Spunti per una riflessione sull'evoluzione dello Stato

di Giuseppe Pelazza

 

da http://www.ilbuio.org

 

Mi è stato chiesto di svolgere qualche riflessione sul tema del modello di Stato che si va prefigurando, e con cui dobbiamo costantemente fare i conti. Per formazione, ed abitudine, sono più portato a spiegare con linguaggio adeguato (spero) la produzione legislativa di questi tempi. Vediamo, ora, se riesco anche a «riflettere».
Dunque, il punto della compatibilità fra estensione ed effettività della forma democratica (anche solo borghese) ed esigenze del Capitale, venne analizzato, se ricordo bene, a metà, circa, degli anni settanta, anche nell’ambito della Commissione Trilateral, formata da importanti esponenti del capitalismo internazionale e da loro consulenti, i quali conclusero che livelli di democrazia elevati non potevano più essere sopportati dal sistema economico capitalista.Sarebbe peraltro interessante analizzare, più specificamente per quanto riguarda il modo di produzione, la tollerabilità dei principi di democrazia ed uguaglianza da parte delle esigenze di «comando» produttivo. E, ancora, i nessi che hanno legato il passaggio, alla metà degli anni settanta, dalla precedente fase di espansione della democrazia, anche nei luoghi di lavoro, ad una fase di restrizione degli spazi di libertà, con la complessiva situazione economica. Ma altri dovranno sviluppare questa analisi, giacché io sono privo delle indispensabili conoscenze di economia. Sta di fatto che in quegli anni (la metà dei settanta) ha avuto luogo una svolta, i cui esiti si sono successivamente amplificati in modo clamoroso, legandosi al mutare della situazione internazionale, fino all’oggi che ci tocca vivere. Se la svolta degli anno settanta aveva comportato la vanificazione di significative conquiste operaie, attraverso cassa integrazione, licenziamenti di massa per eccessiva mobilità, introduzione di fasce orarie simili agli arresti domiciliari per i lavoratori malati, licenziamenti di avanguardie di lotta (i 61 della Fiat, nell’autunno 1979), modifiche delle leggi sul contratto a termine, apertura della stagione dei contratti di formazione lavoro, ecc., e, altresì, la produzione di varie leggi penali cosiddette dell’emergenza (dalla Legge Reale, alla legge Bartolomei, su su fino al decreto Cossiga ed alle leggi sui pentiti – 1982 – e sulla dissociazione – 1987), è anche vero che in quegli anni (fino ai primi ottanta) vasta e forte fu la spinta «rivoluzionaria», determinata da movimenti di massa e, altresì, da organizzazioni clandestine combattenti. Si può, cioè, forse rilevare che vi fu una connessione (solo oggettiva o anche soggettiva?) tra restringimento della democrazia formale, abbandono, da parte dei movimenti, di un terreno di lotta cosiddetto democratico, sviluppo dello scontro armato; mantenendo, però, in ogni caso ferma la considerazione che l’apprestamento, da parte dello Stato, delle prime leggi c.d. dell’emergenza precedette, non seguì, la radicalizzazione del conflitto. Così come ben precedenti erano stati i tentativi extralegali di rimodellare lo Stato in senso autoritario (piazza Fontana – 1969 -, tentato golpe Borghese – 1970 -, complotto della Rosa dei Venti – 1974). Ma non dilunghiamoci: gli esiti di quegli anni sono comunque noti. Procediamo dunque oltre.
La vittoria degli USA e dell’Occidente nella guerra fredda contro i paesi del Socialismo reale ha determinato un decisivo passaggio, i cui tratti distintivi possono essere sintetizzati nell’assoluto predominio, anche all’interno dei singoli paesi occidentali, del partito del mercato (nella sua forma bipolare) e, sul piano internazionale, nell’inizio della fase della guerra imperialista come elemento «normale» del rimodellamento delle relazioni internazionali, con la definitiva distruzione dei principi alla base dell’ONU.
