Un carcere “al passo coi tempi”

Da Senza Censura n.37, luglio 2012

 

Le trasformazioni del sistema carcerario sono un risultato dei processi di ristrutturazione della società volti a riprodurre, allargandolo, il rapporto sociale capitalistico. Da una parte rispecchiano la tendenza generale alla dimunizione dei costi, dall’altra rispondono alla necessità di mantenere il comando sulla società che cambia: due pari necessità che la crisi della società capitalistica senz’altro acuisce, approfondendone l’interdipendenza.

Fra i costi, intesi nel senso più ampio possibile, un’attenzione particolare è rivolta a quello assorbito dalla forza-lavoro poiché l’abbassamento dei salari comporta, in modo diretto, un aumento del tempo di lavoro non pagato.

Da un punto di vista globale questa tendenza si è concretizzata nei processi di delocalizzazione produttiva in aree del pianeta dove minore è il valore della forza-lavoro che ha determinato una più marcata divisione internazionale del lavoro e una più profonda integrazione del mercato delle merci e, fra queste, la forza-lavoro.

Va tuttavia osservato che l’aumento del saggio di sfruttamento può avvenire solamente al prezzo di una maggiore capacità di imposizione che garantisca il comando sulla forza-lavoro. Il modello di organizzazione del lavoro si è così andato sempre più definendo sull’elemento della differenziazione, cardine del processo di sviluppo e consolidamento del modello disciplinare penitenziario.

Il comando si esprime soprattutto attraverso una rete articolata di catene di intermediazione della forza-lavoro che realizza l’obiettivo di dividere, differenziandola, la “comunità operaia”. A tal fine concorre la formale scomposizione della controparte padronale come pure le diverse forme contrattuali, distinte su base regionale, aziendale, individuale, e le articolate forme premiali legate al cosidetto “salario variabile”.

Enorme rilevanza ha avuto in questa dinamica l’utilizzo di forza-lavoro “extracomunitaria”, più ricattabile perché espropriata dei “privilegi” conferiti dalla cittadinanza.

E’ esemplare a tal proposito l’organizzazione del lavoro nel settore della logistica in Lombardia con forte prevalenza di forza-lavoro extracomunitaria inquadrata nel sistema differenziante delle cooperative. Una situazione esemplare poiché avviene in un settore come la logistica, strategico rispetto alle necessità imposte dai processi di delocalizzazione produttiva, e che rappresenta un modello di organizzazione del lavoro generalizzabile ad altri settori.

Il comparto sanitario, ad esempio, presenta una tendenza simile poiché oltre a coinvolgere i servizi ausiliari si sta allargando a quelli infermieristici e, in questo caso, il sistema carcerario sembra essere un ottimo terreno di sperimentazione dal momento che in carcere l’esternalizzazione dei servizi infermieristici è già una realtà consolidata.

 

Possiamo dunque cogliere nelle trasformazioni del sistema carcerario di questi ultimi quindici anni il riflesso della necessità capitalistica di abbassare il prezzo della forza-lavoro, garantendo per una quota significativa della classe lavoratrice, specialmente operaia, condizioni di maggiore sottomissione.

In un contesto generale di accresciuta internazionalizzazione dei mercati questa strategia ha consentito non soltanto di abbassare il prezzo di compravendita della forza-lavoro ma anche il suo valore potendo disporre di un esercito industriale di riserva tale da rendere tendenzialmente obsoleta la quota di salario destinato alla riproduzione sociale della forza-lavoro; la riduzione progressiva del salario indiretto si presenta così come distruzione dello Stato Sociale.

Le trasformazioni del sistema carcerario italiano hanno come obiettivo più visibile una espansione quantitativa degli strumenti detentivi. Non a caso, per quanto detto finora, nell’ultimo decennio questa espansione é avvenuta soprattutto a spese degli immigrati “extracomunitari”, sia in termini relativi, come percentuale della popolazione detenuta, che in termini assoluti, come soggetto destinatario di un nuovo circuito di reclusione destinato alla “detenzione amministrativa”.

Con la detenzione amministrativa è stato introdotto in Italia un modello di gestione carceraria (CIE) che si può definire al passo con i tempi, in cui il servizio di “custodia” e i servizi ausiliari sono esternalizzati ad imprese private; un modello che sembra orientare anche il processo di riorganizzazione del circuito penitenziario di Media Sicurezza.

