, poiché l’azione autonoma dei lavoratori dovrà possedere anche
una sua indipendente elaborazione che si distacchi dall’ideologia borghese, e
questo materiale è un piccolo contributo a questo processo. Le agenzie di
lavoro interinale, non possono essere chiuse buttando giù le vetrine delle
filiali (anche se è decisamente divertente vedere la faccia delle signorini e
delle signorine che vedono infrangersi la vetrina), ma partecipando e
incrementando l’azione proletaria autonoma, che coinvolge proletari, operai e
disoccupati.
Gli interinali sono un elemento all’interno del proletariato, e la loro risposta alla crisi, assumerà un ruolo sempre più centrale, visto il numero e la collocazione di classe.
facciamo
pagare la crisi ai padroni
contro
il capitalismo
per
la passione comunista
per
la comunità umana
<<Sono
più di 200mila gli occupati interinali che sono stati inviati in missione nel
primo semestre di quest’anno e per il secondo semestre le missioni previste
sono 390mila>> (Il
Sole 24 Ore del 14/8/00)
La
legge finanziaria varata lo scorso anno per il 2000, approvata da associazioni
imprenditoriali e sindacati confederali, ha reso possibile l’estensione del
lavoro interinale alle basse qualifiche e ai settori edile e agricolo. Queste
aperture, insieme all’accordo siglato precedentemente a metà Aprile del ’98
tra le “parti sociali” e ai contratti collettivi nazionali di categoria
firmati nel ’99, hanno completato il quadro del “lavoro temporaneo”. Il
lavoro ad interim era stato introdotto
in Italia dalla legge 196/197 contenuta in quell’insieme di norme “per la
promozione dell’occupazione” ribattezzate “pacchetto Treu”, dal nome
dell’allora ministro del Lavoro del governo Prodi, annullando il divieto
esplicito di appalto o dell’intermediazione di manodopera sancito nel 1960.
Infatti,
prima dell’introduzione del lavoro interinale la legge 23 ottobre 1960 vietava
esplicitamente l’appalto o l’intermediazione di manodopera, universalmente
conosciuta come ‘caporalato’.
Il
lavoro ad interim fa parte di quelle normative che regolamentano i
contratti di lavoro, tese a rafforzare la flessibilità e la precarietà dei
lavoratori attraverso un processo politico-legislativo che il governo di
centro-sinistra, con l’avvallo dei sindacati confederali e dell’opposizione
di facciata del gotha di Rifondazione Comunista. Rif com e la sinistra sindacale
in un secondo momento hanno iniziato una campagna contro questa forma
contrattuale, ma i buoi erano già scappati dalla stalla...
Questa
particolare misura legislativo-sociale viene attuata contemporaneamente a un razionalizzazione
del ruolo dello Stato nell’economia che incide in vari modi sulla vita dei
lavoratori da un lato individualizzando sempre più il rapporto di lavoro tra
singolo lavoratore e impresa e dall’altro rafforzando il controllo
politico-sindacale su tutta la forza lavoro. Queste misure tese a
“riformare” lo Stato e a trovare la soluzione ai problemi della crescita del
debito pubblico possiamo così riassumerle:
°
nelle trasformazioni del welfare state in workfare state:
assistenza monetaria in cambio di un lavoro sotto-retribuito, tal volta non
contribuito (come i lavoratori socialmente utili), e con garanzie previdenziali
e prospettive occupazionali pressoché nulle (che si accompagna alla
privatizzazione di alcuni “servizi: sanità, scuola, trasporti, ecc.). A
questa modalità di trattamento sono soggetti particolarmente i disoccupati di
lunga durata, i lavoratori in cassa integrazione ed in mobilità, rientranti tra
l’altro in quelle tipologie di soggetti che possono essere assunti con i
‘contratti d’area’ ed i ‘patti territoriali’. Inoltre, sia la riforma
del collocamento pubblico, sia l’introduzione di altre indennità o sussidi più
marginali, come reddito minimo d’inserimento ed il minimo vitale sono parte
integrante di questo progetto [1].
in
una più pressante vessazione fiscale diretta o indiretta a danno della working
class, ed allo stesso tempo un restringimento delle garanzie sociali
della stessa: uno spostamento degli introiti della fiscalità generale verso
massicci finanziamenti o sgravi fiscali all’industria privata, soprattutto
se particolarmente impegnata nel precarizzare i suoi organici. Le
ultime e meno recenti misure di politica finanziaria di stampo governativo,
suggellate il 22 Dicembre del ’98, in una orgia neo-corporativa, dalla
firma del Patto per lo sviluppo
e l’occupazione da parte del governo stesso e dalle 32 organizzazioni
imprenditoriali e sindacali firmatarie dell’Accordo del ’93, segnano
“l’andazzo” della Seconda Repubblica e costituiscono il Leitmotiv
di quest’ultimo decennio di ‘riformismo al contrario’.
nel tentativo di far ‘emergere’, cioè alla tendenziale legalizzazione, della cosiddetta “economia sommersa”, che in Italia secondo le stesse fonti governative concerne grosso modo 11.000.000 di lavoratori, cioè più di 1/3 della forza lavoro effettiva.[2]
nel concertato contenimento-abbassamento complessivo del costo della forza lavoro attraverso le due ultime tornate contrattuali: si vedano tra l’altro i contratti d’area ed i patti territoriali che dal sud e per il sud si stanno celermente diffondendo a tutta la penisola, per tutti i lavoratori nonostante l’opposizione di facciata della CGIL [3].
nella restrizione delle libertà sindacali dal punto di vista formale ed una sostanziale limitazione delle possibilità di azioni legalmente riconosciute dei lavoratori: i lavoratori dell’ATAC-CORAL di Roma graziati dal licenziamento (prospettato dal civile Rutelli) e solamente precettati dopo lo sciopero ‘a gatto selvaggio’ del 9 Aprile del ‘97 , i lavoratori delle ferrovie in sciopero precettati, tartassati (vedi COMU e UCS) e sul punto di essere ‘ristrutturati’, il personale degli scali aereo portuali e così via.
Alcune
agenzie interinali ante litteram esistevano prima di essere legalizzate.
Ora, riciclandosi, risultano il fiore all’occhiello di questi novelli
‘promotori dell’occupazione’ come la CLEAN.CO, ora Sinterim, operante
capillarmente su tutto il territorio nazionale, al capo della quale si trovava
un senatore di Forza Italia, rispondente
al nome di Eugenio Filigrana, di professione commercialista, allora responsabile
del lavoro per il partito dell’immarcescibile Silvio, poi nell’ UDR (ora
Forza Italia), responsabile per ciò che concerne l’economia e
professionalmente impegnato a risollevare le sorti di Postalmarket, per la sfiga
dei già ampiamente tartassati e manganellati lavoratori-lavoratrici di
quell’azienda.