Alla vittoria del partito del mercato si è accompagnata, ovviamente, la pressoché definitiva distruzione dello Stato sociale (pensioni, sistema sanitario, assistenze varie) e la caduta quasi totale delle garanzie sul piano dei rapporti di lavoro (proliferare delle forme di rapporto, a vario titolo, precario), con altresì, la creazione di un «doppio diritto» per la forza lavoro immigrata, o per gli immigrati tout court, destinati a ricoprire il ben noto ruolo di esercito industriale di riserva. Per loro sono state previste forme di detenzione amministrativa (legate alla figura del «campo di concentramento»), espulsioni con inesistenti o scarsissime possibilità di difesa, respingimenti alle frontiere, necessità di clandestinità agli ingressi, con le conseguenti migliaia di morti per annegamento nel Mar Mediterraneo, con i casi di soffocamento nei container autotrasportati, gli assideramenti nei bagagliai degli aerei. Il dominio della forma della guerra ha, inoltre, eroso ulteriormente e pesantemente gli spazi di democrazia, e ha rotto irreparabilmente la norma fondamentale dell’Ordinamento: la Costituzione.
Non può stupire, dunque, che per controllare il malessere sociale della distruzione del Welfare,
nonché per controllare e reprimere, se possibile «preventivamente», il «nemico interno» (considerato tale sia chi è soggettivamente antagonista sia chi proviene dal Sud del mondo) lo Stato ha apprestato armamentari repressivi sempre più decisi e sofisticati (decreto legge del settembre 2001 con le modifiche del 270 bis, l’introduzione del 270 ter, le intercettazioni preventive, la «normalizzazione» della figura dell’infiltrato ecc., e decreto Pisanu del luglio 2005: colloqui investigativi, ulteriori forme di espulsione senza alcuna possibilità di difesa, per i sospetti di «terrorismo», e forme di premialità per gli immigrati collaboranti, 270 quater, quinquies, sexies, ulteriori poteri – anche di perquisire – all’esercito in funzioni di vigilanza sugli obiettivi c.d. sensibili, ecc.). A questi ultimi riferimenti si possono aggiungere la mai analizzata legge sulla protezione civile (con poter all’esecutivo di emanare provvedimenti «extra ordinem», cioè del tutto eccezionali), le norme sul controllo – con adeguato uso della forza – anche nella acque extraterritoriali di imbarcazioni sospettate di trasportare persone non europee prive di visto, le norme sul controllo – in funzione di c.d. antiterrorismo – finanziario e bancario. Il quadro italiano, peraltro, si lega alla costruzione della «fortezza» Europa (Liste nere, Decisioni Quadro antiterrorismo, mandato d’arresto europeo, Eurogol, Eurojust) ed alle nuove «prassi» internazionali: si pensi al rapimento CIA di Abu Omar, effettuato in Italia, non si può credere senza – quantomeno – la connivenza di apparati e istituzioni italiane; si pensi, ancora, ai voli segreti della CIA per l’Europa per trasportare prigionieri in prigioni parimenti segrete.
Insomma, mi pare che se riflettiamo sulla natura dello Stato capitalista, ne vediamo la sua intrinseca finalizzazione al comando più efficiente e meno costoso, il comando che si ponga come il più esteso ed il più produttivo possibile. Ed appare chiaro che questa «finalizzazione» non ha potuto dispiegarsifin tanto che si è trovata di fronte, sul piano internazionale, una forza militare antagonista (i Paesi del Socialismo reale) e un forte movimento di classe o quantomeno di opposizione basato su principi «altri» rispetto al Mercato, all’interno. L’ assenza di questi antagonismi ha portato, e porta, a questo «salto di qualità» nella organizzazione dello Stato in senso autoritario, repressivo e antitetico rispetto agli stessi classici (formali) principi dello Stato democratico borghese occidentale (tripartizione dei poteri e loro autonomia, rispetto della libertà personale, cultura – almeno a parole – delle garanzie, ecc.). Si può addirittura intravedere, nella diostruzione di ogni