dossier sul lavoro interninale

 

 

Offriamo ai lettori un materiale sul lavoro interinale. Su questa forma contrattuale si è scritto parecchio, ma vi sono pochi materiali che si liberano dallo gabbia dei diritti (che presumono anche doveri). Noi come Centro di Ricerca per l’Azione Comunista, crediamo che siano i rapporti di forza gli unici elementi centrali per analizzare l’attuale stato del conflitto tra le classi, e in questo senso va letta l’introduzione del lavoro interinale. Il padronato si può permettere una maggiore pressione sulla classe, dal momento che questa non si manifesta in maniera collettiva. Non si tratta quindi di invocare moralisticamente migliori diritti, l’unico diritto che ha il proletariato è quello all’insurrezione, ma di muoversi là dove porzioni di classe si muovono, partendo da un terreno difensivo, con pratiche di azione che rompono con il consociativismo e la concertazione, contro  padroni e Stato. E’ nel manifestarsi dell’autonomia proletaria all’interno della classe che noi intravediamo il movimento storico verso il comunismo. Tutto questo non è ininfluente nell’analisi del lavoro interinale, ma significa porsi come militanti comunisti su un terreno che non si basi sul vuoto populismo. E’ necessario studiare il capitalismo e confrontarsi fra rivoluzionari, poiché l’azione autonoma dei lavoratori dovrà possedere anche una sua indipendente elaborazione che si distacchi dall’ideologia borghese, e questo materiale è un piccolo contributo a questo processo. Le agenzie di lavoro interinale, non possono essere chiuse buttando giù le vetrine delle filiali (anche se è decisamente divertente vedere la faccia delle signorini e delle signorine che vedono infrangersi la vetrina), ma partecipando e incrementando l’azione proletaria autonoma, che coinvolge proletari, operai e disoccupati.

Gli interinali sono un elemento all’interno del proletariato, e la loro risposta alla crisi, assumerà un ruolo sempre più centrale, visto il numero e la collocazione di classe.

 

facciamo pagare la crisi ai padroni

contro il capitalismo

per la passione comunista

per la comunità umana

 

<<Sono più di 200mila gli occupati interinali che sono stati inviati in missione nel primo semestre di quest’anno e per il secondo semestre le missioni previste sono 390mila>> (Il Sole 24 Ore del 14/8/00)  

Lavoro interinale: un tassello della precarietà sociale diffusa

La legge finanziaria varata lo scorso anno per il 2000, approvata da associazioni imprenditoriali e sindacati confederali, ha reso possibile l’estensione del lavoro interinale alle basse qualifiche e ai settori edile e agricolo. Queste aperture, insieme all’accordo siglato precedentemente a metà Aprile del ’98 tra le “parti sociali” e ai contratti collettivi nazionali di categoria firmati nel ’99, hanno completato il quadro del “lavoro temporaneo”. Il lavoro ad interim era stato  introdotto in Italia dalla legge 196/197 contenuta in quell’insieme di norme “per la promozione dell’occupazione” ribattezzate “pacchetto Treu”, dal nome dell’allora ministro del Lavoro del governo Prodi, annullando il divieto esplicito di appalto o dell’intermediazione di manodopera sancito nel 1960.

Infatti, prima dell’introduzione del lavoro interinale la legge 23 ottobre 1960 vietava esplicitamente l’appalto o l’intermediazione di manodopera, universalmente conosciuta  come ‘caporalato’.

Il lavoro ad interim fa parte di quelle normative che regolamentano i contratti di lavoro, tese a rafforzare la flessibilità e la precarietà dei lavoratori attraverso un processo politico-legislativo che il governo di centro-sinistra, con l’avvallo dei sindacati confederali e dell’opposizione di facciata del gotha di Rifondazione Comunista. Rif com e la sinistra sindacale in un secondo momento hanno iniziato una campagna contro questa forma contrattuale, ma i buoi erano già scappati dalla stalla...

Questa particolare misura legislativo-sociale viene attuata contemporaneamente a un razionalizzazione del ruolo dello Stato nell’economia che incide in vari modi sulla vita dei lavoratori da un lato individualizzando sempre più il rapporto di lavoro tra singolo lavoratore e impresa e dall’altro rafforzando il controllo politico-sindacale su tutta la forza lavoro. Queste misure tese a “riformare” lo Stato e a trovare la soluzione ai problemi della crescita del debito pubblico possiamo così riassumerle:

° nelle trasformazioni del welfare state in workfare state: assistenza monetaria in cambio di un lavoro sotto-retribuito, tal volta non contribuito (come i lavoratori socialmente utili), e con garanzie previdenziali e prospettive occupazionali pressoché nulle (che si accompagna alla privatizzazione di alcuni “servizi: sanità, scuola, trasporti, ecc.). A questa modalità di trattamento sono soggetti particolarmente i disoccupati di lunga durata, i lavoratori in cassa integrazione ed in mobilità, rientranti tra l’altro in quelle tipologie di soggetti che possono essere assunti con i ‘contratti d’area’ ed i ‘patti territoriali’. Inoltre, sia la riforma del collocamento pubblico, sia l’introduzione di altre indennità o sussidi più marginali, come reddito minimo d’inserimento ed il minimo vitale sono parte integrante di questo progetto [1].

Alcune agenzie interinali ante litteram esistevano prima di essere legalizzate. Ora, riciclandosi, risultano il fiore all’occhiello di questi novelli ‘promotori dell’occupazione’ come la CLEAN.CO, ora Sinterim, operante capillarmente su tutto il territorio nazionale, al capo della quale si trovava un senatore di Forza Italia,  rispondente al nome di Eugenio Filigrana, di professione commercialista, allora responsabile del lavoro per il partito dell’immarcescibile Silvio, poi nell’ UDR (ora Forza Italia), responsabile per ciò che concerne l’economia e professionalmente impegnato a risollevare le sorti di Postalmarket, per la sfiga dei già ampiamente tartassati e manganellati lavoratori-lavoratrici di quell’azienda.  

Lavoro interinale: ad uso ed abuso

<<Le capacità delle agenzie “progressiste” di offrire paghe e condizioni paragonabili a quelle fisse dipende interamente dalla prosperità attualmente attraversata dal quartiere d’affari di San Francisco. La Francia degli anni Sessanta, una fase di bassissima disoccupazione in una economia in espansione, conobbe un boom simile di agenzie per temporanei. Il lavoro temporaneo crebbe rapidamente per compensare l’assenteismo crescente e per assolvere a mansioni che i lavoratori fissi non volevano svolgere. Inizialmente i lavoratori temporanei francesi ricevettero salari che erano uguali o migliori rispetto a quelli percepiti da molti degli impiegati stabili [come in Italia ora !!!]. Ma dalla crisi economica mondiale del 1973/75 in poi, i salari reali sono diminuiti per tutti i lavoratori francesi, e molti temporanei adesso guadagnano solo la paga base. Con il ristagno dell’attività economica e col costante diminuire del numero di impieghi fissi, sempre più francesi si sono rivolti al lavoro temporaneo. Una volta impiegati come temporanei, i lavoratori si trovano sempre più intrappolati: i lavori durano sempre meno con intervalli più lunghi tra di loro, le paghe sono basse e scarsissime le probabilità di uscire dal ciclo “basso reddito/sottoimpiego”.>> (L’ascesa del lavoratore interinale’ di Lucius Cabins da Processed World)

