SENZA CENSURA N.28
marzo 2009
Aspettando l’estate
Aggiornamenti su carcere e repressione
Proponiamo in questo numero della rivista alcune
prime e parziali riflessioni sull’ultima, ma solo in ordine di tempo, produzione
legislativa in materia repressiva e carceraria presentata sotto le mentite
spoglie della “pubblica sicurezza”. L’incompletezza di queste riflessioni deriva
dal fatto che l’ennesimo “pacchetto sicurezza” (ddl n.733) è tutt’ora in corso
di approvazione e del nuovo “Piano carceri” si conoscono soltanto le linee di
indirizzo generali. Tuttavia sembra delinearsi, con una certa evidenza nel
comparto penitenziario, una contraddizione fra la vasta produzione legislativa
degli ultimi anni, che aumenta la militarizzazione dei territori e il ricorso a
pene detentive, e il costo economico di queste politiche “securitarie”
esasperato dalla profonda crisi economica in atto.
Uno
sguardo sullo stato di avanzamento del Piano di edilizia penitenziaria
Con una crescita costante di quasi 1.000 detenuti in più al mese, già
all’inizio dell’estate il numero delle persone rinchiuse nelle carceri italiane
sorpasserà la capienza, cosiddetta tollerabile, quantificata in 63 mila
detenuti, lo stesso numero che costrinse il precedente governo ad emanare il
provvedimento di indulto del luglio 2006.
Il Piano per l’edilizia penitenziaria, varato nel 2002, non può nemmeno
attenuare la grave situazione in cui versano le carceri a causa dei lunghi tempi
necessari alla realizzazione delle nuove strutture programmate e, soprattutto,
per la mancanza di fondi da destinare a tale scopo. Per questi motivi l’edilizia
penitenziaria si è concentrata perlopiù sull’ampliamento delle carceri già
esistenti: “Evidenti e inconfutabili sono i vantaggi, in termini di tempi
d’esecuzione e risparmio delle risorse economiche e strumentali, senza
trascurare l’importante economia di personale (di custodia ed amministrativo)
risultante da tale scelta se comparata a quanto invece occorrente nel caso in
cui si trattasse di implementare un nuovo istituto nella sua interezza.
Realizzare un padiglione da 200 posti nel comprensorio di un plesso
penitenziario già esistente, implica una spesa ben inferiore ai 10 milioni di
euro; per contro, un nuovo penitenziario di medesima capienza, da realizzarsi
ex-novo in contesti completamente avulsi da preesistenti insediamenti, comporta
una spesa di circa 45 milioni di euro”1.
Inoltre, a causa dell’annullamento degli appalti per la costruzione delle nuove
carceri a Pordenone e Varese, disposto dalla Commissione Europea per infrazione
delle direttive comunitarie, con parte dei 93 milioni di euro, stanziati nel
2002, sono stati realizzati nuovi padiglioni detentivi nelle carceri esistenti
delle due città.
Alla fine del 2008 la realizzazione di nuovi plessi in aree penitenziarie già
esistenti ha prodotto nuovi 1.610 posti letto mentre con i fondi disponibili,
nel prossimo triennio, si prevedono nuovi 2.100 posti2.
Per quanto riguarda la costruzione ex-novo di strutture penitenziarie va detto
che delle venticinque opere programmate, dopo quasi nove anni, sono stati
finanziati solamente i lavori del primo lotto di otto carceri: C.C. di Rieti
(250 posti; il carcere è in corso di collaudo); C.C. di Cagliari (550 posti; la
scadenza contrattuale è prevista per novembre 2009, mancano ben 29 milioni e 300
mila euro); C.C. di Sassari (430 posti; la fine dei lavori è prevista per marzo
2010; mancano all’appello 31 milioni e 180 mila euro); C.C. di Tempio Pausania
(150 posti; il termine dei lavori è formalmente previsto per l’agosto del 2009
ma mancano 20 milioni di euro); C.C. di Oristano (250 posti; il carcere dovrebbe
essere completato entro settembre 2009 ma ci vogliono ancora 17 milioni e 800
mila euro); C.C. di Forlì (225 posti, qui i tempi sono più dilatati; dovrebbe
essere consegnato nel 2012 se sopraggiungono 22 milioni e 800 mila euro); C.C.
