L'eredità del dollaro?

Anthony B. Mueller*

Sin dalla metà degli anni 80 gli Stati Uniti sono stati a livello globale il maggiore destinatario di beni provenienti dall’estero. Poiché una parte sempre crescente di tali importazioni veniva finanziata attraverso la creazione di debito, il sistema monetario internazionale è stato sommerso dalla liquidità e si è prodotta così una bolla finanziaria che è penetrata in ogni angolo dei mercati finanziari interni ed esteri.

Il finanziamento dell’economia americana da parte degli investitori esteri ha consentito agli Stati Uniti una certa libertà di spesa, di richiedere prestiti a livello globale ed allo stesso tempo di effettuare prestiti in ultima istanza. Per questo motivo il ruolo degli Stati Uniti come unico generatore di liquidità a livello internazionale è stato stravolto facendo emergere una situazione insostenibile. Attualmente gli investimenti netti esteri degli USA sono negativi per la cifra di più di duemila miliardi di dollari, di conseguenza cresce sempre più la necessità di finanziamenti esteri sia per la mancanza di risparmi privati sia per l’aumento del deficit statale Qualsiasi siano le ragioni politiche legate alle nuove ambizioni strategiche del governo americano, le conseguenze economiche saranno caratterizzate da un aumento dei costi e se improvvisamente dovessero venire a mancare i prestiti esteri destinati alle spese degli Stati Uniti aumenterebbero sempre più i rischi di un disastro economico e finanziario. Il sistema finanziario mondiale tende a favorire negli Stati Uniti un eccesso di entrate come mostra lo squilibrio del saldo di bilancio (Tabella 1). Una situazione di questo genere, per un certo periodo, può essere vantaggiosa per l’economia, poiché permette di garantire la liquidità internazionale, infatti il paese che emette la moneta più usata a livello internazionale può rimanere tranquillo finchè i suoi certificati di debito vengono utilizzati in tutto il mondo come mezzo di pagamento. Ma ad un certo punto, quando risulta eccessivo il divario tra l’emissione di debito e la capacità produttiva, il sistema procede nel senso opposto.

Tabella 1

 

1997

2000

2001

2002*

Stati Uniti

-140

-445

-417

-435

Unione Europea

107

-28

29

30

Giappone

97

119

89

110

Paesi asiatici emergenti

20

92

99

78

* previsione

Fonte IMF Economic Outlook, Bank for International Settlements, 72° rapporto annuale

Tuttavia entrano in gioco numerosi fattori che via via acquisiscono maggiore importanza nel provocare una inversione di tendenza del flusso di capitali rispetto al passato. Mentre gli Stati Uniti stanno entrando in una fase in cui cresce il peso della finanza per l’aumento degli acquisti di titoli e di trasferimenti unilaterali, allo stesso tempo tendono a diminuire gli approvvigionamenti di fondi provenienti dall’estero, rendendo sempre più difficile per gli Stati Uniti il finanziamento delle sue ambizioni sulla scena mondiale.

Il Giappone, che è stato per lungo tempo la fonte principale di finanziamento del saldo di bilancio corrente, garantiva quasi 100 miliardi di dollari all’anno per compensare il deficit da record degli USA che ammontava, fino al 2000, a più di 400 miliardi di dollari all’anno. Sul lungo periodo, viste le condizioni precarie delle finanze governative del Giappone e lo stadio avanzato del processo di invecchiamento della sua popolazione, sembra piuttosto improbabile che il Sol Levante possa continuare a garantire fondi su così larga scala per gli anni a venire.

I paesi emergenti dell’Asia, con la Cina che presenta una economia prominente rispetto agli altri, hanno registrato negli ultimi anni avanzi di bilancio corrente pari a quasi 100 miliardi di dollari superando i 20 miliardi del 1997, tuttavia in Cina i bisogni interni stanno crescendo molto velocemente e sarà molto probabile che il paese in futuro sarà obbligato ad importare beni come il petrolio ed i prodotti alimentari.

Il contributo dell’Unione Europea grazie agli avanzi di bilancio corrente, che nel 1997 ammontavano a più di 117 miliardi di dollari, purtroppo manifesta un declino e si stabilizzerà probabilmente attorno allo zero. In termini di movimenti di capitale a lungo termine, l’Area dell’Euro ha garantito un contributo combinato alla finanza internazionale con una esportazione di capitale pari a 347 miliardi di dollari dal 1999 al 2001 in un periodo in cui gli Stati Uniti assorbivano dall’estero complessivamente 1300 miliardi di dollari. (vedi Tabella 2).