Tale tipologia di contratto era formalmente consentita solo per la sostituzione di una persona assente o per professionalità non previste dai normali assetti produttivi. La campagna mass-mediatica oltre a santificare in senso propagandistico tale strumento di flessibilità, ha contribuito inoltre a far saltare quei paletti contenuti nei provvedimenti legislativi che, in un certo qual modo, restringevano formalmente la sua azione e conseguentemente ad utilizzare le successive messe a punto per via concertativa e ora contrattuale, con la finalità di ampliare radicalmente le sue possibilità di attuazione. Così l’intesa raggiunta avente una natura provvisoria e sussidiaria rispetto alle contrattazioni di categoria, ha definito quelli che erano i tasselli mancanti per una piena operatività di questo nuovo contratto: percentuali, causali, mansioni escluse. Possono essere assunti con un contratto di lavoro temporaneo l’8% dei lavoratori sul totale dei lavoratori occupati, da calcolare come media su base trimestrale. Questo vuol dire che se durante quattro mesi un’impresa non fa ricorso al lavoro temporaneo, accumula questa percentuale per i mesi successivi fino a potere utilizzare un 24% di contratti di interinale. Per le piccole aziende sono invece consentiti fino a 5 contratti di lavoro temporaneo, sempre che non venga superato il limite il totale dei lavoratori assunti a tempo indeterminato. Tre sono i casi indicati nell’accordo, oltre quelli della legge, in cui si potrà ricorrere all’interinale: per punte di intensa attività determinate dall’acquisizione di commesse o di lancio di nuovi prodotti o anche indotte da altri settori; quando il contratto di lavoro temporaneo si leghi all’esecuzione di un’opera, di un servizio o di un appalto definiti e predeterminati nel tempo che non possono essere realizzati solo ricorrendo a normali assetti produttivi; infine per l’esecuzione di particolari commesse che per la specificità del prodotto o delle lavorazioni richiedono l’impiego di professionalità e specializzazioni diverse da quelle impiegate in azienda, o che abbiano un carattere eccezionale o anche che siano carenti sul mercato del lavoro locale.

Per quanto riguarda l’ultimo punto, ossia le basse mansioni escluse, l’intesa le individuava in quelle che non rientrano tra le “professionalità intermedie” previste dai contratti di formazione lavoro. In particolare, questo voleva dire che erano esclusi i primi due livelli più bassi per il settore metalmeccanico, solo il primo per il settore tessile e così via per ogni categoria produttiva.

Ora grazie al solito accordo peggiorativo, in barba alle bozze distribuite ai lavoratori prima dei vari rinnovi dei CCNL, i lavoratori interinali possono essere assunti al livello più basso, reinserendo, come nel caso dei metalmeccanici il 1° livello che era stato abolito! Alla contrattazione di secondo livello è demandato il capitolo delle retribuzioni ed eventuali misure specifiche per i vari comparti. In ultimo, l’accordo sancisce l’obbligo di comunicazione delle imprese che stipulano contratti di lavoro temporaneo  alle Rsu o alle organizzazioni sindacali locali con l’indicazione del numero e dei motivi del ricorso. Un obbligo preventivo anche se, nei casi d’urgenza e necessità, potrà essere effettuata entro i tre giorni successivi alla firma del contratto.

Le inadempienze di aziende e agenzie, e lo ‘sfondamento’ del tetto di lavoratori temporanei utilizzabili, oltre ad alcuni accordi di categoria, vedi comunicazioni e ristorazione, danno il quadro del lassismo delle RSU e della forza dei padroni di imporre comunque le loro necessità a livello di organizzazione del lavoro.

Da una parte i sindacati confederali mantengono un controllo sull’esecuzione di questo tipo di contratti, dall’altra vengono notevolmente ampliate le possibilità di utilizzazione di questo strumento anche se le agenzie di lavoro interinale non rinunciano a voler alzare la percentuale di lavoratori temporanei utilizzati. <<D’altra parte, negli USA c’è una percentuale fissa del 10% a cui si aggiunge la possibilità di un ulteriore 10%>> ha commentato subito dopo l’accordo Maura Nobili, Italy country manager, di Manpower per l’Italia, che inoltre, rispetto alle qualifiche, dichiara <<troppo generiche, non sono state definite le mansioni e, soprattutto, non sono contemplati i giovani disoccupati oppure i lavoratori in mobilità>>. Comunque le gratificanti affermazioni del personale politico di governo con responsabilità competenti e gli accondiscendenti sindacati in particolare, nonchè tutto il personale politico in generale, lasciano ipotizzare una futura e non lontana estensione di questo strumento. Secondo le Multinazionali il mercato italiano dovrebbe, a regime tra cinque anni nel 2004, assestarsi sulle caratteristiche e sulle dimensioni del mercato francese. 

I dati di Ottobre del ’98 rilevati da Confinterim (confederazione di società di fornitura di lavoro temporaneo che unisce Asso-interim e Federinterim) parlano di un uso da Gennaio ad Ottobre ’98 di 40.000 lavoratori assunti con contratto di lavoro interinale, quando il vero decollo s’è verificato da Giugno, dopo l’accordo interconfederale tra sindacati e imprenditori. Sono: 19.898 operai e 10.288 impiegati; l’industria metalmeccanica è in prima fila come aziende utilizzatrici con il 37,8%, il terziario al secondo posto con 28,4%, mentre le altre industrie arrivano al 25,5%. Per quanto riguarda invece la diffusione la Lombardia è in testa con 14.342 lavoratori, secondo il Piemonte con 5.595 seguito dall’Emilia-Romagna 3.899 ed il Veneto con 3.410, vengono poi il Lazio con 2.793 e la Puglia, che tra le regioni meridionali è quella che supera tutte con 1.720 lavoratori. Nel meridione i settori dell’economia sommersa come il tessile (piccole, medie e grandi industrie) e l’edilizia o dove il margine di illegalità del rapporto di lavoro è più alto come il turismo risultano talvolta centrali. L’unico caso di flop risulta essere una agenzia di lavoro interinale che a Palermo ha chiuso i battenti, mentre nelle zone economicamente più vitali della regione, come il ragusano ed il siracusano, il lavoro interinale ha attecchito e punta ad un maggiore sviluppo. Nel ’98 hanno lavorato per le agenzie di lavoro interinale quasi 60.000 persone, per un totale di circa 10 milioni di ore : sono stati prevalentemente operai(51%), impiegati(49%) con una proporzione di lavoratori(54%) in questo impiego, leggermente superiore a quello delle lavoratrici(46%). L’età media è stata 30 anni e la durata dell’incarico ha scarsamente superato le quattro-sei settimane. L’industria metalmeccanica ha utilizzato il 37,8% dei lavoratori interinali, mentre gli altri settori industriali in complesso ne hanno impiegati il 25,5%. Il commercio ed i servizi si sono assestati sul 28,4% del totale dei lavoratori a tempo.

