SENZA CENSURA N. 29

giugno 2009

 

La crisi nel carcere

Aggiornamenti su carcere e repressione

 

All’inizio di maggio il neo-commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria e capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), Franco Ionta, ha presentato al Ministro di Giustizia Alfano il “piano carceri” annunciato all’inizio di quest’anno e attualmente al vaglio del Consiglio dei Ministri (1). In sostanza l’obiettivo è di realizzare poco più di 17 mila nuovi posti entro il 2012 portando così la capienza delle carceri italiane a 80 mila detenuti che é un numero comunque inferiore a quello previsto sulla base dell’aumento medio della popolazione detenuta – 10.000 reclusi in più ogni anno – e delle attuali presenze che ad oggi superano quota 63 mila (2). Con ciò si ammette inoltre che il criterio generale per stabilire la capienza delle carceri è il grado di “tollerabilità” nelle stesse e che il “sovraffollamento” sarà dunque un’emergenza sempre più normale, anche in conseguenza degli effetti della nuova produzione legislativa in materia di “sicurezza”.

 

Serie storica detenuti presenti

Elaborazioni del Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati del Ministero di Giustizia - DAP

01/01/07

39.005

30/06/07

43.957

31/12/07

48.693

30/06/08

55.057

31/12/08

58.127

16/06/09

63.460

Sul programma di edilizia penitenziaria
integrando le opere previste dal programma preesistente di edilizia penitenziaria, il “piano carceri” prospetta complessivamente la realizzazione di circa 17 mila nuovi posti detentivi su scala nazionale di cui:
- 4.605 già finanziati per un costo complessivo di circa 205 milioni di euro;
- 6.201 i cui finanziamenti sono già stati individuati, per un costo complessivo di 405 milioni di euro. In tale stanziamento sono compresi i fondi della Cassa delle Ammende che sarebbero dovuti servire per i progetti di “reinserimento” dei detenuti (3). Di questa sottrazione indebita vi è consapevolezza da parte del ministero quando afferma che “il ricorso ai fondi della Cassa delle Ammende, che resta una delle più importanti fonti di finanziamento del Programma” – poiché sono soldi certi e disponibili da subito – “consentirà inoltre di prospettare che negli interventi edilizi complementari possa essere previsto l’impiego di manodopera reclutata tra i soggetti in esecuzione pena”.
- 6.323 con fondi da individuare per un costo complessivo di 980 milioni di euro, da realizzarsi specialmente nelle principali aree metropolitane del paese, Roma, Milano, Napoli e Catania dove si prospetta la realizzazione di “strutture modulari” che “consentirebbero economie di scala nella gestione e nella manutenzione delle opere per lotti funzionali”.
Secondo le stime fatte dal Ministero gli interventi in corso di realizzazione, finanziati o con finanziamento già individuato, dovrebbero portare entro il 2010 a circa 3 mila nuovi posti ai quali vanno aggiunti ulteriori 1.900 al momento inutilizzati; entro il 2012 a circa 8.000 nuovi posti dei quali circa 2 mila già previsti dal programma di edilizia preesistente.
A tale ampliamento va sommato quello dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) destinati alla detenzione “amministrativa”: 1.000 nuovi posti dovrebbero ottenersi con interventi di riadattamento, già finanziati dalla legge 186 del 2008, mentre altri 1.500 posti con la costruzione di nuovi CIE attraverso la ristrutturazione degli edifici esistenti.

Ripartizione del numero dei nuovi posti detentivi per Regione

Regione

 

Incremento posti

Presenze al 5/4/2009

Lombardia

CR Milano Bollate, CC Voghera, CC Pavia, CC Cremona, CR Milano Opera, CC Bergamo, CC Busto Arsizio, CC Monza, Varese

3.587

8.311

Lazio

CC Velletri, CC Frosinone, CC Viterbo, CC Civitavecchia, Roma Rebibbia N.C., Paliano, Latina

2.909

5.526

Campania

CC Avellino, CC anta Maria Capua Vetere, CC Carinola, CC Ariano Irpino, CC Napoli Secondigliano, CC Salerno, Nola

2.254

7.424

Sicilia

CC Agrigento, CC Palermo Pagliarelli, CC Siracusa, CC Trapani, CC Gela, Catania, Sciacca

1.908

7.453

Piemonte

CC Cuneo, CR Saluzzo, CC Biella, CC Alessandria Don Soria, CC Asti, Pinerolo

1.400

4.790

Emilia-Romagna

CC Modena, CC Piacenza, CC Parma, CC Bologna, CC Reggio Emilia, CC Ferrara, Forlì

