Impregilo
I crimini del capitalismo italiano nel mondo
Dalla Colombia al Guatemala, dalla Nigeria al Kurdistan i monumenti allo spreco ed alla corruzione creati dal colosso delle costruzioni del gruppo Fiat.
Antonio Mazzeo Medellin, giugno 2001
L’Impregilo apre la strada verso il nuovo Eldorado della Colombia
Da quasi quattro anni il colosso nazionale delle costruzioni è impegnato in Colombia nella realizzazione di una infrastruttura viaria i cui effetti sul territorio, sull’ambiente e sulle popolazioni si fanno giorno dopo giorno sempre più devastanti.
‘Connessione viaria Valle d’Aburrá – Río Cauca’ è il nome della megaopera; l’asse centrale è rappresentato da un tunnel di 4,6 km (il ‘Túnel de Occidente’), scavato sotto l’Alto de Boquerón, una montagna che divide la città di Medellín dai municipi di San Jeronimo e Santa Fé de Antioquia: una delle regioni più violente dell’America Latina, dove il cinquantennale conflitto politico tra gli attori armati si somma alla violenza urbana e alle lotte per la supremazia del territorio del narcotraffico.
Un contratto per oltre 140 miliardi di pesos sottoscritto con il consorzio italo-colombiano Impregilo-Topco (oggi Minciviles S.A.), fermamente voluto dalle classi dirigenti locali e che esula dalla pianificazione di una qualsiasi politica dei trasporti della regione e di uno sviluppo sostenibile del territorio. Complessivamente un progetto viario lungo 37,8 km che riduce la distanza tra Medellín e Santa Fé dai 74 km attuali a 52 km., in una zona ricchissima di fonti idriche, tra cui la conca che alimenta i torrenti e gli affluenti dei fiumi Medellín e Cauca. Un’opera che divora risorse finanziarie e ambientali ed accresce l’indebitamento estero, senza offrire risposte concrete in termini di occupazione e riordino urbanistico in un’area metropolitana con il più alto tasso di disoccupazione e lavoro informale della Colombia.
Una rete viaria moderna che riduca i tempi di percorrenza verso l’Oceano Atlantico è senza dubbio il presupposto per integrare alcune delle zone più emarginate dell’emisfero. Ciò che è in discussione è se il progetto in via di realizzazione da parte dell’Impregilo risponda realmente a questa finalità e se esiste un rapporto positivo costi-benefici. Ci si domanda se non potevano essere implementate alternative dal minore impatto socioambientale e soprattutto meno dispendiose. Queste alternative esistevano ma non sono state valutate. Gli interessi in gioco in Antioquia, di tipo economico, politico, strategico, militare sono predominanti ed escludenti.
Frane di colline, crolli di abitazioni, disboscamento e mutazioni dei regimi delle acque. Sfruttamento intensivo della manodopera, violazioni delle norme contrattuali e drastici tagli ai salari. Espulsioni e riubicazioni forzate della popolazione. Marginalizzazione delle periferie. Monopolio della forza dei gruppi paramilitari di estrema destra. Sono queste alcune delle conseguenze dirette ed indirette dell’infrastruttura viaria che una delle roccaforti del capitalismo ‘made in Italy’ sta realizzando in Colombia. Un investimento finalizzato alla penetrazione in un mercato che promette altre commesse più redditizie, altre infrastrutture ancora più devastanti e dal violento impatto sociale.
Il ‘Tunnel d’Occidente’ è questo: lo strumento d’intervento di un capitalismo selvaggio, senza scrupoli, dilapidatore delle risorse umane e ambientali; la porta verso il nuovo Eldorado del XXI secolo, la regione nordoccidentale di Antioquia sino al Canale di Panama e le coste dei due Oceani che si sfiorano nell’Urabá. Un patrimonio di biodiversità, di risorse idriche, forestali e minerarie su cui è stato avviato l’ennesimo saccheggio post-coloniale. Impregilo ne traccia il sentiero e si lancia nella competizione internazionale per presenziare e gestirne le tappe successive.
I lavori per il tunnel, storia di una tragedia annunciata
Per comprendere gli effetti disatrosi sull’ambiente e il territorio dei primi lavori di sbancamento e realizzazione dell’infrastruttura viaria è sufficiente un sopralluogo alla ‘Vereda Mestizal’, municipio di San Jeronimo, un abitato che sorge a monte dell’ingresso occidentale del tunnel ‘Impregilo’. Qui il paesaggio appare irrimediabilmente devastato; le sempre più frequenti frane al pendio della montagna hanno tirato a valle alcune abitazioni, un asilo nido e le coltivazioni di ortaggi e frutta che i coloni avevano realizzato per il loro sostentamento. Gli smottamenti hanno cancellato buona parte della vecchia strada coloniale che congiungeva Mestizal a San Jeronimo, isolando la frazione e costringendo gli abitanti ad un lungo e tortuoso giro per le montagne prima di giungere nel municipio. La linea di frattura del terreno si sta progressivamente spostando verso la cima della montagna; in alcuni punti il dislivello ha superato il metro, le crepe si sono trasformate in voragini e nulla sembra sfuggire alla forza attrattiva verso il precipizio, profondo un centinaio di metri.
Le abitazioni che non sono state devastate dai crolli appaiono ferite, mutilate: innumerevoli fratture le hanno sezionate longitudinalmente e trasversalmente, i pavimenti e i soffitti si sono aperti. Le famiglie che le hanno abitate sino a qualche mese fa si sono trasferite a San Jeronimo, chiedendo ospitalità a parenti o amici o prendendo in affitto una stanza che presto dovranno lasciare perché i soldi sono finiti. Chi ha potuto, ha recuperato gli assi di legno che rivestivano i tetti per allestire una baracca provvisoria. Di fronte agli scheletri degli edifici perduti, uomini e donne vegliano ciò che resta dei sacrifici di tutta una vita, il luogo dove si è nati e dove sono nati i propri figli, con l’ingenua speranza che un miracolo possa arrestare i tremori e l’erosione della terra.
L’intensità dei danni decresce via via che si risale verso l’alto. Tuttavia non c’è caseggiato della ‘vereda’ che non mostri le gravi modificazioni strutturali: crepe ai muri e al soffitto, smottamenti degli orti, lesioni e avvallamenti di superfici e pavimenti. I segni indelebili di una tragedia annunciata: in pochi mesi, le nuove piogge si trascineranno altra terra a valle e anche queste case dovranno essere abbandonate.
Critica appare la situazione nelle abitazioni che ospitano gli ‘hogar’ delle madri comunitarie, gli asili nido dei poveri. Uno di essi, ‘Las Brisas’, è già crollato: i 15 bambini che vi erano ospitati sono stati trasferiti più su in una baracca di legno, sormontata da un telone di plastica che a fatica protegge dalle piogge. La struttura era già stata considerata inidonea ad ospitare una stalla. Lì, in pochi metri quadrati, continuano a vivere, mangiare, giocare più di una trentina di bambini, perché intanto si è dovuto provvedere a risistemare un altro ‘hogar’ a rischio di crollo. Un po’ meglio vivono i bambini di un terzo asilo, ‘Los gemelos’. Per lo meno si è di fronte ad una costruzione di mattoni. Tuttavia, quelle che gli abitanti ormai chiamano ‘le lunghe vibrazioni della terra’ ne hanno scosso le fondamenta e le prime crepe hanno lacerato gli intonaci. Nell’unico bagno esistente, le tubature sono state distrutte dalla pressione esercitata dal terreno.
Quando meno di sei mesi fa gli abitanti di Mestizal iniziarono ad avvertire i primi cigolii del tetto, si credette che erano gli effetti degli assestamenti alle vibrazioni causate dal transito degli automezzi delle imprese costruttrici del tunnel. Poi, ai rumori sono seguite le crepe, alle crepe gli smottamenti e infine la devastante frana che ha divorato metà della montagna e i cui detriti investono le acque del Rìo Sucio, quasi un chilometro a valle. I blocchi di pietra precipitati stanno modificando pericolosamente il flusso delle acque di questo affluente di uno dei maggiori fiumi della Colombia, il Cauca, che scorre seguendo i rilievi delle Cordigliere.
Oggi nessuno crede più alla storia delle vibrazioni causate dagli automezzi pesanti. La collina frana perché ne sono stati rotti gli equilibri geologici con i lavori di sbancamento del tunnel dell’Alto de Boquerón, per cui sono state fatte esplodere 450 tonnellate di dinamite, e di realizzazione della strada di collegamento, una decina di chilometri di tornanti e ponti che tagliano colline e torrenti, cancellando aree boschive, campi coltivati e corsi d’acqua. Invece di eseguire dei ‘tagli trasversali’ al pendio della montagna, si è preferito aggredirla con tagli diretti, accelerando il dissesto del territorio.
Ancora più insensata la scelta delle imprese costruttrici di insediare in cima alla collina di Mestizal, su una superficie di un paio di ettari, uno dei terrapieni che raccoglie parte del materiale di scavo. L’impatto di questo immenso deposito a cielo aperto aveva già avuto un alto costo sociale: per spianare la superficie le autorità avevano costretto 15 famiglie ad abbandonare il sito, alcune in cambio di un indennizzo simbolico, altre senza un pur minimo rimborso. Così, oggi, gli abitati della ‘vereda’ subiscono una doppia pressione: dal basso lo smottamento, dall’alto il peso del terrapieno. Una scelta geologico-ingegneristica che a medio termine romperà i già fragili equilibri del territorio, decretando la scomparsa di un’area dove hanno vissuto e lavorato per un secolo più di un centinaio di famiglie.
Un’opera dal devastante impatto ambientale
“Nella frazione Mestizal e sui pendii adiacenti al progetto di Connessione stradale Valle di Aburrá - Río Cauca si presentano attualmente processi accelerati di instabilità che hanno causato considerevoli e gravi danni alle coltivazioni, alle abitazioni e alla popolazione contadina insediata in questa area” ([1]). Così si apre il rapporto-perizia del geologo Oswaldo Ordoñez Carmona e di due giovani ingegneri dell’Universidad Nacional de Medellín, chiamati a valutare i danni al patrimonio edilizio causati dai lavori per il tunnel sul versante occidentale (San Jeronimo). Lo studio, presentato nel dicembre 2000, analizza i principali fenomeni erosivi del territorio e rappresenta una prova scientifica, inconfutabile, delle gravi responsabilità ambientali delle imprese che stanno realizzando l’infrastruttura. “Si evidenziano fratture per ‘scivolamento’ nelle abitazioni di spessore variabile tra gli 1,5 mm e i 32,5 mm e la dimensione di esse cresce con la vicinanza alla Connessione viaria, indicando l’esistenza di un’associazione spaziale, di questo processo, con le faglie nel materiale saprolitico dei pendii. Esistono inoltre fratture ai pavimenti con spessori di 110 mm con dislivelli di 26 cm e profondità della frattura di 80 cm. (…). Molte delle abitazioni della zona hanno perso di continuità strutturale, il che le rende vulnerabili di fronte alle esigenze dinamiche che possono eventualmente presentarsi, come sismi, alte e continue vibrazioni (al passaggio di macchinari pesanti), ecc.” ([2]).
Lo studio geologico imputa l’origine delle lesioni alle abitazioni al taglio eseguito nella parte terrosa della collina e agli effetti negativi degli scavi. Ciò ha prodotto il fenomeno franoso, attraverso un ‘effetto domino’ che si trasmette verso la parte superiore del pendio. “Questo effetto – spiega il geologo dell’Universidad Nacional - si osserva nella campagna con la presenza di fratture e collassi del terreno, che hanno danneggiato strutturalmente le abitazioni localizzate in cima al pendio, e che in alcuni casi stanno causando la distruzione totale del patrimonio della popolazione circostante”. Lo studio imputa alcuni dei danni alle proprietà anche alla ‘spinta orizzontale’ esercitata dal sovraccarico derivante dal passaggio di macchinari pesanti per la via adacente alla ‘vereda’. “Nelle abitazioni dove è evidente lo stato attuale di scivolamento - avverte la perizia - è necessario prendere misure preventive e di stabilizzazione immediata per evitare una catastrofe, ancora maggiore di quella attuale”.
Lo studio del professor Ordoñez Carmona passa poi ad analizzare i gravi danni al territorio ed ai sistemi strutturali delle abitazioni di altre due zone del municipio di San Jeronimo, soggette ai lavori di costruzione della via ‘Valle di Aburrá - Río Cauca’. “Nelle frazioni di Piedra Negra e degli Llanos di San Juan si sono potuti distinguere alcuni problemi basici: scivolamenti, assestamenti e faglie per incapacità di supporto del suolo. In alcune abitazioni sono evidenti fratture ed inclinazioni sui muri e sul pavimento che variano dagli 1,5 mm ai 45 mm. Esistono altresì pareti che hanno perso la continuità strutturale”. “Questo movimento in massa – spiega la perizia - è causato dai tagli realizzati al terreno originale con il fine di ampliare la zona pianeggiante, insieme al cattivo controllo delle acque piovane per l’intervento esterno” ([3]).
Anche in questo caso ai danni prodotti dalle operazioni di scavo ed asporto terra, si sommano quelli prodotti dal transito dei macchinari pesanti, “macchinari che sono stati disegnati per ambienti distanti da insediamenti umani, da abitazioni e produzioni agricole, per il loro eccessivo rumore e per le cariche dinamiche che generano”.
A Piedra Negra e negli Llanos di San Juan alcune abitazioni sono state danneggiate altresì dal cambio del regime delle acque del suolo e dall’aumento delle infiltrazioni dell’acqua piovana. “Questo fenomeno si sta generando per la costruzione di un terrapieno nella via, che ha modificato la dinamica e i livelli piezometrici dei drenaggi superficiali e sotterranei. Da notare che questi danni al regime delle acque si verificano in presenza di un importante affluente del río Cauca, la ‘Quebrada San Juana’”.
La scelta di realizzare molti dei terrapieni a ridosso di abitazioni e casolari ha modificato le capacità di sopportazione del suolo, causando la perdita di continuità pavimento-muri, l’insorgenza di fratture e dislivelli nelle infrastrutture edili, il danneggiamento delle fondamenta. “Le faglie per incapacità di carico sono particolarmente catastrofiche” avvertono gli esperti, che sottolineano come l’intero caseggiato di Piedra Negra sia ad alto rischio proprio per i danni causati da un nuovo terrapieno ivi installato.
Le discariche degli inerti e dei materiali di risulta provenienti dalle aree di scavo sono in realtà una delle cause principali dei disastri al territorio causati dai lavori del consorzio Impregilo-Minciviles.