Il boom del lavoro interinale

Da allora il lavoro interinale, che a Maggio del 2000 è stato introdotto anche nel settore pubblico (scuola, sanità, pubblica amministrazione, ecc.) ha fatto breccia in molti settori: si possono affittare colf, cassiere, baristi, carrellisti, magazzinieri, conducenti di autobus, impiegati, operatori telefonici, necrofori e naturalmente operai generici. Questo strumento si è sommato, vista la mancata determinazione formale di un “tetto” sulla percentuale dei lavoratori impiegati con un contratto precario in un posto di lavoro, ad altre modalità di assunzione a tempo determinato, come l’apprendistato, i contratti a tempo determinato, il part-time, ecc., ed alle strategie di “esternalizzazione” della manodopera affidate a cooperative e ad aziende fornitrici di servizi alle imprese.

Progressivamente si sono ampliati i margini e le modalità di assunzione con questi contratti, modificando costantemente il quadro legislativo, e fluidificando la relazione tra domanda e offerta di lavoro, ampliando la flessibilità in entrata e in uscita della manodopera, promuovendo la percezione tra i lavoratori che non vi siano altri orizzonti se non quelli della pervasiva e stagnante palude della condizione precaria alla quale costantemente adattarsi, pena l’esclusione sociale [4].

Alcuni esempi sono la liberalizzazione e l’incentivazione del part-time, la possibilità di firmare contratti week-end, la creazione di contratti ad hoc per zone geografiche particolari, non solo al sud  (come i patti territoriali, i contratti d’area), l’introduzione del lavoro di coppia, o job-sharing, e via discorrendo, fino all’accantonamento prossimo venturo del Contratto di Formazione Lavoro, poco gradito da L’Unione Europea [5].

Dal suo avvio il LT ha aumentato cospicuamente il suo bussiness: apertura di nuove filiali e specializzazione dei campi di intervento di queste (manufatturiero, impiegatizio, personale informatico, turistico-alberghiero, ecc.), come differenziazione delle zone geografiche ( la zona industriale nord di una città, piuttosto che quella sud, ecc.) [6].

Dalla sua ascesa iniziale avvenuta nell’autunno-inverno del ’98, l’interinale si è ampliato su tutto il territorio nazionale, concentrandosi nel nord, dove sono occupati circa i 2/3 dei lavoratori temporanei. Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna sono le regioni in cui viene maggiormente utilizzato. Relativamente  al primo trimestre di quest’anno sono stati firmati più di 56.000 contratti in Lombardia, quasi 30.000 in Piemonte, circa 20.000 in Veneto e 17.000 in Emilia Romagna. Queste regioni sono le attuali motrici dell’economia, hanno i più elevati tassi di occupazione, la più alta percentuale di contratti precari e sono la meta “preferita” dell’immigrazione interna e della emigrazione extra-comunitaria.

Nel 1999 il lavoro interinale ha interessato circa 250.000 lavoratori, per un totale di 55 milioni di ore lavorate:  <<è come se il lavoro temporaneo fosse un’azienda di 35.000 persone che lavorano a tempo pieno per tutto l’anno>>, ha dichiarato il segretario generale di Confinterim, Francesco Salvaggio, cogliendo le caratteristica “itinerante” di questi lavoratori, che oltre a passare da azienda ad azienda, passano da agenzia ad agenzia a seconda delle offerte che gli vengono proposte.

Il suo sviluppo ha contribuito cambiare ulteriormente i connotati del mercato del lavoro nei settori interessati, la percezione dei lavoratori precari che se lo vivono come pane quotidiano e dei lavoratori fissi, che lo vedono insieme alla disoccupazione, come una ulteriore minaccia per sé.

Per le fasce più giovani dei lavoratori interinali, specialmente se provenienti dal sud, cioè oltre il 60% del totale, o per molti lavoratori extra-comunitari, l’agenzia di lavoro interinale è  l’attuale tramite obbligato per accedere ad una occupazione solitamente nel settore manufatturiero (con il settore metalmeccanico in testa), nella grande distribuzione (iper-mercati e centri commerciali), nel settore albelghiero-turistico, nell’assistenza telefonica ai clienti (call-centers).

L’interinale tipo, assecondando le semplificazioni statistiche, è maschio, ha ventotto anni, è metalmeccanico.

Le missioni svolte dai lavoratori interinali presso le aziende utilizzatrici riguardano mediamente mansioni a basso contenuto professionale, cioè quelle solitamente più ripetitive e usuranti, per periodi che vanno da qualche giorno, a qualche settimana, da alcuni mesi fino ad un anno e più, a seconda che si tratti di una urgenza momentanea, un picco di produzione o una stagionalità di punta, o se si voglia procedere - per le aziende di una certa dimensione, in una fase di espansione delle proprie quote di mercato - ad una scrematura che, a tappe successive, selezioni e formi del personale abituato ad un continuo ricatto sul suo futuro occupazionale e tendenzialmente incline ad assecondare la ditta in tutto e per tutto. Non vi è infatti nessuna garanzia di una assunzione diretta da parte della ditta utilizzatrice - nemmeno a tempo determinato – e spesso il rinnovo del contratto, o la sua cessazione temporaneamente definitiva, viene comunicata all’ultimissimo momento al lavoratore e a cui talvolta viene fatta firmare la proroga, in base ad un ipotetico principio di silenzio dell’agenzia e di assenso dell’azienda, dopo la scadenza effettiva del contratto.

Vista poi la scarsa attenzione e la generale lacuna di competenze in materia delle R.S.U., dei lavoratori ‘fissi’ o ‘precari’ e degli interinali stessi, l’utilizzo dei lavoratori temporanei ha spesso superato le quote fissate legislativamente e confermate dagli accordi di categoria, dove non sono intervenuti accordi peggiorativi, come nel caso del commercio che prevede l’utilizzo del 13% non cumulabile di lavoratori interinali su base mensile.

 

Cosa offre la piazza: ruolo delle associazioni dei sindacati confederali

 

Le associazioni  (si noti bene associazioni e non federazioni di categoria) nate all’interno delle centrali confederali, sono un puro prodotto delle burocrazie sindacali e non si poggiano su nessun precedente processo organizzativo di lavoratori precari. Per ora le porzioni di precariato che si sono recentemente attivate nel pubblico (Lavoratori Socialmente Utili, Lavoratori di Pubblica Utilità, i precari del settore scolastico, ecc.) come nel privato (i 147 lavoratori a tempo determinato della Fiat Mirafiori a Torino, i circa 90 interinali alla Ducati-Motor di Bologna) hanno chiesto, non una maggiore tutela formale della loro condizione contrattuale, ma un cambiamento sostanziale della loro condizione sociale, muovendosi per un assunzione in pianta stabile, anche se quest’ipotesi non rientrava nei progetti della pubblica amministrazione o della  direzione aziendale. Mentre le strutture sindacali degli interinali fino ad ora non hanno avuto una grande popolarità ed hanno avuto una bassissima quota di adesioni, pretendono da un lato di tutelare il lavoratore precario, e dall’altro di promuovere al tempo stesso la precarietà, citando direttamente la brouchure di presentazione: <<a conquistare diritti di cittadinanza che sono ormai consolidati (se lo dicono loro…ndr) nel mondo del lavoro dipendente>>fornendo tra l’altro<<informazioni sulle opportunità di lavoro nella tua zona, sulle occasioni di formazione e di riqualificazione personale>>[7]. Pretendono di tutelare un lavoratore che dal punto di vista del profilo giuridico, cioè dal punto di vista del diritto del lavoro, è per sua stessa esistenza non-tutelato, è in balia delle alterne fluttuazioni economiche aziendali, cioè il più esposto alle sue continue ristrutturazioni tecnico-produttive e più in generale alle conseguenze sul mercato del lavoro del ciclo economico. <<Il capitalismo ha sempre più bisogno di una produzione d’avanguardia, efficiente, razionale, programmata, ricca di macchine automatiche e quindi di investimenti, che però è diventata, paradossalmente, la cenerentola del sistema rispetto all’immensità di capitali che si muovono sui mercati. Schiacciata dai cicli di valorizzazione che i grandi manovratori di capitali vogliono sempre più brevi, la fabbrica reagisce ristrutturandosi in continuazione, adoperandosi come può e sa per sostenere la concorrenza e la richiesta di produzione a condizioni sempre più competitive>>[8].

