ELEMENTI
DELLA QUESTIONE SPAZIALE
SOLUZIONI
CLASSICHE DELLA DOTTRINA STORICA MARXISTA PER LE VICENDE DELLA MISERABILE
ATTUALITA’ BORGHESE
Rapporto
alla riunione di Milano del 17-18 ottobre 1959 - Terza Seduta
Venne
da varii partecipanti alla riunione la richiesta che nel corso di essa fossero
brevemente prospettati agli intervenuti i termini fondamentali delle discussioni
sui recenti lanci dalla Terra di satelliti e razzi cosmici, di cui il nostro
giornale si è occupato con una serie di note critiche a partire dal lancio del
primo Sputnik da parte dei russi. Scopo di una tale esposizione non fu di
ripetere o di aggiungere commenti alle successive notizie dei lanci che in tutto
il mondo suscitano interesse e discussione, ma di meglio preparare i compagni
alla lettura e comprensione dei commenti che appaiono sulla nostra stampa alle
successive tappe dei tentativi, e di far sì che nostri elementi preparati in
materia possano fare utile opera di diffusione dei concetti svolti nel seno
della nostra organizzazione. La nostra propaganda orale e scritta e il nostro
lavoro interno non hanno e non possono né vogliono avere un metodo scolastico,
ed anzi la nostra viva critica a tutto il rumoroso seguito dato in argomento,
specie dalla propaganda filorussa, agli eventi di cui si esalta il lato
stupefattore delle folle, mira appunto a combattere i lati nefasti di quello che
nella società presente appare come "volgarizzazione popolare" della
Scienza con lettera maiuscola; e fin dalla prima battuta che metteva la Luna
all’ordine del giorno della voga pubblicitaria staffilammo il falso
illuminismo di cui la borghesia imbottisce le masse, e che non in diverso stile
viene impiegato dai poteri che hanno come centro il Kremlino. Il relatore avvertì
che non poteva per ragioni evidenti svolgere una esposizione illustrata con
metodi matematici e che si sarebbe limitato a fissare alcuni punti essenziali,
con riguardo soprattutto alla storia della scienza e a quella presentazione dei
concetti di ordine fisico e cosmico che vale a stabilire come l’interesse a
questi argomenti non discende da capacità fondate sul corso di studii che
ciascuno abbia fatto, e tanto meno da nozioni che ha abbordato per la sua
attività professionale e il suo lavoro economico, ma discende proprio da
moventi di classe e di politica rivoluzionaria di partito, sicché a simili
temi, come a molti analoghi, quali la relatività di Einstein e la fisica
nucleare, hanno motivo di accedere tutti i militanti del movimento, e questo
deve loro assicurarne il mezzo quale che sia la misura del loro allenamento
scientifico. Abbiamo la certezza che il modo meno insidiato per pervenire alle
vitali conclusioni di ordine sociale e storico proprie del partito è proprio
quello di non costruire sui dati della burocrazia scolastica ed accademica
dominante nella società mercantile, e che se è vero che in essa la coltura è
anche un privilegio di quelli che usurpano quello economico, tuttavia la strada
alla verità - appunto per tali motivi di classe - si apre in larga parte più
facilmente all’ignorante che al timbrato con scartoffie da corsi di studio.
Nessuno ha dunque motivo di desistere dall’abbordare questi argomenti, e deve
trovare la forza di farlo con efficienza critica radicale senza bevere pari pari
tutte le insidiose pozioni tossiche della diffusione moderna. Alcuni ricordano
che nelle isole del confino fascista, dopo il 1926, si formarono scuole in cui
l’argomento che non si faceva politica ma coltura valida per tutti serviva sì,
ma solo in funzione di una mentalità da poliziotti borghesi. Fra quei
corserelli ve ne furono di fisica e di astronomia con accenni anche alle ardue
discussioni sulla teoria della relatività. Che tutto questo fosse un passatempo
inutile ai fini politici, può essere idea rimasta nella testa di stalinisti
antifascisti accesi, ma senza saperlo educati in uno stile fascista passivo.
Basterà dire che in quei corsi fu enunciata l’idea della possibilità tecnica
di porre in moto un satellite artificiale intorno alla Terra. Va detto che
mancavano trent’anni al primo tentativo, accessibile solo ad un’economia
statale, ma anche che non si ponevano allora obiettivi militari né, tanto meno,
politici, ossia di "épater le proletaire", ma quello della verifica
di una delle riprove sperimentali della teoria di Einstein, ossia lo spostamento
del periodo di un pianeta molto vicino al corpo attraente, come si osserva per
Mercurio senza che la meccanica celeste tradizionale lo possa spiegare. Si
intende che per questi fini il corpo in rivoluzione dovrebbe essere sicuramente
visibile con telescopii e sicuramente esterno alla atmosfera terrestre, in
maniera che non sia disturbato il moto sull’orbita. Un simile satellite manca
tuttora.