Al gennaio 2001, nella zona occidentale della rete viaria era stato scavato un volume di materiale pari a 4.267.000 m3 tra terra e roccia. In conseguenza sono sorti in tutto il municipio di San Jeronimo decine di terrapieni e di discariche, senza una pianificazione e uno studio ambientale, e la cui realizzazione ha risposto solo a criteri di economicità e comodità delle imprese subappaltatrici di movimentazione e rimozione. Le discariche sono sorte sbancando colline, espropriando terreni agricoli e caseggiati, disboscando aree verdi e ostruendo parzialmente o totalmente il flusso delle acque di torrenti e sorgenti. Vere e proprie bombe ecologiche i cui effetti si moltiplicheranno nel tempo e a cui si aggiungeranno gli impatti delle nuove discariche in via di realizzazione per ospitare i 420.000 m3 di terra e roccia che devono essere ancora asportate dal tunnel e gli altri 2.100.000 m3 di terra che deve essere movimentata per il completamento della rete stradale nel territorio di San Jeronimo. Ancora più drammatico appare lo scenario nella zona ad est del tunnel, nel municipio di Medellìn, dove secondo Invias, è stato rimosso appena il 16% di terra e detriti, contro una quantità programmata di 1.587.500 m3 ([4]).
Verso una lotta a difesa dei diritti della popolazione colpita
L’estrema povertà e la marginalità socio-culturale delle famiglie che abitano le frazioni di Mestizal, Piedra Negra e degli Llanos di San Juan, l’assenza delle istituzioni che ne avrebbero dovuto difendere gli interessi legittimi, hanno reso estremamente difficile il processo di autodifesa legale contro i crescenti danni causati dai lavori di costruzione dell’asse viario. Solo recentemente 42 famiglie di San Jeronimo sono riuscite ad unirsi ed avviare un’azione collettiva presso il Tribunale amministrativo per il risarcimento dei danni materiali e morali, quantificati in circa 2 miliardi e 700 milioni di pesos. Altre famiglie si stanno coordinando per presentare una seconda istanza giudiziaria. Quanto avvenuto in passato in tema d’indennizzazione dei proprietari che hanno dovuto abbandonare le abitazioni per l’avvio dei lavori di scavo e di realizzazione delle discariche di inerti è stato più che una truffa: Invias ha offerto 2 milioni di pesos per unità che valevano al catasto 8 volte di più e che ai prezzi di mercato avrebbero potuto superare i 30 miloni di pesos. L’azione collettiva permette di rendere meno vulnerabili le famiglie di fronte ai gestori dell’opera viaria, e in caso di pronunciamento favorevole del Tribunale, permetterà un primo riconoscimento processuale delle denunce sullo scempio del territorio e dell’ambiente causato dai lavori per la mega-opera.
La battaglia legale si preannuncia difficile e di lunga durata. Invias si è opposta alla proposta di conciliazione del giudice del Tribunale amministrativo di Medellín, chiedendo nell’udienza dello scorso 25 aprile, una proroga di 3 mesi perché il Comitato di gestione della società valutasse l’istanza della parte offesa. L’eccezione è stata tuttavia respinta dal Tribunale che ha riconosciuto l’urgenza di giungere ad una soluzione del conflitto per la fondatezza del grave rischio all’integrità fisica delle tre comunità di San Jeronimo e ha fissato l’apertura del processo per il successivo 14 maggio 2001, citando come testi gli ingegneri dell’amministrazione pubblica e della società progettista, nonché alcuni testimoni del dissesto ambientale del municipio. Invias ha già fatto sapere attraverso i suoi legali di non avere alcuna intenzione di pagare i danni in quanto essi “non sono imputabili ai lavori di realizzazione della rete stradale” ma bensì a non precisati “difetti di costruzione”.
L’azione legale delle 42 famiglie danneggiate ha sortito un primo effetto politico-istituzionale. Mentre il precedente ‘personero’ ([5]) di San Jeronimo si era rifiutato di prestare qualsiasi assistenza legale alla comunità, sostenendo apertamente gli interessi dei costruttori ed accusando le famiglie di essere direttamente responsabili dei danni per lucrare sull’impresa, il nuovo personero municipale José David Morales González ha eseguito una prima missione di valutazione dei danni alle proprietà. Inoltre ha chiesto ufficialmente alla Governazione di Antioquia di entrare in possesso della valutazione di impatto ambientale che Invias ha prodotto alla vigilia dell’avvio dei lavori.
Quello dello studio di valutazione dell’impatto dell’opera è uno degli elementi più contraddittori della vicenda. Secondo Invias, la valutazione ambientale era stata realizzata sin dal giugno ’96 ed erano state preventivate alcune ‘opere di mitigazione’ dei danni. In realtà la legge colombiana non prevede che l’impatto ambientale debba essere valutato da un soggetto terzo, indipendente, ma che lo studio debba essere prodotto ed allegato al progetto dall’ente o dalla società proponente. La licenza fu poi concessa dal Ministero dell’Ambiente che esonerò Invias a presentare lo studio delle diverse alternative del corridoio viario definitivo, richiedendo solo gli adeguamenti e le complementazioni alle nuove norme ambientali, entrate in vigore dopo la realizzazione dello studio di valutazione dell’impatto dell’infrastruttura. Tra gli ‘adeguamenti’ richiesti c’era l’esigenza di localizzazione dei materiali eccedenti degli scavi “in accordo alle norme che regolano la materia”, il che, come ammesso da Invias “richiede il loro trasferimento ai siti di deposito finale con il conseguente aumento dei costi, siti nei quali inoltre sarà necessario causare danni ad abitazioni, coltivazioni e piccole aree boschive, o l’intervento diretto su piccole correnti d’acqua” ([6]). Difficile comprendere come le discariche e i terrapieni realizzati possano aver risposto a criteri di rispetto del territorio e di mitigazione dei danni al patrimonio edilizio e all’ambiente, dati gli effetti che si sono registrati nelle ‘verede’ del municipio di San Jeronimo.
La crescente consapevolezza della popolazione sull’impatto negativo al territorio del cosiddetto ‘Tunnel d’Occidente’ fa sì che aumentino le pressioni affinché il Municipio di San Jeronimo apra un contenzioso con le imprese costruttrici, per accertare le possibili violazioni normative e le eventuali responsabilità durante la progettazione e la realizzazione dell’opera. Da più parti si sostiene che il nuovo asse stradale sia stato disegnato senza alcun studio geologico e che tornanti e ponti siano stati previsti in funzione del risparmio dei costi d’opera e non secondo i principi della razionalità e dell’equilibrio del territorio. Sarebbero cioè state scartate, volutamente, opzioni e tragitti più sicuri e di minore impatto socio-ambientale, ma certamente meno economici. Per avviare un contenzioso sarebbero necessari però approfonditi studi geologici dell’intero territorio comunale che richiederebbero tempi lunghi e soprattutto somme ingenti, oggi non disponibili dal Municipio. Così cresce il rischio che un’intera comunità venga irrimediabilmente defraudata delle proprie risorse territoriali, privata perfino degli strumenti legittimi che ne assicurino la tutela giudiziaria e amministrativa. Un saccheggio del territorio, che secondo voci raccolte tra i contadini della zona, comprenderebbe anche l’appropiazione indebita e il furto di importanti reperti archeologici risalenti al periodo pre-coloniale che sarebbero stati rinvenuti nella zona durante le operazioni di scavo.
Le finalità reali di un tunnel dalle prevedibili conseguenze sociali
“Una nuova via tra Medellín e Santa Fé de Antioquia, nel momento in cui si realizzerà la terminazione della Strada per il Mare, appoggerà il processo di espansione urbana della città di Medellín, nel cui territorio è sempre più difficile incontrare nuove proprietà, adatte per l’uso residenziale, commerciale, ricreativo e industriale, oggi richieste” ([7]). Nel suo ‘Rapporto Esecutivo sull’opera’ del 1996, Invias non occulta una delle motivazioni fondamentali che hanno spinto le classi dirigenti politiche dipartimentali ad avviare i lavori per quest’opera dal devastante impatto ambientale e socio-culturale: quello cioè di ‘inglobare’ i vicini municipi di San Jeronimo e di Santa Fé de Antioquia all’area metropolitana di Medellín, trasformandone i tessuti sociali e gli impianti urbanistico-territoriali. La meta cioè è quella di ‘satellizzare’ i due municipi per trasformarli in località residenziali e turistiche per le classi medio-alte del capoluogo.
Prevedibili gli effetti socioeconomici tra gli abitanti nativi della zona, che saranno spinti ad abbandonare le attività agricole tradizionali per trasferirsi nelle cinture periferiche dell’area metropolitana, allargando il già insostenibile numero dei nullatenenti e dei disocuppati residenti. Già nel recente passato San Jeronimo è stato al centro di un difficile cambio sociale: negli anni della bonanza del narcotraffico, la località ha perso la vocazione agricola per effimeri programmi di sviluppo turistico, con la realizzazione di ville e residenze con piscine, la sopravvalutazione dei fondi agricoli, l’abbandono delle campagne dei coloni, assorbiti transitoriamente dal settore delle costruzioni, ma poi espulsi dal mercato del lavoro negli anni ’90, quando alla recrudescenza del conflitto politico-militare in Antioquia si sono aggiunti gli effetti della crisi economica colombiana.
Il paradosso di questa vicenda è che oltre a dover subire gli impatti sociali dei nuovi programmi di urbanizzazione del territorio rilanciati dal Tunnel d’Occidente, gli abitanti di San Jeronimo sono stati chiamati a contribuire finanziariamente per coprire i costi dell’opera che ne genererà lo sradicamento e l’esodo forzato. Secondo quanto previsto da una legge nazionale infatti, i proprietari di fondi o abitazioni che sorgono in zone in cui è prevista la realizzazione di una infrastruttura viaria sono sottoposti alla cosiddetta ‘valorizzazione’, una tassazione direttamente proporzionale all’estensione della proprietà e inversamente proporzionale alla sua distanza dall’opera. In concreto, l’onere per la costruzione di arterie d’interesse nazionale non è equamente distribuito tra tutti i contribuenti dello Stato, ma pesa particolarmente su quelli che ‘utopicamente’ dovrebbero maggiormente beneficiarsi, compresi in questo caso le famiglie che con l’avvio dei lavori hanno subito danni per miliardi di lire. Un provvedimento singolare, per molti versi assurdo, dato che il transito attraverso il tunnel sarà a pagamento: tutti gli abitanti della zona che vorranno recarsi a Medellín subiranno una seconda ‘tassazione’ diretta.
Gli ultimi dati ufficiali parlano di 7.097 proprietari già individuati per il pagamento della valorizzazione del ‘Tunnel d’Occidente’, con un esborso di 14.000 milioni di pesos in 5 anni. Molti dei piccoli proprietari di San Jeronimo non sono in grado di provvedere a questo pagamento e ciò potrebbe costituire un ulteriore fattore di espulsione dal municipio e di trasferimento delle proprietà a favore di speculatori e società di costruzioni. La vicenda delle valorizzazioni tocca poi il caso limite delle frazioni che sorgono a monte dell’opera, in particolare attorno alla vecchia via nazionale, i cui abitanti sono sottoposti a tassazione anche se non usufruiranno dell’asse viario in costruzione, in quanto sarà sempre preferibile sia dal punto di vista dei tempi di percorrenza che dei costi, raggiungere Medellìn attraverso la via di comunicazione tradizionale. Gli abitanti di queste frazioni tra l’altro, saranno ulteriormente danneggiati dal punto di vista socio-economico dalla deviazione del traffico veicolare: oltre all’estinzione dei mezzi di trasporto pubblico e alla conseguente marginalizzazione, oltre 150 famiglie saranno costrette ad abbandonare le piccole stazioni di ristoro e di commercio informale che sorgono sul tratto stradale San Jeronimo-Medellín. Ad esse si aggiungeranno le famiglie che sopravvivono con l’indotto, in genere piccoli coltivatori e allevatori che riforniscono quotidianamente i centri di ristorazione.
Il sacrificio di decine di migliaia di abitanti espulsi per i lavori
Ancora più grave e più drammatico lo scenario ipotizzato per il versante orientale dell’asse stradale firmato Impregilo, quello in via di realizzazione sulla sponda destra del torrente La Iguana. La stessa Invias, citando un’inchiesta socioeconomica svolta in vista della progettazione del ‘Tunnel d’Occidente’ nei quartieri popolari di Medellín attraversati dalla nuova via, afferma che “le trasformazioni più complesse derivate dal progetto, colpiscono le comunità che abitano questi settori; da un lato, per il gran numero di abitazioni di strato 1 e 2 ubicate nei primi chilometri, che è necessario ricollocare, e dall’altro, per l’impatto nell’uso del suolo sui piccoli fondi dedicati alla coltivazione di ortaggi, a San Cristobal e Palmitas, la cui partecipazione nel mercato di Medellín è vicina all’80%.”. Invias riconosce così che le modifiche territoriali-urbanistiche che deriveranno dal progetto genereranno l’espulsione dall’area di famiglie di scarso reddito e la fine della vocazione agricola di un’area di primaria importanza dal punto di vista produttivo ed occupazionale.
Le difficoltà di determinare a tempi brevi un programma di ‘ricollocazione’ delle circa 1.500 famiglie che l’Instituto Nacional de Vias ha censito nell’area che si vorrebbe espropriare per realizzare una ‘bretella’ di congiunzione con il tunnel, nonché l’esigenza di evitare proteste popolari che avrebbero potuto indebolire i consensi alla realizzazione della megaopera, hanno convinto i progettisti a disegnare una variante ‘transitoria’ di basso impatto urbanistico, che tuttavia non risolve i problemi di accesso al tunnel, ma che anzi rischia di creare un vero e proprio ‘tappo’ al traffico veicolare. “Queste circostanze – spiega Invias - che sono motivo permanente di preoccupazione per le entità di ordine municipale, e di attenzione per l’autorità ambientale, hanno fatto sì che nella fase della progettazione si sia prevista un’alternativa, di carattere transitorio, che permetta il tempo necessario per avviare un processo di negoziazione il meno traumatico possibile con le comunità della zona (…). Intanto, nei primi 5 chilometri stradali, si continuerà a transitare ad una velocità non superiore ai 30 km/h”.
Di fronte a questa valutazione appare ancora più stupefacente che le autorità abbiano autorizzato le società costruttrici ad intraprendere i lavori, prescindendo dalla formulazione di un piano di ordinamento territoriale e dei trasporti urbani ed extraurbani e glissando contestualmente alcuni problemi che rischiano di rendere per lo meno inutile il traforo dell’Alto de Boquerón. Che senso può avere infatti spendere centinaia di miliardi per ridurre di una trentina di minuti la percorrenza del tragitto da e verso San Jeronimo, quando a causa di un imbuto stradale di circa 5 km all’ingresso di Medellín si rischia di perdere tutto il tempo guadagnato? Non è pertanto lecito l’interrogativo posto dagli abitanti danneggiati dal nuovo asse viario se non era preferibile ridurre sensibilmente i tempi di percorrenza con alcuni lavori di miglioramento della vecchia via nazionale, magari riducendone i tornanti ed estendendone le corsie di tansito? “Questa scelta – commentano amaramente - avrebbe consentito un evidente risparmio nelle spese, una notevole riduzione dell’impatto socio-ambientale e l’opportunità di reinvestire le risorse destinate al Tunnel per lo sviluppo ecosostenibile del territorio”.