1.240

4.381

Sardegna

CC Nuoro, CR Lanusei, Cagliari, Sassari, Tempio Pausania, Oristano

913

2.157

Toscana

CC Livorno, CC-CR Firenze Sollicciano, CC-CR Pisa

500

4.053

Triveneto

CC Vicenza, Trento, Rovigo, Bolzano, Pordenone

624

4.517

Liguria

Savona, Genova,

494

1.502

Calabria

Reggio Calabria

450

2.569

Puglia

CC Taranto, CC Lecce

400

3.894

Umbria

CC Terni

200

964

Abruzzo e Molise

CC Sulmona

200

2.140

Marche

CC Ancona Barcaglione

50

1.071

 

17.129

61.244

 

Attrarre l’interesse del capitale privato significa favorirlo
Per coprire il 70% dei costi dell’ambizioso progetto il ministero conta su finanziatori privati nonostante le evidenti difficoltà ad inventarsi un business penitenziario che rappresenti al contempo un risparmio di costi per lo stato e un’occasione di profitto per il capitale privato. Le privatizzazioni avviate da tempo in settori chiave come i trasporti, la sanità, l’energia e i rifiuti hanno cercato di rispondere all’obiettivo di ridurre il debito pubblico dello stato, razionalizzando i costi improduttivi e cercando di favorire il rilancio dell’accumulazione capitalistica nei settori delle cosiddette public utility ad alto valore d’uso sociale. Non è quindi un caso che proprio su tali aspetti si sia concentrato il convegno dal titolo “Edilizia sanitaria, scolastica e penitenziaria. Le opere fredde fra realtà, vincoli e prospettive del mercato” tenutosi di recente a Milano. All’incontro, organizzato da ItaliaOggi e dallo studio legale Dla Piper, hanno partecipato, oltre al sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, e quello alle Infrastrutture, anche rappresentanti dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, Confindustria, Impregilo, Mediobanca, Gruppo Intesa San Paolo.
“[…] il project finance sulle opere cosiddette fredde, come carceri, scuole, ospedali, che permette alle pubbliche amministrazioni di costruire opere pubbliche senza incidere sul patto di stabilità, è necessario un equo ritorno economico per gli investitori. […]
Le opere fredde, ospedali, carceri, uffici, scuole, sono quelle per le quali la Pubblica Amministrazione paga un canone per l’utilizzo della struttura e dei servizi che il concedente eroga, e «con una corretta gestione sono in grado di garantire il ritorno dell’investimento», ha sottolineato Duilio Allegrini condirettore generale Cofathec, non nascondendo, però, le difficoltà in Italia, per mancanza di regole, tempi certi e contenziosi”. Le opere cosiddette calde, come ad esempio le autostrade, sono quelle invece per cui “l’investitore recupera l’investimento attraverso i ricavi dei pedaggi per un determinato numero di anni di gestione stabilito dalla concessione pluridecennale”.
Una differenza che si può cogliere riguarda la natura del servizio, se esso è in grado di valorizzare autonomamente il capitale investito oppure se il profitto consista essenzialmente nell’appropriazione di quote di plusvalore prodotte altrove. Per quanto riguarda il settore carcerario sembra che per ora l’interesse privato sia limitato all’assegnazione degli appalti edilizi come confermano i timori espressi negli stralci di seguito riportati.
“Il problema dell’equity resta ancora cruciale dopo che, la parte normativa è stata corretta, di recente, anche se non completamente, per eliminare gli ostacoli maggiori in materia di contenzioso, autorizzazioni, ricorsi con sospensione dei lavori oltre che sul rischio di costruzione che viene trasferito ai privati, come ha illustrato Giorgia Romitelli partner di Dla Piper. Sul problema della quota dell’equity (azioni fornite dai promotori del project) è intervenuto Massimo Ponzellini, presidente di Impregilo ma anche neo presidente della Banca Popolare di Milano, proponendo l’ipotesi di lavoro di garanzie assicurative sulle opere da realizzare in project finance per incentivare l’equity. Oggi, ha spiegato Ponzellini, la quota di equity nelle operazioni di project finance è più pesante, salita com’è dall’iniziale 10-15% al 40%, (il rimanente, all’incirca il 60%, sceso dall’iniziale 80%, è il capitale di debito, obbligazioni ottenute da un pool di banche). E se fondi di investimento individuano la «necessità di coinvolgere investitori istituzionali come i fondi pensione, di lunga durata, come ha evidenziato Fabio Albano partner di Clessidra infrastrutture sgr, e le banche, come ha fatto capire chiaramente Marco Ruju, di Biis, gruppo Banca Intesa, che visti i tempi di crisi come gli attuali pensa anche agli enti parastatali, come l’Inps, ecco che diventa necessaria una sorta di garanzia assicurativa, ha ipotizzato Ponzellini, che come Impregilo sta lavorando alla modernizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, per incentivarne la partecipazione.
Questione rilevante che merita un approfondimento come ha sottolineato Federico Sutti, regional managing partner Dla Piper” (4).