 

Gli indirizzi di riorganizzazione della Media Sicurezza (MS)

Lo spirito che anima la riorganizzazione del circuito di MS, manco a dirlo, è quello di “ridisegnare un’amministrazione penitenziaria al passo con i tempi”, “un modello organizzativo dinamico di sicurezza”; così recita il “documento programmatico per la definizione di azioni di indirizzo per il miglioramento della gestione dell’esecuzione penale” (DAP, 6 aprile 2011) mentre saranno le circolari del 24 novembre 2011 e di inizio giugno 2012 a fornire maggiori dettagli[i] in proposito.

Va tenuto conto che il documento di giugno cancella in parte le disposizioni contenute nella circolare di novembre, in particolare i codici di classificazione dei detenuti che possono o meno avere accesso alle sezione aperte, una classificazione che era difficile ipotizzare fin dall’inizio per un’amministrazione che non riesce nemmeno a redigere le sintesi periodiche per i detenuti, ma al di là delle differenti “sensibilità” dei due vertici del DAP che avvicendandosi hanno firmato le due circolari, rispettivamente Ionta e Tamburino, cerchiamo di mettere a fuoco gli aspetti centrali del progetto di riorganizzazione della MS.

 

In sostanza la spinta che anima tale processo é finalizzata a razionalizzare[ii] i costi e l’organizzazione del sistema penitenziario nella prospettiva di una crescita tanto della popolazione detenuta che di quella sottoposta a misure alternative alla detenzione.

Un aspetto quindi importante riguarda la riorganizzazione della “custodia” che, in un quadro di maggiore presenza e complessità degli strumenti detentivi e coercitivi, dovrà integrare altri soggetti oltre alla Polizia Penitenziaria che ad oggi assorbe l’84% del costo giornaliero per detenuto[iii].

Sulla tipologia di tali soggetti la circolare di novembre sottolinea che: “Con riferimento alla tematica della presa in carico dei nuovi giunti e della prevenzione del rischio suicidario, si rende necessario un intervento organico che consenta di procedere alla piena attuazione del nuovo modello di erogazione dei servizi sanitari all’interno degli istituti penitenziari contenuto nel DPCM del 1 aprile 2008”, e che “Lo strumento da utilizzare in questi casi risulta essere quello dell’intervento partecipato tra operatori della Sanità ed operatori penitenziari, fondato su un Accordo tanto a livello centrale che periferico”.

A tal proposito anche la circolare di giugno ribadisce che “in primo luogo la sicurezza va intesa ‘quale condizione per la realizzazione delle finalità del trattamento’ e, come tale, non affidata all’onere (e alla responsabilità) della Polizia Penitenziaria. Invero: così come non sono del tutto estranee al Corpo le iniziative trattamentali, l’apporto multidisciplinare di tutti gli altri operatori, compresi quelli non appartenenti all’amminitrazione penitenziaria, deve concorrere a rafforzare la sicurezza in una visione integrata e non di certo limitata al mero controllo del detenuto”.

Nonostante l’indeterminatezza dei soggetti che affiancheranno le tradizionali guardie, sembra di capire che si tratterà di personale sanitario. Infatti, al di là dei riferimenti alla “sostituzione della tradizionale attività di sorveglianza con le nuove attività di ‘sostegno’”, alla conseguente nascita dello “staff di sostegno” e alle “camere di pernottamento” che dovrebbero sostituire le celle nella MS, (ovvero la stessa retorica mistificante che ha chiamato “ospiti” i reclusi nei CIE), la prevenzione del rischio suicidario fornisce un utile pretesto, perché di carattere umanitario, per procedere alla riorganizzazione del circuito di MS a partire dall’organizzazione del personale. In questo senso abbiamo prima accennato al modello gestionale proprio della “detenzione amministrativa” e di come questo possa generalizzarsi nel circuito definito di Media Sicurezza.

In questa prospettiva occorre tenere conto del grado di sviluppo dei processi di privatizzazione nel settore sanitario, specialmente all’interno delle carceri dove il fabbisogno di personale infermieristico ed ausiliario é quasi totalmente in mano alle cooperative di manodopera, resi possibili dai processi di decentramento/regionalizzazione. Non è infatti un caso che la più recente circolare sulla MS sia interamente articolata attorno al concetto cardine dell’“ambito regionale come macro-struttura di riferimento” formalmente e ipocritamente motivato col principio della territorializzazione della pena.