Mentre la classe dirigente locale, incapace di pianificare lo sviluppo del territorio, attende tempi migliori per avviare il progetto di ‘desplazamiento’ forzato di circa 10.000 persone che non troveranno un tessuto urbano disponibile ad accoglierli ed integrarli, nessuna soluzione coerente è stata programmata per “mitigare gli effetti socioambientali” del ‘Tunnel d’Occidente’, segnalati dalla stessa Invias in fase di progettazione. L’istituto aveva suggerito di avviare l’apertura di un ufficio di attenzione alla comunità che “permetta il contatto diretto con la popolazione e serva d’appoggio e mezzo ufficiale d’informazione”; di varare un Piano di ordinamento territoriale ed un procedimento per la negoziazione delle proprietà e delle abitazioni direttamente colpite; di tenere in conto l’attività economica delle persone danneggiate “in modo da offrire soluzioni integrali che garantiscano che l’effetto del progetto sia un beneficio in luogo di un pregiudizio”. Invias aveva segnalato infine l’esigenza di studiare la fattibilità di vincolare la forza lavoro disponibile nella zona “composta da un numero importante di giovani disoccupati e con poche alternative di attività economiche legali”, tanto nelle opere di costruzione della strada e del tunnel, come nell’esecuzione dei progetti di riubicazione che potrebbero generarsi. Inutile dire che a 4 anni dall’inizio dei lavori nessuno di questi ‘suggerimenti’ è stato tenuto in conto dagli enti locali finanziatori e dalle società costruttrici.
Il tema dell’occupazione, tanto decantato populisticamente alla vigilia del progetto, si è dimostrato una beffa per i numerosi disoccupati della zona. Grazie ai meccanismi dei subappalti e del cottimo, i lavori sono stati frammentati e le piccole imprese aggiudicatrici hanno preferito contrattare mano d’opera a basso costo in altri dipartimenti del paese. Attualmente nel municipio di San Jeronimo è insignificante il numero di occupati nella realizzazione dell’asse viario. Cosa ancora più grave è la mancanza di tutele e l’alto tasso di sfruttamento dei lavoratori impiegati: gli operai percepiscono una retribuzione di appena 8.000 pesos al giorno per turni di lavoro che si estendono dalle 6 del mattino alle 18 della sera. Nello stesso municipio contadini e braccianti arrivano a percepire una media di 10.000 pesos diari e pertanto, se anche i lavori fossero stati aperti alla manodopera locale, difficilmente sarebbero stati attrattivi.
Un’opera-monumento allo spreco economico
Gli errori nella previsione dei costi di mitigazione dell’impatto ambientale del ‘Tunnel d’Occidente’, in particolare del tratto viario di collegamento tra Medellín e l’ingresso orientale del tunnel (quartiere San Cristobal) sono una delle principali cause delle difficoltà nell’avanzamento dei lavori e dei forti ritardi accumulati dalle imprese costruttrici. Come riconosciuto dall’ultimo rapporto sull’avanzamento del progetto, febbraio 2001, “in questo settore di 5 km. non è stato realizzato quasi niente per le difficoltà affrontate nella liberazione delle proprietà esistenti” ([8]). Sono risultate completamente errate le previsioni sul numero di proprietà da espropriare e di conseguenza sull’incidenza dei costi: nello studio di fattibilità erano state individuate 897 proprietà da indennizzare; oggi sono già 1.231 (425 addizionali), ma i titolari dell’opera preannunciano che “potrebbe ancora aumentare il numero delle proprietà necessarie durante il periodo che manca al completamento dell’opera”.
L’aumento maggiore si registra proprio nel versante di Medellín, con 145 abitazioni aggiuntive da indennizzare; tuttavia una fetta significativa (+117) ricade nella parte occidentale del tronco viario “a causa delle frane a Montebonito e di alcune abitazioni esistenti in una zona divenuta ad alto rischio”. Sottostimato, infine, l’impatto sulle proprietà che ricadono nei pressi dei depositi di materiale inerte. Nonostante resti da riubicare più della metà della terra e delle rocce rimosse nelle opere di scavo del tunnel e del sistema viario, sono già 22 le proprietà non previste a cui è già stato riconosciuto il diritto all’indennizzo.
Ciò non potrà che avere preoccupanti ricadute sul costo finale dell’opera. Il progetto originale integrale, quello cioè che prevedeva il trasferimento forzato di 1.500 famiglie per garantire l’accesso al tunnel, prevedeva nel giugno 1996 una spesa di 183.758 milioni di pesos, di cui ben 35.795 milioni erano destinati a coprire i ‘costi ambientali e sociali del progetto’. Con la variante ‘transitoria’, la previsione di spesa si riduceva a 143.190 milioni di pesos e la voce riferita alla ‘mitigazione dell’impatto socio-ambientale’ veniva drasticamente tagliata a 7,709 milioni. Ad appena 4 anni di distanza i costi della mega-opera si sono sovradimensionati significatamente. Nel suo rapporto del gennaio 2001, Invias prevede che al termine dei lavori, tunnel ed infrastrutture stradali raggiungeranno una spesa per 228.976 milioni di pesos, a cui dovranno essere aggiunti 24.381 milioni per l’indennizzo delle proprietà espropriate e 1.481 milioni per le ‘spese di gestione’. In totale si raggiungerebbero i 254.838 milioni di pesos, quasi il doppio dei costi preventivati senza gli oneri per la ‘riubicazione’ delle famiglie di San Cristobal. Una popolazione questa, che a seguito delle nuove invasioni generate dalla recrudiscenza del conflitto colombiano e dai processi di ‘desplazamiento’ sviluppatisi nel dipartimento, presumilmente è più che raddoppiata rispetto alle stime del 1997.
La criticità della situazione finanziaria per il completamento dei lavori del ‘Tunnel d’Occidente’ è una delle maggiori preoccupazioni delle entità finanziatrici dell’opera. Secondo Invias attualmente mancherebbero in bilancio 42 miliardi di pesos, di cui 12 in conto dello stesso Istituto statale e 30 della Governazione di Antioquia, del Municipio di Medellìn e dell’Area Metropolitana; gli enti territoriali hanno dichiarato però l’impossibilità a mantenere gli impegni per la mancanza di fondi in bilancio. Una situazione in cui non è possibile preventivare una via d’uscita a medio termine. In realtà gli enti territoriali potrebbero far fronte agli impegni finanziari solo se ottenessero crediti da parte delle banche internazionali (accrescendo il loro già imponente debito esterno), e riducessero ulteriormente gli investimenti a favore delle politiche sociali, già estremamente deficitarie specie nel campo della salute e dell’educazione. Non appare sufficiente a consentire una boccata d’ossigeno l’apporto di un credito per 30.844 milioni di pesos che secondo il contratto sottoscritto con Invias, l’unione temporale Impregilo-Minciviles deve apportare per la realizzazione del progetto e che comunque è già argomento di polemica tra le parti contrattuali. “Se in agosto non sarà fornito questo credito, non sarà più prorogato il contratto” ha preannunciato pubblicamente l’Alcalde di Medellín Luis Pérez Gutiérrez, confermando il clima di sfiducia che serpeggia tra i protagonisti finanziari dell’infrastruttura.
A peggiorare la situazione si è aggiunto un ulteriore errore di valutazione in sede progettuale, relativo ai fondi che si sarebbero dovuti conseguire con la copertura dei pedaggi. Invias aveva preventivato un guadagno di oltre 14 miliardi di pesos all’anno, grazie al transito dal tunnel di 4.780 auto al giorno (stime nel 2002), che 18 anni più tardi sarebbereo divenute 7.350. Oggi Invias riconosce di avere sovrastimato il traffico veicolare sulla nuova arteria e preferisce valutare intorno a 2.100 i veicoli in transito a fine opera, con un guadagno di poco superiore ai 6 miliardi di pesos ([9]).
Considerato l’acutizzarsi del conflitto e della crisi economica, è del tutto utopico che a breve e medio termine si possa sperare in un aumento del flusso veicolare, anzi gli indicatori lasciano pensare che si vada più verso un’inversione di tendenza. Nel 2000 Invias ha registrato una media del 13% nella riduzione del traffico veicolare sulle principali vie nazionali, con punte sino al 40% in quelle maggiormente investite dal conflitto, come l’importante strada Bogotà-Medellín. Con queste stime, il tunnel rischia di assumere tutti gli aspetti di una nuova cattedrale del deserto, ove si accumulano annualmente bilanci in rosso ed indebitamenti.
La mancata copertura finanziaria ha già avuto come conseguenza la posticipazione a tempo indeterminato dell’entrata in funzione dell’opera, prevista per la metà dell’anno 2002. Come riconosciuto dalle imprese costruttrici, attualmente si lavora nei cantieri al 25% del ritmo programmato, mentre sono del tutto fermi i lavori nella parte orientale del tunnel. E’ stato accumulato un debito di 12 milioni di dollari per il pagamento di stipendi e lavori già eseguiti e le imprese hanno deciso di ridurre buona parte della manodopera impiegata. Secondo il Ministero dei Trasporti ci sarebbe denaro sufficiente per continuare i lavori per non più di un paio di mesi e in mancanza di nuovi contributi finanziari, l’opera potrebbe essere sospesa già a partire del secondo semestre del 2001. Data l’assenza di opere di pavimentazione della rete stradale già realizzata, il blocco dell’opera rappresenterebbe secondo il Ministero “un deterioramento terrificante dell’infrastruttura” ([10]).
“I debiti di Invias, Dipartimento di Antioquia, Municipio di Medellín e Area Metropolitana pongono in dubbio la continuità del progetto” ha espresso con forte preoccupazione la Controloría General de la República, organismo con poteri similari alla Corte dei Conti italiana. “Il non compimento degli esborsi programmati ha generato in conseguenza ritardi che superano in media i 160 giorni e maggiori esborsi per ognuna delle istituzioni proprietarie. Ciò costituisce un eventuale detrimento del patrimonio di ognuna delle entità sociali e potrebbe motivare indagini disciplinari contro i responsabili delle stesse” ([11]).
Il Tunnel fortuna politica di alcuni leader della borghesia locale
Nonostante i dissesti al territorio e i sempre maggiori sprechi finanziari, un’intera classe politica ha costruito la propria fortuna grazie al mito del ‘Tunnel d’Occidente’, ancora oggi considerato nell’immaginario collettivo il motore per lo sviluppo di Medellín e dell’area di San Jeronimo-Santa Fé de Antioquia. Governatori, sindaci, parlamentari, consiglieri municipali hanno promosso in tutte le sedi istituzionali l’idea progettuale, sponsorizzati dai principali mezzi di comunicazione di massa, attenti questi a che non maturassero dubbi o critiche tra l’opinione pubblica. L’impegno a favore del Tunnel ha permesso di ottenere consensi, di sviluppare clientele, di rafforzare la propria immagine e il proprio potere politico e contrattuale.
La promozione dei lavori di realizzazione è stata utilizzata in occasione di tutte le recenti campagne elettorali, e talvolta si è arrivati a sfiorare il ridicolo nella competizione tra coloro che potevano dimostrarne la paternità. Il 6 ottobre 2000 ad esempio, venti gioni prima dell’appuntamento per il rinnovo dei poteri locali (Governación, Alcaldía e Consigli dipartimentali e comunali) le più alte cariche civili e militari dello Stato, presente il Presidente della Repubblica Andrés Pastrana, hanno dato vita ad una inaugurazione ‘virtuale’ del ‘Tunnel d’Occidente’, nonostante mancasse quasi il 50% dei lavori di esecuzione dell’opera. Quasi un commiato per il Sindaco uscente di Medellín, Juan Gómez Martínez, già governatore di Antioquia e ministro dei Trasporti durante il governo di Ernesto Samper, che ha avuto l’onore di tagliare il classico nastro inaugurativo. L’infrastruttura è stata intitolata all’ingegnere Fernando Gómez Martínez, padre dell’Alcalde e fondatore del quotidiano ‘El Colombiano’, uno dei più importanti della Colombia, organo portavoce della potente borghesia imprenditrice di Antioquia.
L’impegno di Juan Gómez Martínez a favore dell’opera viaria è stato indiscutibile, ma altri politici di primo piano della regione si sono battuti per la sua realizzazione. Tra essi compare un altro ex governatore di Antioquia, Alvaro Uribe Vélez (figlio del deceduto narcotrafficante Alberto Uribe Sierra), notoriamente vicino al paramilitarismo e alle organizzazioni di ‘giustizia privata’ Convivir, oggi candidato di estrema destra per le Presidenziali del 2002 e strenuo oppositore ad ogni ipotesi di dialogo con le organizzazioni della guerriglia colombiana.
I lavori per l’infrastruttura sono stati appaltati dall’allora direttore di Invias, Guillelmo Gaviria Correa, passato poi a ricoprire la carica di Consigliere del Governo di Alberto Fujimori per il Piano Strategico del Settore Trasporti in Perù. Gaviria Correa, liberale, è stato recentemente eletto a governatore del Dipartimento di Antioquia. L’opera gli ha portato indiscutibilmente fortuna: una foto con le attività di scavo del tunnel d’Occidente faceva da sfondo al proprio manifesto elettorale. “Fortunatamente c’è sempre una luce alla fine di un tunnel” recitava l’eloquente slogan prescelto per la campagna.
Di Guillelmo Gaviria Correa è noto l’impegno in Invias per avviare imponenti e costose reti stradali in tutta la Colombia. Un impegno per lo sviluppo del trasporto veicolare che tuttavia ha lasciato un lungo strascico d’inchieste giudiziarie che pongono seriamente in dubbio il futuro del politico alla guida della Governazione. Attualmente sono già 7 le indagini avviate per presunte violazioni amministrative e irregolarità commesse nell’aggiudicazione di alcune licitazioni pubbliche. Se si dovesse giungere al rinvio a giudizio, il Tribunale potrebbe decretarne la sospensione e perfino la destituzione dall’incarico ([12]).
La specificità della violenza in Antioquia e nell’area metropolitana di Medellín
Ciò che più lascia sorpresi della decisione del colosso italiano delle costruzioni di partecipare alla realizzazione della Connessione stradale Valle di Aburrá - Río Cauca, non è tanto la ‘sottovalutazione’ degli aspetti socioambientali dell’opera o l’eccessiva fiducia offerta agli interlocutori istituzionali e ai finanziatori locali, ma il fatto di avere scelto un’area d’investimento tra le più insicure e violente dell’intero continente latinoamericano.
Stato e società civile concordano in Colombia nell’indicare il dipartimento di Antioquia come quello dove continua a verificarsi il maggior numero di violazioni dei diritti umani (594 casi accertati nel ’99), e del diritto internazionale umanitario (674). Nella regione si susseguono quotidianamente massacri, omicidi selettivi, sequestri e ‘desplazamientos’ massivi. Il 2000 è stato certamente peggiore per il dipartimento e per tutta l’area metropolitana di Medellín. Il rapporto presentato dall’IPC (Instituto Popular de Capacitaciòn) di Medellín sulla condizione dei diritti umani nella regione, ha denunciato come nel solo primo semestre dello scorso anno si sono avuti 3.729 omicidi, contro le 6.064 morti violente registrate nell’intero 1999. In relazione ai massacri, l’IPC ha registrato nel periodo compreso tra il gennaio 1997 e il giugno 2000, 213 massacri con 1.265 vittime.