La massa debitoria accumulata dalla Pubblica Amministrazione nei confronti dei propri creditori (5) non offre sufficienti garanzie sul ritorno economico auspicato. La riluttanza del capitale privato ad entrare nelle carceri (6) é probabilmente anche dovuta ai bassi livelli salariali che hanno contratto i margini di sfruttamento del lavoro carcerario attenuandone la competitività. Una circostanza che si è andata accentuando con il progressivo esubero di forza-lavoro da tutti i settori in conseguenza del manifestarsi della sovrapproduzione.
In sostanza i “capitani coraggiosi” chiedono di modificare le normative in materia di appalti pubblici e di assicurarne i pagamenti attraverso i fondi pensione di lunga durata e i fondi INPS. Questi aspetti andranno sicuramente approfonditi anche alla luce della nuova autorità conferita al commissario straordinario per le carceri con il “piano” da lui stesso redatto: “la normativa che attribuisce al Capo del DAP poteri di commissario straordinario, consente a quest’ultimo – ai sensi della legge 28/01/2009 n. 2, di svolgere attività di impulso, monitoraggio e controllo ed anche poteri sostitutivi. Nello specifico […] pone il commissario straordinario sia nelle condizioni di sostituirsi agli organi ordinari […] nonché di poter essere abilitato ad assumere direttamente funzioni di stazione appaltante” (7).
Fatta eccezione per gli appalti edilizi, la difficoltà ad esternalizzare i servizi maggiormente improduttivi per lo stato è accentuata dalla necessità di non disperdere il monopolio del comando soprattutto in tempi di guerra e di “sacrifici”.
In tale contesto è maturata l’ipotesi, ventilata nella citata relazione annuale, di creare o riqualificare delle attività produttive in carcere finalizzandole sia alla produzione di energia “da fonti rinnovabili o di cogenerazione o trigenerazione e sia di olio combustibile”, impiegando detenuti lavoranti, alle dipendenze dell’impresa aggiudicataria con retribuzioni a carico della stessa, e sia per la coltivazione di un’ampia estensione di terreno di vegetali idonei a tale scopo. Oltre alla realizzazione degli impianti di produzione energetica, “l’operatore economico concessionario, con proprio finanziamento, dovrà realizzare uno o due padiglioni detentivi, da 200 posti l’uno, dotati dei moderni dispositivi offerti dalla moderna tecnologia per il risparmio energetico e fornire il servizio energia (elettrica, termica) e manutenzione ordinaria degli impianti per tutta la durata della concessione. I padiglioni detentivi entrerebbero subito nella disponibilità dell’Amministrazione, mentre gli impianti rimarrebbero di proprietà del concessionario fino al termine della concessione. In cambio delle predette utilità, l’Amministrazione corrisponderebbe al concessionario un canone pari all’importo complessivamente pagato nell’anno precedente a quello della gara nei confronti delle imprese fornitrici di combustibile e di energia elettrica e delle imprese appaltatrici di interventi di manutenzione ordinaria, con uno sconto da spuntare in gara. Inoltre l’Amministrazione Penitenziaria concederebbe lo sfruttamento delle coperture e delle aree libere di tutte le strutture della circoscrizione oggetto della gara per l’installazione di impianti fotovoltaici, con il vantaggio, per il concessionario, di avere impianti sottoposti ad una costante sorveglianza. Oltre a questo il concessionario potrebbe immettere in rete l’energia elettrica prodotta in eccesso vendendola all’Enel Distribuzione e acquisire gli incentivi previsti per la produzione di energia da fonti rinnovabili”.
Nel “piano carceri” si dice che la finanza di progetto è in corso di sperimentazione presso alcuni istituti penitenziari ed è “teso all’affidamento in concessione del servizio energia, avente come contropartita – tra l’altro – la realizzazione di un padiglione detentivo in ampliamento di ciascuno degli istituti interessati” (8).
Di interventi finalizzati al risparmio energetico e alla realizzazione di impianti di cogenerazione finanziati tramite terzi, stando alla predetta relazione, ne sarebbero già stati realizzati più di una decina: “nel corso del 2008 sono stati realizzati gli impianti per la produzione combinata di calore ed energia elettrica, mediante combustibili tradizionali (metano o gasolio) ed alternativi (biomassa da olio vegetale), per la produzione di calore ed è stato avviato il servizio energia negli Istituti dell’Emilia Romagna (C.C. Bologna; C.C. ed O.P.G. Reggio Emilia) e del Piemonte e Valle D’Aosta (C.R. Alessandria “S. Michele”; C.C. Alessandria “Don Soria”; C.R. Saluzzo; C.C. Cuneo; C.C. Alba; C.C. Ivrea; C.C. Vercelli; C.R. Fossano). Riguardo gli Istituti della Toscana (C.C. Firenze Sollicciano; C.R. San Gimignano; C.C. Prato; C.C. Livorno) il servizio sarà esecutivo per la prossima stagione di esercizio 2009–2010”.