Queste associazioni e le loro case-madri non sono state in grado nemmeno, o più precisamente non hanno voluto intraprendere alcun percorso vertenziale-rivendicativo a livello individuale (figuriamoci collettivo), nemmeno in caso di palese situazione di mancato rispetto delle norme contrattuali e legislative firmate da loro: lavoratori interinali in ‘sovrannumero’, conferme plurimensili come interinali dovute a picchi di produzione praticamente continui, scavalcando in questo modo altre forme contrattuali, in particolare i contratti a termine e i CFL, lavoratori interinali che hanno continuato a lavorare nello stesso posto di lavoro sebbene non gli fosse stata fatta firmare la proroga e nel qual caso, avrebbero dovuto essere assunti a tempo indeterminato dall’azienda o dall’agenzia…

In ogni caso l’ultima finanziaria si è incaricata di risolvere i problemi di aziende e agenzie, dovute anche ad una deficitaria preparazione sul piano del diritto del lavoro dei responsabili delle agenzie, che conformavano il loro comportamento al manuale pubblicato dall’estensore della legge, guida piuttosto lacunosa e ambigua in certi passaggi. Infatti i casi di inadempienza in cui una vertenza legale avrebbe potuto concludersi agevolmente con o l’assunzione a tempo indeterminato di uno o più lavoratori, o con un cospicuo risarcimento economico, saranno punibili con l’assunzione (o relativo risarcimento) con un contratto a tempo determinato [9].

 

Ruolo di queste associazioni in alcune vertenze

I vari Nidil (struttura della CGIL) in situazione di manifesto malcontento e di conflitto sono state attive artefici di una divisione dei lavoratori sul piano dell’organizzazione, tentando di separare ulteriormente i lavoratori ‘fissi’ da quelli ‘precari’, assecondando i dettami padronali di risoluzione il più possibile individuale di questioni che investono organicamente la totalità dei lavoratori di una azienda. Tentano di legittimare l’agenzia di lavoro interinale, facendola diventare giocoforza la propria interlocutrice privilegiata, mentre questa svolge palesemente solo una funzione di mediazione parassitaria. Hanno invitato per esempio la novantina di operai metalmeccanici che lavorano come interinali in una fabbrica da un periodo non trascurabile, a tesserarsi al NIDIL anziché alla FIOM come è successo alla Ducati-motor di Bologna con l’appoggio di un RSU iscritto alla FIOM. Hanno promosso addirittura l’elezione farsa dei rappresentanti sindacali dei lavoratori interinali per singola agenzia di riferimento, senza farli partecipare a nessun tavolo contrattuale, ma ricordandosi bene di fornire ad azienda ed agenzia i loro nominativi prima della scadenza dei loro contratti, con il risultato di non averli fatti riconfermare. Oppure hanno proposto ai lavoratori dei call-centers TIM a Bologna, già divisi a livello categoriale dai loro colleghi di una altra azienda che svolgono lo stesso lavoro (i lavoratori della Omnitel sono sotto il CCNL dei metalmeccanici), a federarsi al NIDIL per permettere ad un giovane burocrate ‘in erba’ di trattare con l’agenzia tutta una serie di inadempienze sulla busta paga!

Alla Fiat Mirafiori i pompieri sindacali di turno, visto che le centrali sindacali non sono da meno,  hanno ben pensato, dopo essere stati scavalcati dagli scioperi spontanei in vari reparti, di calmierare l’onesta incazzatura degli operai a termine - a cui tra l’altro il giorno precedente era stata consegnata la tuta nuova con il nome – a cui la Fiat aveva deciso di non rinnovare il contratto per motivi ‘tecnico-organizzativi’. Questi operai, risultato di una scrematura durata più di un anno, erano andati a lavorare anche i giorni successivi a Natale e S. Stefano, nonché durante il periodo dell’alluvione - benché la Fiat avesse dispensato in quell’occasione i propri dipendenti abitanti nelle zone più disagiate dell’obbligo di recarsi al lavoro. Avevano ingoiato tutto tacendo, sopravvissuti alla modernissima ‘selezione naturale’ dell’inferno aziendale con i suoi dictat di produttività ed efficienza, e dove regna il fascistissimo lavorare e tacere. Poi senza troppi complimenti, si sono visti mettere alla porta. Il segretario della V lega di Mirafiori non ha trovato di meglio da fare che far cessare i loro presidi di fronte ai cancelli, mentre all’interno i militanti più attivi di Fiom e SIN.Cobas cercavano di organizzare gli scioperi interni con cortei che avrebbero dovuto raggiungere i 147 lavoratori a termine. Il sindacato, in perenne attesa del confronto con l’azienda, eternamente rimandato, ha poi fatto fare il giro di politici, interessati solo a raccattare qualche voto, per farli infine diventare per una sera operai super-stars in una caustica trasmissione di TeleMontecarlo, per la serie: sarai il potente produttore del film della tua vita, a patto di dimenticare che a non vivere sei tu…

Assicurandosi così la non riassunzione di questi e ampliando senz’altro i problemi a trovare un'altra occupazione. Sulla vicenda è calato presto il silenzio, e in alcuni stabilimenti del gruppo gli operai sono stati messi in Cassa Integrazione, mentre la direzione procedeva verso un taglio dei tempi del 30%.

Queste strategie di marketing di bassa lega sulle spalle dei lavoratori servono forse a trovare, visto il processo di precarizzazione della forza-lavoro, una sicura occupazione a questi parassiti sindacali o aspiranti tali che vogliono gonfiare le fila dei bonzi di queste associazioni per il lavoro atipico. Facilita il proprio lavoro alle agenzie che si trovano a confrontarsi con un canale predefinito o addirittura a consigliarne l’utilizzazione per potersi scrollare di dosso alcune responsabilità, anziché doversi confrontare con una molteplicità di interessi coalizzati.