In riferimento al ‘desplazamiento’ forzato, il rapporto dell’IPC segnala come negli ultimi tre anni dalle differenti regioni del dipartimento siano state espulse 149.218 persone, mentre il capoluogo Medellín si è convertito nella principale città di ricezione, con oltre 30.000 desplazados rifugiatisi in 43 ‘asentamientos’, molti dei quali privi dei più elementari servizi sociosanitari ed educativi. Si calcola che nella sola cintura periferica di Medellín, oltre 80.000 desplazados dalla violenza non abbiano accesso ai servizi basici e all’uso di energia elettrica ed acqua potabile. Rispetto alle violazioni contro la libertà, l’organizzazione non governativa ‘Paìs Libre’ ha documentato nell’anno 2000 in Antioquia 816 casi di sparizione forzata e 732 sequestri. Nei soli primi 4 mesi del 2001, sono già stati registrati nel dipartimento 79 sequestri e 2.283 sparizioni forzate ([13]).
In questo crescente scenario di violenza che affligge l’intero dipartimento, la città di Medellín continua ad essere la più colpita. Nell’ultimo decennio sono state assassinate in città 41.556 persone delle quali l’87,52% per arma da fuoco. Negli ultimi due anni gli omicidi sono particolarmente aumentati: 3.258 nel 1999, 1.553 quelli dei primi sei mesi del 2000. Le cronache dei primi 5 mesi del 2001 testimoniano la tragedia in atto: si sono moltiplicati i conflitti a fuoco per il controllo del territorio, interi quartieri del centro storico o delle periferie marginalizzate subiscono un vero e proprio stato d’assedio da parte dei gruppi armati, le organizzazioni criminali sono tornate a sperimentare gli attentati terrostici e le stragi che avevano caratterizzato gli anni del predominio mafioso di Pablo Escobar.
Solo durante il ponte festivo del primo maggio, nella città di Medellìn sono state assassinate 47 persone; il successivo 17 maggio invece, una carica di esplosivo nascosta in un auto parcheggiata davanti alcuni ritrovi del ricco quartiere del Poblado, ha causato la morte di 8 cittadini e il ferimento di altri 180. Sempre a metà maggio un gruppo armato ha fatto irruzione in un ‘barrio’ popolare che ospita un centinaio di famiglie fuggite da altri municipi di Antioquia, appiccando un incendio che ha distrutto numerosi rifugi di fortuna. Il ponte festivo di fine maggio è stato turbato dall’assassinio di una ventina di giovani appartenenti a bande contrapposte. Secondo l’analisi dei ricercatori dell’Ipc, questa spirale di morte sarebbe originata per “l’irruzione nella città di nuovi attori armati, il rafforzamento di quelli esistenti o la realizzazione di nuove alleanze tra essi”. “Medellín –aggiunge l’’Asamblea Permante por la Paz’ di Antioquia - si è caratterizzata come un territorio in disputa tra i differenti gruppi armati sin dalla metà degli anni ’80, però tra il 1995 e il 2000, la città sperimenta una situazione dove s’incrociano il politico e il delinquenziale. Si sviluppa un modello di controllo sociale basato su uno schema di subcontrattazione del potere tra i gruppi delle ‘Autodefensas’ e i gruppi criminali, che a loro volta controllano il resto delle bande. Ciò genera una proliferazione dei gruppi armati che controllano il territorio e che in esso, realizzano azioni parastatali attraverso l’esercizio del monopolio della forza, della giustizia e dell’estorsione (…). Al contrario, questo è un periodo di regresso nella presenza delle organizzazioni miliziane legate alle forze insorgenti, le quali a causa dell’attacco delle organizzazioni criminali, sommate ai loro abusi contro la popolazione e ai processi di decomposizione interna, si sono ridotte alle espressioni minime in settori assai esterni della città e si dedicano al rafforzamento delle strutture di appoggio logistico ed economico dei fronti rurali che operano nel dipartimento di Antioquia”.
Nelle aree più povere e marginalizzate del municipio di Medellín è in corso una vera e propria guerra dove i gruppi e le bande giovanili, compromosse nel traffico di sostanze stupefacenti e nelle attività estorsive, alleatesi con le organizzazioni paramilitari, hanno avviato una controffensiva tendente ad eliminare i gruppi della guerriglia urbana. “Si è verificato un cambio nel modello di controllo della città – conclude l’articolata analisi dell’Asamblea por la Paz – a causa della penetrazione diretta di unità militari del ‘Bloque Metro’ delle Autodefensas Unidas de Colombia (AUC), che impongono la subordinazione delle bande e dei gruppi giovanili e scatena la guerra totale contro le strutture delinquenziali e contro le espressioni sopravvissute che simpatizzano con l’insorgenza, o contro coloro che non si sottomettono” ([14]).
I diritti negati nel dipartimento delle grandi opere
La strumentalizzazione per fini ‘politici’ della criminalità giovanile rende ancora più esplosivi e complessi gli scenari del conflitto colombiano. Nelle zone di periferia, opererano talvolta con repentini mutazioni nelle alleanze, ben 309 bande criminali a cui sarebbero affiliati tra gli 8.600 e i 9.000 giovani. Il dato testimonia il fallimento dei programmi pubblici implementati per prevenire il disagio giovanile, drasticamente ridotti a causa dei tagli finanziari alle politiche sociali, spesso su pressione dei maggiori istituti monetari internazionali (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale).
“Durante i tre anni dell’amministrazione di Juan Gómez Martínez” - ha denunciato la Corporación Región di Medellín, una delle maggiori associazioni dei diritti umani della città – si è presentato un deterioramento accelerato dei diritti economici, sociali e culturali della popolazione e in particolare delle condizioni e della qualità della vita dei settori più vulnerabili della popolazione”. Secondo la Corporazione la disoccupazione è cresciuta di 5 punti (attualmente i disocuppati a Medellìn sarebbero 295.000 con un indice del 21,2%, il più alto di tutta la Colombia, mentre coloro che sono dediti ad attività economiche informali sono il 28,5%), e sono aumentati i tagli alle spese sociali per destinare la spesa pubblica, in particolare quella destinata all’educazione e alla sanità, “a favore delle grandi opere infrastrutturali e degli interessi dei settori privilegiati della città”([15]).
I dati forniti dalla Secretaría de Educación de Antioquia confermano il collasso del sistema scolare nel dipartimento. La popolazione descolarizzata tra i 5 e i 17 anni è di 71.250 minori. Nell’educazione primaria, il 14,63% dei bambini tra i 6 e gli 11 anni sono rimasti fuori dal sistema scolare; nell’educazione basica secondaria, un altro 15,8% di giovani in età compresa tra i 12 e i 15 anni non tiene il diritto all’accesso ad un’aula. Ancora peggiore la situazione nell’educazione media-superiore (ciclo 10 ed 11), dove oltre il 20% dei giovani non trova posti disponibili nelle istituzioni educative pubbliche o private.
La qualità dell’offerta educativa è inoltre bassa e scarsamente attrattiva, specie per i giovani con difficoltà di apprendimento o con problematiche psicosociali. La diserzione è del 6,64% nella basica primaria e del 6,47% nella secondaria. Ai bambini è inoltre negato il diritto ad uno sviluppo equilibrato e alla salute. Secondo uno studio dell’Università di Antioquia la denutrizione generale dei bambini in età scolare di Medellín è passata dal 31% del 1989 al 44% del 1998. Tra i bambini minori di 5 anni invece, il 9% soffre di denutrizione cronica o ritardo nella crescita.
Il tasso di mortalità neonatale è del 12 per mille. Secondo la ‘Sociedad de Neonatología’, in Antioquia nel 1998 sarebbero morti 1.764 bambini con meno di un anno di età, 434 dei quali a Medellín. Le principali cause sarebbero i forti tagli alla spesa sanitaria e la conseguente scarsa attenzione medica a favore dei prematuri.
In termini di indice di sviluppo umano, nonostante i segnali di ripresa economica registratisi, Antioquia mantiene il ritardo con la media nazionale. Il tasso di omicidi è di 109 ogni centomila abitanti (il più alto di tutta l’America Latina), contro il valore medio nazionale di 59; la speranza di vita alla nascita nel dipartimento è di appena 68 anni (due in meno rispetto alla media colombiana); i processi di sfruttamento intensivo delle risorse ambientali sono tra i più elevati del continente (il tasso annuale della deforestazione in Antioquia è del 4%, contro una media continentale dell’1,2%) ([16]).
Tra le molteplici cause della forte disuguaglianza sociale e dell’escalation della violenza in Antioquia e nell’area metropolitana di Medellín, è indubbio il ruolo esercitato dalla implementazione nella regione di ingenti programmi infrastrutturali (bacini carboniferi, tunnel e corridoi autostradali, centrali idroelettriche, aree portuali e zone franche, perfino un canale che congiunga l’Atlantico al Pacifico in alternativa a quello di Panama), che si sono caratterizzati per lo spreco delle risorse finanziarie ed umane, l’alta esclusione sociale, lo squilibrio territoriale, il forte impatto socioambientale, l’assenza di pianificazione integrale e di promozione dell’occupazione.
I megaprogetti, non hanno coinvolto le comunità locali e sono integrati nella visione di ‘globalizzazione neoliberale’ delle classi dirigenti. Come spiegato dall’Instituto Popular de Capacitación di Medellín, “mentre si espande la regione metropolitana attraverso i megaprogetti per generare condizioni infrastrutturali nelle nuove condizioni di competizione globale e attraverso il capitale straniero, si fanno più profonde l’espulsione permanente della popolazione nativa da estese zone rurali e le condizioni di povertà e miseria tanto nelle campagne che nel capoluogo” ([17]).
Le aree di Antioquia dove s’incontrano le fonti naturali, idriche ed energetiche e le terre più fertili e dove sono previste le megainfrastrutture coincidono in modo sorprendente con quelle dove più intenso e violento si è fatto lo scenario del conflitto colombiano. Sono queste le aree su cui si è esteso il controllo dei gruppi paramilitari. Non è casuale che i massacri eseguiti in particolare dalle ‘Autodefensas Unidas de Colombia’, l’organizzazione paramilitare più attiva nel dipartimento di Antioquia, sono stati pianificati per strappare alle guerriglie il controllo dei corridoi strategici interoceanici e tra essi il territorio attraversato dalla cosiddetta ‘Via del Mare’ che collega Medellín all’Urabá e all’Atlantico e di cui la Connessione stradale Valle di Aburrá - Río Cauca e il ‘Tunnel d’Occidente’ sono due segmenti chiave. E’ attraverso questi corridoi strategici in disputa tra i differenti attori armati, che si registrano in Antioquia imponenti attività economiche e i traffici di stupefacenti ed armi.
Gli interessi italiani nella regione più violenta dell’America Latina
La zona occidentale prossima al ‘Tunnel d’Occidente’ (tra i municipi di San Jeronimo e Santa Fé de Antioquia) ad un osservatore superficiale, potrebbe sembrare estranea alle logiche del conflitto che sta lacerando il tessuto sociale e il territorio del dipartimento. In realtà in quest’area sono assenti gli scontri a fuoco tra gli attori armati e sono assai rari gli omicidi, i massacri e i sequestri. Questo ‘paradiso’ di Antioquia tuttavia è ‘assicurato’ dal pieno controllo del territorio esercitato dalle ‘Autodefensas’ di Carlos Castaño che hanno eliminato qualsiasi influenza guerrigliera e che in cambio della ‘pace sociale’ hanno istituzionalizzato l’estorsione a danno dei proprietari agricoli, dei commercianti e dei piccoli produttori locali. Recentemente tutti i titolari di bar e rivendite di bibite di San Jeronimo sono stati convocati dai leader paramilitari ad un incontro ‘pubblico’ dove è stata formalizzata loro l’imposizione di una tassazione di 1.000 pesos per ogni cassa di birra e 700 pesos per ogni cassa di bevande gassate introdotte nel municipio.
Al sistema della ‘vacuna’ non si sottraggono i commercianti e gli allevatori delle regioni su cui è esercitato il monopolio del potere da parte delle due maggiori organizzazioni guerrigliere che operano nel dipartimento di Antioquia, le Farc e l’Eln. Tantomeno sono esenti a procedimenti estorsivi le grandi imprese nazionali e straniere che operano nei settori di estrazione e sfruttamento delle risorse minerarie e petrolifere o nella realizzazione delle centrali idroelettrihe e delle grandi opere infrastrutturali. Nonostante il peso estortivo, l’intensità della violenza e il numero impressionante di sequestri a danno del personale straniero in Antioquia – di cui non è rimasta indenne la stessa Impregilo che ha subito nel maggio 1998 il sequestro dell’ingegnere Marco Tentorio, rilasciato 15 mesi più tardi dall’Eln, dietro il pagamento di un ingente riscatto - il dipartimento continua ad esercitare una forte attrazione del capitale internazionale. Nel 1999, mentre in Colombia gli investimenti stranieri sono diminuiti del 6% rispetto all’anno precedente, in Antioquia essi sono quasi triplicati, passando dai 54,6 dollari per abitante del ’98, ai 147,5 del ’99.
Alla progettazione e alla realizzazione delle opere infrastrutturali dall’alto impatto socioambientale hanno avuto un ruolo determinante alcune importanti imprese italiane. Oltre al ‘Tunnel d’Occidente’ in mano al consorzio temporale italo-colombiano Impregilo-Minciviles, va segnalata la partecipazione del consorzio Astaldi-C.M.C.-Federici-Racchi-Topco, alla prima fase dei lavori per la centrale idroelettrica ‘Porce II’ (potenza prevista 392 Mw), nel territorio dei comuni di Yolondó, Amalfi e Gómez Plata, una delle regioni più colpite dalla violenza di tutta Antioquia.
Un’esperienza questa del ‘Porce II’ non certo felice per alcune delle maggiori imprese di costruzione italiana. Il consorzio infatti ha deciso a fine 1998 di ritirarsi perché era divenuto eccessivamente oneroso il proseguimento dei lavori. Le imprese italiane hanno fatto ricorso ad un Tribunale d’arbitrato per ottenere il riconoscimento di un pagamento aggiuntivo da parte della società contraente (EPM - Empresa Pública de Medellín) di 150 miliardi di lire “per costi sovraggiuntivi generati dalla situazione di ordine pubblico nella regione in cui si stavano realizzando le opere, per la rivalutazione del peso colombiano e per l’impatto dell’Iva”. Solo per l’ordine pubblico, le imprese avevano reclamato un sovraccarico di 53,3 miliardi di pesos. Nel marzo 2000 il Tribunale d’arbitrato ha tuttavia respinto la richiesta del consorzio, facendo sue le ragioni di EPM, secondo cui “il problema di ordine pubblico era una circostanza prevedibile e di esso era stato avvertito il contrattista”.
