Breve cronologia delle mobilitazioni in Francia (2003)
E’ la rimessa in causa da parte dello Stato del sistema pensionistico del settore pubblico che, nel novembre 1995, dà fuoco alle polveri in tutta la Francia. Dal 27 novembre i ferrovieri paralizzano tutta la rete ferroviaria, seguiti rapidamente dai lavoratori dei trasporti parigini (RAPT), dai centri di smistamento postale, l’EDF-GDF, dai lavoratori del traffico aereo.
Cinque anni dopo, il 16 gennaio 2001, il padronato minaccia di non rinnovare il sistema pensionistico integrativo ASF[1] (finanziato dal padronato e dai salariati) se non si fosse provveduto ad una riforma complessiva dell’intero sistema di gestione delle pensioni, una vera e propria dichiarazione di guerra da parte del MEDEF (l’associazione francese degli imprenditori, l’analogo della Confindustria italiana), che punta ad abbassare le pensioni integrative del 22% o ad allungare il tempo di lavoro per poter accedere alla pensione piena a partire dal 1° aprile 2001.
La manifestazione del 25 gennaio 2001 va oltre il solito schema di gestione sindacale: manifestazioni in tutta la Francia si oppongono alla pretesa del MEDEF di prolungare di cinque anni la durata della contribuzione e alla minaccia del mancato rinnovo del sistema pensionistico integrativo ASF.
In tale occasione, il sindacato ha evitato di promuovere manifestazioni settoriali e nelle singole aziende sulla riforma delle pensioni e, più in generale, sulla precarizzazione del rapporto di lavoro, mobilitando invece gli uomini più affidabili del suo apparato, inviandoli a Barcellona o da altre parti, in occasione dei vertici degli organismi sopranazionali. Una scelta che da subito ha incontrato l’ostilità della base sindacale che ha parlato di “turismo militante”.
Il movimento degli scioperi del febbraio 2001 fa retrocedere le posizioni del MEDEF che si vede costretto a prorogare di un anno l’accordo ASF che diviene AGFF[2].
Dopo questa cocente sconfitta dei sindacati padronali non era più possibile, da parte del governo, lasciare padronato e sindacati da soli sulla scena. La legge Fabius del 19 febbraio 2001 sulle trattenute salariali è accettata dai sindacati CFDT, CFTC, CGT in cambio della cessazione degli scioperi e come pegno di buona condotta per l’avvenire. La più importante delle innovazioni contenute nella legge riguarda l’istituzione dell’obbligo di negoziare una trattenuta salariale e di farla figurare all’interno dei contratti collettivi che, in pratica, apre la via ai fondi pensione gestiti dalla “sinistra”. La CGT va così a riallinearsi alla CFDT.
E’ proprio nel periodo di crisi manifesta dei sistemi pensionistici a capitalizzazione[3] che, il 3 settembre 2002, ricominciano le trattative sull’AGFF e, con queste, anche le manifestazioni dei lavoratori e dei pensionati. Subito, padronato e sindacati raggiungono un accordo per prorogare ulteriormente l’AGFF fino all’ottobre 2003.
Il 28 gennaio 2003 migliaia di insegnanti francesi entrano in sciopero, rispondendo all'appello dei cinque sindacati FSU, UNSA, CGT, CFDT e FAEN. Lo sciopero ha per oggetto i tagli agli organici (soprattutto di aiuto-educatori e sorveglianti) e alle risorse scolastiche e i progetti di decentramento della gestione scolastica alle Regioni. Si tratta della terza mobilitazione nazionale su questo tema, dopo lo sciopero del 17 ottobre e la manifestazione nazionale dell'8 dicembre.
Significativo è il fatto che la scadenza sia stata mantenuta nonostante, pochi giorni prima, il Ministro dell'Educazione Ferry avesse promesso l'assunzione in ruolo di 30.000 docenti e 16.000 ausiliari. Lo sciopero era stato preceduto da alcuni scioperi e agitazioni settoriali tra il 17 e il 20 di gennaio, come quella degli aiuto-educatori e dei sorveglianti e quella dei consiglieri psicologici e d'educazione, che chiedevano adeguamenti contrattuali.