Fisica
di Aristotele
La
nostra esposizione non dovendo aderire a programmi approvati da ministeri può
fare dei salti avanti e indietro per seguire la analoga vicenda del corso dei
fatti umani. Vorremmo indicare alcuni caratteri salienti della rivoluzione della
conoscenza umana per cui la fisica di Aristotele fu rimpiazzata da quella
radicalmente diversa di Galileo e di Newton, allorché l’astronomia di
Tolomeo, che poneva la Terra al centro, fu sostituita da quella di Copernico e
Keplero. La corrente impressione piccolo borghese è che Aristotele perdette il
suo tempo a scrivere baggianate di cui i moderni si liberarono con derisione, ma
che anche quelle che vi sostituì Galileo furono effetto di errori di
distrazione, dato che oggi è venuto Einstein a scrivere nuove formole al posto
di quelle del milleseicento. Ma una simile visione è del tutto fasulla, in
quanto si tratta invece di intendere la sola via per la quale la conoscenza
della specie umana è venuta costruendosi, man mano che la specie stessa
percorreva il suo corso di organizzazione sociale e di sempre nuovi rapporti
colla natura, prima solo in posizione consumatrice, poi in posizione produttiva.
Conducendo questa costruzione della storia della società della tecnica e della
scienza, risulta che si trattò di tappe necessarie di tutto un cammino organico
che contenne e presentò questi grandi luminosi balzi tra loro lontani, e che il
contributo che siamo stati educati a chiamare coi nomi di Aristotele e di
Galileo non fu meno grandioso di quelli che apporterà la fisica dei secoli
futuri. Ed evitiamo per ora il tema di quanto valga la situazione contemporanea,
che si mostra come una grande palingenesi delle possibilità umane conoscitive
ed applicative, ma che appunto sotto il riguardo della scienza applicata alla
produzione sociale mostra i suoi lati negativi e deteriori, e chiede uno
scioglimento drammatico all’avvenire. La scuola Aristotelica è un passo
gigante sulla via dello sforzo di descrivere la natura quale essa è, non solo
reagendo al primitivo inevitabile (e anche esso utile) antropomorfismo, di cui
l’uomo non sarà libero che in una società comunista integrale, ma
introducendovi il gioco della relazione tra causa ed effetto, e soprattutto
trovando sulla sfera terrestre quelle norme e regole generali di previsione che
società precedenti avevano già costruite per i fenomeni celesti (e forse a suo
tempo esamineremo l’altra ipotesi stupefattrice, di puro stile illuminista, e
quindi intellettualista ed idealista, ergo reazionaria e anticomunista, che tali
lezioni siano state impartite agli antichissimi uomini da astronauti in viaggio
di crociera spaziale). Dove si deve mostrare necessario che vi sia il ricco e il
povero, si prende la via traditora di dimostrare che è necessario vi sia il
grande uomo e i fessi qualunque, e soprattutto l’insegnante (diplomato) e gli
scolaretti. Non è la storia della filosofia greca che vogliamo fare, ma era
certo grande il tentativo di Aristotele di ridurre la natura minerale a quattro
elementi disposti dal basso in alto: terra, acqua, aria e fuoco, mentre altri
studiosi avevano tutto poggiato su un elemento solo. Gli atomisti greci dovevano
poi precedere di millenni non tanto la scoperta di una vasta serie di elementi,
ma la riduzione di essi diversissimi nella fenomenologia ad un tipo unico di
particella costitutiva, intuito verso il 1800 dal moderno Proust e poi
verificato dagli sforzi della ricerca sperimentale che oggi tanto stupisce.
Omaggio
al passato
La
nostra visione non personale della vicenda storica e della formazione del sapere
- tumultuose entrambe - non ci impedisce di rilevare che la partizione
aristotelica dei settori del sapere non ha ancora cessato di essere utile. Per
noi non gioca la fecondità di una grande mente ma quella di una grande epoca,
di un grande aggruppamento umano, come ragioni di determinismo sociale
agevolmente mostrano per l’età d’oro della Grecia classica. Non è dunque
un mancare di rispetto alla grande figura dire che la sua fisica era ancora
metafisica, tanto più che questa parola divenuta poi di uso generale nacque dal
fatto che certi libri dell’opera immensa seguivano quelli di fisica. Parve
comunque consono ad un primo sforzo di dare un modello al magico rapporto della
causa all’effetto costruire la fisica sulla ipotesi che ogni elemento tendesse
al suo simile, spiegando così lo scendere dei solidi nell’acqua e
nell’aria, e il salire del fuoco, di cui si immaginò che una sfera altissima
involgesse quella dell’aria. Secondo questa primordiale concezione l’uomo
anche se non legato alla terra poteva invadere l’elemento del pesce e
dell’uccello, ma avrebbe trovato morte alla quota della sfera del fuoco. Oggi,
in tempo di fantascienza, quella deduzione antica non ci pare poi da buttare via
del tutto. Sappiamo che nello spazio interplanetario non si brucia ma si gela
nello zero assoluto, che tutto rende immobile (quanto sappiamo!) ma come la
mettiamo colle fasce di radiazioni cosmiche appena scandagliate e
multimisteriose? La nostra tesi della utilità delle conoscenze passate, che
possono in dati rapporti farsi radicalmente preferire alle più recenti (ciò
che mai potrà digerire il pestifero filisteo del tempo capitalistico) trova