<<Le
capacità delle agenzie “progressiste” di offrire paghe e condizioni
paragonabili a quelle fisse dipende interamente dalla prosperità attualmente
attraversata dal quartiere d’affari di San Francisco. La Francia degli anni
Sessanta, una fase di bassissima disoccupazione in una economia in espansione,
conobbe un boom simile di agenzie per temporanei. Il lavoro temporaneo crebbe
rapidamente per compensare l’assenteismo crescente e per assolvere a
mansioni che i lavoratori fissi non volevano svolgere. Inizialmente i lavoratori
temporanei francesi ricevettero salari che erano uguali o migliori rispetto a
quelli percepiti da molti degli impiegati stabili [come in Italia ora !!!]. Ma
dalla crisi economica mondiale del 1973/75 in poi, i salari reali sono diminuiti
per tutti i lavoratori francesi, e molti temporanei adesso guadagnano solo la
paga base. Con il ristagno dell’attività economica e col costante diminuire
del numero di impieghi fissi, sempre più francesi si sono rivolti al lavoro
temporaneo. Una volta impiegati come temporanei, i lavoratori si trovano sempre
più intrappolati: i lavori durano sempre meno con intervalli più lunghi tra di
loro, le paghe sono basse e scarsissime le probabilità di uscire dal ciclo
“basso reddito/sottoimpiego”.>> (‘L’ascesa
del lavoratore interinale’ di Lucius Cabins da
Processed World)
Tale
tipologia di contratto era formalmente consentita solo per la sostituzione di
una persona assente o per professionalità non previste dai normali assetti
produttivi. La campagna mass-mediatica oltre a santificare in senso
propagandistico tale strumento di flessibilità, ha contribuito inoltre a far
saltare quei paletti contenuti nei provvedimenti legislativi che, in un certo
qual modo, restringevano formalmente la sua azione e conseguentemente ad
utilizzare le successive messe a punto per via concertativa e ora contrattuale,
con la finalità di ampliare radicalmente le sue possibilità di attuazione. Così
l’intesa raggiunta avente una natura provvisoria e sussidiaria rispetto alle
contrattazioni di categoria, ha definito quelli che erano i tasselli mancanti
per una piena operatività di questo nuovo contratto: percentuali, causali,
mansioni escluse. Possono essere assunti con un contratto di lavoro
temporaneo l’8% dei lavoratori sul totale dei lavoratori occupati, da
calcolare come media su base trimestrale. Questo vuol dire che se durante
quattro mesi un’impresa non fa ricorso al lavoro temporaneo, accumula questa
percentuale per i mesi successivi fino a potere utilizzare un 24% di contratti
di interinale. Per le piccole aziende sono invece consentiti fino a 5
contratti di lavoro temporaneo, sempre che non venga superato il limite il
totale dei lavoratori assunti a tempo indeterminato. Tre sono i casi indicati
nell’accordo, oltre quelli della legge, in cui si potrà ricorrere
all’interinale: per punte di intensa attività determinate dall’acquisizione
di commesse o di lancio di nuovi prodotti o anche indotte da altri settori;
quando il contratto di lavoro temporaneo si leghi all’esecuzione di
un’opera, di un servizio o di un appalto definiti e predeterminati nel tempo
che non possono essere realizzati solo ricorrendo a normali assetti produttivi;
infine per l’esecuzione di particolari commesse che per la specificità del
prodotto o delle lavorazioni richiedono l’impiego di professionalità e
specializzazioni diverse da quelle impiegate in azienda, o che abbiano un
carattere eccezionale o anche che siano carenti sul mercato del lavoro locale.
Per
quanto riguarda l’ultimo punto, ossia le basse mansioni escluse, l’intesa le
individuava in quelle che non rientrano tra le “professionalità intermedie”
previste dai contratti di formazione lavoro. In particolare, questo voleva dire
che erano esclusi i primi due livelli più bassi per il settore metalmeccanico,
solo il primo per il settore tessile e così via per ogni categoria produttiva.
Ora
grazie al solito accordo peggiorativo, in barba alle bozze distribuite ai
lavoratori prima dei vari rinnovi dei CCNL, i lavoratori interinali possono
essere assunti al livello più basso, reinserendo, come nel caso dei
metalmeccanici il 1° livello che era stato abolito!
Alla contrattazione di secondo livello è demandato il capitolo delle
retribuzioni ed eventuali misure specifiche per i vari comparti. In ultimo,
l’accordo sancisce l’obbligo di comunicazione delle imprese che stipulano
contratti di lavoro temporaneo alle
Rsu o alle organizzazioni sindacali locali con l’indicazione del numero e dei
motivi del ricorso. Un obbligo preventivo anche se, nei casi d’urgenza e
necessità, potrà essere effettuata entro i tre giorni successivi alla firma
del contratto.
Le
inadempienze di aziende e agenzie, e lo ‘sfondamento’ del tetto di
lavoratori temporanei utilizzabili, oltre ad alcuni accordi di categoria, vedi
comunicazioni e ristorazione, danno il quadro del lassismo delle RSU e della
forza dei padroni di imporre comunque le loro necessità a livello di
organizzazione del lavoro.
Da
una parte i sindacati confederali mantengono un controllo sull’esecuzione di
questo tipo di contratti, dall’altra vengono notevolmente ampliate le
possibilità di utilizzazione di questo strumento anche se le agenzie di lavoro
interinale non rinunciano a voler alzare la percentuale di lavoratori temporanei
utilizzati. <<D’altra parte, negli USA c’è una percentuale fissa del
10% a cui si aggiunge la possibilità di un ulteriore 10%>> ha commentato
subito dopo l’accordo Maura Nobili, Italy country manager, di Manpower
per l’Italia, che inoltre, rispetto alle qualifiche, dichiara <<troppo
generiche, non sono state definite le mansioni e, soprattutto, non sono
contemplati i giovani disoccupati oppure i lavoratori in mobilità>>. Comunque
le gratificanti affermazioni del personale politico di governo con responsabilità
competenti e gli accondiscendenti sindacati in particolare, nonchè tutto il
personale politico in generale, lasciano ipotizzare una futura e non lontana
estensione di questo strumento. Secondo le Multinazionali il mercato
italiano dovrebbe, a regime tra cinque anni nel 2004, assestarsi sulle
caratteristiche e sulle dimensioni del mercato francese.
I
dati di Ottobre del ’98 rilevati da Confinterim (confederazione di società di
fornitura di lavoro temporaneo che unisce Asso-interim e Federinterim) parlano
di un uso da Gennaio ad Ottobre ’98 di 40.000 lavoratori assunti con contratto
di lavoro interinale, quando il vero decollo s’è verificato da Giugno, dopo
l’accordo interconfederale tra sindacati e imprenditori. Sono: 19.898 operai e
10.288 impiegati; l’industria metalmeccanica è in prima fila come aziende
utilizzatrici con il 37,8%, il terziario al secondo posto con 28,4%, mentre le
altre industrie arrivano al 25,5%. Per quanto riguarda invece la diffusione la
Lombardia è in testa con 14.342 lavoratori, secondo il Piemonte con 5.595
seguito dall’Emilia-Romagna 3.899 ed il Veneto con 3.410, vengono poi il Lazio
con 2.793 e la Puglia, che tra le regioni meridionali è quella che supera tutte
con 1.720 lavoratori. Nel meridione i settori dell’economia sommersa come il
tessile (piccole, medie e grandi industrie) e l’edilizia o dove il margine di
illegalità del rapporto di lavoro è più alto come il turismo risultano
talvolta centrali. L’unico caso di flop risulta essere una agenzia di lavoro
interinale che a Palermo ha chiuso i battenti, mentre nelle zone economicamente
più vitali della regione, come il ragusano ed il siracusano, il lavoro
interinale ha attecchito e punta ad un maggiore sviluppo. Nel ’98 hanno
lavorato per le agenzie di lavoro interinale quasi 60.000 persone, per
un totale di circa 10 milioni di ore : sono stati prevalentemente operai(51%),
impiegati(49%) con una proporzione di lavoratori(54%) in questo impiego,
leggermente superiore a quello delle lavoratrici(46%). L’età media è stata
30 anni e la durata dell’incarico ha scarsamente superato le quattro-sei
settimane. L’industria metalmeccanica ha utilizzato il 37,8% dei lavoratori
interinali, mentre gli altri settori industriali in complesso ne hanno impiegati
il 25,5%. Il commercio ed i servizi si sono assestati sul 28,4% del totale dei
lavoratori a tempo.