Verso un nuovo modello di gestione dell’emergenza
Sul personale da impiegare il “piano carceri” fa riferimento ad un “piano straordinario di assunzioni”, “rinviando ad una successiva e più dettagliata analisi l’individuazione delle risorse umane necessarie”. Si aggiunge però che “per fronteggiare il tasso fisiologico di carcerazione nel paese” occorre “razionalizzare l’utilizzo del personale, implementando il ricorso alla tecnologia anche informatica e agendo sui cd. circuiti detentivi, in definitiva adeguando le strutture alle esigenze da fronteggiare”. Una precisazione successiva lascia trasparire un possibile futuro impiego di personale “misto”, statale-privato: “la tipologia edilizia dei nuovi penitenziari destinati a case di reclusione dovrà tener conto della possibilità di adottare un modello di detenzione ispirato al trattamento di lungo periodo con impiego strategico di personale di polizia penitenziaria: in tal modo la nuova edilizia verrebbe a porsi come presupposto di un nuovo modello di custodia per i soggetti di minore pericolosità”.
L’incertezza sui termini in cui dovrà avvenire “il rinnovamento del sistema penitenziario” alimentano le tensioni dell’intero comparto. In tutta Italia stanno infatti prendendo corpo numerose mobilitazioni da parte della polizia penitenziaria preoccupata soprattutto del silenzio del governo in merito agli aumenti degli organici necessari a far fronte all’inesorabile aumento della popolazione detenuta e al potenziamento del complesso carcerario (9). Una simile dinamica si sta verificando anche in altri paesi europei, ad esempio in Francia dove ai primi di maggio, nel carcere di Fleury-Merogis, considerato tra i più grandi di Europa, ci sono stati violenti scontri fra la polizia di stato e la polizia penitenziaria giunta a bloccare l’uscita dei detenuti per i processi. Si tratta di mobilitazioni che pur crescendo su una solida base corporativa andranno per forza di cose ad aggravare ulteriormente le già misere condizioni di vita dei reclusi, alimentandone le ragioni di rivolta. Anche nell’estate del 2000, anno del Giubileo, erano affiorate simili tensioni ma l’apparato politico e militare penitenziario ne uscì allora ulteriormente rafforzato: gli svariati benefici che la Polizia Penitenziaria ottenne per il “difficile compito che svolge”, sancirono tale corpo quale unico soggetto a cui delegare la gestione del carcere (10).
L’incontro del 16 giugno sembra non aver convinto i sindacati di categoria nonostante in tale occasione il ministro Alfano abbia promesso l’abolizione delle convalide degli arresti al di fuori del carcere, la revisione dei corsi presso le Scuole, la revisione dei procedimenti disciplinari, il recupero del personale addetto a servizi di sorveglianza impropri (quali quelli presso i Tribunali, alle sentinelle e agli spacci, circa 1.200 unità) e la revisione degli organici per quanto riguarda i servizi presso i Prap, le Scuole e il DAP.
Sul fronte opposto, in svariate carceri del paese si hanno notizie di diverse iniziative di protesta da parte dei detenuti che vanno dallo sciopero della fame a quello della spesa, dalle battiture all’incendio dei materassi. Forme di lotta individuali e collettive delle quali è difficile avere un quadro ricco e soprattutto diretto nonostante la corrispondenza, seppur modesta, sviluppatasi in questi ultimi anni fra il dentro e il fuori. Indubbiamente sono segnali di crescita della tensione sociale, dovuta certamente all’inasprimento generale delle condizioni di vita proletaria che nelle carceri si palesa in tutta la sua più assassina evidenza: il sovraffollamento e la riduzione dei costi per vitto, sanità e igiene, già ridotti all’osso dalle gare di appalto al ribasso (11), rendono la situazione sempre più insostenibile. Inoltre poiché la nuova edilizia penitenziaria, per ovvie ragioni di risparmio, anche di personale, predilige la realizzazione di padiglioni detentivi all’interno di strutture preesistenti anziché la costruzione di nuove carceri, saranno sacrificati i già miseri spazi di socialità.
E’ abbastanza palese che quanto previsto dal piano di edilizia penitenziaria non potrà che giungere in ritardo rispetto alle necessità immediate poste dall’elevato grado di “sovraffollamento” carcerario. Oltre all’auspicio di un maggior ricorso alla detenzione presso le camere di sicurezza per gli imputati scarcerati per mancata convalida dell’arresto, si fa strada anche l’ipotesi dell’espulsione di parte dei detenuti “extracomunitari”. Una misura, quest’ultima, che con i tempi che corrono e in un momento di forti tensioni sociali, troverebbe quasi certamente un consenso anche in settori proletari.