 

Uno scenario possibile per la MS può essere quello di strutture detentive – soprattutto nuove carceri o padiglioni – dove è prevalente il ricorso a sistemi di videosorveglianza e dove può essere attuato il modello di “sorveglianza dinamica” cui fanno riferimento le disposizioni sulla MS per cui “il servizio di sicurezza, una volta abbandonata l’idea che sia necessario (salvo negli istituti a maggior indice di sicurezza) un controllo continuo sul detenuto, inutile ancorché impossibile, deve evolversi, specie negli istituti ed aperti, in senso dinamico. Ossia dispiegarsi, diversamente, nei diversi periodi dell’anno, della settimana e/o del giorno; prevedere la soluzione di ‘pattuglie’ che presiedono ‘territori’”, con notevole risparmio sul costo del personale, specie se integrato con personale civile esternalizzato.

La recente apertura di cinque nuove sezioni nel carcere di Rieti rappresenta senz’altro una sperimentazione in questo senso[iv] come anche la nuova struttura carceraria inaugurata a Spini di Gardolo (TN) nel gennaio 2011 (sulla quale torneremo in maniera più approfondita nei prossimi numeri della rivista).

 

In definitiva, per quanto riguarda la MS, l’orientamento di fondo sembra essere quello di poter disporre di modelli detentivi e strumenti coercitivi differenziati da poter applicare in modo flessibile e discrezionale su di un flusso crescente di popolazione “in esubero”. A tal fine si rende necessaria una razionalizzazione dei costi che ha l’obiettivo di ridurre alcuni capitoli di spesa che incidono sul costo procapite medio per detenuto, favorendo in quest’ottica lo sviluppo di processi di esternalizzazione dei servizi e di progressiva integrazione dell’ambito carcerario nella rete di interessi che si esprimono a livello locale/regionale.

In questo senso va l’accordo firmato il 20 giugno scorso fra il Ministero di giustizia e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani che prevede lo svolgimento di lavoro non retribuito da parte di soggetti in stato di detenzione in favore della comunità locale che costituisce il principio cardine dell’ “istituto della sospensione del processo con messa alla prova quale rinuncia alla punizione detentiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita”. Un’anticipazione del Ddl governativo in materia di “depenalizzazione” in discussione in questi giorni in Parlamento, che oltre al lavoro non retribuito “di pubblica utilità” per i condannati a pene inferiori ai quattro anni, prevede l’estensione dell’applicazione della detenzione domiciliare anche per fasce orarie o giorni della settimana “in misura non inferiore a quindici giorni e non superiore a quattro anni, nel caso di delitti, e non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni, nel caso di contravvenzioni”[v].

Provvedimenti che, sebbene ammantati dalla nota retorica sulla decarcerizzazione, invece di sostituire la reclusione carceraria andranno ad affiancarsi ad essa, approfondendo l’ “offerta repressiva” in chiave flessibile, discrezionale e differenziante. Una dinamica che comporterà una progressiva militarizzazione di settori della società o quantomeno una loro cooptazione all’interno degli articolati dispositivi di gestione e di controllo sociale.

Per completare lo scenario sulla MS non possiamo non comprendere le strutture – sia dentro che fuori le carceri – che dal marzo 2013 dovrebbero sostituire gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) e che andranno a costituire un ulteriore circuito del sistema carcerario “moderno”. Su questo ci soffermiamo in maniera più approfondita nell'articolo seguente.

 

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Un reparto a 41-bis all’ospedale San Paolo di Milano

 

All’ospedale San Paolo di Milano è stata recentemente ultimata la costruzione di un reparto per detenuti a 41-bis da due posti, costato circa 800 mila euro e dotato di sala colloqui munita di vetri divisori.

Col passaggio dalla medicina penitenziaria al SSN, nel 2010 il San Paolo è diventato referente oltre che per il carcere di Milano-Opera – di cui lo era già dal 2004 – anche per le carceri di San Vittore e di Milano-Bollate essendo l’unico ospedale milanese a disporre di un reparto dedicato alle cure dei detenuti, la Medicina Quinta.