conferma nel grande rispetto con cui Galileo, nelle sue opere mirabili, parla di
Aristotele. Storicamente è nota la vicenda di quella filosofia fondamentale:
caduta la Grecia e caduta Roma la dottrina fu ereditata dagli arabi che
crescevano in potenza sulle rive mediterranee, e trasmessa dai grandi
commentatori alessandrini. I cristiani nel condurre contro il tentativo arabo di
assoggettare L’Europa una lotta senza quartiere, assorbirono la dottrina dei
loro nemici, ne sostanziarono la loro teologia in fondamenta più profonde di
quelle date dai loro libri sacri. Fu Tommaso d’Aquino a costruire a distanza
di quasi due millenni questa sistemazione monumentale, anche se la sua opera si
rivolse meno alla parte naturale che a quella umana di Aristotele (psicologia
logica ed etica) tracciando le linee di un incontro grandioso tra il dogma
rivelato e trasmesso e l’opera ricercatrice della mente umana. La durata
stessa storica del possente sistema prova che i prodotti di quelle forme
storiche, religiosa e scientifica, non differiscono nella origine motrice, come
sembra al popolarismo moderno laicizzante. Ma i seguaci di Aristotele e Tommaso
dettero nei secoli seguenti la misura della degenerazione del metodo e della
maturità di un sovvertimento delle forme sociali e dell’umana struttura
conoscitiva. Su questi seguaci impotenti si abbatté la rivoluzionaria sferza di
Galileo, e non sulla grandezza del Maestro, la cui opera apparteneva ed
appartiene alla umanità lottante.
Caduta
dei gravi
Non
sarà difficile dare un esempio che ci riconduce al tema diretto e che vale a
spiegare perché noi diffidiamo delle ultimissime scientifiche da baraccone,
tipo satelliti ammaestrati. Nella fisica di Aristotele il peso del grave è
causa della sua velocità di caduta. Egli introduce la legge che un peso di due
chili cadrà a terra in metà tempo di uno da un chilo. Ma Galileo afferma che
non è vero; la legge è un’altra; cadono nello stessissimo tempo. Da quel
dibattito sono passati tre secoli eppure non tutti sono sicuri che prendendo il
peso da cento grammi e quello da duecento di una comune bilancia battono insieme
a terra. Nella "pratica concreta" che imbroglia tutto abbiamo la vaga
memoria di aver provato con due corpi diversi, una piuma ed un sughero, una
pietra ed un foglio di carta, una palla e una lamiera. Galileo appunto perché
sperimentalista e sperimentatore (l’opera si chiama il Saggiatore) distinse
tra la forza di gravità e le resistenze passive, nella specie quella
dell’aria che rallenta i corpi più leggeri. La lamiera può fermarsi, la
piuma salire in alto. Nel vuoto, cadrebbero come piombo, nello stesso tempo del
piombo, e un pallino da schioppo cade nello stesso tempo della palla da cannone.
Gli ingenui contraddittori peripatetici di Galileo la pigliavano da filosofi.
Tutto sta a sapere a che si deve credere: alla sensazione materiale, l’
aiestesis, o non piuttosto alla mente, al nous, al logos, come insegna
Aristotele. Logo e ragione mi dicono che deve cadere più presto il più
pesante. Ma Galileo risponde: non solo voi non siete capaci nel cimento
sperimentale e negate quello che vi dice il vostro occhio e orecchio, ma se per
poco aveste appreso la efficacia del logos, del discorso logico, dal vostro
maestro Aristotele, io vi proverò che senza esperienza ad hoc, col puro logos
ho ragione. Ho due mezze palle uguali e le lascio cadere. Non dubitate che
arrivano a terra insieme. Ora le incollo secondo il diametro ed ho una sferetta
completa. E’ chiaro che pesa il doppio. Ma è anche chiaro che cade colla
stessa velocità della mezza sfera. Se infatti, come voi dite, la velocità
fosse maggiore, bisognerà che una delle mezze sfere faccia accelerare l’altra
trascinandola. Non solo non si saprebbe quale delle due preferire ma è contro
la logica che se la mezza sfera ha una velocità "di grado uno" (come
si esprimeva Galileo) possa imprimere all’altra mezza la velocità di grado
due. Ne deduciamo cosa semplice. Galileo trovò una ben diversa legge e formola
quantitativa per la caduta del grave, in cui la velocità non dipende affatto
dal peso, ma dallo spazio e tempo di caduta. La teoria della relatività cambia
di poco tale legge quantitativa, la cambia meno di quanto la cambi il solo
considerare la distanza del grave dal centro della Terra, distanza che varia
nella caduta, come osservò Newton; approssimazione che in quel testo a Galileo
non occorreva. Potrà darsi che sorgano in avvenire teorie ulteriori, concediamo
per chiarezza. Ma quel dialogato, con Simplicio, non esprime il logos ma
l’urto di due tappe della storia umana e della conoscenza; esso non sarà più
revocato dal futuro. Infallibile non fu Galileo né Aristotele né altro, ma
quello svolto rivoluzionario resta nella sua funzione demolitrice un risultato
definitivo, su cui si potrà sempre costruire. E’ irrevocabile,
incontrovertibile. Come lo era la condanna del principio di autorità e il
superamento del dogma rivelato, come lo fu più oltre la condanna rivoluzionaria
irrogata al sistema sociale capitalistico, e alla sua sciocca filosofia, che
pretese di essere definitiva nei punti di arrivo, dell’illuminismo borghese,
superstizione scientifica; male che non affettò Galileo, perché era un
rivoluzionario della conoscenza.