La recente approvazione da parte del governo italiano di un emendamento presentato alla Legge Comunitaria 2008 (12), all’esame della Commissione per le Politiche Comunitarie del Senato, sembra confermare questa volontà.
Secondo la pre-vigente normativa, per ottenere che il cittadino straniero sconti la pena inflittagli da uno Stato dell’UE nel proprio Stato di origine, in  relazione a reati commessi sul territorio di un altro Stato, é necessario il consenso da parte del condannato, il che, salvo rare eccezioni, ha praticamente reso inapplicabile la norma stessa. Così, con il predetto emendamento, sulla base del principio di reciprocità del riconoscimento delle sentenze penali con pene della durata massima non inferiore a tre anni, viene stabilito il rimpatrio del condannato per l’espiazione della condanna in istituti penitenziari dello Stato di origine. Occorre sottolineare che i tempi previsti per il recepimento della normativa europea e per la sua conseguente applicazione erano fissati entro il 2011.
Nella stessa direzione va anche l’articolo 13 del ddl 1441, approvato a fine aprile di quest’anno, che semplifica le procedure per gli interventi di cooperazione a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione nei Paesi indicati dal decreto-legge 31/01/2008 e che, nell’individuazione delle aree di intervento della cooperazione, da priorità ai paesi che hanno sottoscritto accordi di rimpatrio o di collaborazione nella gestione dei flussi dell’immigrazione clandestina ovvero diretti ad agevolare l’esecuzione delle pene detentive dei condannati in Italia in istituti nei luoghi di origine.
Certo, in materia di rimpatri l’ostacolo maggiore è sempre stato la volontà dei paesi di origine di riconoscere e riprendersi i propri cittadini, le cui rimesse in euro rappresentano una quota significativa del proprio PIL nazionale. Per questo motivo nel corso degli anni, attraverso la stipula di accordi bilaterali fra singoli paesi dell’UE e paesi di origine dell’emigrazione, i primi hanno potuto realizzare quote concordate di espulsioni garantendo ai secondi opportune contropartite. L’obiettivo più ambito resta quello di procedere verso una progressiva esternalizzazione del controllo delle frontiere e della detenzione amministrativa.
Su questo solco si colloca l’accordo bilaterale fra Italia e Libia, ratificato dall’Italia all’inizio dell’anno. L’accordo prevede commesse milionarie per lo sfruttamento delle materie prime a fini energetici, gas e petrolio, per cui l’Italia si è impegnata a versare 5 miliardi di euro nell’arco di vent’anni. Su questa base materiale si innestano le politiche di controllo e di gestione dei flussi migratori sul territorio libico, le cui rotte, nel corso degli anni, lì si sono concentrate. I recenti “respingimenti” in Libia di circa 500 emigranti africani pescati in acque internazionali e diretti sulle nostre coste, probabilmente in maggioranza possibili rifugiati politici, potrebbero rappresentare una prima conferma della solidità di tali accordi o, viceversa, essere soltanto l’espressione dell’ennesima manovra elettorale a fini propagandistici. In ogni caso è sufficiente constatare come il numero di immigrati sbarcati sulle coste italiane rappresenti solo una minima parte dei “clandestini” presenti nel paese per comprendere le reali esigenze dello stato in materia di espulsioni.
Per gestire la difficile situazione che si delinea all’orizzonte carcerario, al di là delle “soluzioni” immediate, si auspica una più netta divisione funzionale fra i diversi istituti penitenziari. Da un lato strutture modulari prefabbricate, destinate a forme di “custodia attenuata”, in grado di favorire lo sviluppo di attività di remunerazione del capitale investito mentre, al lato opposto, “nonostante l’emergenza, è stata promossa e sviluppata una organizzazione interna, facente leva sul sistema dei circuiti penitenziari, che […] possa consentire un’offerta trattamentale rispondente alle condizioni personali di ciascuno dei ristretti” ovvero il modello “classico” di reclusione, caratterizzato da un elevato grado di isolamento, privazione e controllo, graduati secondo criteri sempre più discrezionali.