Il consorzio Astaldi-C.M.C.-Federici-Racchi-Topco mantiene aperto un ulteriore contenzioso giudiziario con EPM che richiede un risarcimento per il non ‘adempimento contrattuale’ per un valore di 140 milioni di dollari. Di fronte ad un’esperienza così negativa per entrambe le parti contrapposte, sarebbe legittimo attendersi la rottura definitiva di qualsiasi rapporto colombo-italiano. Basta invece osservare i successivi sviluppi di alcuni dei protagonisti del contenzioso per verificare che le cose sono andate diversamente. L’amministratore del tempo di EPM, Ramiro Valencia Cossio, è oggi ministro dell’Energia e del Petrolio e con il fratello, neo ambasciatore colombiano a Roma, ha lanciato un appello agli investitori italiani per accorrere all’implementazione dei nuovi progetti idroelettrici in Antioquia (centrali idroelettriche ‘Porce III’ e Pescadero-Ituango). Un appello raccolto dall’ambasciatore d’Italia in Colombia, Felice Scauso, che in occasione di un recente visita a Medellín, ha espresso all’Alcalde la disponibilità del nostro paese a cofinanziare le due infrastrutture.
Da parte sua, la società colombiana ‘Topco’, altra componente del consorzio dell’idroelettrica, ha modificato il proprio nome in ‘Minciviles’ ed è entrata in società con Impregilo per la realizzazione della Connessione stradale Valle di Aburrá - Río Cauca. Il cambio di denominazione è stato deciso dopo che il Tribunale colombiano aveva dichiarato nel 1999 la ‘decadenza amministrativa’ o ‘caducidad’ della società, proprio a seguito dell’inadempienza degli impegni contrattuali sottoscritti per la realizzazione di ‘Porce II’. Attualmente ‘Minciviles’ è tra le società in gara per l’aggiudicazione dell’altra grande galleria sotterranea progettata in Antioquia, il ‘Tunnel d’Oriente’, richiesta fermamente dalle classi dirigenti senza che ne siano stati valutati gli impatti ambientali e i reali costi-benefici. Concretamente si prevede la realizzazione di un tunnel veicolare di 8,3 km e 16 km di vie d’accesso entro il 2007, attraverso i municipi di Rionegro, La Ceja, Marinilla, El Santuario, El Carmen de Viboral e El Retiro in una delle regioni maggiormente investite dal conflitto paramilitare-guerriglia e dove sono stati numerosi i casi di massacri della popolazione, di sparizione forzata e di sequestro. Proprio in questa zona, appena un anno fa, tre tecnici italiani che operavano alla manutenzione dei macchinari di un’industria per la produzione di cioccolato sono stati sequestrati e rilasciati dopo una settimana da un gruppo criminale non identificato.
Appetiti Impregilo sulle megacentrali di Antioquia
E’ indubbio che la potente lobby politico-economica che lega l’Italia alla Colombia, e in cui gioca un ruolo da protagonista l’Impregilo, punti proprio alla realizzazione del ‘Porce III’ (potenza di 700 Mw) e della centrale idroelettrica Pescadero-Ituango, due progetti finalizzati a trasformare la regione di Antioquia nel più grande generatore di energia elettrica del paese e ad aprire le porte all’esportazione di elettricità verso il mercato centroamericano.
In particolare, la centrale idroelettrica Pescadero-Ituango emerge come uno dei progetti più devastanti dal punto di vista sociale ed ambientale previsti in Colombia, e per la cui realizzazione è determinante la conclusione della Connessione stradale Valle di Aburrá - Río Cauca, vera e propria arteria di penetrazione alla regione a 170 km a nord-ovest di Medellín. Qui dovrebbe sorgere una megacentrale idroelettrica con una potenza di 1.800 megawatt, grazie alla realizzazione di una diga alta 185 metri ed un bacino artificiale che raccoglierà le acque del río Caucacubi inondando 2.770 ettari di terreni appartenenti a 7 municipi della zona. Un progetto che prevede la riubicazione di centinaie di famiglie dedite all’agricoltura e all’allevamento. Imponente il costo preventivato per la idroelettrica Pescadero-Ituango: 1.400 milioni di dollari a cui si aggiungeranno altri 350 milioni di dollari per il pagamento degli interessi al tasso del 7,5% annuo, per i finanziamenti che saranno concessi dalle banche internazionali.
Titolare della società ‘Idroelettrica Pescadero-Ituango’ è un consorzio in cui compaiono il Dipartimento di Antioquia, l’ ‘Instituto para el Desarrollo de Antioquia’ (Idea), EPM, la società elettrica in fase di privatizzazione ‘Isagen’ e la ‘Integral S.A’, impresa che ha ottenuto da Invias il contratto di 7.400 miloni di pesos per il monitoraggio dei lavori e il sostegno al management per il ‘Tunnel d’Occidente’. La ‘Integral S.A’, inoltre, tra il 1979 e il 1982 ha eseguito lo studio di fattibilità dell’idroelettrica Pescadero-Ituango, determinandone la localizzazione, le caratteristiche basiche e i costi economici. La stessa ‘Integral S.A.’, tre anni fa, ha adeguato lo studio di fattibilità modificandone i costi progettuali e inserendo la (propria) valutazione d’impatto ambientale ([18]).
Come nel caso del ‘Tunnel d’Occidente’, anche quest’opera è fortemente sostenuta e sponsorizzata dall’élite politico-amministrativa locale e dal quotidiano di Medellìn ‘El Colombiano’ di proprietà della potente famiglia Gómez Martínez. Poco importa che tutte le scelte di privilegiare le megainfrastrutture in Antioquia abbiano causato l’insostenibile indebitimamento delle autorità locali con i maggiori organismi internazionali. Per pagare gli arretrati del ‘Metro di Medellín’ opera che appena entrata in funzione si è dimostrata sovradimensionata e dalla gestione onerosissima, il Governo ha dovuto ricorrere ad un prestito del FMI di 180 milioni di dollari nel biennio 2001-02. L’indebitamento ha poi costretto le autorità locali a chiudere i programmi innovativi a favore delle categorie più svantaggiate (indigenti, bambini di strada, donne capofamiglia, ecc.).
Per garantire la sopravvivenza dei programmi minimi nel settore dell’educazione e dei servizi sociali, la Governazione di Antioquia e il Municipio di Medellín sono stati costretti a ricorrere ad ulteriori aiuti ‘debitori’ da parte della Banca Mondiale e del Banco Interamericano de Desarrollo (BID) ([19]). Una vera e propria spirale del debito, nel saccheggio delle risorse ambientali e del territorio e nella marginalizzazione delle classi popolari, in nome di un ‘modello di sviluppo’ che sta disseminando Antioquia di cattedrali nel deserto e che alimenta la voracità dei ceti dominanti e il conflitto sanguinario tra gli attori armati.
Dal Guatemala, al Kurdistan, dalla Nigeria al Nepal, dal Lesotho all’Argentina. La lunga storia di violazioni e scandali targati Impregilo.
La vicenda relativa alla realizzazione del ‘Tunnel d’Occidente’ in Colombia, purtroppo, non è l’unica in cui il colosso delle costruzioni italiane del gruppo Fiat, è direttamente responsabile di tragedie ambientali, dissesti del territorio, violazioni dei diritti umani, di conflitti politico-sociali, di deportazioni ed esodi di popolazione, di ingenti sprechi di risorse finanziarie ed umane. Dall’America Latina, all’Africa, all’Asia, l’Impregilo compare coinvolta in alcune gravissime vicende, troppo spesso legate a fenomeni corruttivi delle élite militari e politiche locali, e dove le infrastrutture realizzate sono state perfino causa di massacri, stragi, sparizioni forzate. Attualmente, nel caso del Kurdistan, una delle principali opere in fase di realizzazione, è causa di una grave crisi internazionale che può sfociare in un vero e proprio conflitto armato. Vediamo di conoscere alcune di queste vicende emblematiche dell’altra faccia della cooperazione italiana nei paesi in via di sviluppo, quella intimamemnte legata alle politiche neoliberali di morte e distruzione delle risorse del pianeta.
Il progetto idroelettrico di Chixoy e la repressione militare degli indigeni del Guatemala
Tra il 1976 e il 1982, l’allora Impresit-Cogefar partecipò in consorzio con l’impresa tedesca ‘Lahmeyer Consulting Engineers’ ai lavori di costruzione della diga di Chixoy, nel dipartimento guatemalteco dell’Alta e Bassa Verapaz, dove le comunità indigene Maya Achí avevano vissuto per centinaia d’anni. Oggi, quella di Chixoy è una delle centrali idroelettriche prese ad esempio a livello mondiale per dimostrare come i grandi progetti finanziati dagli organismi finanziari internazionali nel Sud del mondo abbiano generato effetti disastrosi sulla natura e sulle comunità, creando spirali debitorie che condannano i 4/5 della popolazione del pianeta al sottosviluppo e alla miseria.
L’Impregilo giunse in Guatemala in piena dittatura militare e la sua permanenza nel paese coincise con la violenta guerra civile che ha fatto più di 200 mila vittime tra il 1980 e il 1984. I finanziamenti arrivarono dalla Banca Interamericana di Sviluppo (BID) e dalla Banca Mondiale, che contribuirono, rispettivamente con 106 e 72 milioni di dollari. Altri 14 miliardi di lire giunsero dall’Italia come ‘credito d’aiuto’ per la manutenzione della galleria di El Jute, costruita, come tutta l’opera, dall’impresa italiana. Così il governo italiano non fece mancare il suo appoggio nonostante le sempre maggiori denunce sulle violazioni dei diritti umani da parte della giunta militare guatemalteca e nonostante il progetto fosse direttamente gestito da appartenenti alle forze armate. “La diga di Chixoy – ha commentato Jaroslava Colajacamo della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale - faceva parte della politica di controllo statunitense sul mercato interno d’esportazione attraverso gli apparati militari nazionali al laccio della Cia. Il direttore dell’Inde, l’istituto nazionale guatemalteco per l’energia elettrica, che gestì il processo di costruzione della diga, era appunto un militare” ([20]).
L’avvio dei lavori della diga ebbero un violentissimo impatto sulla comunità indigena di Río Negro che viveva sulle sponde del río Chixoy. Per inondare la valle dove oggi esiste il bacino artificiale, le forze armate guatemalteche costrinsero con la violenza oltre 4.000 persone a ‘reinsediarsi’ nel ‘villaggio modello’ di Pacux, vera e propria cittadella militarizzata integrata nel sistema di urbanizzazione voluto dalla giunta militare per controllare la guerriglia di sinistra. La coraggiosa resistenza non violenta della popolazione locale al programma di ‘desplazamiento’ fu pagata assai cara: i militari instaurarono un clima di terrore e di intimidazione e fu data mano libera ai paramilitari per compiere massacri e sparizioni massive di uomini, donne e bambini. Tra il febbraio e il settembre del 1982, prima del completamento dei lavori da parte della Cogefar-Impresit, gli squadroni della morte uccisero a Rìo Negro più di 400 persone; nell’area di Rabinal, capoluogo della regione in cui fu realizzato il bacino, vennero uccise invece circa 5 mila persone in meno di due anni. Fu avviato altresì un piano di deforestazione che aggravò la situazione ambientale della regione, già colpita delle modificazioni climatiche generate dal bacino artificiale. “Il generale Rios Montt – ha denunciato l’Ufficio dei Diritti Umani dell’Arcivescovado di Guatemala - dette l’ordine di tagliare gli alberi per una profondità di 50 metri a entrambi i lati delle principali strade della regione per impedire attacchi guerriglieri ai convogli militari”([21]).
L’impatto sociale ed ambientale della centrale di Chixoy risulta altrettanto drammatico a quasi vent’anni dalla sua realizzazione. Una missione di verifica della Campagna per la riforma della Banca Mondiale eseguita in Guatemala nel luglio del 1999 ha riscontrato che la situazione a Pacux è perfino peggiore di quella di partenza. “La terra da coltivare data come compensazione, scarsa, coperta di pietre e senza irrigazione, si è rilevata inadatta per i due terzi. La situazione era così drammatica che per anni Inde fu costretto a distribuire il cibo per la sopravvivenza. Le direttive della Banca Mondiale sul reinsediamento forzato prevedono il ripristino degli standard di vita e delle capacità di introiti delle persone, ma questo non avvenne nel caso di Río Negro. Inde non riconobbe i diritti dei sopravvissuti alla terra né delle nuove famiglie. Solo dopo la privatizzazione dell’Inde, la società ha concesso i titoli di proprietà sulle fatiscenti case di Pacux”([22]). Di contro sono stati nulli i benefici sull’economia nazionale apportati dalla diga: essa non ha mai operato al di sopra del 70% della capacità prevista e la sedimentazione attuale ha ridotto l’efficienza futura del 50%. Alcuni tecnici giurano tuttavia che la centrale funzionerà al massimo sino al 2002-2003.
“La mancanza di valutazione d’impatto ambientale all’epoca della costruzione” – si legge ancora nel rapporto degli osservatori internazionali – “si riversa oggi sull’ecosistema e sulle comunità che vi vivono. L’area è completamente deforestata ed è cambiato addirittura il ciclo delle precipitazioni annuali”. La diga è risultata un disastro anche dal punto di vista finanziario. Il costo finale del progetto non è ancora chiaro: si parla da un minimo di 1,2 miliardi di dollari ad un massimo di 2,5 miliardi e ciò ha comportato ad un’espansione del debito estero contratto dal Guatemala. Si valuta che il 45% dell’intero debito del paese centroamericano sia stato generato direttamente dalla costruzione della diga di Chixoy. “Possiamo parlare di un vero e proprio ‘debito ecologico’ dell’Italia rispetto a questo paese” ha denunciato efficacemente la Campagna per la riforma della Banca Mondiale.
All’espansione dei costi della centrale idroelettrica realizzata dalla Cogefar-Impresit, secondo un’indagine in corso, avrebbe contribuito un presunto giro di tangenti (tra i 350 e i 500 milioni di dollari) versate a favore di politici e militari guatemaltechi. Non è un caso che la diga di Chixoy é stata definita la “più grande miniera d’oro dei generali del Guatemala” ([23]).
Kainji, Nigeria: una tragedia che dura da quaranta anni
Nigeria, Niger State, ottobre 1998: una violenta inondazione distrugge 15 villaggi. La popolazione è duramente colpita: le abitazioni, i campi, le povere infrastrutture che ne assicurano il sostentamento vengono spazzate dalle acque dopo il crollo parziale della diga di Kainji, una delle maggiori infrastrutture costruite in Nigeria per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica. Dal nome di un’isola sul fiume Niger, la diga di Kainji sorge a 800 km a nord di Lagos. Alta 85 metri, ha modificato le acque del Niger, generando un lago artificiale di 136 km di lunghezza e 24 di larghezza, con una superficie di 1.270 Km2 e una capacità di 15 miliardi di metri cubi d’acqua. I lavori furono realizzati tra il 1964 e il 1968, in piena guerra per la secessione del Biafra, da un consorzio di tre imprese italiane, Impresit, Girola e Lodigiani, poi fusesi nell’Impregilo. I finanziamenti giunsero dal governo nigeriano, dalla Banca Mondiale, dall’Olanda e da Usaid, l’Agenzia di Aiuti allo Sviluppo degli Stati Uniti.