Fisica
di Galileo
La
questione della caduta dei gravi ci mostra quanto sia difficile impostare un
problema di causalità. I corpi stanno fermi fino a che qualcuno non li smuove
con uno sforzo: dunque è la forza causa del moto, più forza più moto, dunque
più peso più velocità. Oggi diciamo anche che il peso è una forza, ma non
poniamo più la relazione tra forza e velocità. Si può disporre di un corpo
lanciato a grande velocità uniforme, senza l’obbligo di applicarvi alcuna
forza. Questo sembra un paradosso ma esprime il principio di inerzia, caposaldo
scientifico dovuto a Galileo, che è indispensabile anche alla meccanica
relativistica che, se resterà valida, non sarà che un passo di più sulla via
della generalizzazione. Generalizzare vuol dire sostituire a tanti fatterelli
concreti un modello, che può non essere nella natura, ma interpreta il caso
tipo, il caso puro. L’empirismo antropomorfo, dirà Galileo, ci insegna che il
corpo non si vuol muovere, si oppone. E’ una prima espressione della inerzia,
ma particolare, incompleta. Intanto per ben ragionare bisogna spogliare il caso
singolo dagli accidenti secondarii, nella specie le nostre resistenze passive.
Se si tratta di un grande masso di roccia semiaffondato in un terreno scabro,
sarà evidente anche per Primo Carnera la sua ostinazione a non spostarsi di un
centimetro. Ma prendiamo una sfera tornita da perfetto artista e lucida,
poggiata su un piano orizzontale e duro come marmo; la mano di un bimbo basterà
a farla mettere in moto rotolando (l’attrito volvente, o di rotolamento, è
minimo se il cerchio è perfetto, il raggio grande). Invitiamo ora Carnera a
fermare con una mano la grande sfera rotolante; egli non potrà farlo che in un
certo spazio e tempo; e se lo mettiamo tra la sfera e un muro potrà essere
stritolato. Allora la legge diviene più generale: un corpo in quiete tende a
restarvi, un corpo in moto anche tende a restarvi. L’inerzia fa sì che ci
voglia una forza a dare ad un dato corpo una certa velocità, e la stessa forza
a togliergliela (ammettendo soppresse le resistenze passive). Andiamo diritti al
satellite. Tutto sta a lanciarlo, ma una volta lanciato "non costa
nulla" (come abbiamo detto più volte) che egli seguiti a correre lassù.
Ci pensa l’inerzia, ossia la forza viva, la velocità impressa alla sua massa.
Consideriamo la Terra e il suo grande o piccolo satellite. Torniamo al problema
perché la Luna non cade sulla Terra. L’astronomia di Tolomeo poteva anche
chiedersi: perché il Sole non cade sulla Terra? La risposta degli antichi era
quella che contentò anche Dante: ogni corpo è attaccato, come incollato, ad
una sua sfera che rotea nel cielo, avendo la Terra al centro. Nell’universo di
Dante l’ultima e massima sfera è quella dell’Empireo, cielo delle stelle
fisse, o primum mobile, che per virtù di Dio creatore ruota su se stesso in 24
ore insieme a tutti gli astri che non siano i pianeti, o stelle erranti,
ciascuno fissato ad un cielo di grado minore fino al primo, della Luna. Seguono
Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno e l’ottavo o Empireo.