 

Le modifiche al 41-bis e il nuovo circuito di Alta Sicurezza
Da tempo, infatti, ai gradini più alti della “piramide penale” é stata posta la collaborazione quale unico criterio per accedere ai livelli detentivi sottostanti poiché “il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione [mafiosa o terroristica] o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa” (13). Questo ribaltamento dell’onere della prova è stato ulteriormente rafforzato dall’art. 4-bis dell’o.p. per cui è comunque il prigioniero a dover dimostrare il venir meno di tali collegamenti anche laddove sia “impossibile un’utile collaborazione con la giustizia” o “la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante” (14).
Oltre a graduare le condizioni di accesso ai benefici penitenziari, sulla base di alcune tipologie di reati, l’art. 4-bis costituisce il criterio di differenziazione all’interno delle forme di carcerazione speciale. Lo conferma la circolare n. 3619/6069 del 21 aprile 2009 con la quale il DAP abolisce il circuito ad Elevato Indice di Vigilanza (EIV) ed introduce un nuovo circuito di Alta Sicurezza (AS) suddiviso in tre sottocircuiti: AS1, AS2, AS3: “l’individuazione dei soggetti da assegnare a tale circuito è stata innanzitutto operata facendo riferimento al titolo detentivo, avvalendosi della selezione che il Legislatore ha effettuato nel primo periodo del primo comma dell’art. 4-bis dell’o.p.”.
Il nuovo assetto dovrebbe assicurare “una nuova regola organizzativa che, adeguando la disciplina alla prassi già adottata, preveda una differente ripartizione logistica dei detenuti – attualmente in EIV, ma appartenenti a categorie differenti – la cui compresenza nelle medesime sezioni non è allo stato interdetta dalle vigenti circolari” e consentire di “superare il predetto circuito e la sua denominazione foriera di fraintendimenti, evitando che possa far pensare, sia pure solo in via teorica ad osservatori esterni, ad una diversificazione ovvero ad una modifica delle regole trattamentali”. Infatti, sempre secondo il DAP, l’EIV “viene percepito come maggiormente afflittivo, specie presso gli organismi giudiziari europei che, investiti dai ricorsi di detenuti ex 41-bis, hanno avuto già modo di accoglierne le doglianze dichiarando la violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione”.
Nonostante l’utile cambiamento del nome, la circolare persegue lo stesso obiettivo che aveva guidato la nascita (1993) e la stabilizzazione (1998) del circuito ad EIV, approfondendo la differenziazione dei prigionieri per categorie omogenee: “in definitiva […] il criterio di assegnazione in AS risponde alla necessità di separare i detenuti appartenenti alla realtà della criminalità mafiosa e del terrorismo da tutti gli altri detenuti”.
“La selezione dei detenuti e degli internati da destinare al circuito in esame può dunque avvenire sia sulla base del titolo detentivo, come è previsto dalla lettera A) e B) della circolare 9.1.2007; sia sulla base di altri elementi valutativi, come avviene per le lettere C) e D), che appunto consentono l’inserimento nel circuito dell’AS di detenuti per fatti non formalmente compresi nell’art. 4-bis, ma nei cui confronti emergano ulteriori elementi che consentano all’Amministrazione di ritenerli organicamente appartenenti ad associazioni di stampo mafioso o terroristiche”.
I punti A) e B) della citata circolare riguardano, rispettivamente, gli imputati o condannati per i delitti previsti dal primo comma dell’art. 4-bis dell’o.p., fatta eccezione per i “delitti commessi per finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico […] per i quali permane la classificazione come EIV”, e i soggetti cui sia stata contestata l’aggravante di cui all’art. 7 legge n.203/91 ovvero “l’essersi avvalsi delle condizioni previste nell’art. 416-bis c.p. ovvero dall’avere agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose in esso indicate”.