di Rovigo (200 posti; la consegna è prevista per il 2011 ma mancano 16 milioni e
700 mila euro); C.C. di Trento (220 posti; i lavori solo quasi giunti al termine
nei tempi previsti; il finanziamento è a carico della provincia autonoma di
Trento con previsione di ultimazione nel 2011).
Posto che altrettanti istituti verranno chiusi, l’incremento effettivo della
capienza, al netto di quelli presenti nelle strutture che saranno dismesse, sarà
di 1.386 posti, sempre che si trovino i circa 138 milioni di euro mancanti e
tenuto conto che “la dilatazione dei termini di costruzione, talvolta superiori
anche al decennio, comporta che le strutture vengano cedute al DAP già
abbisognevoli, ancor prima di poter essere utilizzate, di interventi di
ristrutturazione e/o adeguamento – anche di rilevante entità tecnica ed
economica – alle eventuali nuove normative che sono subentrate nel tempo”.
Per quanto riguarda la nuova C.C. di Marsala (175 posti), la nuova C.C. di
Reggio Calabria (150 posti) e la nuova C.C. di Savona (265 posti) tutto è
bloccato per contenziosi di varia natura.
Un nuovo “Piano Carceri” per uscire
dall’emergenza?
Il 23 gennaio, il Consiglio dei Ministri ha varato un “Piano carceri” al
fine di velocizzare le procedure di realizzazione delle nuove carceri e,
soprattutto, per reperire soldi. Tre sono i canali di finanziamento: la Cassa
delle Ammende, 150 milioni di euro, finora destinati al “reinserimento dei
detenuti”; una corsia preferenziale per l’accesso ai fondi stanziati dal
“decreto anti-crisi” (29/11/08 n.185) relativamente al capitolo “Grandi Opere”3
e, infine, il possibile ricorso a finanziamenti privati.
Entro 60 giorni, il capo del DAP, Franco Ionta, commissario straordinario per
l’edilizia penitenziaria, figura istituita per lo scopo, dovrà presentare un
piano di razionalizzazione delle nuove carceri. Per velocizzarne l’approvazione,
il pacchetto di misure sarà contenuto, in forma di emendamento, al “decreto
milleproroghe” attualmente al vaglio del Senato e che scadrà il 1° marzo 2009.
Stando alle dichiarazioni di Nicolò Ghedini, avvocato e consigliere di
Berlusconi, la soluzione immediata sarebbe quella della costruzione di strutture
modulari prefabbricate o di cemento, da costruirsi in aree demaniali, ciascuna
con capienza di 200 posti, adibite a circuito di “minima sicurezza” destinato ai
detenuti in attesa di giudizio “non pericolosi”. La cosa consentirebbe di
ridurre sia i costi che i tempi di costruzione, nell’ordine di circa un anno per
ogni struttura.
Un elemento strategico sarà sicuramente quello dell’ingresso dei privati nel
settore penitenziario nonostante il primo tentativo, guidato dall’allora
ministro Castelli con la Dike Aedifica SpA, totalmente finanziata dallo Stato,
avesse miseramente fallito gli obiettivi chiudendo i battenti dopo pochi anni di
attività (2002/06) con passivi di bilancio e non avendo concluso nulla.
Gli strumenti cosiddetti innovativi sono gli stessi di allora: la permuta e il
project financing.
Il primo consiste nel dare in permuta ai privati strutture obsolete, collocate
in città, in cambio di carceri nuove; si citano a tal proposito Regina Coeli a
Roma, San Vittore a Milano, Ucciardone a Palermo ma anche le carceri campane di
Procida e Nisida, e altri, come il complesso carcerario dell’isola di Pianosa,
l’istituto di Capraia.