regola portata dalla guerra, che ormai permea di sé istituzioni, politica e nostro quotidiano (anche se non ne siamo del tutto consapevoli), l’inizio di una sorta di «fase costituente» di un diverso (ed esecrando) modello di Stato e di relazioni internazionali. Di fronte a tutto questo assumono straordinaria importanza i fenomeni di resistenza alla aggressività dello Stato Imperialista (in primis gli USA, che segnano altresì il cammino di questa «fase costituente»), e penso alla Resistenza del Popolo Iracheno, alla Resistenza Palestinese, ai vari movimenti di liberazione nel mondo, all’aprirsi di fasi rivoluzionarie in paesi come il Venezuela, al non venir meno di Cuba. E non può, evidentemente, essere tralasciata l’importanza della solidarietà internazionalista. Ma è anche all’interno del nostro Paese che si può e si deve giocar questa battaglia. Come già abbiamo accennato il nuovo modello di stato distrugge le garanzie economiche e sociali (rapporti di lavoro, pensioni, salute), fa la guerra al Sud del mondo e prepara lo scontro con chi potrà mettere i discussione lo strapotere USA (vedi The National Security Strategy del settembre 2002), dei quali il regime bipolare (Centro Destra e Centro Sinistra) vuole continuare ad essere il migliore alleato; e ciò senza tacere della natura imperialista, in proprio, sia dell’Italia che della fortezza Europa. Pertanto mi sembra che lottare per riprendersi garanzie economiche e sociali si leghi oggettivamente alle diverse Resistenze sul piano internazionale, ed alla stessa solidarietà internazionalista, che dovrà muoversi con la capacità di essere incisiva e, anche, di allargarsi a quanti più strati sociali possibili.
A questo proposito mi pare che si possa riflettere sulla possibilità che, a fronte della distruzione del vecchio Stato e dei vecchi principi, si determinino anche inaspettate resistenze da parte di chi si sente custode di tali principi e da essi è impregnato. Penso ad alcune sentenze, in materia di c.d. terrorismo o di immigrazione, in assoluta controtendenza rispetto alle pressioni politiche dominanti, tanto che hanno determinato l’esigenza dell’Esecutivo di produrre nuove norme: le nuove fattispecie di reato di «arruolamento» e di «addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale», abbinate alla nuova ed aberrante definizione della «condotte con finalità di terrorismo», introdotte proprio con il decreto Pisanu del luglio scorso, costituiscono, infatti, la risposta a quella che è ormai definita «sentenza Forleo».
Non bastando il 270 bis, il Governo (e il Parlamento) sono passati al 270 quater, quinquies e sexies!
Ma torniamo all’accenno alle inaspettate «sacche di resistenza»: io penso che ci possano essere, ch quindi non vadano ignorate, me che non si possa affatto contare su di esse. Saranno quei pochi appartenenti ai ceti intellettuali (ceti che hanno sempre dimostrato il loro servilismo – nella stragrande maggioranza – verso il potere) che saranno disgustati dal «salto di qualità» nell’organizzazione repressiva e imperialista dello Stato, a doversi rendere conto, magari gradatamente, che l’unico punto di riferimento di vera opposizione e resistenza sarà quello che si connoterà in senso di classe e di capace solidarietà internazionalista. Segnali ben più significativi di «resistenza» (è indispensabile affermarlo dopo il richiamo a isolati, e solo «possibili», appartenenti ai ceti intellettuali) sembrano provenire, quantomeno nel loro significato oggettivo, da realtà quali il ribellismo delle periferie francesi o la ben più articolata e «politica» realtà della lotta della Val di Susa.
Concludendo, mi accorgo di aver scritto considerazioni abbastanza ovvie-. Se proprio non è così, spero che queste considerazioni possano stimolare ulteriori e più approfondite riflessioni.


Milano, 14 dicembre 2005
 



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