Come il Giappone, i paesi europei maggiori esportatori di capitali si trovano di fronte ad una valanga di aumenti dei costi sociali dovuti all’invecchiamento della popolazione. Inoltre, l’estensione dell’Europa Unita verso Est farà cambiare direzione al mercato ed agli investimenti diretti esteri che passeranno dagli USA all’Europa orientale e verso altre aree del mondo.

Tabella 2

  Capitali netti a lungo termine Investimenti diretti Azioni Obbligazioni

Stati Uniti:        1999

2000

2001

370

485

445

146

135

2

-2

94

19

226

256

424

Area dell’Euro:   1999

2000

2001

-228

-86

-33

-125

26

-93

-71

-235

126

-32

123

-66

Giappone:           1999

2000

2001

-7

-35

-73

-10

-23

-32

71

-21

28

-68

9

-69

Il segno meno significa esportazione di capitali

Fonte: Banca Centrale Europea; dati nazionali; Bank for International Settlements  72° rapporto annuale 2001-2002

La potenza del dollaro nei due anni passati era dovuta in larga parte all’ingresso negli Stati Uniti di enormi quantità di capitali provenienti dall’estero, questo paese ha sperimentato un circolo favorevole nel quale i capitali esteri indirizzati verso investimenti diretti venivano attratti da tassi di crescita molto elevati che tali immissioni  a loro volta hanno contribuito ad elevare ulteriormente. Inoltre, il massiccio finanziamento estero per la vendita di titoli di stato USA – 424 miliardi di dollari solo nel 2001 – ha aiutato a mantenere bassi i tassi di interesse a lungo termine. La gigantesca importazione di beni provenienti dall’estero, che ammontava a 452 miliardi di dollari nel 2000, ed a 427 miliardi nel 2001 (vedi tabella 3), hanno fatto abbassare il livello dei prezzi contribuendo così alla ulteriore diminuzione del tasso di interesse ed all’ aumento della crescita effettiva.

Tabella 3: Partite correnti degli USA (1999-2001) in miliardi di dollari

 

1999

2000

2001

Beni

-345

-452

-427

Sevizi

84

76

79

Entrate

-14

-15

-19

Trasferimenti correnti

-49

-54

-50

Partite correnti

-324

-445

-417

Fonte Banca Centrale Europea; Dati nazionali; Bank for International Settlements 72° rapporto annuale 2001-2002

Gli Stati Uniti, per la posizione di unico fornitore della moneta che domina a livello mondiale, sono stati in grado di evitare le conseguenze provocate da una contrazione economica internazionale della quale hanno tuttavia risentito pesantemente i paesi della periferia del sistema finanziario internazionale. Però uno spostamento od una riduzione dell’ingresso di capitali esteri ad esempio un ritorno in patria degli asset dagli USA verso il Giappone, l’Europa o verso altri paesi creditori, potrebbe condizionare la disponibilità degli USA ad effettuare pagamenti diretti a livello internazionale, cosa che potrebbe portare ad un indebolimento del dollaro e probabilmente farebbe innalzare i tassi di interesse, per cui l’economia americana potrebbe trovarsi di fronte ad una depressione economica.

Dato che gli Stati Uniti tendono sempre più a diminuire gli investimenti netti, mentre allo stesso tempo aumenta il deficit dello stato ed aumentano i trasferimenti di moneta, in futuro verrà messo in discussione sempre di più il ruolo del dollaro. Finora la moneta americana ha potuto mantenere il suo valore per la sua posizione indiscussa di moneta dominante a livello internazionale, tuttavia, tale privilegio non implica che la possibilità degli Stati Uniti di godere del credito internazionale sia illimitata. Il ruolo del dollaro diviene globalmente sempre più vulnerabile poiché si cercano sempre di più delle alternative ed emergono monete, come l’euro, o prospettive di scambi internazionali basati sull’oro.

Le conseguenze di un calo accentuato della posizione del dollaro potrebbero essere drammatiche e di proporzioni globali, infatti oltre ad influenzare le economie strettamente collegate con quella americana, l’impatto maggiore dovrebbe verificarsi proprio sull’economia degli Stati Uniti. La fine del dominio globale del dollaro potrebbe significare che non potrà essere mantenuto l’attuale rapporto tra le entrate di capitale e la produzione interna. Dati i tempi e le difficoltà è necessario un potenziamento delle capacità affinché vi sia una produzione adeguata altrimenti la conseguenza più immediata sarebbe sicuramente un crollo della domanda.


* Il Dott. Antony P. Mueller è professore di Economia presso l’Università di Erlangen  a Norimberga (Germania) ed uno studioso del Mises Institute.