La finanza in progetto invece prevede il finanziamento diretto da parte dei
privati che, in cambio, otterrebbero un canone d’affitto da parte
dell’amministrazione penitenziaria e/o la gestione dei servizi interni esclusa
la custodia (catering, lavanderia, mensa, ecc).
Ma il carattere “innovativo” di questi strumenti sembra non risolvere i vecchi
problemi di bilancio: “il ricorso allo strumento della permuta evidenzia la
necessità di appositi stanziamenti, considerando che per la maggior parte delle
strutture esistenti e da dismettere non appare possibile attribuire un valore
superiore al 10-15% circa del costo di costruzione del nuovo istituto in
sostituzione. Rimane pertanto cospicuo l’intervento finanziario da doversi
sostenere per coprire la differenza tra costo di costruzione del nuovo istituto
e ricavato dalla permuta del vecchio”. Così come per il progect financing: “Sono
giunte alcune proposte per la realizzazione di istituti in progect financing,
che tuttavia sono restate impraticabili in quanto non sostenibili per la parte
finanziaria a carico dello Stato. Tale strumento finanziario, infatti, prevede
sostanzialmente la possibilità che il realizzatore privato dell’opera recuperi
il capitale investito attraverso la gestione del servizio o dei servizi dalla
stessa offerto, sempreché tale gestione produca redditi. Tuttavia, nel caso di
un istituto penitenziario si è accertato che i servizi appaltabili al privato
sono marginali e, comunque, insufficienti a produrre redditi di gestione tali da
consentire il rientro dei cospicui capitali investiti. In pratica, l’operazione
di dimostra fattibile qualora lo Stato partecipi al finanziamento dell’opera
nella fase di costruzione con un cospicuo contributo finanziario pari al 60-70%
del costo di costruzione e, in fase di funzionamento, con una rata annuale
mediamente di 4-5 milioni di euro, per un periodo determinato in 30 anni per
piccoli penitenziari ed in 40 anni per quelli grandi”.
Inoltre va ricordato che per l’attività di costruzione di nuovi istituti –
esclusi gli ampliamenti e le ristrutturazioni – sono stati stanziati circa 410
milioni di euro nel 2001 (finanziaria del 2000), 51 milioni di euro nel 2002
(finanziaria del 2001, successivamente ridotti a 20 milioni dalla legge
finanziaria del 2006), 70 milioni di euro per il triennio 2008/10 (finanziaria
2008, successivamente ridotti a 15 milioni dalla legge n.126 del 24/07/08). A
questa riduzione degli stanziamenti destinati all’edilizia penitenziaria vanno
aggiunti gli ulteriori tagli realizzati con il decreto legge n.112/2008 anche
nel comparto della giustizia.
Posto che oggi vi sono circa 59 mila detenuti, ossia 16 mila persone in più
rispetto ai posti letto regolamentari, la proposta di carceri modulari
prefabbricate da circa 200 posti l’una necessiterebbe di almeno ottanta
padiglioni per un costo di circa 800 milioni di euro.
A sollevare i dubbi sulla copertura finanziaria è anche il Servizio Studi della
Camera secondo il quale “a fronte del piano di incremento delle infrastrutture
carcerarie prefigurato dalla norma, non sono previste risorse aggiuntive, bensì
l’utilizzo di risorse disponibili a legislazione vigente (le risorse stanziate
per la Legge Obiettivo (Legge 443/2001) o rese disponibili dalla cassa delle
ammende di cui all’art. 4 della Legge 537/1932). Appare pertanto necessario che
sia chiarito se la finalità aggiuntiva si configuri come sostitutiva di altre
attualmente previste, secondo un ordine di priorità che verrà definito, o se i
tempi effettivi di utilizzo delle risorse disponibili possano registrare, in
conseguenza della norma, un’accelerazione rispetto a quanto scontato negli
andamenti tendenziali, con conseguenti effetti peggiorativi sui saldi”.