Storia
della conoscenza
Quando
nel suo duro cammino la conoscenza umana trova una risposta rivoluzionaria, e
quindi indistruttibile, fa ben più che ottenere la frase di Bongiorno: la
risposta è esatta. Il grido è tutt’altro: la domanda viene annullata, era
falsa. O meglio, se ha servito finora, dal momento di questa esplosione non
serve più. Galileo Galilei apre con la stessa nostra reverenza il poema di
padre Dante, ma dice: non sarebbe meglio chiederci perché la terra non cade sul
Sole? Con questa inversione della domanda comincia una nuova storia dell’uomo,
e del suo sapere. A che risponde la dottrina della relatività particolare di
Einstein? Ad una vecchia domanda, che (in un certo senso) fecero i preti che
processavano Galileo: se la Terra si movesse su una orbita intorno al Sole, un
segnale luminoso dovrebbe mettere un tempo diverso ad andare da un punto
all’altro della Terra secondo che l’onda luminosa viaggia nello stesso senso
o in quello contrario al moto spaziale di essa. Se i sacerdoti avessero avuto il
dato di Michelson, la cui esperienza provò che il tempo era lo stesso,
avrebbero gridato: la Terra è ferma. Ma invece viene Einstein e non già
"condanna" Galileo, bensì mostra che la domanda va
"spostata". Misurando la velocità del segnale in un senso e
nell’opposto si è sempre preteso di potere adoperare la stessa unità di
misura di spazio e di tempo. Ma questo ovvio punto di partenza della domanda
cessa di essere valido. Per il sistema in moto rispetto a quello fermo, spazii e
tempi sono leggermente diversi. Usando formolette di Lorentz, Einstein espresse
questa contrazione delle unità di spazio e di tempo applicate ad un corpo in
moto (era Galileo che aveva stabilito che il corpo fermo non esiste) e dimostrò
che la esperienza di Michelson aveva dato il risultato che doveva attendersi,
introducendo la velocità della Terra e quella della luce. La prima è trenta,
la seconda trecento mila chilometri al secondo, la minima
"contrazione" (di ciò che per gli antichi e fino a Kant erano le due
categorie immutabili, i dati "a priori" di ogni attività mentale
umana) risulta non da questo rapporto, un decimillesimo, ma dal suo quadrato, un
centimilionesimo, dalla formolina di Lorentz. A scuola la risposta soddisfa la
domanda; e giù quel timbro professionale che proporremmo di appioppare al sommo
di una natica. Nella vita rivoluzionaria dell’umanità la risposta è la
distruzione della domanda e dei titoli di nobiltà. L’esempio della relatività
può essere indigesto. Passiamo ad un esempio storico. Per una secolare
sgonfiata l’Uomo si svolge verso la Libertà della sua Persona (dicono anche
la Dignità). Ammorba la domanda: va conquistata all’uomo la libertà
politica, o quella economica? Millenni di sistemi filosofici si arrabattano
dietro questa domanda e confondono il problema della libertà dell’uomo dalla
necessità che lo piega alle influenze dell’ambiente di natura con quello
della libertà del singolo dalla schiavitù ad altri uomini o gruppi di uomini.
Ma la scoperta rivoluzionaria del comunismo non trova già una nuova soluzione
al problema, bensì frantuma la sua impostazione, travolge la vuota domanda:
libertà o necessità? L’animale uomo in tanto è dotato di conoscenza in
quanto è animale sociale, uomo sociale. La sua sapienza dopo la sua azione, lo
condurrà a liberare la sua specie dalle più gravi pastoie determinatrici della
necessità naturale. Il nostro programma non è la libertà della persona umana,
politica od economica, è ben altro: liberare l’uomo dalla stupida illusione
della Persona: elevarlo a uomo sociale. Geocentrismo, unicità delle categorie
spazio e tempo, sistemi filosofici costruiti sull’Io individuale; sono
fantasmi dell’Uomo, che nel suo corso cadono. Ma ciò non vuol dire che non
vadano considerati e vagliati quali tappe della lunga immensa costruzione che fu
la storia della specie umana. Essi non si annullano come si fa di una formola
sbagliata scritta sulla lavagna passandovi lo straccio. Così si cancella
puerilmente la "risposta non esatta". La conquista della verità non
si fa cancellando risposte, ma cancellando domande, il che avviene in grandi
gloriose ed isolate svolte della vita, che è lotta prima che sapienza. La verità
si raggiunge cambiando i quesiti, e a questo lavorano non le teorie servili di
risposte esatte, ma le serie di risposte inesatte che trascinano al suo
capovolgimento ogni domanda tradizionale. E’ l’errore, l’arma della
ricerca della verità. E’ l’errore che diventa dubbio, critica e
rivoluzione, ciò per la stessa borghesia nascente di secoli addietro. Per noi
comunisti è ancora di più: la violenza della rivoluzione precede e rende
possibile la sola scienza, propria dell’Uomo che non sia più vuota Persona.