Se pensiamo che il carcere di Milano Opera, tra i più estesi d’Europa, dal 2007 ha realizzato al suo interno una sezione per detenuti a 41-bis da 100 posti, la seconda più grande dopo quella de L’Aquila, e che è in corso il progetto la costruzione di un nuovo reparto da 400 posti, possiamo comprendere l’opposizione del personale sanitario dell’ospedale al reparto a 41-bis, che teme una più che probabile militarizzazione del contesto ospedaliero.

Se si considera inoltre che la Lombardia è la regione col più alto numero di detenuti non è poi così improbabile supporre che proprio in questa regione possa sperimentarsi l’edificazione di un “polo carcerario” improntato sulla regionalizzazione e sulla privatizzazione anche alla luce delle disposizioni contenute nelle due recenti circolari del DAP che proprio su tali cardini mirano a riorganizzare il circuito di Media Sicurezza.

Una dinamica che senz’altro viene favorita dalla presenza di un reparto a 41-bis nella misura in cui, come succede all’interno di un carcere, il 41-bis determina un contesto generale di “massima sicurezza” dove le logiche imperative dell’emergenza estendono i margini di discrezionalità normativa e di applicazione di dispositivi di controllo utili anche a inibire la resistenza dei lavoratori del settore ai processi di precarizzazione e di “militarizzazione” dell’attività svolta.

 

 

 

Breve intervista sul Centro Clinico (CC) di Milano-Opera

 

Conosci il Centro Clinico tramite i racconti di altri prigionieri o tu stesso hai avuto modo di vederlo coi tuoi occhi?

No, no, purtroppo l'ho visto di persona.

 

Come funziona attualmente il CC di Opera?

Lo stanno ristrutturando, è aperto solo un piano, l'altro è appunto in fase di ristrutturazione. Il terzo piano è proprio chiuso, c'erano i laboratori ma ora è tutto a marcire, da buttare via.

 

Quindi è operativo un solo piano su tre?

In pratica sì perchè al piano terra ci sono solo gli uffici delle guardie, gli studi del dentista, dell'oculista, del cuore ecc... e la sezione speciale chiamata area riservata per Totò Riina e chi gli deve fare compagnia, cioè un detenuto qualunque preso a caso in sezione. Quindi anche l'altro detenuto viene punito, poi se non esce o non si incontrano non importa, l'importante è che risulti sulla carta.

 

Quindi quante celle funzionanti ci sono in questo momento?

Di preciso non lo so, dovrebbero essercene una ventina singole – più o meno – nella sezione infettivi e mi sembra 8 celle da quattro sulla destra, dove ci sono i bagni e le docce.

 

Come funziona il CC dal punto di vista medico?

Comandano le guardie. I dottori fanno solo quello che gli dicono le guardie, se le guardie non vogliono i dottori non possono lavorare. I dottori non sono indipendenti, sono sottomessi alle guardie. Se una persona per esempio ha l'AIDS, tutte le guardie lo sanno, loro leggono tutte le cartelle cliniche. I dottori visitano alla presenza delle guardie, una ma anche due o tre, addirittura quattro guardie.

 

Nel CC ci sono più guardie rispetto al resto del carcere?

Uguale direi, in sezione c'è una guardia ma poi nelle rotonde ce ne sono anche quattro o cinque, li che bevono il caffè.

 

Se qualche prigioniero si sente male, viene portato nel CC o viene chiamata l'ambulanza?

Il medico in turno decide cosa fare.

 

In caso di urgenza si effettuano interventi nel CC?

No, non esistono, sempre fuori, in ospedale.

 

Come funzionano le visite nel CC?

Ti visitano gli specialisti e decidono cosa devi fare.

 

Gli specialisti sono esterni?

Si, vengono da fuori, sono tutti esterni,vengono dagli ospedali e con loro le guardie non possono intervenire. L'ortopedico per esempio viene da un paese della provincia di Milano.

 

I macchinari e le attrezzature vengono utilizzati?

Si.

 

Quali sono i tempi di attesa?

Dipende se è il tuo turno ma aspetti anche un anno, un anno e mezzo; poi dipende anche da quante persone vengono da fuori perchè arrivano da tutta la Lombardia, soprattutto da Voghera e Pavia.

Dicono che il CC di Opera è il migliore d'Europa, pensa gli altri, fa schifo.

 

A Opera invece come funziona l'accesso alle cure mediche?