Infine bisogna anche tenere conto dell’esposizione debitoria degli istituti
penitenziari verso fornitori di beni e di servizi che a fine esercizio 2007
ammontava a 110 milioni di euro e che tenderebbe ad un incremento annuo di circa
50 milioni di euro.
E’ chiaro che questi tagli andranno ad incidere negativamente sul vitto, sulla
sanità, sul riscaldamento e in generale sulle condizioni di vita dei detenuti.
Nel 2000 “mantenere” un detenuto costava 113 euro al giorno (vitto, pagamento
degli agenti, mantenimento delle strutture carcerarie), nel 2006 si è passati a
149 euro al giorno. Malgrado l’aumento però, una voce importante come
l’assistenza sanitaria ha subito dei tagli: dai 2.612 euro annui per detenuto
del 2000, si è passati ai 2.307 euro del 2006. Il picco più basso però, poco più
di 1.900 euro, era stato raggiunto nel 2005. Un’altra spesa che, a breve,
potrebbe andare incontro a ridimensionamenti è quella destinata al vitto: nel
triennio 2000-2002 la diaria giornaliera per detenuto era di 1,25 euro e nel
triennio 2006-2008 si é arrivati a 2,95 euro a testa. Il timore è che con il
prossimo bando, previsto per il 2009 con le modalità dell’asta al ribasso, si
vada sotto i 2,40 euro.
Una possibile linea di tendenza per il
contenimento dei costi
Un altro aspetto che alla luce dei progetti di ampliamento del complesso
carcerario e, soprattutto, del quadro economico attuale, non può non essere
affrontato è quello della razionalizzazione del sistema penitenziario e dunque,
in primis, del comparto della polizia penitenziaria, dove la spesa per il
personale rappresenta il 70% del costo medio per detenuto e il rimanente 30%
copre vitto, spese mediche, strutture, ecc.
Con la costruzione del circuito paracarcerario dei Centri di Permanenza
Temporanea (CPT ora denominati CIE, Centri di Identificazione ed Espulsione) lo
Stato ha potuto appaltare i servizi di custodia e di gestione ai privati poiché
si trattava di un circuito nuovo destinato alla “detenzione amministrativa”,
fino ad allora (1998) non ancora esistente in Italia, e dunque, per questi
motivi, non soggetto alla gestione della polizia penitenziaria, altamente
sindacalizzata e onerosa.
Con il sistema degli appalti al ribasso, ad esempio, nel CIE di Gradisca
d’Isonzo (GO) il costo di gestione giornaliero di un immigrato detenuto è
passato dagli 80 euro, sotto la cooperativa rossa Minerva, ai 45 euro della
subentrante cooperativa bianca Connecting People. A Cassabile, Siracusa, il
costo giornaliero per immigrato all’interno del Centro di Accoglienza per
Richiedenti Asilo (CARA) è, sotto la cooperativa Alma Mater, di 47 euro. Nel CIE
di Elmas (CA), teatro di recenti lotte e rivolte, la cooperativa Connecting
People ha vinto l’appalto con un’offerta di 28 euro al giorno per prigioniero,
un ribasso d’asta del 44% se si tiene conto che la base d’asta era di 50 euro,
dando poi tutti i servizi in subappalto (outsourcing) al Consorzio Solidarietà.
Si tratta di cifre molto basse dalle quali va sottratta la quota significativa
di profitto per le cooperative stesse.
Inoltre, per la costruzione o la ristrutturazione degli immobili da destinare al
circuito paracarcerario della detenzione amministrativa (CIE) o destinato ai
richiedenti asilo (CARA) il costo è nettamente inferiore che per gli istituti
penali, con tassi di sovraffollamento ben superiori e con controlli di
conformità normativa, nei fatti, pressoché inesistenti. L’ultimo, ma solo in
ordine di tempo, è il caso del CIE di Lampedusa ricavato in una ex caserma
militare che teneva rinchiuse più di 800 persone4.