In questo modo tentano di esorcizzare le paure di coloro che hanno considerato giustamente la massicia utilizzazione dei lavoratori interinali come cavallo di Troia delle direzioni aziendali per peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro, o che vedono questi come una minaccia concreta di una loro possibile anticipata ‘rottamazione’. Quando però i lavoratori interinali che affluiscono alla azienda superano i trent’anni e magari hanno una famiglia da mantenere a proprio carico, la minaccia di trovarsi nei panni dei loro colleghi meno fortunati da parte dei lavoratori ‘fissi’, cambia la percezione che si ha della precarietà e questa appare come un destino da evitare come la peste, con tutte le palesi potenzialità di ricatto per mantenere o avere ‘il posto’ da un lato e la sua latente componente esplosiva dall’altro… Nel caso che l’economia non tiri come previsto, ci troveremmo tutti sulla stessa barca che affonda.   

 

Sindacalismo: azione praticabile o binario morto?

I lavoratori precari non hanno nessun potere contrattuale, si è nell’impossibilità di formare un raggruppamento categoriale omogeneo  per la molteplicità dei settori in cui si viene fatti lavorare. Per esempio, un operaio interinale nel corso anche di un breve periodo può vestire la tutina blu da metalmeccanico, la linda divisa bianca da alimentare, il camice di una catena della grande distribuzione, le protezioni più complesse per alcune lavorazioni più pericolose nel settore chimico, o anche vestire i panni che si è portati da casa per lavorare quando l’azienda non li vuole fornire! Solitamente si cambia l’agenzia per cui si lavora a fine contratto o quando sorgono i primi problemi dalla parte del lavoratore (consistenti e prolungate mutue, scarse prestazioni professionali, ecc.) o dall’altra parte (buste paga scazzate, ritardo nei pagamenti, più colloqui di lavoro per aziende che poi non assumono…, ecc.): in ogni caso il rapporto con l’agenzia non è assolutamente vincolante, come può esserlo invece quello con una coopeartiva.

I fenomeni di mutamento sociale sono ora la sempre maggiore proletarizzazione di crescenti fasce di forza lavoro autocotona e scolarizzata, l’allargarsi della forbice tra aspettative professionali (in termini di reddito e di collocazione sociale) e la realtà di lavori alienanti, mediamente scarsamente retribuiti, solitamente precari e senza sbocchi visibili va di pari passo con il precoce abbandono degli studi, l’analfabefismo di ritorno, l’impossibilità di un canale di  sintesi tra lavoro manuale e lavoro intellettuale di altre fasce più giovani del proletariato autoctono. Così mentre le prime si avvicinano progressivamente alla precarizzazione, alla dequalificazione e alla sotto-retribuzione delle proprie mansioni nei servizi( cooperative sociali, operatori dei call centers, lavoratori dei trasporti, ecc.) avvicinandosi alle fasce più deboli del settore, agli altri avviene lo stesso processo nel settore artigianale e manufatturiero o nei servizi all’impresa.

In questo senso si delinea una direttrice riformista di intervento nell’ambito del precariato sociale diffuso.

Si sviluppa un piano legalitario - para-legalitario nei casi di comitati o strutture di ‘base’ o ultra-legalitario nel caso di parti delle burocrazie politiche e sindacali - che sostiene battaglie più che altro mediatrici o di opinione.

Questa direttrice di marcia non fa presa su un interessamento diffuso ed un relativo attaccamento ad un quadro giuridico e contrattuale che viene preso come riferimento importante della propria costituzione sociale per una porzione di classe sempre più in espansione, proprio perché il senso comune della precarietà è il non avere più nessun referente preposto alla tutela, né nessun corpo di diritti per così dire incalpestabili, né una sfera politica e sindacale che sia in grado di influenzare l’attuale corso economico-sociale. Il partito dell’astensione, ormai egemone in tutte le democrazie industriali, con tutte le sue contraddizioni e limiti in questo contesto sociale, è per ora il vero rappresentante di questi interessi di classe.

Questo tipo di illusione nell’azione politica-sindacale è spesso diretta filiazione di un ceto di militanti politici e sindacali, eterni dissidenti ma non troppo, che continua a battersi inoltre per una reale democrazia all’interno del sindacato confederale, per una trasparenza e collegialità dei suoi processi decisionali, per una sua attività più militante e meno concertativa, quando è proprio l’iscritto medio, escludendo i pensionati e pensionandi, che ne costituiscono la maggioranza, che non chiede altro che un servizio efficiente, in mancanza di una struttura pubblica che lo fornisca. Gli Stati Uniti sono un valido esempio di come i continui ricambi al vertice e i giochi, non solo elettorali, nelle alte sfere mafiose, economiche e politiche del paese, siano l’espressione dei comportamenti di una lobby. Il sindacato appunto AFL-CIO, è identico a qualsiasi altra lobby con un interesse politico-economico preciso, nello specifico il buon andamento dei fondi pensione. È per questo ed altri motivi che i più generosi sforzi di organizzatori locali del sindacato, vengono vanificati, non dalla volontà di una burocrazia maligna, ma dalla funzione sostanziale del sindacato stesso. E’ la triste spirale del riformismo, che non trova più spiragli e si trasforma in vera e propria reazione.

Il riformismo si basa sulla legittimazione della concorrenza tra differenti porzioni della classe attraverso l’integrazione attiva di alcune di queste componenti sia  nella organizzazione diretta dello sfruttamento economico in azienda: responsabilizzazione e controllo dei lavoratori, come nell’amministrazione dell’esistente nei meccanismi di distribuzione della spesa pubblica. Il riformismo è l’espressione pratica nei comportamenti, organizzativa nelle sue modalità di associazione, e culturale nel suo universo di riferimento ai valori  della subalternità della classe agli interessi del capitale. Infatti <<Se la faccia antagonista dell’azione operaia e proletaria è la difesa dei propri interessi di classe nonostante e contro le esigenze di accumulazione del capitale, quella subalterna è la necessità che ogni conquista venga garantita>>, con la dissoluzione progressiva  o traumatica di queste garanzie, il riformismo perde la sua base materiale oggettiva datagli dalla particolarità del ciclo economico, e la sua base soggettiva data dal riformismo quotidiano dell’azione dei lavoratori su cui basa la sua legittimità sociale. <<Questa natura contraddittoria della classe e dei suoi rapporti col capitale va compresa in tutte le sue articolazioni. Essa appare immediatamente come contraddizione fra la affermazione dei propri interessi materiali, l’attacco al comando capitalista, la percezione della possibilità di vivere secondo i propri bisogni da una parte e la necessità di garantire la propria sopravvivenza all’interno della struttura capitalistica, sopravvivenza fondata sul permanere del capitalismo stesso>> [10].

Le burocrazie effettive neo-riformiste [11] si impegnano e si sono impegnate nel pompieraggio, nella pacificazione o nella aperta rimozione e repressione di quelle micro-porzioni di società che fino ad ora si sono mosse e altro non potevano fare proprio per la loro funzione sociale effettiva.

 

Qui comincia l’avventura…Strategie d’attacco

Occorre perciò fare un ragionamento più ampio su quale tipo di organizzazione del lavoro si impone questo ciclo economico, quale tipologia di relazioni industriali necessita e che configurazione giuridica del rapporto di lavoro instaura. Risulta perciò più efficace ragionare per il presente ed in prospettiva sulle capacità potenziali e i comportamenti effettivi che una sempre più estesa e centrale porzione sociale, non solo in Italia, ma nelle maggiori democrazie industriali, come nei paesi di recente industrializzazione, ha di ribaltare gli attuali rapporti di forza.