Il
boom del lavoro interinale
Da
allora il lavoro interinale, che a Maggio del 2000 è stato introdotto anche nel
settore pubblico (scuola, sanità, pubblica amministrazione, ecc.) ha fatto
breccia in molti settori: si possono affittare colf, cassiere, baristi,
carrellisti, magazzinieri, conducenti di autobus, impiegati, operatori
telefonici, necrofori e naturalmente operai generici. Questo strumento si è
sommato, vista la mancata determinazione formale di un “tetto” sulla
percentuale dei lavoratori impiegati con un contratto precario in un posto di
lavoro, ad altre modalità di assunzione a tempo determinato, come
l’apprendistato, i contratti a tempo determinato, il part-time, ecc., ed alle
strategie di “esternalizzazione” della manodopera affidate a cooperative e
ad aziende fornitrici di servizi alle imprese.
Progressivamente
si sono ampliati i margini e le modalità di assunzione con questi contratti,
modificando costantemente il quadro legislativo, e fluidificando la relazione
tra domanda e offerta di lavoro, ampliando la flessibilità in entrata e in
uscita della manodopera, promuovendo la percezione tra i lavoratori che non vi
siano altri orizzonti se non quelli della pervasiva e stagnante palude della
condizione precaria alla quale costantemente adattarsi, pena l’esclusione
sociale [4].
Alcuni
esempi sono la liberalizzazione e l’incentivazione del part-time, la
possibilità di firmare contratti week-end, la creazione di contratti ad hoc per
zone geografiche particolari, non solo al sud
(come i patti territoriali, i contratti d’area), l’introduzione del
lavoro di coppia, o job-sharing, e via discorrendo, fino all’accantonamento
prossimo venturo del Contratto di Formazione Lavoro, poco gradito da L’Unione
Europea [5].
Dal
suo avvio il LT ha aumentato cospicuamente il suo bussiness: apertura di nuove
filiali e specializzazione dei campi di intervento di queste (manufatturiero,
impiegatizio, personale informatico, turistico-alberghiero, ecc.), come
differenziazione delle zone geografiche ( la zona industriale nord di una città,
piuttosto che quella sud, ecc.) [6].
Dalla
sua ascesa iniziale avvenuta nell’autunno-inverno del ’98, l’interinale si
è ampliato su tutto il territorio nazionale, concentrandosi nel nord, dove sono
occupati circa i 2/3 dei lavoratori temporanei. Lombardia, Piemonte, Veneto,
Emilia Romagna sono le regioni in cui viene maggiormente utilizzato.
Relativamente al primo trimestre di
quest’anno sono stati firmati più di 56.000 contratti in Lombardia, quasi
30.000 in Piemonte, circa 20.000 in Veneto e 17.000 in Emilia Romagna. Queste
regioni sono le attuali motrici dell’economia, hanno i più elevati tassi di
occupazione, la più alta percentuale di contratti precari e sono la meta
“preferita” dell’immigrazione interna e della emigrazione
extra-comunitaria.
Nel
1999 il lavoro interinale ha interessato circa 250.000 lavoratori, per un totale
di 55 milioni di ore lavorate: <<è
come se il lavoro temporaneo fosse un’azienda di 35.000 persone che lavorano a
tempo pieno per tutto l’anno>>, ha dichiarato il segretario generale di
Confinterim, Francesco Salvaggio, cogliendo le caratteristica “itinerante”
di questi lavoratori, che oltre a passare da azienda ad azienda, passano da
agenzia ad agenzia a seconda delle offerte che gli vengono proposte.
Il
suo sviluppo ha contribuito cambiare ulteriormente i connotati del mercato del
lavoro nei settori interessati, la percezione dei lavoratori precari che se lo
vivono come pane quotidiano e dei lavoratori fissi, che lo vedono insieme alla
disoccupazione, come una ulteriore minaccia per sé.
Per
le fasce più giovani dei lavoratori interinali, specialmente se provenienti dal
sud, cioè oltre il 60% del totale, o per molti lavoratori extra-comunitari,
l’agenzia di lavoro interinale è l’attuale
tramite obbligato per accedere ad una occupazione solitamente nel settore
manufatturiero (con il settore metalmeccanico in testa), nella grande
distribuzione (iper-mercati e centri commerciali), nel settore
albelghiero-turistico, nell’assistenza telefonica ai clienti (call-centers).
L’interinale
tipo, assecondando le semplificazioni statistiche, è maschio, ha ventotto anni,
è metalmeccanico.
Le
missioni svolte dai lavoratori interinali presso le aziende utilizzatrici
riguardano mediamente mansioni a basso contenuto professionale, cioè quelle
solitamente più ripetitive e usuranti, per periodi che vanno da qualche giorno,
a qualche settimana, da alcuni mesi fino ad un anno e più, a seconda che si
tratti di una urgenza momentanea, un picco di produzione o una stagionalità di
punta, o se si voglia procedere - per le aziende di una certa dimensione, in una
fase di espansione delle proprie quote di mercato - ad una scrematura che, a
tappe successive, selezioni e formi del personale abituato ad un continuo
ricatto sul suo futuro occupazionale e tendenzialmente incline ad assecondare la
ditta in tutto e per tutto. Non vi è infatti nessuna garanzia di una assunzione
diretta da parte della ditta utilizzatrice - nemmeno a tempo determinato – e
spesso il rinnovo del contratto, o la sua cessazione temporaneamente definitiva,
viene comunicata all’ultimissimo momento al lavoratore e a cui talvolta viene
fatta firmare la proroga, in base ad un ipotetico principio di silenzio
dell’agenzia e di assenso dell’azienda, dopo la scadenza effettiva
del contratto.
Vista
poi la scarsa attenzione e la generale lacuna di competenze in materia delle
R.S.U., dei lavoratori ‘fissi’ o ‘precari’ e degli interinali stessi,
l’utilizzo dei lavoratori temporanei ha spesso superato le quote fissate
legislativamente e confermate dagli accordi di categoria, dove non sono
intervenuti accordi peggiorativi, come nel caso del commercio che prevede
l’utilizzo del 13% non cumulabile di lavoratori interinali su base mensile.
Le
associazioni (si noti bene associazioni
e non federazioni di categoria) nate all’interno delle centrali
confederali, sono un puro prodotto delle burocrazie sindacali e non si poggiano
su nessun precedente processo organizzativo di lavoratori precari. Per ora le
porzioni di precariato che si sono recentemente attivate nel pubblico
(Lavoratori Socialmente Utili, Lavoratori di Pubblica Utilità, i precari del
settore scolastico, ecc.) come nel privato (i 147 lavoratori a tempo determinato
della Fiat Mirafiori a Torino, i circa 90 interinali alla Ducati-Motor di
Bologna) hanno chiesto, non una maggiore tutela formale della loro condizione
contrattuale, ma un cambiamento sostanziale della loro condizione sociale,
muovendosi per un assunzione in pianta stabile, anche se quest’ipotesi non
rientrava nei progetti della pubblica amministrazione o della
direzione aziendale. Mentre le strutture sindacali degli interinali fino
ad ora non hanno avuto una grande popolarità ed hanno avuto una bassissima
quota di adesioni, pretendono da un lato di tutelare il lavoratore precario, e
dall’altro di promuovere al tempo stesso la precarietà, citando direttamente
la brouchure di presentazione: <<a conquistare diritti di cittadinanza che
sono ormai consolidati (se lo dicono loro…ndr) nel mondo del lavoro
dipendente>>fornendo tra l’altro<<informazioni sulle opportunità
di lavoro nella tua zona, sulle occasioni di formazione e di riqualificazione
personale>>[7].