Romanzo
del satellite
Nella
nostra volgare espressione che la eterna corsa del satellite della Terra non
costa nulla, sta tutta la filosofia della fisica di Galileo, da cui siamo
partiti. Diamo per ammesso che la nostra Luna, di cui si servì Newton per
dimostrare, scoprendo la legge di gravitazione, che essa si comportava come se
cadesse sulla Terra, riducendo Luna e sassata alla stessa legge generale,
possedesse in partenza la sua velocità di un chilometro al secondo. Un
qualunque modo simbolico di dire questo è che Dio la abbia creata dandole
quella spinta iniziale. Quando diciamo che velocità uniforme ossia inerzia
costante non richiede somministrazione di lavoro meccanico, ossia di energia, e
nella società umana spesa di danaro, esprimiamo un concetto con simboli che
l’avvenire potrà mutare, ma che nel passato quando tutto era teologia si
potevano esprimere dicendo che a Dio la attuazione della sua volontà non costa
nulla, perché alla stessa non vi è limite. Chi nella società borghese è
l’Onnipotente? che dispone di capitale danaro senza limiti. Comunque, per
essere lineari immaginiamo prima che Dio abbia creata la Luna senza velocità,
anche se è chiaro che non lo fece per amore dell’ammontare del suo conto in
Banca. In questo caso, dicono Galileo Newton ed ogni altro, la Luna sarebbe
caduta sulla Terra in linea retta, appunto come un sasso. Facciamo un’altra
ipotesi, che Dio si fosse scordato di creare la Terra. La Luna, creata ferma,
sarebbe rimasta lassù sola soletta. Ma possiamo anche pensare che non vi fosse
la Terra, (o meglio non avesse forza attrattiva) ma la Luna fosse stata dotata
di quella velocità impressa (da Dio, pensatelo pure, dato che Primo Carnera non
vi basterebbe). In tal caso, che è chiaro non si dà in pratica, in concreto
(staremmo freschi se volessimo fare birra coi casi concreti) Galileo ci dice che
cosa sarebbe accaduto: la Luna se ne sarebbe filata via a quella velocità di un
chilometro al secondo percorrendo una traiettoria rettilinea per tutta
l’eternità, sola nello spazio cosmico vuoto. Ed allora il principio di
inerzia di Galileo si formola così: un corpo a cui non viene applicata alcuna
forza persevera nello stato di moto rettilineo ed uniforme che possiede. Non si
dice più: resta fermo. Perché? All’inquisizione si rispose: perché Dio non
ha creduto creare nessun corpo con velocità zero. Ma quelli del tribunale
andarono in bestia: sì, uno solo, la Terra! Per narrare il romanzo del
satellite occorre dunque ammettere: la Terra, cui si concede di star ferma (la
scienza nasce come arte polemica, non era avvocatescamente abile mettere al
centro il Sole fermo - che poi non lo è - e il grande Isacco non lo fece); la
Luna, lanciata per un attimo sul rettilineo con la sua velocità. L’esperienza
ci insegna che la Luna non si va a perdere nelle profondità dell’infinito ma
ci segue come fedele compagna girandoci attorno. Perché? Perché non cade?
Newton dà fuoco alla bomba abbagliante. Proprio perché cade. La domanda della
sapienza dei secoli eccola disintegrata. Della nazionalità non ne frega più
che della personalità, ma è un fatto che Galileo nel fondare la cinematica
aveva trovato la composizione dei movimenti. Muovo il giornale sul tavolo mentre
una formica vi cammina sopra. Qual è il moto della formica, sul tavolo? Se il
giornale va a destra e la formica in avanti ad angolo retto, il suo moto è
sulla diagonale. Il gran Newton apostrofa la bianca Selene, ma non più al modo
dei vati. Corro per un chilometro sulla tua traiettoria retta, ed io ordinerò
alla vecchia Gea di non attrarti. Dopo un trentesimo di secondo abbasso una leva
(come avrebbe detto se non fosse stato sir Isacco ma un robot cibernetico di
oggi), e scatta l’attrazione. (Il trucchetto che "al limite" non
comporta un briciolo solo di errore matematico, era di Galileo). La Luna allora
per quello stesso trentesimo di secondo cade sulla Terra. Dove si viene a
trovare dopo questi due tempi, o passi di rock and roll? Ma guarda, proprio
sulla sua orbita. Per Newton, nella sua elegante costruzione di geometria
euclidea, bastava che questa fosse circolare. Percorso in quel tempuscolo un
tratto sulla tangente, e un tratto trasverso sul raggio verso il centro, in modo
da tornare sulla circonferenza, la relazione tra queste due grandezze
geometriche basta a dimostrare che la forza che attira la Luna verso la Terra
varia in ragione inversa al quadrato della distanza: la legge della gravitazione
universale era questa.
Il
bilancio delle energie
Keplero
mostrò che le orbite dei pianeti sono più complesse della circolare, ma ci
basta pensare che la Luna - o il satellite artificiale che la scimmiotta oggi -
corra su un cerchio perfetto . Allora due sono le conseguenze: la distanza dal
centro della Terra non cambia e quindi nemmeno l’attrazione. La velocità
sull’orbita del satellite è anche costante. Fino a che siamo fuori dalla
resistenza passiva rovinosa di una atmosfera anche rarefatta, tutto procede
gratis. La fisica moderna ha due concetti della energia meccanica. La prima è
una energia di posizione, energia potenziale (parola politica tanto di moda
oggi). Questa dipende dalla distanza dal centro delle forze, che nel caso
descritto non cambia. L’altra forma è l’energia di movimento, o cinetica,
che si chiama anche forza viva. Questa dipende dalla massa del satellite che non
muta e dalla sua velocità che nel nostro caso neanche muta. Dunque anche
l’energia totale del satellite non muta, e non occorre spenderci nulla, per
evitare che si fermi. E l'aeroplano? Perché ha il motore? In questo caso
occorre un lavoro motore, vi è un costo di energia, spesa di carburante. Le
differenze sono due. Una è la resistenza dell’aria all’avanzamento del
velivolo che è vinta grazie alla elica propellente, non senza grave spreco di
energia motrice. L’altra è la necessaria forza di sostentamento che evita che
l’aereo precipiti al suolo, ed è chiaro che tale forza deve essere contraria
ed uguale al peso dell’apparecchio. Quello dell’aeroplano era un principio
noto da secoli ed applicato agli aquiloni dei bambini o al cervo volante di
Franklin. L’ala è a piano inclinato, e non più tirata contro vento da una
cordicella fissa al suolo, ma spinta in avanti dalla elica propellente azionata
dal motore. Strisciando sull’aria che resiste all'avanzamento del tutto si
determina una componente dal basso in alto che sostiene l’apparecchio in volo
orizzontale. Se non c’è il lavoro motore (ossia i soldi per il carburante)
non avviene solo che l’aereo non va avanti per la resistenza dell’aria
all’avanzamento, ma che esso perde il sostentamento e cade al suolo. Per
l’aeroplano la resistenza passiva ci fa fare (seguitiamo a simulare di essere
degli antropomorfisti) un buon affare. Nel caso del satellite ci rovina , lo
rallenta, e finisce col cadere.