Occorre ragionare sugli sviluppi che l’aggressione all’organizzazione capitalistica del lavoro e l’imposizione autonoma dei propri bisogni crea, quali compatibilità può far saltare e che contraddizioni sociali produce questa porzione di classe, per la sua stessa esistenza, soprattutto quando diviene soggetto sociale attivo esprimente dei specifici bisogni di emancipazione sociale.

<<Questa classe può essere conosciuta unicamente attraverso se stessa, solo a condizione che colui che l’interroga introduca il valore dell’esperienza proletaria, metta radici nella sua situazione e faccia proprio l’orizzonte sociale e storico della classe; a patto di rompere con le condizioni immediatamente date dal sistema di sfruttamento>>[12]

Questo piano ha come proprio orizzonte per una azione realmente efficace un attacco diretto al cuore della produzione, partendo dalle capacità offensive derivanti dalla collocazione nella rete produttiva e distributiva di tutti i lavoratori, come nell’ingranaggio sociale in tutte le sue articolazioni, e una mappazione e attribuzione di valore a tutte le manifestazioni di classe che superano il piano sindacale: assenteismo collettivo, sabotaggio organizzato, scioperi selvaggi, scontri con le gerarchie produttive.

In sintesi valorizza i germi di una organizzazione diretta di classe nell’azione dei lavoratori preparata dalla resistenza quotidiana e dalle varie tattiche di difesa effettive in un quadro dato, così come la mutazione delle relazioni tra lavoratori nel formarsi di una comunità di lotta, e il modificarsi del rapporto con le gerarchie produttive, le articolazioni sindacali, il lavoro in sé.

Cerchiamo quindi di porre l’accento innanzitutto sull’istinto sociale della classe e la possibile radicalizzazione nei comportamenti quotidiani di consistenti porzioni sociali, non vogliamo  identificare socio-econometricamente il nuovo soggetto rivoluzionario con una operazione sociologica allo stesso tempo di chirurgia e sagomatura, che restituisca un manufatto ad uso e consumo del nostro ottimismo militante e degli ambienti militanti in genere, ma leggere le mutazioni della composizione di classe e le sue possibili conseguenze sul piano delle propensioni soggettive alla lotta. Molto probabilmente, alcuni soggetti sociali esprimeranno punte di conflittualità, minore propensione al recupero politico-sindacale, maggiori capacità di adeguarsi, anche militarmente, allo scontro frontale in cui gli impegnerà il capitale, oltre a una propensione alla creazione di valori e ‘miti sociali’ connessi alternativi a quelli della merda borghese. Questi saranno la parte emergente del più grande iceberg della lotta di classe, ma non ne definiranno in alcun modo nessun ruolo centrale e trainante del “nuovo soggetto”.

 

Cannibalizzazione o emancipazione sociale in tempo di crisi

Queste ipotesi sostanziano organicamente una prospettiva di emancipazione sociale da un lato, come di futura ‘cannibalizzazione sociale’ dall’altro, con tutte le poco piacevoli conseguenze per il proletariato. L’alternativa tra comunismo o civiltà diviene sempre più attuale in una fase di futura recessione economica, perché la crisi del capitale (crisi dell’attuale civiltà) è comunque presente nelle sue dinamiche di accumulazione e ora, più che mai, immanente.  Una fase di crisi sociale ha come suoi corollari una accelerata polarizzazione sociale e proletarizzazione massiccia delle classi di mezzo, seguita da una conseguente massiccia esclusione sociale: i primi soggetti ad essere interessati sono sia le fasce più deboli e meno protette della classe lavoratrice, tra cui i giovani precari autoctoni, i lavoratori migranti, i segmenti femminili meno tutelati, come ha recentemente dimostrato la crisi della Corea del Sud dal ’97 a oggi, crisi che ha poi velocemente interessato le porzioni più tutelate e sindacalizzate della classe operaia della Corea del Sud: gli operai dell’industria automobilistica (Daewoo, Hunday, ecc.). La crisi argentina ha visto dal mese di novembre il drastico abbassamento dei salari, l’impoverimento delle pensioni, l’aumento del tasso di disoccupazione vicino al 20% e dell’economia sommersa, che riguarda ormai 4 lavoratori su 10 della popolazione attiva. Entrambe le crisi stanno producendo interessanti movimenti sociali e laboratori politici difficili da immaginare per la nostra situazione di quiete apparente. Mentre la recessione statunitense di fine anno, ha mostrato in parte la realtà della crescita americana, con le aziende della new e della old economy che hanno attivato pesanti processi di ristrutturazione: 1.300 dipendenti licenziati da Amazon, 1.700 la Hewlett-Packard, 2.400 il gigante America Online time warner, il settore di internet in senso stretto ha perso 51.000 posti di lavoro nel 2000, di cui quasi 1/5 nell’ultimo mese. In assoluto i traumi sociali nella New Economy sono stati leggeri: poca cosa rispetto ai 26.000 licenziati in un sol colpo da Chrysler, a 10.000 esuberi tra Ford e GM, ai 16.000 telefonici mandati via da Lucent nel New Jersey. Come ha dichiarato Jeffre Jones, presidente di Manpower, leader mondiale delle agenzie di lavoro interinale: << Se una impresa ha 500 dipendenti suoi e 100 presi in affitto da noi, quando arriva una congiuntura debole i primi ad essere cacciati sono i nostri>>.

Il presentarsi simultaneo della crisi nel centro e alla periferia delle economia mondo rappresenta una ipotesi da non scartare…

In un periodo di crisi sociale montante i più elementari bisogni di sopravvivenza sociale (reddito, situazione abitativa, bisogni sociali complessivi: mobilità, istruzione, salute, ecc.) non sono semplicemente privatizzati, centellinati e surrogati ma apertamente negati alla maggioranza del proletariato; gli Stati e le loro articolazioni periferiche mostreranno sempre più il loro volto poliziesco e repressivo di gendarme della miseria sociale diffusa e difensore della richezza di pochi, così come mostrano oggi frontalmente con i proletari immigrati e le fasce più deboli del proletariato autoctono, extra-legale e non, senza parlare delle nazioni in cui le più elementari garanzie di organizzazione politica e economica sono conquistate e mantenute con la forza.

“Legge e Ordine” sono quindi le parole di un lessico politico divenuto comune e trasversale che comprende tutte le forze parlamentari che aspirano a governare ed il ceto politico nella sua totalità. I provvedimenti giuridici sulla sicurezza e il ribaltamento legislativo delle istanze scaturite dall’ultima ondata di movimento di denuncia delle condizioni carcerarie l’estate scorsa e che ha coinvolto la maggioranza delle prigioni italiane (più carceri, più guardie carcerarie, espulsioni dei proletari immigrati che ‘delinquono’) dovrebbero far riflettere sulla reali modalità di risoluzione della crisi sociale da parte dello stato.