Pretendono di tutelare un lavoratore che dal punto di vista del profilo
giuridico, cioè dal punto di vista del diritto del lavoro, è per sua stessa
esistenza non-tutelato, è in balia delle alterne fluttuazioni economiche
aziendali, cioè il più esposto alle sue continue ristrutturazioni
tecnico-produttive e più in generale alle conseguenze sul mercato del lavoro
del ciclo economico. <<Il capitalismo ha sempre più bisogno di una
produzione d’avanguardia, efficiente, razionale, programmata, ricca di
macchine automatiche e quindi di investimenti, che però è diventata,
paradossalmente, la cenerentola del sistema rispetto all’immensità di
capitali che si muovono sui mercati. Schiacciata dai cicli di valorizzazione che
i grandi manovratori di capitali vogliono sempre più brevi, la fabbrica
reagisce ristrutturandosi in continuazione, adoperandosi come può e sa per
sostenere la concorrenza e la richiesta di produzione a condizioni sempre più
competitive>>[8].
Queste
associazioni e le loro case-madri non sono state in grado nemmeno, o più
precisamente non hanno voluto intraprendere alcun percorso
vertenziale-rivendicativo a livello individuale (figuriamoci collettivo),
nemmeno in caso di palese situazione di mancato rispetto delle norme
contrattuali e legislative firmate da loro: lavoratori interinali in ‘sovrannumero’,
conferme plurimensili come interinali dovute a picchi di produzione praticamente
continui, scavalcando in questo modo altre forme contrattuali, in particolare i
contratti a termine e i CFL, lavoratori interinali che hanno continuato a
lavorare nello stesso posto di lavoro sebbene non gli fosse stata fatta firmare
la proroga e nel qual caso, avrebbero dovuto essere assunti a tempo
indeterminato dall’azienda o dall’agenzia…
In
ogni caso l’ultima finanziaria si è incaricata di risolvere i problemi di
aziende e agenzie, dovute anche ad una deficitaria preparazione sul piano del
diritto del lavoro dei responsabili delle agenzie, che conformavano il loro
comportamento al manuale pubblicato dall’estensore della legge, guida
piuttosto lacunosa e ambigua in certi passaggi. Infatti i casi di inadempienza
in cui una vertenza legale avrebbe potuto concludersi agevolmente con o
l’assunzione a tempo indeterminato di uno o più lavoratori, o con un
cospicuo risarcimento economico, saranno punibili con l’assunzione (o relativo
risarcimento) con un contratto a tempo determinato [9].
Ruolo di queste associazioni in alcune vertenze
I
vari Nidil (struttura della CGIL) in situazione di manifesto malcontento e di
conflitto sono state attive artefici di una divisione dei lavoratori sul piano
dell’organizzazione, tentando di separare ulteriormente i lavoratori
‘fissi’ da quelli ‘precari’, assecondando i dettami padronali di
risoluzione il più possibile individuale di questioni che investono
organicamente la totalità dei lavoratori di una azienda. Tentano di legittimare
l’agenzia di lavoro interinale, facendola diventare giocoforza la propria
interlocutrice privilegiata, mentre questa svolge palesemente solo una funzione
di mediazione parassitaria. Hanno invitato per esempio la novantina di operai
metalmeccanici che lavorano come interinali in una fabbrica da un periodo non
trascurabile, a tesserarsi al NIDIL anziché alla FIOM come è successo alla
Ducati-motor di Bologna con l’appoggio di un RSU iscritto alla FIOM. Hanno
promosso addirittura l’elezione farsa dei rappresentanti sindacali dei
lavoratori interinali per singola agenzia di riferimento, senza farli
partecipare a nessun tavolo contrattuale, ma ricordandosi bene di fornire ad
azienda ed agenzia i loro nominativi prima della scadenza dei loro contratti,
con il risultato di non averli fatti riconfermare. Oppure hanno proposto ai
lavoratori dei call-centers TIM a Bologna, già divisi a livello categoriale dai
loro colleghi di una altra azienda che svolgono lo stesso lavoro (i lavoratori
della Omnitel sono sotto il CCNL dei metalmeccanici), a federarsi al NIDIL per
permettere ad un giovane burocrate ‘in erba’ di trattare con l’agenzia
tutta una serie di inadempienze sulla busta paga!
Alla
Fiat Mirafiori i pompieri sindacali di turno, visto che le centrali sindacali
non sono da meno, hanno ben
pensato, dopo essere stati scavalcati dagli scioperi spontanei in vari reparti,
di calmierare l’onesta incazzatura degli operai a termine - a cui tra
l’altro il giorno precedente era stata consegnata la tuta nuova con il nome
– a cui la Fiat aveva deciso di non rinnovare il contratto per motivi ‘tecnico-organizzativi’.
Questi operai, risultato di una scrematura durata più di un anno, erano andati
a lavorare anche i giorni successivi a Natale e S. Stefano, nonché durante il
periodo dell’alluvione - benché la Fiat avesse dispensato in
quell’occasione i propri dipendenti abitanti nelle zone più disagiate
dell’obbligo di recarsi al lavoro. Avevano ingoiato tutto tacendo,
sopravvissuti alla modernissima ‘selezione naturale’ dell’inferno
aziendale con i suoi dictat di produttività ed efficienza, e dove regna il
fascistissimo lavorare e tacere. Poi senza troppi complimenti, si sono
visti mettere alla porta. Il segretario della V lega di Mirafiori non ha trovato
di meglio da fare che far cessare i loro presidi di fronte ai cancelli, mentre
all’interno i militanti più attivi di Fiom e SIN.Cobas cercavano di
organizzare gli scioperi interni con cortei che avrebbero dovuto raggiungere i
147 lavoratori a termine. Il sindacato, in perenne attesa del confronto con
l’azienda, eternamente rimandato, ha poi fatto fare il giro di politici,
interessati solo a raccattare qualche voto, per farli infine diventare per una
sera operai super-stars in una caustica trasmissione di TeleMontecarlo, per la
serie: sarai il potente produttore del film della tua vita, a patto di
dimenticare che a non vivere sei tu…
Assicurandosi
così la non riassunzione di questi e ampliando senz’altro i problemi a
trovare un'altra occupazione. Sulla vicenda è calato presto il silenzio, e in
alcuni stabilimenti del gruppo gli operai sono stati messi in Cassa
Integrazione, mentre la direzione procedeva verso un taglio dei tempi del 30%.
Queste
strategie di marketing di bassa lega sulle spalle dei lavoratori servono forse a
trovare, visto il processo di precarizzazione della forza-lavoro, una sicura
occupazione a questi parassiti sindacali o aspiranti tali che vogliono gonfiare
le fila dei bonzi di queste associazioni per il lavoro atipico. Facilita il
proprio lavoro alle agenzie che si trovano a confrontarsi con un canale
predefinito o addirittura a consigliarne l’utilizzazione per potersi scrollare
di dosso alcune responsabilità, anziché doversi confrontare con una
molteplicità di interessi coalizzati.