Più che a problemi strutturali, il cedimento della diga è stato imputato all’assenza di manutenzione dell’infrastruttura da parte dei tecnici nigeriani che ne curano la gestione. Secondo i risultati delle prime indagini sulla catastrofe, l’impianto, a oltre 30 anni dalla sua realizzazione, non aveva mai ricevuto alcun lavoro di miglioramento. Gli altissimi costi finanziari dell’opera e la decisione di avviare la costruzione di un’altra imponente diga sul fiume Niger avrebbero lasciato a secco le casse della società elettrica nigeriana, impedendo l’acquisizione di attrezzature e la programmazione di attività di mantenimento ed adegumento degli standard di sicurezza.
Il rischio di cedimento strutturale era stato inutilmente segnalato dalla popolazione residente in prossimitá della diga di Kainji. Questa popolazione, oggi vittima dell’inondazione, aveva già dovuto subire una prima riubicazione forzata in occasione dell’inizio dei lavori. Le imprese italiane realizzarono ad hoc un villaggio, New Bussa, dove furono deportati circa 20.000 abitanti che vivevano nelle terre espropriate senza indennizzazione. Il governo nigeriano s’impegnó pubblicamente a mitigare i danni, assicurando la realizzazione di strade di accesso alla regione e la fornitura di acqua ed elettricità alle comunità. Alla data del crollo della diga, nessuno di questi servizi era stato garantito alla popolazione.
La situazione socioeconomica della regione si è ulteriormente aggravata con l’inondazione. Una missione della rete ambientalista internazionale ‘Environmental Eights Action’ ha denunciato la gravità delle condizioni di vita degli abitanti dei villaggi distrutti: “essi hanno perso i mezzi che ne assicuravano la sopravvivenza attraverso rudimentali attività di pesca; i bambini e le donne sono costretti a marce estenuanti per rifornirsi di acqua potabile; sono state completamente distrutte le estese piantagioni di canna da zucchero in cui lavoravano numerosi braccianti” ([24]).
Il comportamento delle imprese italiane durante i lavori di realizzazione della diga di Kainji assunse tutti gli aspetti delle conquiste coloniali: saccheggio delle risorse, deportazioni delle popolazioni, apartheid, sfruttamento intensivo della manodopera locale. Ingegneri, tecnici e lavoratori specializzati furono fatti venire dall’Italia. Per ospitare il personale espatriato e i numerosi familiari (quasi un migliaio di persone), fu realizzato una cittadella con oltre 400 abitazioni, uffici, un ospedale, una chiesa, una scuola, una piscina, e alcuni campi da tennis. Un accampamento con servizi minimi fu installato a debita distanza dalla cittadella ‘italiana’, con ampi dormitori per la mandopera ‘nera’, in cui fu istituzionalizzato un postibolo.
Oltre ai lavori di esecuzione della diga e della centrale idorelettrica, la megacommessa vinta dalle società italiane prevedeva altre opere dal forte impatto sul territorio e sull’ambiente: la costruzione del canale di Awaru per rendere navigabile il Niger da Timbuctù in Mali al Golfo di Guinea e un sistema viario nella savana per collegare i cantieri di Kainji alla rete stradale centrale e favorire l’arrivo degli automezzi necessari alla realizzazione della diga.
L’immenso cantiere fu investito direttamente dal violento conflitto scoppiato in Nigeria tra i due maggiori gruppi etnici in occasione della secessione della regione del Biafra. Una notte, nel luglio 1966, l’etnia Houssa eseguì il massacro dei lavoratori Ibo residenti nell’accampamento Impresit. “Gli occupanti le case – scrive Leo Arrigoni che raccolse le testimonianze di alcuni lavoratori italiani - aprirono le porte e vennero colpiti da fendenti e machete e si abbatterono al suolo senza un lamento ma, dall’interno delle case si levarono i gridi e i pianti di donne e bambini, gridi che terminarono in rantoli (..). Gli europei si telefonarono, qualcuno s’azzardò ad uscire e vide corpi mutilati in una pozza di sangue luccicante di luna. Corpi decapitati, gambe e braccia mozzate, corpi tagliati a metà” ([25]).
Ignoto fu il numero esatto dei morti di quel massacro, tuttavia le imprese italiane furono costrette a utilizzare i bulldozer per scavare le fosse comuni ove seppellire “centinaia” di vittime. Numerosi cadaveri furono rinvenuti nei giorni seguenti sulle sponde del fiume Niger. I lavoratori espatriati e i familiari furono risparmiati dalla furia omicida degli assassini. Dopo la ‘pulizia etnica’ degli Ibo dalla regione ritornò la calma nel cantiere italiano e solo pochi lavoratori chiesero di essere rimpatriati. Gli operai massacrati furono presto rimpiazzati da personale dell’etnia responsabile della strage. “Si dovettero assumere altri nigeriani, in sostituzione di quelli uccisi o fuggiti, e obbligatoriamente essi furono Houssa”, spiega ancora Arrigoni.
Un anno più tardi da quella notte di furore e sangue, una nuova tragedia colpì i lavoratori della diga. “Uno dei due piloni della gru teleferica improvvisamente cadette e soi inclinò, uno dei due cavi portanti si ruppe e falciò come una frusta 17 uomini, tra cui un italiano”. Oltre ai morti vi furono decine di feriti.
Le centrali degli scandali: Nepal, Lesotho e Argentina
Si chiama ‘Kaligandaki’ il megaprogetto idroelettrico avviato nel 1997 da Impregilo in consorzio con un’impresa austriaca ed una svizzera, nella regione orientale del Nepal, grazie ad un finanziamento della ‘Asian Development Bank’. Una infrastruttura che sin dalla sua progettazione è stata al centro delle proteste delle organizzazioni sindacali e sociali del paese che ne denunciano i “devastanti effetti ambientali” e soprattutto le “irregolarità del progetto”. Nello specifico alcuni ufficiali statali sono stati accusati di gravi atti di corruzione: “con l’avvio dei lavori di realizzazione della diga di Kaligandaki essi si sono rapidamente arricchiti, divenendo proprietari di ville con piscine e di alcune aziende”. “Nulla è stato speso invece – prosegue la denuncia delle organizzazioni in lotta - per creare misure di protezione ambientale, nonostante sia stato provato che i progettisti non si sono attenuti agli standard minimi richiesti dalle normative” ([26]). Da sottolineare che il discutibile studio di fattibilitá del progetto di Kaligandaki è stato realizzato proprio dalle due società europee associatesi con Impregilo per l’esecuzione dei lavori della diga.
All’Impregilo, nello specifico, le organizzazioni sindacali imputano oltre che la responsabilità nell’adozione di insufficienti misure di sicurezza nel cantiere, il non riconoscimento dei minimi salVerdana, sans serifi a favore della manodopera impiegata. Scioperi e manifestazioni di protesta sono state organizzate per denunciare le violazioni delle normative contrattuali e di sicurezza. “Intanto sette persone sono morte negli ultimi tre anni durante i lavori di costruzione della diga” ha denunciato Narayan Gurung, leader del sindacato nazionale.
Se le gravi denunce delle organizzazioni sociali nepalesi non sono ancora approdate in sede processuale, diverso è quanto accade nello stato africano del Lesotho, dove a partire dal novembre 1999 é stata avviata un’inchiesta contro otto società internazionali, tra cui l’Impregilo, per presunte tangenti versate a favore di politici ed amministratori locali. Secondo le autorità giudiziarie le società avrebbero versato 1,8 milioni di dollari per ottenere i lavori di costruzione di due dighe a Masupha Sole, nell’ambito di un megaprogetto - denominato ‘Lesotho Highland Water’ - finalizzato al convogliamento delle acque del Lesotho in 5 dighe e il dirottamento di esse alla regione del Guatang, in Sudafrica, dove sono presenti importanti centri industriali e di agricoltura intensiva.
Anche per questo progetto sono ingenti i danni socioambientali. Gli esperti calcolano che oltre il 70% delle acque del fiume Orange saranno deviate; per realizzare la prima delle dighe del ‘Lesotho Higland Water Project’ oltre 24.000 persone, in buona parte pastori nomadi, sono stati costretti ad abbandonare le valli più fertili della regione e ad urbanizzarsi in quartieri con baracche dai tetti di lamiera. “La popolazione non ha avuto le compensazioni adeguate che erano state concordate e soprattutto è stata definitivamente compromessa la loro possibilità di vita tradizionale” scrive Liliana Cori della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale. “I processi di consultazione sono stati estremamente superficiali, hanno riguardato soltanto il governo del Lesotho e non le popolazioni locali”. Inoltre il progetto fu concordato tra i due paesi africani grazie ad un prestito di 150 miloni di dollari della Banca Mondiale, “in modo da aggirare le sanzioni internazionali esistenti al tempo contro il Sudafrica”, unico beneficiario del programma ([27]).
Sono state inoltre denunciate una serie di violazioni dei diritti contrattatuali delle maestranze impiegate nella realizzazione dei lavori. Le società internazionali hanno preferito reclutare in Sudafrica il personale specializzato mentre la manodopera locale è stata impiegata per i lavori di fatica con salari inferiori ai minimi previsti dalla legge. Nel 1996, le proteste sindacali sono state represse nel sangue: la polizia ha sparato sui manifestanti causando 5 morti.
Per ciò che riguarda l’inchiesta giudiziaria in atto, Impregilo è sospettata del versamento illecito di circa 250.000 dollari nei conti dei funzionari africani aperti in alcuni sportelli bancari di Svizzera e Francia. L’indagine ha preso avvio dopo la scoperta di un giro di mazzette che sarebbero state versate dalle imprese costruttrici per la realizzazione di importanti dighe finanziate dalla Banca Mondiale in alcuni paesi in via di sviluppo e di cui lo stesso organismo finanziario internazionale ha dovuto ammettere gli illeciti e gli sprechi finanziari. Nella lista delle opere attenzionate, oltre alle dighe di Masupha Sole, le centrali idroelettriche di Chixoy in Guatemala, di Tucurui in Brasile, di Itaipu al confine tra Brasile e Paraguay e di Yacyretá tra Argentina e Paraguay ([28]).
Quasi sempre le stesse le imprese coinvolte in questi inutili e devastanti progetti della Banca Mondiale. Nel consorzio per la realizzazione delle dighe di Masupha Sole, compaiono infatti con l’Impregilo, la societá francese ‘Dumez’ e la tedesca ‘Lahmeyer Consulting Engineers’, socie le tre nel consorzio che ha realizzato la diga di Yacyretà, definita a livello internazionale come “uno dei maggiori monumenti alla corruzione”. Su questo progetto é stato aperto un procedimento per illecito; i magistrati argentini vogliono scoprire come siano potuti lievitare in modo sproporzionato i costi di realizzazione. Inizialmente il progetto della Banca Mondiale prevedeva una spesa di 2,7 miliardi di dollari; a conclusione dei lavori, il costo ha raggiunto gli 11,5 miliardi di dollari ([29]). Come già visto in precedenza, infine, la ‘Lahmeyer Consulting Engineers’ e l’Impregilo compaiono consorziate per la realizzazione della centrale idroelettrica di Chixoy.
Diga di Ilisu, repressione dei Kurdi e conflitto medio-orientale
L’Impregilo è tra le società internazionali contrattate dal governo turco per la realizzazione nella regione orientale del Kurdistan, del cosiddetto megaprogetto della ‘Grande Anatolia’, in tutto 12 centrali idroelettriche e 22 dighe per incanalare e deviare le acque dei mitici fiumi del Tigri e dell’Eufrate, a soli 60 km dal confine con la Siria e l’Iraq. L’impresa italiana partecipa in particolare ai lavori di costruzione della diga di Ilisu, dove entrerà in funzione una centrale per la produzione di 1,200 Mw e sorgerà un bacino di 313 Km2 con un volume di 10,4 miliardi di m3 d’acqua. Nella fattispecie l’appalto è stato vinto da due imprese svizzere che poi hanno preferito subappaltare i lavori ad un consorzio internazionale, composto dall’Impregilo, da alcuni gruppi inglesi, capofila la ‘Balfour Beatty’ e dalla svedese ‘Skanska’, impresa nota in Colombia ove ha realizzato la ‘represa di Urrà’, una devastante centrale idroelettrica nella regione di Tierralta (Córdoba), ove si susseguono i massacri e i ‘desplazamientos’ forzati della popolazione ‘mestiza’ ed indigena.
Una campagna internazionale realizzata dalle maggiori organizzazioni ambientaliste e di difesa dei diritti umani ha tuttavia permesso la momentanea sospensione della diga di Ilisu in quanto ne sono state provate il forte impatto territoriale e sociale e la valenza politico-repressiva a danno della comunità Kurda oppressa dal regime di Istambul.
Uno studio indipendente ha infatti rivelato che la realizzazione della diga di Ilisu comporterebbe per 78.000 persone l’abbandono delle 15 cittadine e dei 52 villaggi dove attualmente risiedono. Si tratta in buona parte di piccoli coltivatori e braccianti Kurdi che perderebbero oltre alle abitazioni ogni opportunità di sviluppo economico e di occupazione. Per essi, i progettisti del governo turco non hanno previsto alcun programma di reinsediamento. Un destino ancora peggiore di quello capitato ad oltre 100.000 persone della regione, che a seguito della realizzazione delle grandi dighe di Atartuk e Karakaya sono state costrette ad abbandonare decine di villaggi per popolare le baraccopoli di Diyarbakir ed Istambul. Ad essi si aggiungono gli oltre 200.000 Kurdi che a partire dal 1990, data di avvio del progetto ‘Grande Anatolia’, sono stati prima espropriati della loro terra e poi costretti all’emigrazione forzata o alla deportazione verso le piantagioni dei latifondisti turchi, per lavorare in condizioni di semischiavitù.
Oltre allo sradicamento della popolazione, lo studio indipendente sugli impatti socioambientali prefigura l’ulteriore riduzione delle capacità idriche del Tigri e dell’Eufrate (quest’ultimo con le opere di sbarramento si è già ridotto del 50%) e il “drastico cambio climatico della regione e di conseguenza la presumibile ricomparsa della malaria”; la conseguente riduzione delle acque del Tigri, su cui vengono scaricati i rifiuti solidi urbani e le acque nere di grandi città kurde (Diyarbakir, Batman e Siirt), avrá drammatiche conseguenze sulle capacità di autopurificazione del fiume, e ciò lascia presagire lo scoppio di epidemie e infermità gravi nei territori attraversati.
Le organizzazioni ambientali hanno altresì denunciato che i lavori per la diga di Ilisu causerebbero l’inondazione di uno dei maggiori siti archeologici del Kurdistan, Hasankeyf, risalente al periodo bizantino e medievale e dove sono ben conservati monumenti, moschee e chiese di alto valore storico-artistico. Hasankeyf sarebbe condannata così a sparire come un altro importante centro archeologico, qullo di Zeugma, distrutto con i lavori di un’altra diga del progetto ‘Grande Anatolia’.