Il potere prospetterà una uscita della crisi, paventando da un lato scenari apocalittici e dall’altro futuri idilliaci: si tratta della sempre valida politica dei sacrifici come corsia unica di uscita dal tunnel, che abbiamo appena iniziato a percorrere. Sulla sopportabilità sociale di tali sacrifici, e la consistenza epidemica dell’allergia con cui il corpo sociale può rispondere a tale crisi, si inizierà a giocare la partita: <<i rapporti sociali, infatti, non crollano spontaneamente come un edificio poggiante su fondamenta marce, bensì possono essere mutati soltanto dall’azione autonoma della classe operaia>> (P.Mattick). Non si tratta quindi di dare qualche colpo di piccone e di mazza da un lato, come di puntellare un poco dall’altra, ma di un processo non-lineare per l’intreccio complesso tra l’auto-attività delle classi subalterne e la reazione delle borghesie e dei loro comitati d’affari. Nella possibilità di superare per linee interne al movimento di classe la divisione sessuale e razziale del lavoro, nelle capacità di collegamento di questa e nella forza materiale che sarà in grado di contrapporre frontalmente al capitale, intensificando le pratiche autonome e ampliando gli spazi di potere, nella capacità di sbarazzarsi di tutta la vecchia merda e delle idee delle classi dominanti, si giocherà la partita.

 

L’ipotesi dell’autonomia proletaria

 

Il senso comune dei lavoratori è abituato a considerare, un lavoratore ‘precario’ come colui in cerca di una occupazione stabile. Lo si pensa collocato in occupazioni tra le più usuranti e meno qualificate, dove la capacità di sopportazione della fatica è sostanziata da schiaccianti necessità economiche o da veri e propri ricatti giuridico-polizieschi: si pensi alla situazione di proletari da poco immigrati dal ‘paese’ d’origine e facenti parte di comunità ancora poco ‘strutturate’ sul territorio. I cantieri edili, le cucine di alberghi e ristoranti, i campi di raccolta, le cooperative di facchinaggio - talvolta gestori in terra d’Emilia della logistica di una intera azienda o dei magazzini della grande distribuzione - sono le dure scuole d’apprendistato per questi lavoratori. Talvolta sempre il senso comune considera il lavoratore precario, come colui che cerca solo una integrazione di reddito, magari ancora studente-lavoratore o  alloggiante quasi trentenne nel caldo tepore delle mura familiari, oppure in quella galassia della condizione salariata ‘al femminile’ in cui una occupazione part-time o in ritenuta d’acconto, come al nero, nasconde una situazione di doppio-lavoro effettiva, spesa tra le mure domestiche, la cura dei figli o di un genitore ‘a carico’, e le attività effettivamente remunerate.

Con l’introduzione di tipologie contrattuali a termine, ed il suo uso ed abuso da parte delle aziende, talvolta oltre i già ampi limiti di utilizzazione previsti dalla legge (con la tacita o esplicita complicità delle R.S.U.) , anche nel cuore del sistema produttivo: la fabbrica, la precarizzazione della forza-lavoro diviene un fatto compiuto, soprattutto per le giovani leve operaie autoctone e non. L’introduzione di questi contratti non è solo in funzione di dilatazione dei tempi di selezione e scrematura dell’organico da assumere, cioè quel lungo purgatorio prima di raggiungere il paradiso del posto fisso, ma è utilissimo anche ai padroni per: stagionalità, picchi di produzione. Le modificazioni del mercato del lavoro portate avanti neo-corporativamente da sindacato, padroni e dai governi succedutesi in questi anni, gli ultimi rinnovi contrattuali, che non danno a livello giuridico-vertenziale nemmeno uno straccio di appiglio a cui agganciarsi per l’assunzione in pianta stabile di questi lavoratori, nonché tutta quella serie di norme che rendono ancora più flessibile ed individualizzato l’orario di lavoro( si pensi alla ‘banca ore’ ed alla individualizzazione degli straordinari), nonché il clima di passività nei posti di lavoro, determinano un contesto di difficile controllo di parte operaia delle assunzioni, del rapporto organico-produttività, dell’orario di lavoro e del costo del lavoro.

Sebbene l’economia sommersa secondo le stime incida per un terzo sul PIL, e pone il sistema-paese Italia ai primi posti dei paesi Ue, una tipologia contrattuale come l’interinale per forma, si pensi alle analogie tra il caporalato, che gode di una ottima salute per gli avventizi agricoli e i manovali edili, e per livelli di tutela effettiva - come abbiamo più volte ricordato – del tutto affine al lavoro nero, interessa e si stabilizza del quadro del lavoro salariato delle piccole, medie e grandi fabbriche, della grande distribuzione, dei servizi all’impresa e del settore pubblico.

L’introduzione, la stabilizzazione e la continua espansione, nonché il perfezionamento e diversificazione di forme contrattuali precarie, non hanno quindi minimamente contribuito a ridurre il mercato del lavoro nero in alcuni settori per alcune figure occupazzionali, come nelle zone meridionali della penisola, perché sia per l’abbassamento complessivo del costo del lavoro e sia per il comando capitalistico sulla forza lavoro, il lavoro nero continua ancora ad essere la soluzione migliore, per i padroni ovviamente, visto tra l’altro la condizione obbiettivamente svantaggiata di queste porzioni di classe, sovente all’ultimo gradino della stratificazione sociale.

Il medesimo ragionamento può essere fatto per quanto riguarda l’incremento dell’occupazione, non incentivata dai cambiamenti del mercato del lavoro, ma determinata dalle varie congiunture e cicli economici che si succedono, a cui il mercato del lavoro si adegua, così come il quadro giuridico, e che subiscono i proletari, occupati e non, in assenza di una spinta soggettiva che riesca a ricomporre le varie componenti della forza-lavoro sul terreno della condizione operaia, e sulle dinamiche di riproduzione della classe.

Il caso spagnolo in cui l’introduzione del lavoro interinale è contemporanea a quella italiana, ma le condizioni alquanto differenti - i salari pagati sono circa metà di quelli percepiti dai lavoratori fissi e l’agenzia si fa pagare dal lavoratore stesso per i suoi servizi – vede lo sviluppo maggiore di tale tipologia contrattuale a livello europeo, mantenendo allo stesso modo il tasso di disoccupazione più elevato della UE. 

All’interno di questo contesto una azione efficace, non può basarsi sull’iperattivismo di un pugno di militanti, ma cogliere di volta in volta, gli spazi dove si manifesta una capacità creativa di lotta della classe. Nell’immediato la realizzazione di materiali di contro-informazione e di comunicazione diretta tra lavoratori possono essere strumento di riflessione sulle basi materiali del potere operaio, sulle latenti capacità offensive e unificatrici della classe, cioè sugli immanenti anelli deboli del comando capitalista e la ricchezza sociale del conflitto, in mano e dirette da lavoratori, che si autoriconoscono nei materiali prodotti e d’inchiesta. Il salto politico è ovviamente un altro, è la capacità di aggredire la società in tutta la sua complessità, che non si riduce ad una fabbrica, ma il partire da una precisa comunità proletaria e permettere ai lavoratori di possedere strumenti di analisi, è una via obbligata, se non si vuole riproporre vecchie logiche di cinghia di trasmissione tra gruppo politico e collettivo di lotta, moderna rivisitazione dell’archeologico rapporto tra partito e sindacato. L’autonomia proletaria qui intesa, non come movimento politico predefinito, ma come insieme di forze proletarie che trovano all’interno del terreno della lotta proprie forme di organizzazione e di elaborazione teorica. I lavoratori interinali, proprio per il loro essere campo di sperimentazione per il capitale, possono essere una delle componenti più recettive al rifiuto delle vecchie logiche sindacali e all’immobilismo sociale.