In
questo modo tentano di esorcizzare le paure di coloro che hanno considerato
giustamente la massicia utilizzazione dei lavoratori interinali come cavallo di
Troia delle direzioni aziendali per peggiorare ulteriormente le condizioni di
lavoro, o che vedono questi come una minaccia concreta di una loro possibile
anticipata ‘rottamazione’. Quando però i lavoratori interinali che
affluiscono alla azienda superano i trent’anni e magari hanno una famiglia da
mantenere a proprio carico, la minaccia di trovarsi nei panni dei loro colleghi
meno fortunati da parte dei lavoratori ‘fissi’, cambia la percezione che si
ha della precarietà e questa appare come un destino da evitare come la peste,
con tutte le palesi potenzialità di ricatto per mantenere o avere ‘il
posto’ da un lato e la sua latente componente esplosiva dall’altro… Nel
caso che l’economia non tiri come previsto, ci troveremmo tutti sulla stessa
barca che affonda.
I
lavoratori precari non hanno nessun potere contrattuale, si è
nell’impossibilità di formare un raggruppamento categoriale omogeneo
per la molteplicità dei settori in cui si viene fatti lavorare. Per
esempio, un operaio interinale nel corso anche di un breve periodo può vestire
la tutina blu da metalmeccanico, la linda divisa bianca da alimentare, il camice
di una catena della grande distribuzione, le protezioni più complesse per
alcune lavorazioni più pericolose nel settore chimico, o anche vestire i panni
che si è portati da casa per lavorare quando l’azienda non li vuole fornire!
Solitamente si cambia l’agenzia per cui si lavora a fine contratto o quando
sorgono i primi problemi dalla parte del lavoratore (consistenti e prolungate
mutue, scarse prestazioni professionali, ecc.) o dall’altra parte (buste paga
scazzate, ritardo nei pagamenti, più colloqui di lavoro per aziende che poi non
assumono…, ecc.): in ogni caso il rapporto con l’agenzia non è
assolutamente vincolante, come può esserlo invece quello con una coopeartiva.
I
fenomeni di mutamento sociale sono ora la sempre maggiore proletarizzazione di
crescenti fasce di forza lavoro autocotona e scolarizzata, l’allargarsi della
forbice tra aspettative professionali (in termini di reddito e di collocazione
sociale) e la realtà di lavori alienanti, mediamente scarsamente retribuiti,
solitamente precari e senza sbocchi visibili va di pari passo con il precoce
abbandono degli studi, l’analfabefismo di ritorno, l’impossibilità di un
canale di sintesi tra lavoro
manuale e lavoro intellettuale di altre fasce più giovani del proletariato
autoctono. Così mentre le prime si avvicinano progressivamente alla
precarizzazione, alla dequalificazione e alla sotto-retribuzione delle proprie
mansioni nei servizi( cooperative sociali, operatori dei call centers,
lavoratori dei trasporti, ecc.) avvicinandosi alle fasce più deboli del
settore, agli altri avviene lo stesso processo nel settore artigianale e
manufatturiero o nei servizi all’impresa.
In
questo senso si delinea una direttrice riformista di intervento nell’ambito
del precariato sociale diffuso.
Si
sviluppa un piano legalitario - para-legalitario nei casi di comitati o
strutture di ‘base’ o ultra-legalitario nel caso di parti delle burocrazie
politiche e sindacali - che sostiene battaglie più che altro mediatrici o di
opinione.
Questa
direttrice di marcia non fa presa su un interessamento diffuso ed un relativo
attaccamento ad un quadro giuridico e contrattuale che viene preso come
riferimento importante della propria costituzione sociale per una
porzione di classe sempre più in espansione, proprio perché il senso comune
della precarietà è il non avere più nessun referente preposto alla tutela, né
nessun corpo di diritti per così dire incalpestabili, né una sfera politica e
sindacale che sia in grado di influenzare l’attuale corso economico-sociale.
Il partito dell’astensione, ormai egemone in tutte le democrazie industriali,
con tutte le sue contraddizioni e limiti in questo contesto sociale, è per ora
il vero rappresentante di questi interessi di classe.
Questo
tipo di illusione nell’azione politica-sindacale è spesso diretta filiazione
di un ceto di militanti politici e sindacali, eterni dissidenti ma non troppo,
che continua a battersi inoltre per una reale democrazia all’interno del
sindacato confederale, per una trasparenza e collegialità dei suoi processi
decisionali, per una sua attività più militante e meno concertativa, quando è
proprio l’iscritto medio, escludendo i pensionati e pensionandi, che ne
costituiscono la maggioranza, che non chiede altro che un servizio efficiente,
in mancanza di una struttura pubblica che lo fornisca. Gli Stati Uniti sono un
valido esempio di come i continui ricambi al vertice e i giochi, non solo
elettorali, nelle alte sfere mafiose, economiche e politiche del paese, siano
l’espressione dei comportamenti di una lobby. Il sindacato appunto AFL-CIO, è
identico a qualsiasi altra lobby con un interesse politico-economico preciso,
nello specifico il buon andamento dei fondi pensione. È per questo ed altri
motivi che i più generosi sforzi di organizzatori locali del sindacato, vengono
vanificati, non dalla volontà di una burocrazia maligna, ma dalla funzione
sostanziale del sindacato stesso. E’ la triste spirale del riformismo, che non
trova più spiragli e si trasforma in vera e propria reazione.
Il
riformismo si basa sulla legittimazione della concorrenza tra differenti
porzioni della classe attraverso l’integrazione attiva di alcune di queste
componenti sia nella organizzazione
diretta dello sfruttamento economico in azienda: responsabilizzazione e
controllo dei lavoratori, come nell’amministrazione dell’esistente nei
meccanismi di distribuzione della spesa pubblica. Il riformismo è
l’espressione pratica nei comportamenti, organizzativa nelle sue modalità di
associazione, e culturale nel suo universo di riferimento ai valori della subalternità della classe agli interessi del capitale.
Infatti <<Se la faccia antagonista dell’azione operaia e proletaria è
la difesa dei propri interessi di classe nonostante e contro le esigenze di
accumulazione del capitale, quella subalterna è la necessità che ogni
conquista venga garantita>>, con la dissoluzione progressiva
o traumatica di queste garanzie, il riformismo perde la sua base
materiale oggettiva datagli dalla particolarità del ciclo economico, e la sua
base soggettiva data dal riformismo quotidiano dell’azione dei lavoratori su
cui basa la sua legittimità sociale. <<Questa natura contraddittoria
della classe e dei suoi rapporti col capitale va compresa in tutte le sue
articolazioni. Essa appare immediatamente come contraddizione fra la
affermazione dei propri interessi materiali, l’attacco al comando capitalista,
la percezione della possibilità di vivere secondo i propri bisogni da una parte
e la necessità di garantire la propria sopravvivenza all’interno della
struttura capitalistica, sopravvivenza fondata sul permanere del capitalismo
stesso>> [10].
Le
burocrazie effettive neo-riformiste [11]
si impegnano e si sono impegnate nel pompieraggio, nella pacificazione o nella
aperta rimozione e repressione di quelle micro-porzioni di società che fino ad
ora si sono mosse e altro non potevano fare proprio per la loro funzione sociale
effettiva.
