PRESIDIO AL CARCERE DEL CERIALDO – CUNEO
DOMENICA 7 OTTOBRE - ORE 14.00
Il 26 gennaio di quest’anno è scattata
un’imponente operazione repressiva che ha portato diversi compagni in carcere
nel tentativo di dividere, ricattare e far ripiegare il movimento NoTav su
posizioni difensive. Il tutto è stato condito da una campagna mediatica con
prese di posizione nette dell’intero apparato istituzionale.
L’obiettivo di rompere l’unità della
lotta è presente fin dalla genesi di questa inchiesta giudiziaria, così come
per molte altre, egualmente rivolte contro movimenti rivendicativi e di
emancipazione sociale.
Magistralmente riassunto nelle parole di
Caselli “dei venticinque arrestati solo tre sono della Val di Susa”, ecco che
emerge chiaramente l’odioso teorema che distingue buoni e cattivi, che separa
la gente della valle dagli “esterni”, e che tenta di dividere il movimento tra
chi difende in modo pacifico legittimi interessi parziali e chi si oppone in
modo violento su basi ideologiche, di carattere generale e perciò sovversive.
In questo senso sono da leggere le inchieste degli ultimi mesi, e i conseguenti
arresti, sempre utili ad agitare lo spettro del “terrorismo”. Poichè rispetto
al movimento NoTav, una distinzione così netta circa le idee e le pratiche di
lotta adottate rappresenta una palese mistificazione della realtà storica,
l’attacco della magistratura si è allora concentrato nell’opera di
criminalizzazione del movimento “esterno”, attraverso l’enfatizzazione dei
percorsi politici di alcuni degli arrestati, dei quali, ovviamente, vengono
esibite le precedenti denunce, condanne ed eventuali carcerazioni. Risulta evidente
dal procedimento stesso, con immediata eco mediatica e strumentalizzazione
politica, l’intenzione di sanzionare esplicitamente il movimento in quelle
pratiche di lotta che confliggono con gli argini imposti dalla democrazia dello
stato e dei padroni.
L’aspetto giudiziario, tanto più se così
mediatizzato, preannuncia quello penale, senza il quale perderebbe di
significato e utilità. Di fronte a capi di imputazione tutto sommato generici e
comuni, resistenza a p.u. e lesioni, espressione di uno scenario di lotta
massificato, evidente e difficilmente manipolabile, la tesi accusatoria
dell’infiltrazione di professionisti della violenza politica in un contesto
sostanzialmente “sano” serve a legittimare il dispositivo della carcerazione
preventiva e le condizioni particolarmente restrittive di detenzione.
Così, utilizzando le parole del tribunale
di Torino nella sentenza di riesame del 13 febbraio, alle “persone appartenenti
ai cosiddetti gruppi ‘No Tav’” – per distinguerli dal movimento
No Tav locale e dunque ufficiale – viene riservato un trattamento carcerario
esemplare, con una miscela di provvedimenti che vanno dalla reclusione in
sezioni speciali, all’isolamento all’aria, alla censura della posta, alla
difficoltà ad ottenere i colloqui anche con i familiari, alle pesanti
restrizioni per chi ha ottenuto gli arresti domiciliari, insieme ai fogli di
via dai comuni della valle, caduti a pioggia in tutta Italia e, peraltro,
ovunque ignorati. Tutto ciò rende evidente lo scopo differenziante di spezzare in
tante specifiche situazioni e posizioni individuali il carattere collettivo del
movimento e la solidarietà che lo tiene insieme. Un tentativo, sapientemente
articolato, ma decisamente non riuscito di innescare paura e desolidarizzazione
non solo nelle fila del movimento No Tav ma, attraverso questo, in tutti quei
movimenti che si oppongono e si opporranno alla macelleria sociale che i vari
governi ci riservano e ci riserveranno in futuro.
Non è quindi un caso che un ulteriore
elemento di continuità fra i vari governi stia nel progetto di espansione
quantitativa del sistema carcerario e di approfondimento qualitativo delle
politiche di differenziazione. Infatti, in un contesto di profonda crisi
economica, che è anche crisi sociale e delle politiche del consenso, il
potenziamento del sistema carcerario serve a contenere una quota crescente di
popolazione in esubero rispetto al grado di assorbimento del mercato del lavoro
e a reprimere quelle istanze che si pongono concretamente il problema di
un’alternativa all’attuale sistema di sfruttamento delle persone e dei
territori o, quantomeno, che cercano pratiche di lotta efficaci per il
raggiungimento dei propri obiettivi.
Se i primi sono considerati alla stregua
di rifiuti da contenere in vista di un futuro smaltimento a basso costo, i
secondi divengono veri e propri nemici da isolare dal resto della popolazione,
detenuta e non, al fine di impedire ogni possibile “contagio” e di piegarne la
determinazione, attraverso la privazione della socialità,
A tal proposito abbiamo visto come in
questi ultimi anni le pesanti restrizioni proprie del regime carcerario
applicato con l’art. 41-bis siano state via via estese ai circuiti speciali
cosiddetti di Alta Sicurezza, dove sempre più viene rinchiuso chi è arrestato
in seguito alla sua partecipazione alle lotte.
Invitiamo tutti/e a partecipare al
presidio che si terrà sotto il carcere di Cuneo domenica 7 ottobre, affinché la
repressione non venga vissuta come un fatto estemporaneo ed individuale ma,
viceversa, sia l’occasione per fortificare la solidarietà che lega
trasversalmente le lotte, nella convinzione che la repressione, la
differenziazione ed il carcere siano gli elementi fisiologici con cui ogni
lotta che vuole davvero vincere deve sempre più fare i conti e combattere.
Il pullman partirà da Milano, Piazza Monte Titano (dietro la
stazione FS di Milano-Lambrate) alle ore
10.00.
Fermata intermedia in Viale Cassala (fermata metropolitana M2 Romolo) alle 10.30.
E' necessario
prenotare al numero 366 16 24 136.
Costo a partecipante: massimo 15 euro.
Assemblea
regionale contro carcere e CIE (Lombardia)