Ció che piú preoccupa del progetto sono tuttavia le sue rilevanti caratteristiche politiche di discriminazione e marginalizzazione della popolazione kurda e le prevedibili conseguenze militari in un’area geostrategica al centro di conflitti e tensioni di carattere interno ed internazionale. Con il megaprogetto la Turchia si assicura il totale controllo delle acque della Mesopotomia, privando l’accesso alle risorse idriche dei due paesi confinanti, Siria ed Iraq, con cui la Turchia ha già espresso la propria intenzione di non negoziare un accordo per la gestione collettiva di questi due fiumi vitali. Di contro l’acqua del Tigri e dell’Eufrate potrebbe essere deviata verso Israele, paese con cui la Turchia ha avviato importanti relazioni econonomiche, industriali e militari. Come denunciato dalla ‘European Rivers Network’, la diga di Ilisu è “un progetto politico motivato principalmente da interessi strategici del governo turco per rafforzare la propria posizione di potenza di fronte alla Siria e all’Iraq, e per controllare l’area Kurda. La popolazione danneggiata non è stata consultata, e a causa dello stato di guerra non dichiarata nelle aree Kurde, essa non ha la possibilità di difendere i propri interessi” ([30]). Tra gli analisti internazionali, molti già prefigurano per il Medio Oriente la possibilità di nuovi violenti conflitti per l’accaparramento e la gestione delle sempre più scarse fonti idriche ivi esistenti.
Per le sue devastanti conseguenze socio-ambientali e per l’alto rapporto costi-benefici della centrale idroelettrica (è stato calcolato un valore di 1.300 dollari per Kw di energia prodotta, quando un impianto è considerato remunerativo se il costo non supera i 1.000 dollari per Kw), la stessa Banca Mondiale ha preferito sospendere dal 1984 ogni finanziamento del progetto della ‘Grande Anatolia’. Per le preoccupazioni di ordine politico-militare il governo britannico laburista ha recentemente sospeso la propria contribuzione per 600 miliardi di lire e di conseguenza le società inglesi coinvolte nel programma hanno deciso di abbandonare i cantieri in Kurdistan. Attualmente al progetto di Ilisu é stato garantito un contributo finanziario internazionale per 850 miloni di dollari, piú un credito da parte della UBS (Union Bank of Switzerland). Purtroppo tra i paesi che hanno assicurato la propria quota finanziaria compare l’Italia, evidentemente più attenta a favorire gli investimenti in Turchia dell’Impregilo che a interpretare un ruolo di mediazione e di pace nello scacchiere mediorientale. In opposizione alla partecipazione italiana al progetto ‘Grande Anatolia’ è stata avviata dall’associazione ‘Un ponte per Diyarbakir’ e dalla ‘Campagna per la Riforma della Banca Mondiale’ un’iniziativa nazionale di sensibilizzazione. In particolare è stata invitata la Sace (l’Agenzia di Credito all’Esportazione) a ritirare ogni finanziamento a favore dei lavori di realizzazione del complesso idroelettrico.
L’Impregilo nel mondo.
Gli affari del gigante delle costruzioni in mano al gruppo finanziario che comanda alla Fiat.
Grazie ad una strategia di mercato che l’ha vista impegnata nella fusione-assorbimento di alcune delle più importanti imprese del settore (la società nasce appunto dalla fusione tra la Cogefar, la Girola e la Lodigiani) e all’espansione delle commesse degli ultimi anni, l’Impregilo è oggi una delle maggiori imprese di costruzioni a livello internazionale. Il suo capitale sociale è valutato intorno ai 93 milioni di euro ed è principalmente in mano alla centrale dell’economia italiana che monopolizza il mercato automobilistico. Secondo le cifre dell’ultimo bilancio Impregilo, il gruppo ‘Gemina S.p.a’. detiene il 15,63% delle azioni della società di costruzioni; il resto del pacchetto è in mano al ‘Gruppo Fiat-Sicind S.p.a.’ (4,70%), alla ‘Girola Partecipazioni S.p.a.’ (2,77%) e a cinque importanti istituti bancari nazionali, la ‘Banca di Roma’, la ‘Banca Commerciale Italiana’, il ‘Credito Italiano’, ‘Cariplo’ e il ‘Gruppo Bancario San Paolo’ (congiuntamente il 14%). Il resto del capitale, per un valore del 62%, é in mano al mercato azionario.
Il Consiglio di aministrazione in carica vede come presidente Paolo Savona, giá direttore della ‘Banca Nazionale del Lavoro’, vicepresidente Giuseppe Gatto ed amministratore delegato, l’ingegnere Pier Giorgio Romiti, uomo di fiducia della famiglia Agnelli.
Nel 1999 il valore della produzione Impregilo é ammontata a 2.049 milioni di Euro, con un risultato operativo di 71 milioni di euro ed un utile netto di 19,8 milioni di euro. I dati consolidati del bilancio per l’anno 2000 hanno visto un portafoglio ordini per 13.910 miloni di euro e nuove commesse per 4.256 milioni di euro (1.203 per attività di costruzioni e 3.053 a titolo di concessioni e servizi). Solo il 36% del portafoglio lavori riguarda infrastrutture e commesse realizzate in Italia; un altro 5% dei lavori si realizza in Europa e il restante 59% interessa paesi in ‘via di sviluppo’ nel resto del mondo.
Una lettura più attenta della relazione di bilancio evidenzia tuttavia l’esistenza di zone d’ombra nella redditività di alcune nuove realizzazioni Impregilo in giro per il mondo. Il Consiglio di Amministrazione ha infatti dovuto segnalare a fine 2000 l’esistenza di un “contenzioso non ancora risolto per i lavori effettuati nella diga di Yacyretá in Argentina per 73 miloni di euro”. Come abbiamo visto in precedenza, Yacyretá é una delle dighe attenzionate dalla Banca Mondiale e dai magistrati argentini per presunti illeciti in corso d’opera. Nel primo trimestre del 2000, poi, Impregilo aveva accumulato un risultato negativo per 17,9 milioni di euro, principalmente a causa di “criticità emerse nell’esecuzione dei contratti in Pakistan per l’impianto idroelettrico di Ghazi Barotha, in Arabia Saudita per gli ospedali King, Abdul, Aziz Hospital Project e negli Emirati Arabi per la moschea Sheik Sultan Bin II in Abu Dabhi” ([31]). Le ‘criticitá’ in questi paesi islamici, e l’’imprevisto’ argentino ha avuto riflessi diretti sulla ridefinizione delle strategie finanziarie di Impregilo che ha avviato un pesante processo di ‘ristrutturazione interno’ con il taglio di 450 unitá lavorative presso la sede centrale e le principali strutture periferiche dell’impresa. Cosí, nonostante l’espansione del fatturato e del portafoglio ordini dell’ultimo triennio, una parte dei dipendenti di Impregilo è stata espulsa dal mercato del lavoro.
Cinquanta anni di affari
Attualmente Impregilo conta su 70 succursali sparse in tutto il mondo ed è impegnata in circa 700 tra società controllate, associate e consorzi. Le aree di intervento del colosso vanno dalla realizzazione di dighe e infrastrutture idroelettriche, alla costruzione di strade e autostrade, di linee ferroviarie e metropolitane, di porti e altre opere marittime, di opere idrauliche e impianti di irrigazione, di aeroporti e tunnel sotterranei, di opere civili per centrali termonucleari, di interventi di edilizia residenziale, sportiva, industriale, ospedaliera. Negli ultimi 50 anni, la società ha contribuito alla realizzazione di alcune delle più importanti megainfrastrutture al mondo, spesso in paesi in guerra o sottoposti a dittutatura militare e alla violazione sistematica dei diritti umani.
Tra le opere più ‘significative’ firmate da Impregilo compaiono le devastanti dighe di Kariba, Bakalori, Kainji e Jibiya in Nigeria, Tarbela in Pakistan, Dez in Iran, Yacyretà in Argentina, Ertan e Xiaolangdi in Cina, Mae Kuang in Tainlandia e Mujib in Giordania; le opere portuali, talvolta di interesse strategico-militare di Porto e Lisbona in Portogallo, Homs in Libia, Mohamedia in Marocco, Beira in Mozambico, Mogadiscio in Somalia, Porto Torres, Brindisi e Venezia in Italia; le opere ferroviarie in Italia (in particolare le tratte per l’alta velocità del centro-nord), in Francia, Venezuela, Algeria, Camerun e Gabon; le metropolitane di Milano, Roma, Napoli, Genova, New York, Vienna, Parigi, Caracas e Singapore; le infrastrutture aeroportuali di Fiumicino e Capodichino in Italia, dell’Isola di Sant’Elena e di Nairobi in Africa; buona parte della rete autostradale nazionale e delle autostrade di Turchia, Argentina, Canada e Cina; alcuni megaponti come quello del Bosforo o di Lagos; alberghi, centri commerciali ed ospedalieri negli Emirati Arabi Uniti, in Arabia Saudita, in Grecia, nella Repubblica Ceca ed ovviamente in Italia, dove è da segnalare la realizzazione dell’Istituto Europeo di Oncologia diretto dall’ex ministro della Sanità, prof. Veronesi.
Negli ultimi tre anni, in particolare, l’Impregilo è riuscita ad accaparrarsi alcune delle maggiori commesse internazionali.
Per ciò che riguarda il 1998, la società, insieme alla ‘Dioguardi’, si è aggiudicata con trattativa privata, i lavori per la realizzazione del ‘Parcheggio sotterraneo del Gianicolo’, nell’ambito dei programmi urbanistici previsti per il ‘Giubileo 2000’. L’opera è stata fortemente osteggiata dall’organizzazione ambientalista ‘Italia Nostra’ che ha inutilmente denunciato il grave danno al patrimonio paesaggistico ed archeologico di Roma e la violazione della normativa europea sulla concessione degli appalti. Sempre in Italia, Impregilo ha vinto le commesse per la costruzione del ‘Canale idraulico di Valviola’ in Valtellina e del ‘Centro Medico’ di Gricignano. Forte la presenza sullo scenario europeo dove la società di costruzioni ha ottenuto i lavori per la realizzazione della ‘Metropolitana’ di Porto (Portogallo), della ‘Concert Hall’ di Atene, del ‘Tunnel stradale’ di Gorgier (Svizzera) e del ‘Parcheggio multipiano’ di Dundee (Inghilterra). Sempre in Inghilterra la società ha avviato i lavori per la realizzazione del parcheggio sotterraneo dell’’Ospedale Universitario’ di Cardiff. All’Impregilo sono stati assegnati anche i lavori di ristrutturazione del ‘Porto di Costanza’ (Romania) e della ‘Metropolitana’ di San Pietroburgo (Russia). La società ha poi avviato una campagna di penetrazione nell’area dei Balcani, in particolare in Serbia e Croazia, in vista della ricostruzione del territorio colpito dalla guerra nell’ex Yugolsavia.
Sempre nel 1998, la società ha ottenuto in Africa ordini per 213 miliardi di lire, in buona parte finalizzati alla realizzazione della ‘Diga di Mohale’ (Lesotho), del ‘Canale di irrigazione agricolo Chouchi’, dell’’Impianto idraulico di Cross River State’, della ‘Strada Ebocha-Ndoni’, tutti in Nigeria. In Asia, l’Impregilo ha rafforzato la propria posizione nella realizzazione di una complessa rete di centrali idroelettriche in Cina; inoltre ha avviato i lavori di realizzzione del ‘Centro commerciale’ di Riyadh (Arabia Saudita). Notevole la penetrazione sul mercato sudamericano, dove Impregilo ha realizzato le ‘Carceri di Ezeiza’ (Argentina), la ‘Galleria stradale’ di Hatillo (Colombia), l’’Impianto idroelettrico’ di Ponte de Pedra (Brasile). Sempre in Brasile, l’Impregilo ha avviato la costruzione dell’‘Autostrada Anchieta Imigrantes’ che congiungerà la città di San Paolo al porto di Santos e che rappresenterà il primo tronco dell’arteria autostradale internazionale San Paolo-Buenos Aires, una megaopera per 2.651 miliardi di lire che attraverserà Brasile, Uruguay ed Argentina ([32]).
Il 1999 è stato segnato principalmente dall’acquisizione in Italia di buona parte dei lavori per le contrastate opere dell’Alta Velocità, con il 35% degli appalti della tratta Milano-Torino, il 71% della Milano-Genova e il 76% della Bologna-Firenze. Impregilo è stata inoltre ammessa unitamente ad altre imprese nella ‘short list’ per partecipare al progetto ‘Grandi Stazioni’ per la riqualificazione delle maggiori stazioni ferroviarie. Sempre in Italia, tra le commesse del 1999 compaiono i lavori per il ‘Casinò di Campione’, per il ‘Nuovo Centro Fiera di Rimini’, per l’’Autostrada Monte Bianco’ (tratta Courmayeur-Morgex), per il ‘Centro Riabilitazione Psichiatrica’ a Cernusco sul Naviglio, per l’Ospedale San Salvatore’ (L’Aquila) e per l’’Hyatt Hotel’ di Milano. Da parte dell’amministrazione militare statunitense, Impregilo ha ottenuto i lavori per la realizzazione di un villaggio residenziale per gli addetti della base aeronavale di Sigonella, in Sicilia, dove proprio la società di costruzioni aveva perso qualche anno addietro un importante contratto per l’ampliamento dell’infrastruttura. L’appalto fu assegnato alla ‘C.M.C. di Ravenna’, società presente nel consorzio italo-colombiano ‘Porce II, che pure aveva presentato un’offerta maggiore di un miliardo di lire a quella dell’Impregilo. Un’inchiesta della magistratura ha poi rilevato la presenza di imprese della mafia catanese nei cantieri di ampliamento della base di Sigonella.
Sempre in Sicilia, l’Impregilo in associazione temporale con la ‘Hera’ e la ‘Tecnoedile’ ha avviato la realizzazione della ‘Nuova Pretura di Palermo’, definita dal sindaco Leoluca Orlando “il più grande edificio pubblico mai costruito in città”. Analoga soddisfazione è stata espressa nel capoluogo siciliano da altri amministratori per le ‘professionalità’ della società costruttrice. In pochi però hanno ricordato la discutibile presenza dell’Impregilo in uno dei consorzi indagati dalla Procura antimafia di Palermo, attivo nel settore dello smaltimento dei rifiuti. Secondo quanto rivelato dalla Commissione Parlamenatre d’inchiesta sulla cosiddetta ‘Ecomafia’, presieduta dall’on. Massimo Scalia, il nome dell’importante società costruttrice compare nella cosiddetta ‘Operazione Trash’, che ruota attorno ai forti legami tra la ‘De Bartolomeis’, società leader nel Mezzogiorno nello smaltimento dei rifiuti e nella realizzazione di discariche e impianti di riciclaggio, e alcuni boss mafiosi di Cosa Nostra, tra cui Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Angelo Siino e Vincenzo Virga. Tra i personaggi centrali dell’indagine Romano Tronci, ‘consulente’ della ‘Termomeccanica’ (società acquisita dall’ex manager Fiat Enzo Papi), imprenditore-cerniera tra gli ambienti finanziari, politici, massonici e criminali siciliani e non.