Occorre
perciò fare un ragionamento più ampio su quale tipo di organizzazione del
lavoro si impone questo ciclo economico, quale tipologia di relazioni
industriali necessita e che configurazione giuridica del rapporto di lavoro
instaura. Risulta perciò più efficace ragionare per il presente ed in
prospettiva sulle capacità potenziali e i comportamenti effettivi che una
sempre più estesa e centrale porzione sociale, non solo in Italia, ma nelle
maggiori democrazie industriali, come nei paesi di recente industrializzazione,
ha di ribaltare gli attuali rapporti di forza.
Occorre
ragionare sugli sviluppi che l’aggressione all’organizzazione capitalistica
del lavoro e l’imposizione autonoma dei propri bisogni crea, quali
compatibilità può far saltare e che contraddizioni sociali produce questa
porzione di classe, per la sua stessa esistenza, soprattutto quando diviene soggetto
sociale attivo esprimente dei specifici bisogni di emancipazione
sociale.
<<Questa
classe può essere conosciuta unicamente attraverso se stessa, solo a condizione
che colui che l’interroga introduca il valore dell’esperienza proletaria,
metta radici nella sua situazione e faccia proprio l’orizzonte sociale e
storico della classe; a patto di rompere con le condizioni immediatamente date
dal sistema di sfruttamento>>[12]
Questo
piano ha come proprio orizzonte per una azione realmente efficace un attacco
diretto al cuore della produzione, partendo dalle capacità offensive derivanti
dalla collocazione nella rete produttiva e distributiva di tutti i lavoratori,
come nell’ingranaggio sociale in tutte le sue articolazioni, e una mappazione
e attribuzione di valore a tutte le manifestazioni di classe che superano il
piano sindacale: assenteismo collettivo, sabotaggio organizzato, scioperi
selvaggi, scontri con le gerarchie produttive.
In
sintesi valorizza i germi di una organizzazione diretta di classe nell’azione
dei lavoratori preparata dalla resistenza quotidiana e dalle varie tattiche di
difesa effettive in un quadro dato, così come la mutazione delle relazioni tra
lavoratori nel formarsi di una comunità di lotta, e il modificarsi del rapporto
con le gerarchie produttive, le articolazioni sindacali, il lavoro in sé.
Cerchiamo
quindi di porre l’accento innanzitutto sull’istinto sociale della
classe e la possibile radicalizzazione nei comportamenti quotidiani di
consistenti porzioni sociali, non vogliamo
identificare socio-econometricamente il nuovo soggetto rivoluzionario con
una operazione sociologica allo stesso tempo di chirurgia e sagomatura, che
restituisca un manufatto ad uso e consumo del nostro ottimismo militante e degli
ambienti militanti in genere, ma leggere le mutazioni della composizione di
classe e le sue possibili conseguenze sul piano delle propensioni soggettive
alla lotta. Molto probabilmente, alcuni soggetti sociali esprimeranno punte di
conflittualità, minore propensione al recupero politico-sindacale, maggiori
capacità di adeguarsi, anche militarmente, allo scontro frontale in cui gli
impegnerà il capitale, oltre a una propensione alla creazione di valori e
‘miti sociali’ connessi alternativi a quelli della merda borghese. Questi
saranno la parte emergente del più grande iceberg della lotta di classe,
ma non ne definiranno in alcun modo nessun ruolo centrale e trainante del
“nuovo soggetto”.
Queste
ipotesi sostanziano organicamente una prospettiva di emancipazione sociale da un
lato, come di futura ‘cannibalizzazione sociale’ dall’altro, con tutte le
poco piacevoli conseguenze per il proletariato. L’alternativa tra comunismo
o civiltà diviene sempre più attuale in una fase di futura recessione
economica, perché la crisi del capitale (crisi dell’attuale civiltà) è
comunque presente nelle sue dinamiche di accumulazione e ora, più che mai,
immanente. Una fase di crisi
sociale ha come suoi corollari una accelerata polarizzazione sociale e
proletarizzazione massiccia delle classi di mezzo, seguita da una
conseguente massiccia esclusione sociale: i primi soggetti ad essere interessati
sono sia le fasce più deboli e meno protette della classe lavoratrice, tra cui
i giovani precari autoctoni, i lavoratori migranti, i segmenti femminili meno
tutelati, come ha recentemente dimostrato la crisi della Corea del Sud dal ’97
a oggi, crisi che ha poi velocemente interessato le porzioni più tutelate e
sindacalizzate della classe operaia della Corea del Sud: gli operai
dell’industria automobilistica (Daewoo, Hunday, ecc.). La crisi argentina ha
visto dal mese di novembre il drastico abbassamento dei salari,
l’impoverimento delle pensioni, l’aumento del tasso di disoccupazione vicino
al 20% e dell’economia sommersa, che riguarda ormai 4 lavoratori su 10 della
popolazione attiva. Entrambe le crisi stanno producendo interessanti movimenti
sociali e laboratori politici difficili da immaginare per la nostra situazione
di quiete apparente. Mentre la recessione statunitense di fine anno, ha mostrato
in parte la realtà della crescita americana, con le aziende della new e della
old economy che hanno attivato pesanti processi di ristrutturazione: 1.300
dipendenti licenziati da Amazon, 1.700 la Hewlett-Packard, 2.400 il gigante
America Online time warner, il settore di internet in senso stretto ha perso
51.000 posti di lavoro nel 2000, di cui quasi 1/5 nell’ultimo mese. In
assoluto i traumi sociali nella New Economy sono stati leggeri: poca cosa
rispetto ai 26.000 licenziati in un sol colpo da Chrysler, a 10.000 esuberi tra
Ford e GM, ai 16.000 telefonici mandati via da Lucent nel New Jersey. Come ha
dichiarato Jeffre Jones, presidente di Manpower, leader mondiale delle agenzie
di lavoro interinale: << Se una impresa ha 500 dipendenti suoi e 100 presi
in affitto da noi, quando arriva una congiuntura debole i primi ad essere
cacciati sono i nostri>>.
Il
presentarsi simultaneo della crisi nel centro e alla periferia delle economia
mondo rappresenta una ipotesi da non scartare…
In
un periodo di crisi sociale montante i più elementari bisogni di sopravvivenza
sociale (reddito, situazione abitativa, bisogni sociali complessivi: mobilità,
istruzione, salute, ecc.) non sono semplicemente privatizzati, centellinati e
surrogati ma apertamente negati alla maggioranza del proletariato; gli
Stati e le loro articolazioni periferiche mostreranno sempre più il loro volto
poliziesco e repressivo di gendarme della miseria sociale diffusa e difensore
della richezza di pochi, così come mostrano oggi frontalmente con i proletari
immigrati e le fasce più deboli del proletariato autoctono, extra-legale e non,
senza parlare delle nazioni in cui le più elementari garanzie di organizzazione
politica e economica sono conquistate e mantenute con la forza.
“Legge
e Ordine” sono quindi le parole di un lessico politico divenuto comune e
trasversale che comprende tutte le forze parlamentari che aspirano a governare
ed il ceto politico nella sua totalità. I provvedimenti giuridici sulla
sicurezza e il ribaltamento legislativo delle istanze scaturite dall’ultima
ondata di movimento di denuncia delle condizioni carcerarie l’estate scorsa e
che ha coinvolto la maggioranza delle prigioni italiane (più carceri, più
guardie carcerarie, espulsioni dei proletari immigrati che ‘delinquono’)
dovrebbero far riflettere sulla reali modalità di risoluzione della crisi
sociale da parte dello stato.