Il 1° febbraio, almeno 500.000 persone hanno complessivamente partecipato alle manifestazioni che si sono tenute in diverse città contro i progetti di modificazione del regime pensionistico in vigore. 50.000 persone hanno partecipato al corteo di Parigi, nonostante una tempesta di neve e lo sciopero delle metropolitane suburbane, 50.000 manifestanti anche a Marsiglia, 20.000 a Bordeaux e a Lione, 25.000 a Tolosa e a Rennes, 10.000 a St. Etienne. Il grosso dei cortei era formato dai lavoratori del pubblico impiego e della scuola. Infatti, gli 800.000 insegnanti francesi hanno da perdere molto più degli altri lavoratori con questo progetto di riforma. Oggi un insegnante può pensionarsi a 37 anni e mezzo mentre a partire dal 2008 potrà andarsene a 58 anni, se avrà raggiunto i 40 anni di contribuzione, mentre nel 2012 dovrà aver totalizzato 42 anni; una penalizzazione nei trattamenti vi sarà per coloro che non raggiungeranno il 100% dell’anzianità; la quota del 2% annuo verrà ridotta a 1,875% in ragione dell’allungamento della percorrenza; gli anni di studio e formazione non saranno più presi in considerazione, tuttavia potranno essere riscattati ma solo fino ad un massimo di tre; il beneficio di un anno per figlio rimarrà in vigore solo per i nati entro il 2004; i figli nati durante gli studi non saranno più tenuti in considerazione; non sarà più concesso l’anticipo a 15 anni per le madri di tre figli, ma solo un beneficio contributivo del 10%; verrà abolita la possibilità del part-time pensionistico per coloro che hanno 55 anni.
La manifestazione era organizzata praticamente da tutti i principali sindacati.
Un nuovo sciopero del comparto scuola avviene il 18 marzo, indetto da quattro delle cinque sigle che avevano indetto i precedenti con l’esclusione dell’UNSA, che però ha partecipato a livello locale soprattutto nel Midì e nell’Ile de France. All’agitazione hanno aderito anche sezioni di Force Ouvriere e i collettivi minori aderenti alle organizzazioni sindacali più movimentiste come SUD e CNT. A Parigi, anzi, non sono mancate alcune tensioni tra questi ultimi e il servizio d’ordine della FSU, quando il collettivo dei sorveglianti e degli aiuto educatori, la parte più esposta alla minaccia di soppressione dei posti, ha preso come di solito la testa del corteo. Lo sciopero era indetto su una piattaforma ampia per protestare contro le diverse misure ministeriali che vanno dalla minaccia di innalzamento all’età pensionabile, alla soppressione dei posti precari, alla decentralisation delle competenze scolastiche alle Regioni, alla mancanza di risorse contrattuali.
Il 3 aprile è ancora sciopero generale. I lavoratori rispondono all’appello di CGT, CFDT, FO, UNSA, FSU e Gruppo dei 10. Si sono svolte 117 manifestazioni con circa 600.000 partecipanti complessivi, secondo gli organizzatori, 320.000 secondo il governo. Le manifestazioni più grosse si sono svolte a Parigi e a Marsiglia (80.000), a Tolosa (35.000), a Pau (20.000), a Bordeaux (15.000). La CFDT non ha partecipato ai cortei tranne che col personale del pubblico impiego e della scuola perché lì la riforma comporterebbe le modifiche maggiori.
Il 6 maggio un nuovo sciopero della categoria scuola, seguito, il 13 maggio, da un nuovo sciopero generale. Scendono in piazza più di 2 milioni di persone. A Parigi i lavoratori della Renault, della Danone e dell’Air France hanno sfilato insieme ai dipendenti pubblici e ai poliziotti. La paralisi dei trasporti pubblici è stata quasi totale – nella capitale è rimasto fermo il metrò e l’80% dei voli sono stati cancellati – e ha comportato difficoltà anche nei giorni successivi. Molto alte sono state le percentuali di adesioni allo sciopero in settori come la sanità (90%) e la scuola (74%, un record per il settore). Nei settori della posta e dei trasporti, gli scioperi sono stati prolungati due giorni in più sotto la pressione spontanea della base.