Se si sta male in carcere si fa domanda per segnarsi a visita; l'infermiere in turno vuole sapere cos'hai e non puoi non dirglielo, se gli dici “motivi personali” sicuramente non verrai mai chiamato. Se dici “mal di stomaco” il medico decide se e quando chiamarti, se lo fa, potrebbe chiamarti in settimana così come non chiamarti mai. Non si sa.

 

Rispetto alle altre sezioni, ci sono differenze che riguardano per esempio il vitto, l'igiene ecc...?

Il vitto è una schifezza, immangiabile, salatissimo. Se per esempio devi seguire una dieta in bianco e finisce la mozzarella per modo di dire, o qualsiasi altra cosa, mangi quello che c'è o in poche parole rimani senza mangiare.

 

Quanti medici lavorano all'interno del CC?

Un dirigente sanitario e un medico responsabile per piano

 

E quanti infermieri/e, gli stranieri/e sono molti/e?

Gli infermieri sono tanti, tutti stranieri, non c'è un italiano, prevalentemente sudamericani e donne.

 

Le infermiere/i sono tutti “dipendenti” di cooperative? hai idea di quali siano le loro condizioni lavorative?

Quello che so è che sono ricattati di brutto, sottomessi. Se una guardia fa rapporto è finita, perdi il posto, tanto la guardia una scusa la trova sempre, gli basta scrivere “penso che quest'infermiera favorisca questo detenuto” e tu hai chiuso, vieni mandato via. Ho sentito che con questo ricatto qualche guardia ha persino preteso prestazioni sessuali da alcune infermiere. Le infermiere/i sono tutte/i sotto le cooperative.

 

Qual'è l'idea che hanno del CC i detenuti del carcere di Opera?

In generale nessuno è mai contento di andarci, anzi, la maggioranza si rifiuta come ho fatto io oppure ci stanno il minimo indispensabile e al massimo dopo una ventina di giorni firmano per andarsene via.

 

Puoi descrivere com'è la vita all'interno del CC?

Non puoi cucinare, se vuoi farti un caffè devi metterlo fuori dalla cella e il lavorante, che passa tre volte al giorno, ci pensa. In pratica non si può quasi fare l'aria, la tettoia sopra il passeggio è tutta rotta quindi se piove non puoi neanche uscire. Non hai possibilità alcuna di andare in palestra, né al campo. Non è prevista neanche la saletta, in parole povere è come se uno fosse punito. Infatti nessuno ci vuole andare, solo quelli che provengono da altre carceri perchè in realtà non sanno come funziona.

 

 



[i]               Circolare 3594/6044, “Modalità di esecuzione della pena. Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione”, DAP, novembre 2011 e circolare 0206745-2012, “Realizzazione circuito regionale ex. Art. 115 d.p.r. giugno 2000 n.230: linee programmatiche”. Tali documenti sono disponibili sul sito della rivista alla sezione “Materiali di approfondimento”.

[ii]              Per razionalizzazione dei costi non va intesa una loro diminuzione in termini assoluti ma relativi, ovvero una diminuzione del costo giornaliero per detenuto a fronte di un aumento del numero dei detenuti: i costi aumentano in valore assoluto ma in proporzione minore dell’aumento del numero dei detenuti.

[iii]             Il 79,2% dei costi nel decennio 2001-2010 sono stati assorbiti dai circa 48.000 dipendenti del DAP (polizia penitenziaria, amministrativi, dirigenti, educatori, etc.), il 13% dal mantenimento dei detenuti (corredo, vitto, cure sanitarie, istruzione, assistenza sociale, etc.), il 4,4% dalla manutenzione delle carceri e il 3,4% dal loro funzionamento (energia elettrica, acqua, etc.).

[iv]             “Ai 186 detenuti attualmente presenti, nel giro di qualche settimana, se ne aggiungeranno altri 120, debitamente selezionati ai quali sarà chiesto di aderire ad una sorta di ‘patto di responsabilità’. In sintesi ad un regime detentivo a basso impatto di sicurezza dovranno corrispondere atteggiamenti adeguati. La novità sostanziale è nella modalità di custodia cui saranno chiamati i poliziotti penitenziari: non più impiegati nelle sezioni detentive con relativo posto fisso ma una presenza mobile nei reparti ad intervalli ed orari indefiniti. (Agenparl, 3 aprile 2012).

[v]              Il testo dell’accordo e del ddl completo delle relazioni di accompagnamento sono disponibili sul sito della rivista alla sezione “Materiali di approfondimento”.



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