Il
potere prospetterà una uscita della crisi, paventando da un lato scenari
apocalittici e dall’altro futuri idilliaci: si tratta della sempre valida
politica dei sacrifici come corsia unica di uscita dal tunnel, che abbiamo
appena iniziato a percorrere. Sulla sopportabilità sociale di tali sacrifici, e
la consistenza epidemica dell’allergia con cui il corpo sociale può
rispondere a tale crisi, si inizierà a giocare la partita: <<i rapporti
sociali, infatti, non crollano spontaneamente come un edificio poggiante su
fondamenta marce, bensì possono essere mutati soltanto dall’azione autonoma
della classe operaia>> (P.Mattick). Non si tratta quindi di dare qualche
colpo di piccone e di mazza da un lato, come di puntellare un poco dall’altra,
ma di un processo non-lineare per l’intreccio complesso tra l’auto-attività
delle classi subalterne e la reazione delle borghesie e dei loro comitati
d’affari. Nella possibilità di superare per linee interne al movimento di
classe la divisione sessuale e razziale del lavoro, nelle capacità di
collegamento di questa e nella forza materiale che sarà in grado di
contrapporre frontalmente al capitale, intensificando le pratiche autonome e
ampliando gli spazi di potere, nella capacità di sbarazzarsi di tutta la
vecchia merda e delle idee delle classi dominanti, si giocherà la partita.
L’ipotesi
dell’autonomia proletaria
Il
senso comune dei lavoratori è abituato a considerare, un lavoratore
‘precario’ come colui in cerca di una occupazione stabile. Lo si pensa
collocato in occupazioni tra le più usuranti e meno qualificate, dove la
capacità di sopportazione della fatica è sostanziata da schiaccianti necessità
economiche o da veri e propri ricatti giuridico-polizieschi: si pensi alla
situazione di proletari da poco immigrati dal ‘paese’ d’origine e facenti
parte di comunità ancora poco ‘strutturate’ sul territorio. I cantieri
edili, le cucine di alberghi e ristoranti, i campi di raccolta, le cooperative
di facchinaggio - talvolta gestori in terra d’Emilia della logistica di una
intera azienda o dei magazzini della grande distribuzione - sono le dure scuole
d’apprendistato per questi lavoratori. Talvolta sempre il senso comune
considera il lavoratore precario, come colui che cerca solo una integrazione di
reddito, magari ancora studente-lavoratore o
alloggiante quasi trentenne nel caldo tepore delle mura familiari, oppure
in quella galassia della condizione salariata ‘al femminile’ in cui una
occupazione part-time o in ritenuta d’acconto, come al nero, nasconde una
situazione di doppio-lavoro effettiva, spesa tra le mure domestiche, la cura dei
figli o di un genitore ‘a carico’, e le attività effettivamente remunerate.
Con
l’introduzione di tipologie contrattuali a termine, ed il suo uso ed abuso da
parte delle aziende, talvolta oltre i già ampi limiti di utilizzazione previsti
dalla legge (con la tacita o esplicita complicità delle R.S.U.) , anche nel
cuore del sistema produttivo: la fabbrica, la precarizzazione della forza-lavoro
diviene un fatto compiuto, soprattutto per le giovani leve operaie autoctone e
non. L’introduzione di questi contratti non è solo in funzione di dilatazione
dei tempi di selezione e scrematura dell’organico da assumere, cioè quel
lungo purgatorio prima di raggiungere il paradiso del posto fisso, ma è
utilissimo anche ai padroni per: stagionalità, picchi di produzione. Le
modificazioni del mercato del lavoro portate avanti neo-corporativamente da
sindacato, padroni e dai governi succedutesi in questi anni, gli ultimi rinnovi
contrattuali, che non danno a livello giuridico-vertenziale nemmeno uno straccio
di appiglio a cui agganciarsi per l’assunzione in pianta stabile di questi
lavoratori, nonché tutta quella serie di norme che rendono ancora più
flessibile ed individualizzato l’orario di lavoro( si pensi alla ‘banca
ore’ ed alla individualizzazione degli straordinari), nonché il clima di
passività nei posti di lavoro, determinano un contesto di difficile controllo
di parte operaia delle assunzioni, del rapporto organico-produttività,
dell’orario di lavoro e del costo del lavoro.
Sebbene
l’economia sommersa secondo le stime incida per un terzo sul PIL, e
pone il sistema-paese Italia ai primi posti dei paesi Ue, una tipologia
contrattuale come l’interinale per forma, si pensi alle analogie tra il
caporalato, che gode di una ottima salute per gli avventizi agricoli e i
manovali edili, e per livelli di tutela effettiva - come abbiamo più
volte ricordato – del tutto affine al lavoro nero, interessa e si stabilizza
del quadro del lavoro salariato delle piccole, medie e grandi fabbriche, della
grande distribuzione, dei servizi all’impresa e del settore pubblico.
L’introduzione,
la stabilizzazione e la continua espansione, nonché il perfezionamento e
diversificazione di forme contrattuali precarie, non hanno quindi minimamente
contribuito a ridurre il mercato del lavoro nero in alcuni settori per alcune
figure occupazzionali, come nelle zone meridionali della penisola, perché
sia per l’abbassamento complessivo del costo del lavoro e sia per il comando
capitalistico sulla forza lavoro, il lavoro nero continua ancora ad essere la
soluzione migliore, per i padroni ovviamente, visto tra l’altro la condizione
obbiettivamente svantaggiata di queste porzioni di classe, sovente all’ultimo
gradino della stratificazione sociale.
Il
medesimo ragionamento può essere fatto per quanto riguarda l’incremento
dell’occupazione, non incentivata dai cambiamenti del mercato del lavoro,
ma determinata dalle varie congiunture e cicli economici che si succedono, a cui
il mercato del lavoro si adegua, così come il quadro giuridico, e che subiscono
i proletari, occupati e non, in assenza di una spinta soggettiva che riesca a
ricomporre le varie componenti della forza-lavoro sul terreno della condizione
operaia, e sulle dinamiche di riproduzione della classe.
Il
caso spagnolo in cui l’introduzione del lavoro interinale è contemporanea a
quella italiana, ma le condizioni alquanto differenti - i salari pagati sono
circa metà di quelli percepiti dai lavoratori fissi e l’agenzia si fa pagare
dal lavoratore stesso per i suoi servizi – vede lo sviluppo maggiore di tale
tipologia contrattuale a livello europeo, mantenendo allo stesso modo il tasso
di disoccupazione più elevato della UE.
All’interno
di questo contesto una azione efficace, non può basarsi sull’iperattivismo di
un pugno di militanti, ma cogliere di volta in volta, gli spazi dove si
manifesta una capacità creativa di lotta della classe. Nell’immediato la
realizzazione di materiali di contro-informazione e di comunicazione diretta tra
lavoratori possono essere strumento di riflessione sulle basi materiali del potere
operaio, sulle latenti capacità offensive e unificatrici della classe, cioè
sugli immanenti anelli deboli del comando capitalista e la ricchezza sociale del
conflitto, in mano e dirette da lavoratori, che si autoriconoscono nei materiali
prodotti e d’inchiesta. Il salto politico è ovviamente un altro, è la
capacità di aggredire la società in tutta la sua complessità, che non si
riduce ad una fabbrica, ma il partire da una precisa comunità proletaria e
permettere ai lavoratori di possedere strumenti di analisi, è una via
obbligata, se non si vuole riproporre vecchie logiche di cinghia di trasmissione
tra gruppo politico e collettivo di lotta, moderna rivisitazione
dell’archeologico rapporto tra partito e sindacato. L’autonomia proletaria
qui intesa, non come movimento politico predefinito, ma come insieme di forze
proletarie che trovano all’interno del terreno della lotta proprie forme di
organizzazione e di elaborazione teorica. I lavoratori interinali, proprio per
il loro essere campo di sperimentazione per il capitale, possono essere una
delle componenti più recettive al rifiuto delle vecchie logiche sindacali e
all’immobilismo sociale.