 

La fabbrica come laboratorio sociale e luogo di sperimentazione di una ipotesi di trasformazione

 

Assistiamo alla mutazione della composizione di classe determinata dallo svecchiamento di parte della forza lavoro, proveniente dal serbatoio della disoccupazione meridionale, da flussi migratori internazionali, dalle fasce più deboli e meno scolarizzate del proletariato autoctono, come la forza lavoro proveniente dagli istituti tecnico-professionali che sempre prima fa il suo ingresso nel mondo del lavoro (visto tra l’altro l’aumento degli abbandoni scolastici, e il lavoro estivo come stagionale o interinale) e che conosce la fabbrica abbastanza precocemente visto gli stages in loco promossi dalle scuole/aziende.

Ogni azienda del settore manufatturiero come dei servizi, tende a ridurre l’organico fisiologicamente ai minimi termini ed ad intensificarne lo sfruttamento in termini assoluti: introduzione o ampliamento della turnazione tendenzialmente a ciclo continuo, flessibilità produttiva con richiesta di sempre maggiori quote di lavoro straordinario non pagato e relativi: aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro e corrispettive forme di controllo sulla forza-lavoro e di auto-controllo dei lavoratoti stessi (UTE, isole di produzione, schede di produzione computerizzate verificabili in tempo reale e da compilare con la penna ottica, ecc.). Facendo ciò stabilizza una quota di lavoratori a seconda delle esigenze della produzione (volumi di produzione/stagionalità) e delle esigenze di formazione del personale: numerosi studi hanno valutato la quota di lavoratori fissi necessaria all’azienda di poco superiore ad un quarto del personale. Come tende allo zero stock di merci in continua entrata ed uscita, tende pure allo zero stock di quella particolare merce che è la forza-lavoro, cioè gli operai, servendosene just in time a seconda appunto dalle mutevoli esigenze di produzione, di conseguenza ha bisogno di un quadro normativo che gli garantisca di avere operai just in time e di organizzazioni sindacali che non intralcino tale pratica: cioè il grado zero del conflitto.

La precarietà contrattuale e la flessibilità produttiva, non sono che  due facce della stessa medaglia, conseguenze dell’attuale ciclo economico, così come lo è la fluidità del mercato del lavoro  mondiale e nazionale, cioè la conseguente mobilità geografica e  la diluizione dei confini tra occupazione e disoccupazione della forza-lavoro. Oggi, la capacità di programmazione dei singoli capitalisti in una prospettiva di momentaneo consolidamento ed espansione economica e di fruttabilità immediata degli investimenti produttivi assottiglia sempre più i suoi orizzonti temporali e il suo margine di sicurezza: il piano del capitale è sempre più variabile e fragile a causa dell’impossibilità di investimenti duraturi dati dalla natura sempre più speculativa degli investimenti di capitale.

All’interno di questo quadro il lavoro interinale è divenuto in Italia in alcuni settori sempre più egemone rispetto ad altre forme di compra-vendita della forza-lavoro.

 

[1] Nessun erogazione monetaria senza lo scambio con una prestazione lavorativa , o la ricerca attiva di questa; nessuna possibilità di occupazione senza l’adattamento agli standard salariali, regimi orari e condizioni generali  imposti: questa è la filosofia che sta dietro agli slogan padronali che i governanti europei, in special modo tutti, sponsorizzano.

[2] Questa tipologia contrattuale, che garantiva formalmente l’assunzione in pianta stabile di una parte dei lavoratori, pena la perdita degli sgravi contributivi da parte dell’azienda, verrà sostituita con il ‘nuovo’ apprendistato, che con le vecchie modalità - comunque precedentemente aggiornate col “pachetto Treu” – riguardava circa 165.000 contratti l’anno. Il nuovo ‘apprendistato’ interesserà i lavoratori fino a 24 anni, 26 nelle aree depresse, sarà esteso a più categorie di quelle attuali, e spogliato di alcuni suoi vincoli, quali il divieto di lavoro notturno, il divieto di fare lo straordinario, la necessità della disdetta per sancire la fine del contratto L’utilizzazione dei Contratti di Formazione Lavoro ha seguito le oscillazioni della congiuntura economica, raggiungendo negli anni novanta il picco di circa 316.000 contratti firmati nel ‘91 scendendo a poco meno di 190.000 nel ’93,  stabilizzandosi successivamente nella seconda metà del passato decennio sulla cifra di 260.000. La Formazione Lavoro ha costituto dalla sua introduzione nel 1984 fino all’introduzione e dell’estensione di altri contratti più vantaggiosi, il tramite più comune per l’accesso al lavoro delle fasce più giovani, soprattutto nel centro nord, sfiorando il mezzo milione nell’87, e permettendo ad una azienda un risparmio fra a 360.000 e le 600.000 lire al mese, secondo la possibilità di utilizzare o meno la fiscalizzazione degli oneri sociali.

[3] Addirittura, per la ricollocazione dei circa 150.000 Lavoratori Socialmente Utili, composti per la maggior parte da lavoratori in cassa integrazione e disoccupati di lunga durata, messi a disposizione dallo stato e utilizzati dai vari enti per colmare le proprie deficienze d’organico, o per colmare le deficienze del sistema di ammortizzazione sociale, lo stato ha creato una vera e propria agenzia di lavoro interinale, Italia Lavoro, che gestisce e tiene sotto controllo le liste di questi lavoratori, che per 800.000 lorde al mese hanno prestato (sono stati costretti a prestare, pena la perdita del proprio stato ) la propria attività lavorativa per 20 ore alla settimana, occupati solitamente come autisti per le scuole pubbliche, nella pulizia degli uffici, nella manutenzione dei parchi, ecc.

[4] Recentemente la CGIL lombarda ha firmato un accordo con Obbiettivo Lavoro, per una migliore selezione e qualificazione del personale, in vista dell’approvazione, attuata nel mentre, della possibilità  delle agenzie di lavoro interinale, di svolgere anche l’attività di collocamento privato

[5] Operaio parziale e piano di produzione, N+1, n.1, settembre 2000

[6] Una causa intentata autonomamente da un lavoratore - vinta contro la Manpower e la Magneti-Marelli si è conclusa con  un patteggiamento intorno ai 50 milioni

[7] Note sul riformismo, Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe, n.2, agosto ‘77

[8] la versione più trendy di queste eminenze grigie, si dedica alla pura attività di animazione sociale da balera centro-socialista ed alla ultra-codificata movida di piazza giocata da un lato su una buona strategia di marketing in comunicazione politica e dall’altra su un rapporto organico con le forze politiche e sindacali istituzionali.

[9] L’esperienza proletaria, Claude Lefort, in Socialisme ou Barbarie, n.11, novembre-dicembre 1952, tradotto in Collegamenti-Wobbly, n.4-5 nuova serie