Ciò nonostante, la spesa per il mantenimento di questo circuito paracarcerario
(CIE, CARA, espulsioni) è comunque ingente: “Nel 2008 non sono bastati i 139
milioni di euro stanziati; quest’anno il sistema dell’accoglienza parte
‘zoppicante’ con un rosso di circa 10 milioni e conta sull’anticipo di 34,5
milioni nell’ambito dello stanziamento del pacchetto sicurezza per la
costruzione dei nuovi Cie che il ministro Maroni vorrebbe realizzare in ogni
regione” (Il Sole 24 Ore, 09/02/09)5.
Se questo paragone può sembrare forzato oppure infondato per quanto riguarda le
sezioni a 41-bis, Alta Sicurezza ed Elevato Indice di Vigilanza, per ovvie
ragioni di sicurezza, rivela però una concretezza proprio rispetto al circuito
di “minima sicurezza”, aperto ai capitali privati, ventilato nel Piano Carceri.
Sebbene sia prematuro fare ulteriori valutazioni, ci limitiamo a segnalare di
come le dichiarazioni infuocate rese dalle maggiori organizzazioni sindacali (Sappe
in testa con 16 mila iscritti sul totale di 43 mila agenti) e comparse con
cadenza quotidiana sui maggiori quotidiani nazionali – che minacciano il blocco
dei cantieri per la costruzione delle nuove carceri previste nel nuovo Piano nel
caso non fossero accompagnate da un significativo aumento degli organici –
possano quantomeno testimoniare l’apprensione di questo corpo dello stato
rispetto agli sviluppi futuri. Al di là dell’aspetto soggettivo di queste prese
di posizione corporative, il dato rilevante da registrare, e sicuramente da
approfondire, è l’aspetto contraddittorio con cui si sviluppano, nel quadro
economico e politico attuale, i “moderni” strumenti della controrivoluzione.
Note:
1) Dalla Relazione dell’Ufficio Tecnico per
l’Edilizia penitenziaria e Residenziale a cura del DAP, 2008. Se non
diversamente specificato, le citazioni si riferiscono al medesimo testo.
2) Sono stati ultimati i lavori anche del nuovo padiglione del carcere di Milano
Bollate (340 posti), sono state ampliate le carceri di Avellino (150 posti),
Velletri (200), Cuneo (200), Civitavecchia (48) e sono stati appaltati i lavori
per nuovi padiglioni nelle carceri di Enna (50 posti), Santa Maria Capua Vetere
(300), Palermo Pagliarelli (300) e Catanzaro (300).
3) Il piano prevede che le opere programmate siano inserite nel programma di cui
all’articolo 1, comma 1, della Legge Obiettivo, nonché, se di importo superiore
a 100.000 euro, nel programma triennale previsto dall’articolo 128 del Dlgs
163/2006 (Codice degli appalti). Estratti da Il Sole 24 Ore, 18/02/09
4) Si pensi anche alla velocità con cui sono stati resi disponibili, gestione
annessa, i 44 nuovi centri improvvisati nel 2008 durante l’”emergenza sbarchi”.
Vedi “La differenziazione carceraria ha il volto dell’imperialismo” in Senza
Censura n.27.
5) L’Unione Europea ha concesso all’Italia 157 milioni per gestire le politiche
di immigrazione. Lo ha annunciato il ministro dell’Interno Roberto Maroni al
Consiglio dei Ministri del 23/01/09, spiegando che si tratta di “71 milioni
concessi per il piano di rimpatri e 96 milioni per progetti di integrazione di
cittadini comunitari che hanno il diritto di restare in Italia”.
Il carcere duro sempre più duro: un deterrente per tutti |