Nei casi C) e D) si tratta, rispettivamente, di “soggetti detenuti per altri fatti, cui sia stato contestato a piede libero uno o più reati previsti dall’art. 4-bis, ovvero nei cui confronti sia venuta meno l’ordinanza di custodia cautelare; soggetti imputati dei delitti previsti dal citato articolo ma per tali reati scarcerati solo formalmente per decorrenza dei termini i custodia cautelare” e soggetti imputati o condannati per fatti non previsti dai punti A) e B) ma che per l’emergere di altri elementi a suo carico possano essere ritenuti appartenenti alla criminalità mafiosa. “Nei casi C) e D) […] l’inserimento nel circuito di alta sicurezza dovrà essere attentamente ponderato sulla base di ogni notizia utile che indichi la partecipazione del soggetto alle attività dell’associazione criminale. Tali elementi qualora non acclarabili attraverso la lettura delle carte processuali dovranno essere acquisiti a cura delle direzioni, per il tramite degli organi investigativi, e poi trasmessi a questa direzione generale per la successiva valutazione. Trattandosi come detto di ipotesi in cui la classificazione è rimessa ad un apprezzamento discrezionale si dispone […] che il relativo provvedimento venga emesso da questa articolazione centrale”.
Il primo “sottocircuito” è quindi destinato “ai detenuti ed internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis dell’o.p. comma 1 dell’art. 4 bis o.p., e comunque per essere stati considerati elementi di spicco e rilevanti punti di riferimento delle organizzazioni criminali di provenienza”. Nel secondo “saranno inseriti automaticamente i soggetti imputati o condannati per delitti con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza” e “i soggetti detenuti per altri fatti, cui sia stato contestato a piede libero uno o più dei delitti citati (15), ovvero nei cui confronti sia venuta meno l’ordinanza di custodia cautelare, infine, imputati di tali delitti ma scarcerati solo formalmente per decorrenza dei termini di custodia cautelare” e infine “per i soggetti imputati o condannati per fatti non ricompresi fra i citati articoli ma per i quali gli organi investigativi evidenziano elementi tali da farli ritenere organici a gruppi organizzati eversivi”.
A conti fatti sembra di capire che in pratica è stato inserito un nuovo circuito di AS, quello destinato ai detenuti fuoriusciti dal regime detentivo applicato con il 41-bis, che prima erano invece inseriti nel circuito ad EIV insieme ai “prigionieri politici” che adesso dovrebbero essere collocati in AS2. Per quanto riguarda l’AS3 si tratta del circuito preesistente di Alta Sicurezza.
Come emerge anche dalle citate prescrizioni, la recente legislazione in materia penale e penitenziaria punta altresì ad aumentare il potere discrezionale nel disporre la mobilità interna fra differenti circuiti e regimi detentivi assumendo quale criterio di classificazione oltre al titolo di reato contestato anche lo specifico profilo individuale. L’articolo 39 dall’ultimo “pacchetto sicurezza” chiarisce infatti che il regime carcerario speciale applicato con l’art. 41-bis “può riguardare – oltre coloro che sono detenuti internati per taluno dei delitti di cui all’art. 4-bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario – tutti coloro che sono detenuti o internati comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso” e che “in caso di unificazione di pene concorrenti o di concorrenza di più titoli di custodia cautelare, il regime carcerario speciale può essere disposto anche quando sia stata espiata la parte di pena o di misura cautelare relativa ai delitti indicati nel suddetto art. 4-bis”. E’ anche previsto che “i detenuti sottoposti al regime carcerario speciale debbano essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria”. Raccogliendo prontamente questa indicazione, il “piano carceri” dispone che all’interno delle nuove carceri di Cagliari (frazione Uta, 550 posti) e Sassari (frazione Bancali, 430 posti) siano realizzati “due padiglioni per complessivi 180 posti per detenuti in 41-bis”.
Al maggiore potere discrezionale si accompagna la necessità di concentrare il potere decisionale in organismi che garantiscano l’espressione diretta della volontà del governo. Non pochi sono i segnali in tal senso. Dall’utilizzo di figure dotate di poteri speciali – commissari straordinari non solo in ambito penitenziario – al conferimento della prerogativa di decidere della classificazione e declassificazione dal circuito di AS alla sola direzione generale del DAP. Infine, nelle modifiche introdotte dal dll 733, la facoltà di disporre il regime detentivo di cui all’art. 41-bis viene allargata anche al Ministero dell’Interno trasferendo la competenza a decidere dei reclami avverso il provvedimento al solo tribunale di sorveglianza di Roma.
 