“Qual è il ruolo dell'Impregilo nella vostra indagine?” chiede l’on. Scalia al dottor Biagio Insacco, procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo in occasione dell’audizione del 22 luglio 1998 della Commissione parlamentare d’inchiesta. “E' un ruolo minore” risponde il procuratore. “Purtroppo si verifica spesso che imprese di rilevanza nazionale mettano solo il loro nome e i lavori vengano realizzati da imprese locali; il caso è un esempio classico di questo modus operandi. Si tratta di un'impresa, che, tramite suoi dirigenti, si è prestata ad intrattenere rapporti con imprese locali facenti parte di questo raggruppamento la cui riconducibilità alla famiglia di Boccadifalco appare evidente anche sulla base di rapporti parentali. Dalle indagini, è emerso che alcuni dirigenti che hanno operato in Sicilia hanno intrattenuto rapporti diretti con Angelo Siino e Antonino Buscemi, i due soggetti che nel settore degli appalti pubblici palermitani per aspetti diversi hanno avuto un ruolo importante, se non altro perché, essendo soprattutto a Buscemi Antonino riconducibili società nel settore del calcestruzzo e degli inerti ed essendo indispensabili per questo tipo di attività i rapporti fra società operanti nel settore degli appalti e società operanti nel settore delle forniture”.
“Non si può quindi parlare una presunzione di innocenza, nel senso comune e non giudiziario del termine” commenta tuttavia laconico l’on. Massimo Scalia. “Le dichiarazioni dei collaboratori sono state riscontrate per quanto riguarda i collegamenti ed i rapporti societari” – aggiunge il Procuratore Biagio Insacco. “Oltre ai rapporti attuali tra alcuni soggetti che hanno operato per conto dell'Impregilo e il Buscemi, ve ne sono di precedenti riguardanti l'ex gruppo Ferruzzi (si tratta di soggetti che hanno transitato da un gruppo all'altro). O questi soggetti hanno vissuto senza rendersi conto dello spessore mafioso di coloro con i quali per molti anni hanno avuto a che fare - e questa è la loro tesi -oppure no….” ([33]).
Aeroporti e ferrovie il business del 2000
Qualche incidente di percorso l’Impregilo lo ha avuto anche nel nord-est d’Italia. Sempre nel 1999, la società è stata esclusa infatti dal Consiglio di Stato dai lavori per la ristrutturazione del teatro ‘La Fenice’ di Venezia. L’organo amministrativo ha fatto suo il ricorso del conzorzio italo-tedesco ‘Romagnoli-Holzman’ che avevano denunciato come all’Impregilo fosse stato attribuito l’appalto nonostante le difformità dal bando di concorso e una serie di errori ed omissioni nella presentazione dei documenti.
Sicuramente migliore il panorama finanziario in Sud America. Nello stesso anno l’Impregilo si è aggiudicata infatti i lavori di ‘Risanamento del Río Reconquista’ in Argentina e di costruzione dell’’Autostrada Oriente-Ponente’ in Cile. Nella Repubblica Dominicana la società ha ottenuto un progetto di bonifica e ristruttuazione dell’acquedotto di Santo Domingo e i lavori di ampliamento dei 4 maggiori aeroporti del paese. Impregilo, in consorzio con la statunitense ‘Ogden Corporation’s Aviation’, la canadese ‘Vancouver Airport Services’ e la ‘Operadora de Aeropuertos del Caribe’ - società di uomini d’affari e costruttori domenicani – ha inoltre ottenuto la concessione per la gestione ventennale delle infrastrutture aeroportuali della Repubblica Dominicana ([34]).
Maggiore il portafogli lavori dell’anno 2000. In febbraio le Ferrovie dello Stato italiane hanno ratificato l’accordo tra la ‘TAV S.p.a.’, società concessionaria, la ‘General Contractor Fiat’ e il ‘Consorzio Cavet’ (di cui Impregilo è leader con una quota del 76%) per la costruzione della ‘Variante Firenze-Castello’ per un importo di 2.000 miliardi di lire. Con questa nuova tranche, i lavori per la devastante tratta dell’Alta Velocitá della Firenze-Bologna (94 km di perforazioni e gallerie nell’Appennino), raggiungono i 6.100 miliardi di lire, di cui 4.640 in quota commesse all’Impregilo.
Nel giugno 2000 è stata presentata inoltre la ‘Leonardo S.p.a.’, il consorzio tra Impregilo, ‘Italpetroli’, ‘Falck’, ‘Gemina S.p.a.’ e ‘Medowale Ltd.’, che ha acquisito dall’Iri il 51,2% del capitale degli ‘Aeroporti di Roma’, la societá che gestisce gli scali capitolini di Fiumicino e Ciampino in via di privatizzazione. L’operazione finanziaria, stimata intorno ai 2.570 miliardi é finalizzata alla realizzazione di un piano di sviluppo infrastrutturale con investimenti per circa 1.000 miliardi. La ‘Leonardo S.p.a.’ prevede infatti di aumentare la capacitá di ricezione di Fiumicino (rifacimento e allungamento delle piste, ammodernamento e realizzazione di moli, ecc.), per passare dall’odierno traffico di 25 milioni di passeggeri all’anno, ai 35 milioni entro 5 anni.
Sempre nel territorio italiano, l’Impregilo, attraverso la controllata ‘Mazzi’ di Verona ha ottenuto la commessa per la ricostruzione del ‘Teatro Verdi’ di Pordenone (39 miliardi di lire); inoltre ha avviato i lavori di costruzione del nuovo ‘Auditorium’ di Roma (63 milioni di euro), e di ampliamento dei locali della ‘Facoltà d’Ingegneria’ e del ‘Policlinico’ dell’Università di Messina. Quest’ultimo appalto verrá gestito dalla controllata ‘Bocoge’ ed avrá un valore di 73,8 milioni di euro. Sempre nella città siciliana, l’Impregilo non nasconde i suoi interessi a partecipare alla realizzazione e alla gestione di una delle più devastanti opere infrastrutturali preannunciate da tutti i governi succedutesi nella storia della Repubblica: il ‘Ponte sullo Stretto’, oltre 15.000 miliardi di lire d’investimenti.
Attraverso un’altra societá controllata, la ‘Fisia’, Impregilo si é affermata nel settore delle tecnologie ambientali e nei redditizi mercati dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Alla ‘Fisia’ é stato assegnato un megaprogetto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti delle province di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno, per un valore di 233 milioni di euro. La Presidenza della Regione Campania ha inoltre sottoscritto con un consorzio internazionale capitanato da ‘Fisia’ un contratto decennale di 800 miliardi di lire per il servizio di smaltimento dei rifiuti nella provincia di Napoli. Il programma prevede la chiusura delle discariche, la lavorazione dei rifiuti con produzione di combustibile derivato ed energia elettrica, e il “riutilizzo della frazione organica inertizzata per il risanamento di cave dismesse”. Il progetto tuttavia ha destato forti perplessità tra le organizzazioni ambientaliste e vivaci proteste tra gli abitanti di Acerra, comune dove sorgerà l’inceneritore per i rifiuti.
Ulteriori polemiche ha destato la presentazione di un megaprogetto urbanistico nella città di Sorrento, dove Impregilo prevede di ampliare il porto commerciale, completare il porticciolo turistico, modificare l’assetto di vie e piazze del centro storico, installare una serie di ascensori di interconnessione e costruire tre grandi parcheggi per oltre un migliaio di auto. “Questo piano viola la normativa di impatto ambientale e di tutela paesaggistica” hanno denunciato le organizzazioni ambientaliste campane. “La Giunta municipale lo ha approvato senza acquisire i pareri della Soprintendenza Archeologica e dei Beni Ambientali ed Architettonici. Manca altresí una perizia geologica a fronte di un rilevante deturpamento del paesaggio e dello stato dei luoghi”. Costo totale dell’operazione 42 miliardi e 850 milioni di lire. Con la convenzione firmata con il municipio di Sorrento, Impregilo ottiene infine la gestione per 25 anni del porto e dei parcheggi.
In ambito europeo Impregilo é stata operativa particolarmente nel settore transalpino. Grazie ad un consorzio italo-francese, la societá ha infatti acquisito un contratto per 24,3 miloni di euro per la riabilitazione e l'ammodernamento del lato francese del traforo del Monte Bianco; attraverso la controllata ‘CSC’ di Lugano, l’Impregilo ha acquisito il 15% della quota contrattuale per la realizzazione del ‘Tunnel di Uetilberg’, Svizzera, nell’ambito del progetto ferroviario ‘Alptransit’, anch’esso dal notevole impatto ambientale.
Impregilo si é confermata una societá leader nei paesi del Golfo Persico, dove ha ottenuto lavori per 390 milioni di euro. In consorzio con ‘Enalpower’ del ‘Gruppo Enel’, sono stati avviati i lavori per la realizzazione di una centrale elettrica da 850 Mw e di un impianto di dissalazione a Jebel Ali negli Emirati Arabi Uniti. Altri due impianti di dissalazione sono stati avviati dalla ‘Fisia’ a Al Hidd (Bahrein) e Mirfa (Abu Dhabi), sempre negli Emirati Arabi Uniti. Infine la società si è assicurata la commessa per la realizzazione di 4 dissalatori in Qatar, valore 400 miliardi di lire.
Sempre ingenti gli affari nel continente americano dove Impregilo in consorzio con ‘Acea’, la societá degli acquedotti romani e la ‘Castalia’, ha ottenuto nel gennaio 2000 la concessione della rete idrica di Lima, piú un contratto per la gestione e il mantenimento per 25 anni dell’impianto di trattamento e potabilizzazione delle acque del Río Chillón, nella zona nord della capitale peruviana. Valore complessivo delle commesse, 330 milioni di dollari. Sempre nel settore idrico, Impregilo ha acquisito la concessione di un acquedotto nella provincia di Buenos Aires al servizio di 2 milioni e mezzo di abitanti. In joint venture con la ‘Gilbert Southern Corp.’, la controllata nordamericana dell’Impregilo ‘S.A. Healy Company’ ha ottenuto un contratto per 113 milioni di dollari per la costruzione di un ‘Tunnel sotterraneo idraulico’ nell’ambito del sistema di raccolta e smaltimento delle acque reflue di Chattahoochee, nella contea di Cobb, a nord-ovest della città di Atlanta (Stati Uniti). Il tunnel insieme alla contemporanea commessa per la realizzazione del ‘Laboratorio Fermi’ ha segnato il ritorno di Impregilo sul mercato nordamericano dopo alcuni anni di assenza.
Note:
[1] O. Ordoñez Carmona, “Diagnostico Geológico-Geotécnico de los procesos asociados a la inestabilidad de las laderas en la zona de Mestizal”, Medellín, Noviembre de 2000, pag.1.
[2] O. Ordoñez Carmona, “Reconocimiento patológico de algunas de las propiedades afectadas por la instabilidad de las laderas en la zona de Mestizal”, Medellín, Diciembre de 2000, pag. 13.
[3] O. Ordoñez Carmona, “Reconocimiento patológico de algunas de las propiedades afectadas por la actividad asociada a la construcción del proyecto de interconexión vial Aburrá-Cauca, en la zona de Piedra Negra y Llanos de San Juan”, Medellín, Diciembre 2000, pag. 5.
[4] Gerencia Proyecto Aburrá-Río Cauca, “Avance Físico y Financiero”, Medellín, Febrero del 2001, pagg. 6-7.
[5] Autoritá municipale che difende gli interessi legittimi della popolazione di fronte i possibili abusi dello Stato.
[6] Instituto Nacional de Vías, “Conexión vial entre los valles de Aburrá y del Río Cauca”, Informe Ejecutivo, Medellín, Junio de 1996.
[7] Ibidem.
[8] Gerencia Proyecto Aburrá-Río Cauca, “Avance Físico y Financiero”, cit., pag. 8.
[9] ‘El Colombiano’, 4 novembre 2000.
[10] ‘El Colombiano’, 3 marzo 2001.
[11] ‘El Colombiano’, 20 aprile 2001.
[12] ‘El Colombiano’, 28 aprile 2001.
[13] ‘El Colombiano’, 10 maggio 2001.
[14] Asamblea Permante por la Paz de Antioquia, “Algunas consideraciones sobre la violencia urbana en la ciudad de Medellín”, Documento preparatorio de la III Plenaria Regional, Medellín, 26 de mayo de 2001, pagg. 20-1.
[15] Corporación Región, “Estado de los derechos económicos, sociales y culturales en Medellín”, Medellín, dicembre 2000.
[16] Planeación y Desarrollo, “La competitividad de Antioquia, el gran reto de hoy”, Informe Especial, Cámara de Comercio de Medellín, No. 21, Agosto-septiembre de 2000, pagg. 8-9.
[17] IPC, “Antioquia: fin de milenio: terminará la crisis del derecho humanitario?”, Medellín, 1999, pag. 33.
[18] A.I. Rivera, “El viejo sueno Pescadero-Ituango, una realidad” en ‘Cámara de Comercio de Medellín’, agosto de 2000, pag. 13.
[19] ‘El Colombiano’, 10 maggio 2001.
[20] J. Colajacamo, “Dal debito al credito: Guatemala la diga di Chihoy”, in AA.VV., ‘Debito da Morire’, Baldini & Castoldi, Milano, 2000, pag. 196.
[21] Ufficio dei Diritti Umani dell’Arcivescovado di Guatemala, ‘Guatemala Nunca Mas’, La Piccola Editrice, Montefiascone, 1998, pag. 243.
[22] Reform the World Bank Campaign Italy, ‘The Chixoy dam in Guatemala: the genocide of the Naya Achí’, Rome, 2000.
[23] Witness for Peace, “A People Dammed: The Impact of The World Bank Chixoy Hydroelectric Project in Guatemala”, New York, 1995.
[24] Environmental Eights Action, “The Kainji Dan Flood”, Era Field Report, No. 19, January 11, 1999.
[25] Leo Arrigoni, “Castori. Il romanzo degli italiani che hanno cambiato la faccia della terra”, in http://www.leoarrigoni.com/castorib.html.
[26] ‘The Kathmandu Post’, January 17, 2000.
[27] Liliana Cori, “Banca Mondiale, grandi progetti e ambiente”, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Roma, 1999, in http://www.utopieconcrete.it/dirittiumaniest.html.
[28] International Rivers Network, “Bribes by Major International Dam-building Companies Taint World Bank-Funded Lesotho Water Project”, Press Release, August 2, 1999.
[29] World Bank, “Annual Meeting News”, October 13, 1991.
[30] European Rivers Network, “The Ilisu Dam Project”, River Net, novembre 1998.
[31] Impregilo, “Approvata la relazione trimestrale al 31/3/2000”, Comunicato Stampa, http://www.impregilo.it/news/documenti/com105_it.htm.
[32] Latin America’s Foremost Buisiness Information Source, “Headline News”, July 23, 1996.
[33] Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, Seduta di mercoledì 22 luglio 1998.
[34] Airwise News, 19 marzo 1999.