Il 15 maggio il governo del primo ministro Raffarin riesce a dividere il fronte sindacale, che da mesi manifestava contro la riforma delle pensioni: CFDT e CGC firmano un accordo, respinto dalle altre confederazioni. Il ministro degli Affari Sociali, François Fillon, non ha escluso la possibilità di ridurre ulteriormente le pensioni in un prossimo futuro se si riveleranno giuste le previsioni dell’Ufficio Francese della Congiuntura Economica (OFCE), secondo il quale le misure previste dal governo sono compatibili solo con una situazione di pieno impiego poiché, altrimenti, il sistema non sarà in grado di sostenere l’attuale livello pensionistico.
Il 19 maggio vi è la discussione del parlamento che modifica la legge sulle pensioni e, nell’occasione, un nuovo sciopero del fronte sindacale nel pubblico impiego, da cui però si sono ritirati CFDT e CGC, mentre FO si è riaggregata.
Il 22 maggio riscendono in piazza i lavoratori della scuola; è l’ottavo dall’inizio dell’anno e il quarto nel mese di maggio. Il tutto in un clima in cui tra scioperi nazionali e agitazioni locali molte scuole sono bloccate e si paventa persino il boicottaggio degli esami.
Ci sono situazioni che, dopo il precedente sciopero del 13 maggio, non hanno ancora ripreso il lavoro in forma stabile. A cavallo della firma vi sono state numerose manifestazioni di insegnanti e impiegati pubblici a Montpellier, Besançon, Tolone, Le Mans, Poitiers. Più che la solita Parigi, sembra essere la provincia a fare la parte del leone. E ancora una volta l’epicentro è il Midì: a Perpignan sono scese in piazza, secondo la polizia, 2.000 persone, a Salon de Provence 150 insegnanti hanno contestato Chirac che celebrava le vecchie glorie dell’aviazione francese in un aeroporto del luogo. A Montauban e nell’Ariege ci sono state manifestazioni locali. E’ la stessa zona che nel 2000 diede la stura alle proteste che portarono alla caduta di Allégre.
Un milione persone sfilano a Parigi domenica 25 maggio. Secondo i sindacati CGT, FSU, FO e UNSA che hanno organizzato la manifestazione contro la riforma delle pensioni prevista dal governo Raffarin. Altre manifestazioni si sono tenute a Marsiglia (40.000 persone), Avignone (18.000), Tolone (20.000), Bordeaux (20.000), Montpellier (10.000), Lione (7.000), Tolosa, Nizza e Grenoble. La presenza preponderante è quella dei dipendenti pubblici e, tra questi, quella degli operatori del comparto scuola.
Martedì 27 maggio viene indetto un altro sciopero della scuola, seguito, il 2 giugno, dallo sciopero dei lavoratori delle ferrovie.
Il 3 giugno si svolge il 13° sciopero della scuola nel corso dell’anno scolastico senza però avere un grande successo. L’agitazione continua in forme articolate nelle giornate del 4, 5 e 6 giugno. D’altra parte ormai l’anno scolastico volge al termine e la stessa decisione sindacale di non bloccare né interrompere gli esami, finora disciplinatamente rispettata dai collettivi di sciopero, limita la partecipazione alla lotta. Nondimeno dopo qualche giorno oltre 300.000 persone sono scese ancora in manifestazione in tutta la Francia: a Parigi erano 60.000, altre migliaia a Tolosa, Le Havre, Tolone, Rouen, Le Mans, Lille, Nantes e Grenoble. Se sulla partita pensioni non si vedono risultati di rilievo (a parte la votazione parlamentare dell’articolo che assicura l’85% di pensionabilità per i salari minimi), sui temi specifici della scuola va registrato lo sblocco di 80 milioni di euro per la messa in opera dei cosiddetti assistenti d’educazione alla ripresa dell’anno scolastico, il rinvio delle contestate misure relative all’autonomia universitaria e la decisione del governo di rinunciare alla regionalizzazione degli orientatori psicologici, dei medici scolastici e degli assistenti sociali. La decentralisation continua però a riguardare il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, circa 90.000 persone. Accanto alla scuola c’erano in piazza anche altri settori pubblici e privati, soprattutto i lavoratori dei trasporti. Ma anche alle rete ferroviaria, aerea e ai trasporti urbani parigini non si sono registrati i gravi dissesti dei giorni scorsi. Lo sciopero nei trasporti urbani è stato più incisivo in provincia con il blocco quasi totale a Clermont Ferrand, Digione, Reims, Tours, Lione, Montpellier e Pau.