Il
vero rapporto causale
Ci
illudiamo che il nostro procedere disordinato stanchi meno e spieghi meglio i
punti discriminanti. Adesso siamo in grado di stabilire la vera legge causale
della [meccanica] moderna, che Einstein non ha rovesciato ma confermato.
L’aristotelico diceva: la forza è causa del moto, e quindi causa della
velocità del mobile. Ora sappiamo che questo non è vero perché il moto del
satellite serba la sua velocità senza applicazione di forza. Ed allora la legge
corretta è che la forza è la causa di un effetto diverso: la modificazione
della velocità del moto. Questa modificazione o variazione della velocità ha
due aspetti, in generale simultanei. Varia la velocità sulla traiettoria: caso
pratico il sasso che cade al suolo o la famosa Luna ferma che cadesse sulla
Terra. Parte piano piano ed aumenta la velocità progressivamente. Ancora il
vero effetto della forza non è più la velocità, ma l’accelerazione. Se la
forza è ritardante ossia diretta in senso inverso al moto, l’accelerazione
diviene ritardo o decelerazione: caso del sasso lanciato verso l’alto. Ma può
anche variare la direzione della traiettoria; ossia l’effetto della forza
applicata fa "inflettere" la linea su cui il mobile corre verso la
parte da cui la forza "attira". Quindi Newton, quando fece saltare la
vecchia domanda: la stessa accelerazione che farebbe cadere la Luna sulla Terra
se la prima possedesse ab aeterno la sua velocità impressa (divina o gratuita)
vale ad inflettere la sua traiettoria, tendenzialmente retta, di quel tanto che
la mantiene nei millenni alla stessa distanza dalla Terra. I due tipi di
accelerazione si chiamano: tangenziale (quella che fa accelerare o rallentare
sulla traiettoria) e centripeta (quella che fa flettere, curvare, la
traiettoria).
Leggi
di Keplero
Ciò
che Newton trovò teoricamente, Keplero l'aveva trovato con la osservazione o
meglio con geniali calcoli sulle osservazioni di Ticone Brahe sul moto dei
pianeti. La prima legge dice che il pianeta si muove su di un’orbita non
circolare, ma ellittica. Se l’orbita fosse un cerchio il Sole starebbe nel
centro. L’ellisse è un cerchio schiacciato in una direzione e allungato nella
trasversale: tutti ne hanno l’idea, che non è quella di un ovale, perché
l’uovo ha una punta più acuta dell’altra, l’ellisse è simmetrica tra le
due punte. L’ellisse ha pure un centro di figura, ma il corpo attraente di
Keplero-Newton occupa uno dei due fuochi. I fuochi sono due punti equidistanti
dal centro, di poco se l’ellisse è tondeggiante, di più se è molto
allungata. Stanno sull’asse maggiore. La teoria di questa curva fu data agli
antichi da Apollonio, colle sue sezioni coniche. Immaginate un cono a due falde,
ossia due cappelli da Pulcinella uniti alle punte. Un piano che tagli una sola
falda, o un solo cappello, ci traccia una ellissi. Ma si potrebbe fare il taglio
con un piano che impegni le due falde e si avranno due rami "aperti"
di curva: ecco l’iperbole. Se il piano taglia una falda ma proprio schivando
l’altra per miracolo, si ha un ramo solo, anche aperto: la parabola. Questi
tre casi trovati in astratto sono meccanicamente presenti in natura. Una cometa
che viene da "distanza infinita" nel sistema solare, e non vi torna più
dopo avere girato attorno al sole a distanza relativamente breve, corre su una
iperbole, o almeno su una parabola (basti di ciò; ma ubbidisce alle stesse
leggi di Keplero-Newton). Per i satellitini artificiali ci interessa la ellisse.