Note:

1) Se non diversamente specificato, le citazioni si riferiscono a tale documento.
2) La capienza regolamentare dell’intero sistema penitenziario è stabilita in 43.177 detenuti, a cui vanno sottratti 3.500 posti in celle inagibili; quella definita “tollerabile” è di 63.623 presenze. La situazione delle carceri al 16 giugno 2009 era di 63.460 detenuti, di cui 39.930 italiani e 23.530 stranieri.
3) Con i soldi della Cassa delle Ammende verranno realizzati 2.600 nuovi posti per un costo di 130 milioni di euro mentre con quelli del Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS) saranno coperti ulteriori 1.201 nuovi posti per un costo di 209 milioni di euro.
4) Da ItaliaOggi, pubblicato sul sito www.oua.it dell’Organismo Unitario dell’Avvocature Italiana. Sebbene in taluni casi l’utilizzo di ampie citazioni finisca con l’appesantire il ragionamento, risponde alla necessità di sottoporre all’attenzione di altri compagni, specialmente se privati della propria autonomia di accesso alle informazioni, ulteriori spunti che sicuramente a noi stessi sfuggono.
5) Gli istituti penitenziari denunciano da alcuni anni un’esposizione debitoria verso i fornitori di beni e servizi che a fine esercizio 2007 ammontava a circa 110 milioni di euro e che tenderebbe ad un incremento annuo di circa 50/70 milioni di euro a fronte di un budget complessivo annuale di circa 185 milioni per servizi, provviste e pulizie.
6) Dal “piano carceri” risulta che su più di 10 mila nuovi posti già finanziati o dei quali sono stati individuati i finanziamenti, soltanto 1.000 lo sono con capitali privati (o presunti tali), attraverso la finanza di progetto e la permuta di immobili.
7) Nella relazione annuale del Ministero di Giustizia del 2009 si specifica inoltre, a proposito di appalti, che “lo strumento contrattuale cui s’intendeva far ricorso era quello del dialogo competitivo, introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con il Codice dei Contratti Pubblici (art. 58 D.Lgs. 163/2006) recependo specifiche direttive comunitarie. Tale procedura è però inapplicabile fino all’entrata in vigore del regolamento di esecuzione del citato Codice. Si intende procedere, pertanto, mediante l’istituto del project financing (soluzione cui si è giunti mediante il supporto dell’Unità Tecnica di Progetto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri)”.
8) Dal “piano carceri” risultano la CC di Monza (200 posti), la CC di Viterbo (200 posti) e anche la CR di Lanusei (100 posti) con scadenza fissata nel 2012. Progetti di permuta invece riguarderebbero 2 carceri, rispettivamente, ad Alessandria Don Soria (200 posti) e presso la CC di Civitavecchia (200 posti).
9) La carenza di organici nella PP secondo le stime delle organizzazioni sindacali di categoria si attesterebbe intorno alle 8 mila unità.
DPR 21 aprile 2009 autorizza l’assunzione nell’anno 2009 di un contingente di personale a tempo indeterminato pari a complessive 2.875 unità; la spesa complessiva non superiore a 99.969.341,73 euro implementa gli organici di: Vigili del Fuoco - 297 unità; Guardia di Finanza - 383 unità; Carabinieri - 900 unità; Polizia di Stato - 906 unità; Polizia penitenziaria - 299 unità; Corpo forestale - 90 unità.
10) Maggiore autonomia e potere ottenuti anche passando per il pestaggio nel carcere di San Sebastiano (SS), premessa alle successive manifestazioni sindacali solidali con i “colleghi” colpiti da ordine di custodia cautelare. Gli scioperi e le agitazioni della PP fecero temere che la situazione nelle carceri precipitasse per poi presentarsi come gli unici in grado di affrontarla sul piano dell’ordine pubblico.
Le guardie ottennero subito 2.300 agenti in più; uno stanziamento di fondi nella legge finanziaria per la costruzione di nuovi carceri; 300 miliardi di lire per l’ammodernamento del parco mezzi; l’apertura di 4 nuovi istituti già finiti; l’assunzione di 743 impiegati per gli uffici; l’utilizzo di 2.000 ausiliari dell’esercito; l’impiego degli obiettori di coscienza per svolgere compiti di ufficio; l’immediata istituzione del ruolo dirigente e direttivo della PP: 200 ispettori diventeranno commissari, 500 nuove assunzioni di dirigenti tramite concorso; la promozione per i provveditori che diventeranno tutti dirigenti generali ed infine il decreto legge sul condono delle sanzioni disciplinari a carico della PP. Il Ministro di Grazia e Giustizia uscente, Oliviero Diliberto (Comunisti Italiani), ebbe ad aggiungere: “...ma soprattutto abbiamo ottenuto qualcosa che non ha prezzo; è la dignità ritrovata e l’orgoglio di appartenenza al Corpo, che va di pari passo con il rispetto che oggi più di ieri vi portano le altre forze di polizia. Non siete più un corpo di serie B”. Il GIP di Sassari revocherà in seguito le misure cautelari nei confronti degli 82 inquisiti per il pestaggio.
11) L’appalto per il vitto ai detenuti e agli internati viene aggiudicato sulla base di una retta giornaliera inferiore ai 4 euro per i tre pasti.
12) Si tratta dell’emendamento contrassegnato con il n. 1.8 dell’allegato B della direttiva comunitaria Z.2008/115/Ce meglio conosciuta come la “direttiva rimpatri” che, tra l’altro, auspica che il tempo massimo di detenzione amministrativa nei Centri di Identificazione ed Espulsione di tutta Europa sia portata alla media di 18 mesi, un anno e mezzo, e la possibilità di espulsione nei paesi definiti “di transito”.
13) Dalle modifiche all’articolo 41-bis contenute nel ddl 733 che attende l’approvazione definitiva al Senato, prevista per questa estate. Sebbene epurato all’esame alla Camera del 14 maggio di alcuni provvedimenti (medici ed insegnanti-spia), il “pacchetto sicurezza” ha mantenuto intatto il suo impianto originario. Oltre ad aver reintrodotto le due norme bocciate nel corso della conversione in legge del cosiddetto “decreto antistupri”, l’istituizione delle ronde e il prolungamento del tempo massimo di detenzione amministrativa nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE, ex CPT), portandolo a 6 mesi, esso interviene su tutte le materie più importanti come l’immigrazione, il carcere, l’ordine pubblico introducendo nuove fattispecie di reati ed aumentando il ricorso e la durata delle pene detentive. Su tale provvedimento ci riserviamo di tornare una volta diventato legge.
14) Approvato definitivamente a fine aprile di quest’anno, il decreto legge 2232 del 23/2/2009, meglio conosciuto come “decreto antistupri”, prevede oltre l’ampliamento del novero dei reati inseriti al comma 1 dell’art. 4-bis dell’o.p. anche di quelli per cui è obbligatoria la misura della custodia cautelare in carcere, tra questi ultimi i delitti compiuti con finalità di terrorismo.
15) Artt. 270, 270-bis, 270-ter, 270-quater, 270-quinquies, 280, 280-bis, 289-bis, 306 c.p.



http://www.senzacensura.org/

http://www.autprol.org/