Il 10 giugno, un nuovo sciopero dei lavoratori della scuola unitamente al settore dei trasporti; la metropolitana ha funzionato a singhiozzo con molte linee totalmente bloccate, e in tutto il paese ha viaggiato un treno su tre.
Il 24 luglio il Parlamento francese approva definitivamente la riforma delle pensioni. Il provvedimento, dopo esser stato licenziato dall'Assemblea Nazionale nei giorni precedenti, è stato approvato anche dal Senato con 205 voti a favore e 113 contrari.
La riforma prevede, per i dipendenti pubblici, un aumento progressivo degli anni necessari per raggiungere la pensione massima, che sarà pari al 75% dello stipendio, fino ad arrivare ai 40 anni di contributi nel 2008, in linea con i lavoratori del settore privato. Il salario accessorio sarà incluso per una quota del 20% e verranno istituite forme integrative di pensione. I limiti di età (a seconda delle categorie 55, 60 o 65 anni) non vengono modificati ma a partire dal 2006 disincentivi pari al 3% per ogni anno che manca per raggiungere il limite, fino al 2011, e al 5% fino al 2015. In generale, i lavoratori dipendenti, prima di quella scadenza, si troverebbero con le pensioni ridotte del 20% e dovrebbero sottomettersi al sistema di assicurazione contro la disoccupazione. La nuova normativa prevede inoltre il prolungamento della vita lavorativa a 41 anni dal 2012 e a 42 anni a partire dal 2020. Dopodiché la durata della contribuzione sarà adeguata all'“evoluzione delle condizioni demografiche, economiche e sociali”, ipotizzando che, tra qualche anno, la disoccupazione - oggi al 9,5% - non sarà superiore al 4,5%. Il che non è affatto certo.
Di fatto si tratterebbe di far crescere l’età reale per la cessazione dell’attività dagli attuali 57 anni in media a più di 62 anni entro il 2020.
Per il settore privato la riforma in discussione al Parlamento non modifica nulla in termini di contributi necessari al pensionamento fino al 2008; per chi ha percepito il salario minimo la pensione sarà pari all’85% per cento del salario minimo intercategoriale (SMIC, prima all’80%); per chi ha iniziato a lavorare a 14 o 16 anni è possibile, ad alcune condizioni, andare in pensione prima dei 60 anni; nessuna penalizzazione per chi ha cumulato contributi in più casse pensionistiche private; è previsto infine un disincentivo (una diminuzione del 5%) per chi vuole ritirarsi prima dei 40 anni di contribuzione.
Un milione e mezzo di persone era sceso in piazza contro la riforma il 10 giugno scorso. Ma il governo ha atteso pazientemente che l'ondata di scioperi generali, otto in tutto, si smorzasse.
La sinistra, che ha cercato di bloccare la legge presentando migliaia di emendamenti, ha preannunciato un ricorso al Consiglio di stato. Soltanto la CFDT ha avallato la riforma.