Il centro della Terra sta in uno dei due fuochi. La famosa orbita in cui il
satellite artificiale è stato messo (dal Kremlino, o dal Pentagono, non conta;
la stupida frase pragmatistica e da intraprenditore economico prova che non
siamo saliti più su della teologia, ma scesi demagogicamente nel più vieto
antropomorfismo) ha un perigeo o punto di distanza minima dal centro terrestre
(e minima altezza sulla superficie terrestre) ed un apogeo, o punto di distanza
ed altezza massima. La terza legge di Keplero scoprì la relazione, per uno
stesso corpo centrale, tra le dimensioni dell’orbita (asse maggiore, o somma
delle distanza apogea colla perigea) e il tempo impiegato dal corpo mobile a
farne un giro intero (periodo di rivoluzione). La legge è che i quadrati dei
tempi di rivoluzione stanno tra loro come i cubi degli assi maggiori. Essa serve
a confrontare Venere con Giove, e anche la Luna con gli Sputnik e Vanguard. Ha
sempre calzato bene. La legge di Keplero spiega perché i satelliti devon
correre tanto. Più sono vicini al corpo attraente più tocca loro essere
veloci. Mercurio in confronto a Nettuno corre da matto, lo batte di gran lunga
in velocità. Gli Sputnik battevano la Luna. Se da vecchi peripatetici o tomisti
credessimo che la velocità grande è effetto di grande forza, energia, potenza,
sapienza e civiltà o avanzata sulla via del socialismo (!), allora potremmo
ammettere che l’icona di Giove dovrà essere sostituita con quella di Nikita
Krusciov. Ma se di Galileo e Keplero abbiamo capito qualche rigo sapremo che il
vero prodigio è la poca velocità del corpo sull’ellisse (a parte il fatto
che grande velocità vuol dire poca altezza, e corsa nell’atmosfera, che
rallenta e uccide in un amplesso incendiario il prefabbricato, manufatto,
satellite). La terza legge confronta le varie velocità dello stesso satellite.
La velocità lineare sull’orbita varia, come nell’ellisse varia la distanza
dal corpo centrale, detta raggio vettore. La seconda legge invece dice che è
costante la velocità areolare, cioè di superficie, che riferisce alla unità
di tempo non il tratto percorso sull’orbita, ma la superficie
"descritta" dal raggio vettore; una specie di triangolo mistilineo che
ha due lati retti e uno curvo. Se l’ellisse fosse un cerchio la terza legge
direbbe solo che la velocità è costante; ed allora nel confronto di due corpi
la seconda direbbe che la velocità è minore man mano che è maggiore il raggio
del cerchio. Se questo triangolino, che vi prego di immaginare, ha per lati il
raggio vettore (due poco diversi) e per base il tratto di orbita che vale la
velocità del corpo, è chiaro che al massimo raggio vettore (apogeo)
corrisponde la velocità minima, mentre al minimo raggio vettore (perigeo)
corrisponde la velocità massima. Le formole (che qui, come abbiamo premesso,
non trovano luogo) concordano con la nuova dinamica del Pisano quanto a
relazione tra velocità e accelerazione, e con la gravitazione celeste
dell’inglese quanto a relazione con l’accelerazione centripeta o forza di
attrazione (che moltiplica la prima per le masse dei due corpi in gioco secondo
la costante universale di Newton). Einstein non ha distrutto la legge inerziale
di Galileo né quella gravitazionale di Newton. Non ha cercato che farle
scendere entrambe da una verità unica più alta e generale. Comunque, per la
misura al metro storico della bravata del lancio di satelliti a mano
dell’uomo, per questa rivista di bucce al vecchio domineddio, cui abbiamo
dedicato i nostri commenti critici, le confermate leggi del Keplero conducono a
stabilire che presso la Terra la velocità dei corpi è alta, lontano da essa è
bassa. Volta per volta, quando il vanto era di aver sparato forte, abbiamo
registrato la velocità. Quella della Luna, che Dio avrebbe fatta (non lo
sappiamo, ma sappiamo certo che non l’han fatta né von Braun né Blagonravov)
è di un solo chilometro al secondo. La teoria sa da secoli che quella massima
di un satellite, che corresse sfiorando la Terra, risulta di otto chilometri al
secondo (prima velocità cosmica). Quella di un corpo che sfugga a descrivere
l’ellisse e sia messo (da un trivialissimo appaltatore di pubbliche imprese
borghesi) su una iperbole o una retta, dovrebbe essere di undici chilometri
(seconda velocità cosmica o di fuga); da qui gli stupefattori 29 mila e 40 mila
chilometri orari degli imbonitori, contro i modesti tremilaseicento della
deofatta Luna. Da tutto ciò la ostinata richiesta del nostro dialogato astrale,
cui ogni tanto dai vertici pare si tenti rispondere. Darci un corpo che: vada
piano; abbia una orbita quasi circolare; stia ben lontano dalla Terra e
dall’aria, che per lui significa fuoco aristotelico; ripassi regolare su una
effemeride e si lasci collimare da terra. Senza intrallazzi. Il capitale l’ha
messa in orbita sull’intrallazzo, la scienza!
Da
"il programma comunista" n. 4 del 1960