La
fabbrica come laboratorio sociale e luogo di sperimentazione di una
ipotesi di trasformazione
Assistiamo
alla mutazione della composizione di classe determinata dallo svecchiamento di
parte della forza lavoro, proveniente dal serbatoio della disoccupazione
meridionale, da flussi migratori internazionali, dalle fasce più deboli e meno
scolarizzate del proletariato autoctono, come la forza lavoro proveniente dagli
istituti tecnico-professionali che sempre prima fa il suo ingresso nel mondo del
lavoro (visto tra l’altro l’aumento degli abbandoni scolastici, e il lavoro
estivo come stagionale o interinale) e che conosce la fabbrica abbastanza
precocemente visto gli stages in loco promossi dalle scuole/aziende.
Ogni
azienda del settore manufatturiero come dei servizi, tende a ridurre
l’organico fisiologicamente ai minimi termini ed ad intensificarne lo
sfruttamento in termini assoluti: introduzione o ampliamento della
turnazione tendenzialmente a ciclo continuo, flessibilità produttiva con
richiesta di sempre maggiori quote di lavoro straordinario non pagato e relativi:
aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro e corrispettive forme di controllo
sulla forza-lavoro e di auto-controllo dei lavoratoti stessi (UTE, isole di
produzione, schede di produzione computerizzate verificabili in tempo reale e da
compilare con la penna ottica, ecc.). Facendo ciò stabilizza una quota di
lavoratori a seconda delle esigenze della produzione (volumi di produzione/stagionalità)
e delle esigenze di formazione del personale: numerosi studi hanno valutato la
quota di lavoratori fissi necessaria all’azienda di poco superiore ad un
quarto del personale. Come tende allo zero stock di merci in continua entrata ed
uscita, tende pure allo zero stock di quella particolare merce che è la
forza-lavoro, cioè gli operai, servendosene just in time a seconda
appunto dalle mutevoli esigenze di produzione, di conseguenza ha bisogno di un
quadro normativo che gli garantisca di avere operai just in time e di
organizzazioni sindacali che non intralcino tale pratica: cioè il grado zero
del conflitto.
La
precarietà contrattuale e la flessibilità produttiva, non sono che
due facce della stessa medaglia, conseguenze dell’attuale ciclo
economico, così come lo è la fluidità del mercato del lavoro
mondiale e nazionale, cioè la conseguente mobilità geografica e
la diluizione dei confini tra occupazione e disoccupazione della
forza-lavoro. Oggi, la capacità di programmazione dei singoli capitalisti in
una prospettiva di momentaneo consolidamento ed espansione economica e di
fruttabilità immediata degli investimenti produttivi assottiglia sempre più i
suoi orizzonti temporali e il suo margine di sicurezza: il piano del capitale è
sempre più variabile e fragile a causa dell’impossibilità di investimenti
duraturi dati dalla natura sempre più speculativa degli investimenti di
capitale.
All’interno
di questo quadro il lavoro interinale è divenuto in Italia in alcuni settori
sempre più egemone rispetto ad altre forme di compra-vendita della
forza-lavoro.
[1] Nessun erogazione monetaria senza lo scambio con una prestazione lavorativa , o la ricerca attiva di questa; nessuna possibilità di occupazione senza l’adattamento agli standard salariali, regimi orari e condizioni generali imposti: questa è la filosofia che sta dietro agli slogan padronali che i governanti europei, in special modo tutti, sponsorizzano.
[2] Questa tipologia contrattuale, che garantiva formalmente l’assunzione in pianta stabile di una parte dei lavoratori, pena la perdita degli sgravi contributivi da parte dell’azienda, verrà sostituita con il ‘nuovo’ apprendistato, che con le vecchie modalità - comunque precedentemente aggiornate col “pachetto Treu” – riguardava circa 165.000 contratti l’anno. Il nuovo ‘apprendistato’ interesserà i lavoratori fino a 24 anni, 26 nelle aree depresse, sarà esteso a più categorie di quelle attuali, e spogliato di alcuni suoi vincoli, quali il divieto di lavoro notturno, il divieto di fare lo straordinario, la necessità della disdetta per sancire la fine del contratto L’utilizzazione dei Contratti di Formazione Lavoro ha seguito le oscillazioni della congiuntura economica, raggiungendo negli anni novanta il picco di circa 316.000 contratti firmati nel ‘91 scendendo a poco meno di 190.000 nel ’93, stabilizzandosi successivamente nella seconda metà del passato decennio sulla cifra di 260.000. La Formazione Lavoro ha costituto dalla sua introduzione nel 1984 fino all’introduzione e dell’estensione di altri contratti più vantaggiosi, il tramite più comune per l’accesso al lavoro delle fasce più giovani, soprattutto nel centro nord, sfiorando il mezzo milione nell’87, e permettendo ad una azienda un risparmio fra a 360.000 e le 600.000 lire al mese, secondo la possibilità di utilizzare o meno la fiscalizzazione degli oneri sociali.
[3] Addirittura, per la ricollocazione dei circa 150.000 Lavoratori Socialmente Utili, composti per la maggior parte da lavoratori in cassa integrazione e disoccupati di lunga durata, messi a disposizione dallo stato e utilizzati dai vari enti per colmare le proprie deficienze d’organico, o per colmare le deficienze del sistema di ammortizzazione sociale, lo stato ha creato una vera e propria agenzia di lavoro interinale, Italia Lavoro, che gestisce e tiene sotto controllo le liste di questi lavoratori, che per 800.000 lorde al mese hanno prestato (sono stati costretti a prestare, pena la perdita del proprio stato ) la propria attività lavorativa per 20 ore alla settimana, occupati solitamente come autisti per le scuole pubbliche, nella pulizia degli uffici, nella manutenzione dei parchi, ecc.
[4] Recentemente la CGIL lombarda ha firmato un accordo con Obbiettivo Lavoro, per una migliore selezione e qualificazione del personale, in vista dell’approvazione, attuata nel mentre, della possibilità delle agenzie di lavoro interinale, di svolgere anche l’attività di collocamento privato
[5] Operaio parziale e piano di produzione, N+1, n.1, settembre 2000
[6] Una causa intentata autonomamente da un lavoratore - vinta contro la Manpower e la Magneti-Marelli si è conclusa con un patteggiamento intorno ai 50 milioni
[7] Note sul riformismo, Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe, n.2, agosto ‘77
[8] la versione più trendy di queste eminenze grigie, si dedica alla pura attività di animazione sociale da balera centro-socialista ed alla ultra-codificata movida di piazza giocata da un lato su una buona strategia di marketing in comunicazione politica e dall’altra su un rapporto organico con le forze politiche e sindacali istituzionali.
[9] L’esperienza proletaria, Claude Lefort, in Socialisme ou Barbarie, n.11, novembre-dicembre 1952, tradotto in Collegamenti-Wobbly, n.4-5 nuova serie