“Siamo riusciti a ottenere alcune misure che ritenevamo indispensabili: innanzi tutto la possibilità per le persone che hanno iniziato a lavorare a 14, 15 e 16 anni di ritirarsi prima di raggiungere l’età pensionabile; inoltre abbiamo chiesto e ottenuto che ai lavoratori con salario minimo sia riconosciuto l’85% di quanto percepivano durante l’attività; infine abbiamo ottenuto l’armonizzazione tra lavoratori pubblici e privati, con 40 anni di contribuzione, a condizione che sia introdotta una cassa integrativa che tenga conto dei premi nel calcolo delle pensioni. Vanno poi considerati gli obiettivi politici della nostra azione: è stato mantenuto il sistema a ripartizione; l’armonizzazione tra i diversi sistemi consente di mantenere la coesione tra lavoratori pubblici e privati, che rischiavano di dividersi; infine l’aumento delle pensioni non viene più imposto unilateralmente dal governo ma diventa oggetto di negoziazione” dirà, all’indomani del raggiunto accordo, Jean-Marie Toulisse, segretario nazionale della CFDT.
Il governo infierisce sulla sconfitta dei lavoratori della scuola con il prelevamento integrale dei giorni di sciopero dalle loro paghe, compresi i sabati. Per coronare il tutto, il governo si permette di annunciare la soppressione di 2.500 posti di insegnanti stagisti e di 1.500 posti di titolari nelle istituzioni secondarie.
Il 9 settembre si è riapre il dibattito sulle pensioni attraverso le trattative sui fondi integrativi (600-700 milioni di euro ogni anno).
[1] L’accordo ASF riempie le casse pensionistiche integrative dei mezzi necessari a coprire i finanziamenti dei pensionati di età compresa fra i 60 e i 65 anni, i cinque anni che le casse integrative non riuscivano coprire. Introdotto nel 1983, è stato grazie al rinnovamento successivo di questo accordo (nel 1990, 1993 e 1996) che i salariati del settore privato hanno potuto accedere agli accordi d’impresa di inattività dall’età di 55 anni. Nel caso che l’accordo ASF non fosse stato rinnovato, i lavoratori del settore privato che si fossero fatti liquidare la loro pensione dopo il 1° aprile 2001 avrebbero dovuto scegliere fra subire una riduzione del 22% sulla loro pensione complementare oppure restare a lavorare fino al compimento dei 65 anni.
[2] Associazione per la Gestione dei Fondi di Finanziamento dell’AGIRC (Association Générale des Institutions de Retraites des Cadre) e dell’ARRCO (Association des Régime de Retraite Complémentaire)
[3] Dopo la generalizzazione della crisi borsistica, i paesi che hanno avuto uno sviluppo significatico del sistema pensionistico a capitalizzazione (Gran Bretagna, Paesi Bassi) cominciano ad affrontare grosse difficoltà. In Gran Bretagna, una cinquantina di imprese dichiarano la propria impossibilità al pagamento delle pensioni. Nei Paesi Bassi le pensioni non sono più ricapitalizzate e i contributi subiscono grossi incrementi.
I fondi Calpers, i più importanti fondi statunitensi, avrebbe perduto, secondo il suo presidente Bill Crist, 200 miliardi di dollari nell’aprile 2002, ossia il 20% delle sue risorse. La situazione è tale che Calpers rischia di non poter soddisfare gli impegni presi rispetto al pagamento delle pensioni.
Il 2002 non ha fatto che confermare lo scossone finanziario internazionale. I crack e i fallimenti spettacolari negli USA faranno dire a Alan Greenspan, il presidente della Federal Riserve, la banca centrale degli USA: “la falsificazione e la frode distruggono il capitale, la libertà del mercato e , piùà in generale, i fondamenti della società”.
Indubbiamente, sarebbe più onesto ammettere che è piuttosto il capitalismo che ne è la causa. La falsificazione e la frode sono il modo di esistenza del capitalismo, ne costituiscono la regola e non l’eccezione.
Il fallimento della Enron, società di commercio del petrolio e dell’elettricità, testimonia come il sistema capitalista genera ogni traffico possibile. Ma la bancartotta fraudolenta della Enron non è che un esempio fra gli altri: nel febbraio 2001 è la volta della Tyco, poi Adelphia, Xerox, Global Crossing. Il 26 giugno 2002 fallisce per frode WorldCom, il primo operatore mondiale di telecomunicazioni statunitense.
In Francia, è la rovina di Vivendi… Ancora una volta si svela l’illusione che la speculazione finanziaria possa costituire un antidoto alla crisi economica.